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Autore: Mahela    30/12/2020    0 recensioni
Questa fanfiction ha come coppia principale il pairing "klance" (Keith x Lance).
Tutti conoscono la leggenda delle sirene. Ancora oggi tanti le ritraggono e parlano delle loro gesta.
Ma se le sirene avessero dei predatori naturali? E se questi avessero per secoli condizionato la loro vita?
E cosa succederebbe se uno di loro si sentisse attratto dalla sua preda?
Genere: Romantico, Slice of life, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garrison Hunk, Kogane Keith, McClain Lance
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il mattino seguente Keith si alzò molto presto.
Nell’aria si poteva udire il garrito dei gabbiani e i flebili raggi del sole stavano già iniziando a schiarire il cielo con la loro luce.
Era quella l’ora in cui Lance tornava dalla sua battuta di pesca notturna.
Sistemava il peschereccio, preparava i contenitori col pesce da vendere e poi si dirigeva alla spiaggia con aria stanca e un po’ annoiata.
Sebbene lui finisse di lavorare molto presto, il suo uomo si faceva vedere solo verso mezzogiorno, quando anche i suoi altri clienti avevano organizzato la merce, quindi una volta completati i suoi doveri, alla sirena non restava altro che gettarsi sulla sabbia fresca e godere della sensazione di quei piccoli granellini fra le dita.
Si stiracchiava su quel materasso naturale e, cullato dalle onde, chiudeva gli occhi, alla ricerca di un sonno che le stelle non gli concedevano.
Keith aveva scoperto di questa sua pratica per puro caso, quando si era dovuto alzare a posta per una chiamata urgente e, una volta finito, aveva deciso di fare una passeggiata sulla spiaggia, giusto per rilassarsi e prendere un po’ d’aria.
Da quando aveva trovato per la prima volta Lance steso sulla riva con il volto addormentato, tutte le volte che gli capitava di alzarsi a quell’ora, si dirigeva in direzione del porto e si metteva a studiarlo da lontano.
Trovava singolare come un ragazzo che teneva tanto al proprio aspetto e spendeva un sacco di tempo e denaro nella cura di ogni sua parte, fosse così scialbo al lavoro.
Si metteva sempre una vecchia t-shirt a mezze maniche bianca, rigorosamente consumata e segnata da macchie di grasso e sporcizia, e un costume blu a pantaloncino che gli arrivava a metà coscia, nonostante fosse comune che l’agire del venticello marittimo e la sua abitudine di tenere le gambe piegate in aria, spingessero l’orlo dell’indumento ad arrotolarsi su sé stesso, mettendo in mostra i quadricipiti tonici e parte dell’interno coscia: un’estensione di pelle soave e soffice che il sole amava baciare col suo calore.
Era proprio in quei momenti, quando la sua mente si immergeva nel mondo dei sogni e il suo corpo si muoveva libero da ogni inibizione, che Keith si rendeva realmente conto di quanto fosse attraente.
I lineamenti morbidi ma decisi, la pelle liscia e uniforme, le labbra leggermente schiuse per la stanchezza, le ciglia lunghe che gettavano una piccola ombra sui suoi zigomi, il lieve lineamento dei capezzoli che sporgeva da sotto la maglietta: se non fosse stato per quel suo carattere impossibile, avrebbe potuto conquistare il cuore di qualsiasi umano, maschio o femmina che fosse. Quel corpo da solo sarebbe bastato a risvegliare il desiderio di qualsiasi essere che ne fosse dotato.
Quanti doni sprecati.
Keith si fermò a un paio di metri dalla del ragazzo, distogliendo l’attenzione sul ciuffo ribelle che continuava ad arricciarsi sulla sua fronte.
Non era andato lì per guardarlo dormire, ma per seguire il consiglio di Hunk.
Si era alzato presto con quell’unico scopo in mente, fin troppo consapevole dei luoghi frequentati da Lance durante il giorno, ma adesso che ce lo aveva di fronte, era dubbioso sul da farsi.
Sarebbe stato meglio svegliarlo? Ma se si fosse infastidito? Magari Lance era proprio uno di quelli che se svegliato con la forza, metteva il muso a prescindere! Ma stare lì ad aspettare che si svegliasse non sarebbe stato altrettanto sgradevole? Cosa gli avrebbe raccontato poi? Che era rimasto ore ad aspettare che finisse il suo pisolino solo per chiedergli una cosa? Troppo strano.
Per sua fortuna (o sfortuna, come l’avrebbe definita lui), il suo alterco interiore non durò a lungo, dato che quando riabbassò lo sguardo, trovò il viso della sirena leggermente piegato nella sua direzione. Le iridi azzurrine ora fisse su di lui.
«Buongiorno, Lance».
«…Sei proprio uno stalker, triglia».
Keith roteò appena gli occhi, inghiottendo a fatica quell’ennesima provocazione.
Non poteva permettersi di iniziare inutili battibecchi! Dopo che aveva resistito fino a quel momento, non poteva mollare senza neanche mettere in atto la sua nuova strategia!
«Hai finito di lavorare?».
Lance si alzò col busto, osservando sempre più indispettito l’hábrók sedersi a gambe incrociate di fianco a lui, quasi fosse la cosa più naturale del mondo.
Certe volte gli veniva spontaneo chiedersi da dove prendesse tutta quella sfacciataggine. Altro che ragazzo volenteroso ed affidabile! Era sempre più convinto che la sua fosse solo una facciata.
Scommetto che ha anche qualche strano fetish!
«Penso che tu lo sappia benissimo, stalker».
«Non sono venuto per litigare, Lance». Sospirò, tenendo lo sguardo fisso sul paesaggio. «Sono qui perché vorrei chiederti un favore».
La sirena si irrigidì, rimanendo per diversi istanti ferma a fissarlo con sguardo perplesso e visibilmente sconcertato.
Un favore? Lui voleva chiedergli un favore? Non credeva neanche che gli avrebbe mai sentito pronunciare simili parole. Pensava avrebbe preferito buttarsi dalla scogliera piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno, figuriamoci a lui.
La cosa gli puzzava terribilmente: sentiva odore di tranello da lontano un miglio, ma non poteva fare a meno di sentirsi un po’ compiaciuto. Il grande Keith aveva bisogno di lui! C’era realmente qualcosa che il ragazzo non fosse in grado di fare e per riuscirci aveva chiesto a lui.
Riflettendoci, questo avrebbe spiegato tutte le stranezze di quegli ultimi tempi. In fondo, Keith era molto orgoglioso, quindi sarebbe stato plausibile pensare che stesse cercando una scusa per estorcergli con l’inganno un aiuto.
«…Fammi capire, mi hai pedinato per giorni solo perché volevi chiedermi un favore?».
«Io non ti ho-! ……Sì».
«Di cosa si tratta?».
Keith prese un respiro profondo, dentro di sé imbarazzato come poche volte nella sua vita.
Nella sua cultura, chiedere aiuto era segno di debolezza. Farlo significava ammettere di essere inferiore all’altro e per lui era inaccettabile! Ancora di più se il soggetto in questione era quel narcisista vanitoso del suo coetaneo!
Anche se la realtà era un’altra.
Keith adorava che Lance pensasse a lui come a una persona da invidiare. Qualcuno che nel caso del bisogno avrebbe potuto prendere le redini di qualsiasi situazione, sostenerlo.
Un hábrók che non è in grado di sostenere il suo compagno in ogni aspetto della sua vita, è una nullità.
«Vorrei che tu… mi insegnassi a pescare».
Lo disse quasi con l’affanno, aggrottando le sopracciglia alla sensazione di quelle pupille fisse su di lui. Disagio e imbarazzo imperversavano dentro di lui a ritmo incessante, colorando di un leggero rosa i suoi zigomi. Vorrei sprofondare!
D’altro canto, sul viso di Lance si fece spazio un grandissimo sorriso, al punto che era possibile intravedere una linea di denti bianco perla. A keith sembrava quasi di poter leggere sulla sua fronte la scritta vittoria a caratteri cubitali.
«Eh~ E io cosa ci guadagno?».
«…Tu cosa vorresti?». Ma tu guarda che sfacciato!
«Mmh…» Alzò lo sguardo all’insù, gongolando sulle numerose possibilità tra cui avrebbe potuto optare. «Che ne dici se mi prestassi la tua moto?»
L’hábrók sgranò gli occhi, inorridito.
Lui non era il tipo da attaccarsi alle cose, ma se c’era un oggetto di cui era gelosissimo, era proprio la sua moto.
L’aveva restaurata con le sue stesse mani, dopo che Shiro gliela aveva regalata, e la teneva come uno dei suoi tesori più preziosi.
Il pensiero che qualcuno che non fosse lui la maneggiasse, lo mandava nella paranoia più totale, pure se si trattava di Lance. Specialmente se si trattava di Lance.
Il pescatore, dal canto suo, non poté che rimanere deluso quando l’altro gli urlò senza remore «Ma sei impazzito?!».
Sapeva quanto Keith fosse geloso della sua moto, ma era sempre stato curioso di provarla. Sembrava così fiero, fico mentre la usava che aveva sperato di poterci salire almeno una volta.
Abbassò lo sguardo, puntando offeso un punto indefinito del terreno, cosa che non sfuggì all’occhio attento di Keith. Ormai era un esperto nel cogliere i cambiamenti del suo viso e quello lì in particolare non gli aveva fatto molto piacere.
Non voleva suscitare in lui tale reazione, ma era stato più forte di lui. Di quel passo, non avrebbe concluso niente neanche quel giorno.
«…Va bene, ma solo se ci sono anch’io».
In un attimo, un grande sorriso apparì sul viso di Lance, luminoso come il sole che sorgeva in quel momento.
E keith fu grato di vederlo dal profondo del suo animo.
__
Il peschereccio di Lance non era un peschereccio vero e proprio, ma una piccola barca su cui lui aveva sistemato tutta l’attrezzatura e montato una piccola rete a maglie strette.
Aveva le pareti esterne ingiallite e leggermente graffiate, con uno spesso strato di alghe nella parte inferiore, al punto che Keith si convinse l’interno non fosse migliore. Già una smorfia distorceva le sue labbra al pensiero della sporcizia e della ruggine che avrebbe trovato.
Ma così non fu.
Nonostante i vestiti che indossava e la poca cura che aveva nella manutenzione esterna della barca, Lance era molto pulito.
Keith non era mai salito sulla barca di Lance e rimase piacevolmente sorpreso nello scoprire fosse più pulita e ordinata della maggior parte delle imbarcazioni attraccate al molo.
Il pavimento era lucido e solo un po’ umido a causa del mare, le casse per il pesce perfettamente impilate, la rete ben sbrigliata e pronta all’utilizzo e l’attrezzatura rigorosamente riposta in un armadio interno.
Tutto era al proprio posto e tenuto così bene da far dubitare venisse utilizzato giornalmente.
Anche Lance si rivelò diverso dalle sue previsioni.
Si sarebbe aspettato il solito ragazzo spensierato e un po’ superficiale che non perdeva occasione per punzecchiarlo, ma al contrario la sirena prendeva molto sul serio il suo lavoro: pretendeva che la sua barca fosse sempre in ordine e ben organizzata ed era attento nell’itinerario che seguiva.
Ufficialmente, iniziava a lavorare verso mezzanotte, ma già alle 23:00 preparava una lista del pescato e dei luoghi in cui cercarlo e a organizzare tutto l’occorrente.
Questo, ovviamente, nel momento in cui diventò il suo apprendista, incluse anche Keith, che in realtà non fu particolarmente felice di dover stare sveglio durante la notte. Non era un animale notturno, in fin dei conti, quindi fece molta fatica ad abituarsi ai nuovi ritmi.
Ciononostante, non poteva dire che i suoi sforzi non valessero la pena.
Non solo come pescatore, ma anche come insegnante, Lance era molto capace e meticoloso.
Gli insegnò quali erano i pesci e i crostacei che vivevano su quell’isola, come erano soliti muoversi, dove si potevano trovare e in che orari, cosa usare per prenderli e anche qualche trucchetto che aveva imparato con l’esperienza.
Gli era difficile ammetterlo, ma Lance era davvero bravo. Il titolo di migliore dell’isola, seppur auto-conferito, gli calzava a pennello, sia nella preparazione che nella praticità.
Keith si sentiva ammaliato da quel suo nuovo lato. I suoi gesti precisi e fluidi e il suo sguardo concentrato e pieno di passione, gli conferivano un fascino che nessuno avrebbe mai creduto gli appartenesse.
A dire il vero, l’hábrók era più interessato alla sirena che a quello che aveva da insegnargli, ma cercò comunque di concentrarsi e assimilare tutto per bene.
Di fatto, i compiti di Keith non si fermavano al semplice ascoltare: Lance lo costringeva a prendere appunti, ad usare l’attrezzatura rigorosamente da solo e ad aiutarlo ad ordinare e pulire.
Con tutte quelle responsabilità e quella autonomia era impossibile non imparare qualcosa e nel frattempo, si rese conto di quanto realmente fosse pesante il lavoro di Lance.
Stava alzato tutta la notte a pescare e dopo si metteva a pulire finché la barca non brillava. Non stupiva che tendesse a trascurare l’aspetto esteriore del mezzo: probabilmente al suo posto altri avrebbero fatto molto meno.
“Sei veramente straordinario”. Aveva confessato una volta Keith, guardandolo con un’espressione colma di tenerezza e ammirazione, più di quella che avrebbe voluto trasparisse.
Lance a quelle parole aveva sorriso timidamente, non abituato ai complimenti, e distogliendo un po’ lo sguardo, si era messo una ciocca dietro l’orecchio.
Carino fu il pensiero spontaneo del tuttofare vedendo quel gesto, anche quando sentì l’altro iniziare a vantarsi con fierezza e tono un po’ scherzoso. “Lo so, vero? Non per niente sono il più bravo di tutti!”.
Non si sentiva infastidito. Per la prima volta, a quell’atteggiamento un po’ sbruffone, era venuto da sorridere anche a lui. Aveva come l’impressione che quello fosse un suo modo per sconfiggere la timidezza e smorzare un po’ l’atmosfera dolce che si era creata, piuttosto che per mettersi in mostra.
Era come se durante quelle ore vegliate dalle stelle, tutte le tensioni della vita quotidiana sparissero.
Rilassate e avvolte dal chiarore lunare, le loro menti sembravano tornare al loro stato naturale, libero.
Forse perché Lance non sentiva il bisogno di dimostrare qualcosa o di farsi valere rispetto al coetaneo, ma tutti i lati piacevoli del suo carattere erano piano piano venuti a galla.
Non si trattava solo della sua inaspettata diligenza, ma di tutto un mondo che fino a quel momento era rimasto celato agli occhi di Keith.
Lance era gentile e giocoso, sempre disponibile ad aiutare senza mai farlo pesare.
D’un tratto si metteva a canticchiare allegramente o a fare qualche balletto strampalato, per poi sedersi accanto al suo nuovo collega e raccontargli qualche barzelletta scema o pettegolezzo sugli isolani, che puntualmente scimmiottava.
L’hábrók non riusciva a fare a meno di ridere e scuotere la testa con finto avvilimento. Si faceva trascinare a tal punto che anche lui si mise a raccontare qualche aneddoto sull’amica Pidge o su qualche cliente particolarmente distratto: conosceva praticamente tutti sull’isola, quindi di storie ne aveva tante.
E gliele avrebbe raccontate tutte, pur di farlo ridere.
Perché anche Keith, in quelle notti silenziose, era un po’ diverso.
Lì sopra, lontano da tutti, tutto il mondo sembrava cessare di esistere.
Non c’erano sguardi indiscreti, sensazioni di disagio né pressioni in quell’angolo di mondo.
Solo lui e quella risata soave.

Quella stessa risata che per lungo tempo, dentro di sé, aveva desiderato ricevere.


Note dell'autore: 
Salve a tutti ^^
Purtroppo ho avuto degli imprevisti e sono riuscit* a pubblicare solo adesso, ma spero comunque che vi sia piaciuto ^^
Alla prossima <3
   
 
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