I
corpi di Cassie, Jacqui, Takeda e Jin, dilaniati dai proiettili di
Erron Black, caddero al suolo con un tonfo.
Il sangue sgorgò
dalle ferite e arrossò la pista d’atterraggio.
Il
mercenario, per alcuni istanti, fissò i corpi privi di vita
dei quattro giovani.
Non hanno avuto il tempo di reagire.,
pensò, compiaciuto. Non erano avversari deboli, ma la loro
inesperienza era stata la causa della loro rovina.
Nulla
avevano potuto opporre alla trappola da lui approntata.
Devo
ringraziare Shang Tsung. Centocinquanta anni prima, quello
stregone lo aveva assoldato per uccidere un guerriero terrestre e,
in cambio, aveva rallentato il processo fisiologico di
invecchiamento.
Per tanti anni, il suo corpo aveva mantenuto
la prestanza di un uomo di trent’anni.
Questo gli aveva
permesso di affinare le sue già elevate capacità di
sicario, perché gli era stata data la possibilità di
essere paziente e di non lasciare nulla al gioco della
casualità.
Nessun obiettivo è mai sfuggito alle
sue trappole e nessuno si è mai lamentato delle sue
capacità.
Ad un tratto, il corpo di Kung Jin si agitò
in uno spasmo e la sua bocca si tinse di vermiglio.
Una ruga
di disappunto, per un istante, attraversò la fronte di Erron
Black.
– Mi farai sprecare un proiettile, ragazzino. –
sibilò, irritato. Quel monaco shaolin, nonostante la grave
ferite al petto, aveva mostrato una tempra non indifferente.
Era
stato colpito ai polmoni, eppure era ancora vivo.
Sollevò
la pistola e la posizionò sulla tempia dell’arciere.
Qualche
istante dopo, il monaco sollevò le palpebre e le sue iridi
castane, velate dal dolore, si rifletterono in quelle del
mercenario.
Un sussulto scosse il petto di Erron e la mano,
che teneva la pistola, tremò.
– Tu… Non
puoi essere tu… – soffiò, turbato. Non era lui,
eppure i suoi occhi avevano lo stesso colore colore.
Perfino
il taglio a mandorla era il medesimo.
Credeva di avere perduto
quel ricordo doloroso, eppure era bastato vedere uno sguardo simile
e le memorie di una vita lontana nel tempo e nello spazio erano
riemerse.
– Aquila Rossa… – mormorò.
I suoi occhi rivedevano il volto di quel giovane pellerossa,
appartenente alla tribù dei Cherokee, con cui, a dispetto
delle loro origini difformi, aveva stretto un legame di amicizia e
di rispetto.
Irrigidì la mascella. Aquila Rossa era
stato espulso dalla sua tribù, in quanto figlio di un
missionario, morto di polmonite, e di una donna nativa e, per
sopravvivere, aveva lavorato come mandriano.
Era solitario,
duro, deciso, ma, oltre quella maschera, palpitava un cuore
nobile.
– Un’altra somiglianza con te, ragazzino.
– sussurrò, frustrato. Doveva cacciare quei ricordi
dalla sua mente, ma non ci riusciva.
Non poteva non negare la
realtà, che si stagliava davanti ai suoi occhi.
Kung
Jin celava un’anima gentile e generosa, dietro quel volto
sarcastico e irriverente.
Un altro punto di contatto con
Aquila Rossa.
Strinse il pugno destro e sbatté le
palpebre. Il tempo aveva dato la possibilità a lui di
conoscere Aquila Rossa e tra di loro si era generato un legame
forte.
Malgrado il biasimo di suo padre, non aveva rinunciato
al suo rapporto con il suo amico Cherokee.
Grazie a lui, aveva
conosciuto l’affetto di una famiglia, che gli era sempre
mancato.
E, presto, quel legame si era trasfigurato in un
amore sincero.
Agli occhi della comunità, erano due
amici che, assieme, vivevano la loro vita di mandriani senza quasi
separarsi.
Erron accennò ad un sorriso sotto la
maschera di cuoio. Il suo affetto per Aquila Rossa era oggetto di
biasimo per la comunità di Wickett, ma a lui non
importava.
La sopravvivenza di entrambi era garantita dalla
loro abilità e il loro rapporto soddisfaceva le loro anime,
desiderose di un legame famigliare, che era stato loro negato,
seppur per motivi differenti.
Aquila Rossa era per lui padre,
madre, fratello e amante…
– E mi è stato
strappato… – mormorò.
Chiuse gli occhi e
un ricordo doloroso, crudele, balenò davanti ai suoi occhi.
La
sera estiva ricopriva Wickett e la luce delle stelle si mescolava a
quella delle fiaccole.
Avevano terminato i loro lavori nella
stalla e, assieme, si erano avviati verso il loro riparo.
Finalmente, potevano godere di un po’ di riposo.
Una
piccola capanna di legno era il loro rifugio, lontano da occhi
indiscreti.
– Finalmente. Non reggevo più. Quando
mi stenderò sul letto, mi addormenterò di schianto. –
aveva detto.
Un mezzo sorriso aveva sollevato le labbra di
Aquila Rossa e la sua mano sinistra si era posata sulla sua spalla
destra.
Si era girato e i suoi occhi si erano specchiati nelle
iridi cupe del pellerossa.
– Ti ho visto un po’
lento nei movimenti. Vuoi che ti prepari qualcosa? – aveva
domandato, premuroso.
Aveva ricambiato il sorriso. Aquila
Rossa, con la sua sapienza, aveva distrutto molti suoi pregiudizi
sui nativi, che i bianchi, con la loro avanzata, stavano
allontanando dalle loro terre ancestrali e confinando nelle
riserve.
Conosceva il potere curativo delle erbe e se ne era
servito per aiutarlo, quando non si era sentito bene.
–
Grazie. – gli aveva detto.
Ad un tratto, il rumore di
alcuni passi aveva interrotto la loro conversazione.
D’istinto,
aveva posato la mano sulla pistola, presto imitato dal suo
compagno. Non avevano paura di affrontare una sfida con altri
mandriani.
Si erano girati e, con loro stupore, avevano scorto
una figura alta e magra, con un cappello liso marrone calato sul
viso.
Erano rimasti sorpresi. Un uomo solo affrontava solo
entrambi?
– Ho raggiunto il mio obiettivo. – aveva
mormorato, gelido.
Fulmineo, aveva estratto una pistola e
aveva sparato contro di lui.
Poi, la detonazione era esplosa.
Un
gemito di dolore era seguito allo sparo.
Per alcuni istanti,
lui era rimasto immobile, gli occhi sbarrati da un doloroso
stupore. Aquila Rossa, incurante del pericolo, si era posto tra lui
e il proiettile.
Una macchia vermiglia, ben presto, si era
allargata sul suo petto e il corpo del giovane pellerossa, privo di
forza, era crollato.
Lui, rapido, aveva sparato, il cuore
straziato dalla disperazione. Come avevano potuto colpire Aquila
Rossa?
Il sicario, colpito al petto, era caduto senza un
gemito.
Poi, si era avvicinato al corpo agonizzante dell’uomo
e gli aveva lanciato uno sguardo gelido, lucido di dolore.
Gli
aveva strappato la maschera e un grido di stupore era risuonato
sulle sue labbra.
– Pa… Padre… –
aveva balbettato. Suo padre, Theodore Black, aveva tentato di
uccidere lui, suo figlio.
E Aquila Nera lo aveva difeso e, per
questo, agonizzava sul terreno.
– Perdonami Signore…
Non ho purificato mio figlio…. Ma ho tolto di mezzo quel
pellerossa depravato… Spero di averti fatto contento... –
aveva detto l’uomo, la voce flebile.
Una morsa di gelo
aveva stretto i suoi polmoni in una morsa, impedendogli quasi di
respirare. Aquila Rossa era stato condannato per il colore della
sua pelle e per i suoi sentimenti verso di lui…
Aveva
preso la sua pistola e aveva sparato. Di tante colpe si era
macchiato suo padre, ma questa le aveva ben oltrepassate.
Theodore
Black, colpito nuovamente al petto, si era agitato negli spasmi
dell’agonia, come un pesce stretto nella mano del pescatore,
poi il suo corpo si era rilassato, circondato da una pozza di
sangue vermiglio.
– Dio forse sarà contento, ma
io no, stronzo. – aveva sibilato, atono.
E, senza
curarsi più di lui, si era allontanato.
Aveva
poi raggiunto Aquila Rossa e gli aveva sollevato la testa, per
impedirgli di soffocare.
Il nativo, sentendo il suo tocco,
aveva aperto gli occhi neri, ancora luminosi, come carbonchi, e gli
aveva fissati sul suo viso.
– Erron… Stai bene? –
aveva domandato.
Con un grave cenno del capo, aveva annuito.
Grazie al suo atto eroico, suo padre non era riuscito a ucciderlo,
ma il suo compagno pellerossa si stava spegnendo tra le sue braccia
e lui nulla poteva fare per salvargli la vita.
Il suo amore
poteva accompagnarlo nel suo ultimo viaggio.
– Erron…
Tu credi… credi che il Grande Spirito mi accoglierà?
In fondo, non sono un Cherokee… Non del tutto… Non
appartengo a niente e a nessuno… – aveva confessato,
il volto, bianco di morte, atteggiato ad un’espressione di
amarezza.
Le sue dita gli avevano accarezzato la guancia.
Aquila Rossa era di carattere forte e deciso, ma il dolore delle
sue origini mezzosangue lo aveva turbato.
Lui sentiva il
sangue di quei fieri combattenti scorrere nelle sue vene, ma i
membri della tribù lo consideravano figlio dei bianchi
invasori, mentre questi ultimi vedevano in lui un bastardo senza
dignità, nato da un momento di debolezza di un
missionario.
– Non posso dirlo, ma se non accoglie te,
il Grande Spirito deve essere un completo idiota. – aveva
risposto. In quel momento, qualsiasi traccia di fede nel suo cuore
era scomparsa.
Dio, da troppi ipocriti vanamente chiamato, era
solo una costruzione umana, dettata dalla brama di pace e di
rivalsa per le ingiustizie subite.
A quale scopo avrebbe
permesso la fine tragica di un uomo tanto onorevole come Aquila
Rossa, se fosse esistito e avesse posseduto i poteri da tanti
decantati?
Ma non poteva rivelare ad Aquila Rossa la verità,
perché lo avrebbe precipitato in uno stato di sconforto
immeritato.
Troppe pene aveva sopportato, a causa di una colpa
non sua.
E, per questo, aveva optato per una risposta non
propriamente sincera, anche se era convinto della levatura morale
del suo amante pellerossa.
– Erron… Io so che non
credi alla presenza di un dio… Da quando viviamo insieme,
non ti ho mai visto pregare. Ma non importa… Grazie. –
aveva confessato, gli occhi lucidi di commozione e un leggero
sorriso sulle labbra.
D’istinto, lo aveva stretto contro
il suo petto e aveva abbassato la testa. Non voleva fare vedere le
lacrime, che minacciavano di bagnare le sue guance scavate.
–
Non ho fatto nulla di strano. – si era schernito
Aquila
Rossa, ormai stanco, aveva appoggiato la testa contro il suo petto
e aveva chiuso gli occhi.
– Oh no… Mi hai dato
affetto… Ti sei donato a me senza alcuna riserva…
Grazie a te, ho sentito di avere una famiglia che mi ha voluto
bene… Grazie di tutto, Erron… – aveva concluso,
sereno.
E poi era morto.
–
Già.
Con te, sono morti i miei migliori sentimenti. – mormorò.
Con la sepoltura del suo valoroso compagno di lavoro e di vita, il
mondo si era colorato per lui d’un grigio smorto.
Per
questo, aveva deciso di trasformarsi in un mercenario e di mettere
la sua pistola al servizio del migliore offerente.
Guardò
ancora Kung Jin. Il suo volto, pallido d’astenia, era velato
di grosse gocce di sudore, mentre le labbra livide erano strette in
una morsa, pur di non lasciarsi sfuggire alcun gemito di dolore.
–
Soffri… Eppure, cerchi di non urlare. Come lui. –
sussurrò. Ogni gesto del ladro arciere cinese, per quanto
apparentemente insignificante, gli ricordava Aquila Rossa.
Entrambi
cercavano sempre di non mostrare le loro debolezze, pur in
situazioni estreme, e condividevano aspetti lontani dalle stupide
concezioni di bene e male della società.
Come Aquila
Rossa aveva sofferto le sue origini mezzosangue, così Kung
Jin aveva conosciuto il disprezzo per la sua omosessualità.
Si
chinò su Jin, passò un braccio attorno al suo busto e
l’altro sotto le sue ginocchia, poi si sollevò in
piedi.
Il corpo dell’arciere, malgrado la delicatezza
dei movimenti di Erron, tremò di dolore e i suoi denti
stridettero, come la ruota di un arrotino.
– Rilassati…
Non risolverai nulla irrigidendoti. Aumenterai solo il dolore,
Aquila Rossa. – mormorò. Mentre stringeva quel corpo
sofferente tra le braccia, la sua mente si smarriva nei
ricordi.
Gli pareva di sentire il penetrante profumo di Aquila
Rossa.
Quante volte si erano abbandonati al loro
desiderio…
Gli sembrava di abbracciare e cullare il suo
amante pellerossa.
Kung Jin, sentendo quel nome, sbarrò
gli occhi vitrei e si posò una mano sul torace. Il dolore
trapassava il suo corpo, eppure poteva avvertire una strana, ruvida
delicatezza nei modi di quell’assassino.
Cosa era
successo? Perché era mutato?
Eppure, era il medesimo
serpente che aveva ucciso i suoi amici…
Perché
lo aveva chiamato Aquila Rossa?
– Co… Cosa? –
sussurrò, sorpreso.
Poi, sopraffatto dalla debolezza,
appoggiò la testa sul petto di Erron.
Questi accennò
ad un sorriso e, a passo lento, si allontanò
dall’aereoporto, mentre il vento gonfiava il suo mantello
rosso, come gonfia la vela di una barca in una giornata serena.