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Autore: Iurin    31/12/2020    0 recensioni
[Weir di Hermiston]
Il romanzo di Robert Louis Stevenson, "Weir di Hermiston", per l'appunto, non è mai stato concluso (lo scrittore è morto prima di poterlo fare). Questa è un mio modo per poter dare un punto a quella storia in base all'idea che mi sono fatta dei personaggi nei nove capitoli pubblicati da Stevenson.
Il libro non è di certo uno di quelli che va per la maggiore, quindi non mi aspetto grande ricezione, ma pazienza!
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finale di «Weir di Hermiston»
 
 
°°°
 
 
Capitolo X
 
 
… Ma si separarono.
Il loro litigio era durato solo il tempo di rincorrersi per un breve tratto, sfuggirsi e poi riprendersi, ma è stato anche segno che i tempi davvero non erano maturi. Archie aveva espresso le sue ragioni, i suoi pensieri e le sue considerazioni su quello che stava avvenendo tra lui e Kristie, ma lei aveva preso il suo parlare per un tornare sui propri passi. Per un tradimento, addirittura? Che lei addirittura pensasse che lui potesse essersi stancato di lei, così, all’improvviso, dal giorno alla notte?
Archie sicuramente non la considerava un passatempo in attesa di stimoli migliori! Come poteva anche solo pensare di esistesse qualcosa che potesse eguagliarla in freschezza e leggiadria da fargli voltare lo sguardo altrove?
Eppure Kristie si era agitata, nella sua tremenda incertezza da ragazza, la cui vanità giovanile aveva costantemente bisogno di conferme. E questo, forse, poteva essere un segnale, un segno che poteva far pensare ad Archie che sì, il loro amore esisteva e poteva ardere come un fuoco di inverno in una gelida casa, ma che fosse andava realmente alimentato un ciocco alla volta, piccolo, magari ancora verde e umido, più che gettarvi dentro tutta la foresta.
Così Archie rimase fermo, come uno spaventapasseri in un campo di grano, sulle proprie idee, scacciando i corvi della titubanza, e lo fece continuando a parlarle, ma continuando anche a tenerla stretta a sé. Fu la vicinanza dei corpi e dei cuori a riuscire a far calmare la stessa giovane donna, così, quando i due compirono entrambi un passo all’indietro, allontanandosi – ma continuando comunque a tenersi per mano – l’arrivederci fu meno ambiguo e più dolce, pieno di promesse di un nuovo incontro che non si sapeva ancora quando sarebbe avvenuto, ma che sì, ci sarebbe comunque stato, questo era innegabile.
E mentre Archie tornava a Hermiston, il suo cuore era più leggero. Aveva parlato e aveva espresso i propri timori. Aveva temuto che tutto fosse andato storto, ma invece così non era stato. Quale gioia avvolge i giovani quando si riesce a scampare il pericolo! Gli stessi passi, che calpestano l’erba bagnata dall’imbrunire, sembrano tanto leggeri che tutto il corpo si muove in un’onda sinuosa di dolce sollievo.
Il sole stava ormai tramontando, quando Archie oltrepassò la porta della propria abitazione, e, pochi gioiosi passi più tardi, quel che vide fu semplicemente Innes seduto in poltrona, accanto al camino spento. Per un attimo il buonumore di Archie si incrinò, ma lui stesso si rese subito conto che non aveva motivo di avercela con l’amico: d’altronde le proprie recenti azioni non erano state causate anche dal suo parere e dai suoi consigli? Difatti valutò quel breve cambio d’umore passeggero tanto quanto il rumore di un cavallo che nitrisce in lontananza. Probabile che fosse suggerito solo da reminiscenze un po’ troppo recenti. Ma sparirono, e fu questo l’importante.
“Caro Archie, di ritorno giusto in tempo per la cena,” esordì dunque Innes con un gran sorriso, che mise in mostra i suoi denti bianchissimi, sebbene non si alzò per salutarlo, gesto che sicuramente era stato dettato dalla ormai rinnovata confidenza che intercorreva tra i due giovani. “Hai un volto estremamente rilassato, permettimi di dirlo.”
“Permesso o non permesso, l’hai già detto,” fu ciò che Archie fu portato a rispondere, ma poi proseguì nel parlare: “Però hai ragione: mi sento meglio. Tu e Kristie avete avuto un tale influsso, su di me, che l’unica cosa che riuscivo a fare, prima, era sentirmi in colpa.”
“Ah, anche la vecchia signora ha parlato con te? E concorda con me? Incredibile, considerando la poca stima che sembra avere nei miei confronti. Ma, almeno dal canto mio, farti sentire in colpa era l’ultimo dei miei interessi,” precisò Innes, congratulandosi mentalmente con se stesso, allo stesso tempo, per la menzogna ben riuscita, “se hai agito – e, da quanto mi riesce di capire, hai agito davvero – avrei voluto che tu l’avessi fatto perché ne fossi intimamente convinto.”
“Oh, ma lo sono stato! Non sono stato chiaro nel risponderti, ma sì, ero convinto. Davvero. È meglio chiarire tutto il… contesto, prima di…” e poi fermò il proprio discorrere.
Fu Innes a riprendere la parola, allora:
“Non ti eri reso conto di aver ammesso tutto quello che prima negavi, vero?”
“Io… Già.”
Perché continuare a negare e fare la figura dell’inetto? Archie stesso sapeva che ormai, data la situazione, l’unica cosa sensata da fare fosse ammettere tutto. E poi Innes era suo amico; in più, dopo i consigli che gli aveva riservato e dopo la sua premura, come poteva lui ancora avere questa reticenza?
Timidezza, senza alcun dubbio.
“Stai arrossendo,” ci tenne a precisare l’interlocutore di Archie, il quale fece un repentino gesto di diniego con la testa, come se questo bastasse ad eliminare il colorito in più sul suo viso.
“Non è questo l’importante. Ma ammetto quello che tu sospettavi, non c’è neanche più bisogno di tornare sull’argomento.”
Innes annuì, e un sorriso smagliante e compiaciuto comparì sulle sue labbra.
“Concordo.”
Il discorso, tra loro, si concluse in questa pacifica e anche piuttosto secca maniera. Non per via di qualche turbolenza, ma perché parole spese in più non sarebbero servite, sarebbero solo state un condire concetti che erano già perfettamente espressi di per sé.
Per qualcun altro, invece, le parole non erano mai abbastanza, ma, per soddisfare il suo desiderio di parlare, domandare, rispondere – e anche ascoltare, d’altronde all’orecchio giungono comunque parole, sebbene sia un altro a pronunciarle – fu costretto ad aspettare fino a dopo cena. Ovviamente si trattava della signora Kristie. E non perché non avesse incontrato il signor Weir da quando tornò a casa, poco dopo il tramonto, ma perché, come al solito, l’ingombrante presenza di Frank Innes poneva un freno alla sua lingua – ma non ai suoi occhi che lanciavano scintille in tutte le direzioni.
E già lei stessa cominciava a pensare che una chiacchierata come quella della sera prima, ora che le sembrava tanto urgente, sarebbe stata impossibile da replicare, vista la costante esistenza di Frank Innes. Il signor Weir e il signor Innes sembravano essere tornati gli amici che erano stati prima dei loro piccoli screzi, anzi, Kristie li vedeva più affiatati, a cena, mentre parlavano e mangiavano allo stesso tempo. Di sicuro queste conversazioni si sarebbero protratte fino a notte inoltrata. E lei già aveva preso a torturarsi le mani, una volta sistemata la cucina, e si chiese se non fosse il caso di domandare al signor Weir direttamente un’udienza privata.
No, troppa supponenza, troppa ricerca di attenzioni – non che lei non le volesse, ma così sarebbe stato sconveniente – troppe pretese che lei non poteva permettersi. Così decise di andare nella sua stanza e di prepararsi per la notte, proprio come successe poco prima della loro ultima chiacchierata. Ma stavolta ci sarebbe stata? Kristie sbuffava, mentre si pettinava i capelli e pensava che forse sarebbe stato meglio mettersi sotto le coperte per non pensare e non morire dalla curiosità.
Ma poi, invece, il signor Innes decise di uscire di casa, giusto il tempo di finire le sherry del dopo-cena.
Lei se ne accorse perché udì delle voci provenire da fuori la propria finestra, le voci di Archie e dello stesso Frank che si salutavano e che dicevano che probabilmente si sarebbero rivisti direttamente la mattina seguente. Innes aveva intenzione di andare al Club e, per quella che sembrava essere un’ennesima volta, propose ad Archie di accompagnarlo, ma lui rifiutò con garbo.
Kristie si sentì rinvigorita tutta assieme.
Così indossò la propria vestaglia, proprio mentre sentiva i passi del signor Weir fermarsi nella propria stanza e la sua porta chiudersi. Lei prese la candela e uscì, ma aspettò, contando fino a sessanta – si impose di farlo il più lentamente possibile – prima di avviarsi. Non voleva sembrare che si stesse precipitando da lui, come fosse una donna in tempesta! Prese un bel respiro e aspettò, ma nella sua mente era arrivata solo a cinquanta che già stava bussando alla porta di lui.
“Avanti,” le disse lui, e lei entrò con un gran sorriso, trovandolo davanti al camino, con le mani tese in avanti per scaldarsi.
Si può ben supporre su quali temi verterono i loro dialoghi, quali furono i ringraziamenti di Archie e il sollievo e la premura di Kristie. Si può ben immaginare che Archie prese le mani della donna in uno slancio e che lei arrossì – ma non lui, stavolta.
Mentre non si può presumere dove invece si diresse il signor Frank Innes. Le sue intenzioni erano state presumibilmente chiare, le aveva espresse a voce lui stesso rimarcando anche il concetto più volte, persino chiedendo all’amico di fargli compagnia allo stesso Crossmichael Club, che lui tanto detestava! Ma fu per questo che Innes disse che avrebbe passato lì la serata: per trovarsi a viaggiare in solitudine e senza domande. Perché no, non stava affatto andando al Club, stava andando a Cauldstaneslap, in particolare nelle sue brughiere.
C’era una strana baldanza, nel suo passo, nonostante sapesse che, di lì a poco, avrebbe comunque avuto a che fare con almeno uno dei Fratelli Neri. Non che lui ne avesse paura, certo, ma non era propriamente riuscito a ingraziarseli. Stavolta non poteva far altro che soprassedere, farsi scudo di tutta la propria cortesia e del suo sorriso e, semplicemente, bussare alla porta di casa.
Ed era proprio quello che stava facendo: bussare.
Gli venne ad aprire una donna, non troppo giovane. Poteva essere la moglie di una dei Fratelli, così come poteva essere una governante, se potevano permettersela. Non lo sapeva, per cui non si azzardò a comportarsi in un modo piuttosto che in un altro. Rimase sul neutrale.
“Buonasera,” esordì, “spero di non aver interrotto nulla. Mi chiamo Frank Innes,” dicendo questo si tolse il cappello, “e sono momentaneamente ospite a Hermiston. Volevo chiedervi di poter scambiare qualche parola con la signorina Christina.”
La donna assunse un’aria puramente perplessa, ma non fece in tempo a rispondere, perché un uomo le si affiancò. Si trattava di Dand Elliott.
“Ah, siete voi, signor Innes,” disse.
“Signor Elliott, quale sorpresa. Stavo giusto dicendo di voler scambiare due parole con vostra sorella.”
“Perché mai?”
Il sospetto si insinua sempre fin troppo facilmente, nelle menti.
“Mi sono reso conto che non abbiamo mai avuto una vera conversazione, ancora, io e lei. Nulla di grave, è solo per… conoscerci. Tutto qui.”
E, detto ciò, Innes sorrise meglio di quanto avesse mai sorriso. Ma Dand non ricambiò. Probabilmente l’avrebbe cacciato con un calcio, se Christina stessa non fosse intervenuta.
“Oh, signor Innes.”
La soglia di quella casa stava diventando sin troppo affollata, osservò, a mente, Frank, prima di rispondere ad alta voce:
“Buonasera. Stavo giusto… Oh, beh, è possibile, per me, ricevere udienza da voi?”
Forse fu la sorpresa. Forse furono le parole altolocate con cui lui si rivolse a lei, fatto sta che Christina uscì, dopo aver indossato uno scialle, e si allontanò un po’ dalla casa, in compagnia del signor Innes. Quest’ultimo le chiese il perché non essere rimasti al caldo tra le mura dell’abitazione; lei rispose che lì non avrebbero potuto parlare tranquillamente, e che, se lui aveva tanto freddo, poteva benissimo tornarsene a Hermiston.
Che caratterino! Ma a Frank non dispiaceva totalmente. Il che era un bene, visto quello che stava per fare.
D’altronde Frank Innes aveva stabilito da qualche tempo di dover assolutamente diventare un rivale di Archie Weir. E non solo facendo sì che la relazione tra lui e Christina arrivasse ad un punto di stallo! Se doveva considerarsi un rivale, doveva andare fino in fondo, doveva essere un rivale in amore.
E fu con questo pensiero in mente che Frank Innes portò avanti la successiva conversazione.
“Il mio amico, il signor Weir, mi ha detto che oggi avete parlato.”
“Noi… Sì. Anche per causa vostra, se devo essere sincera. Tutto andava bene, ma voi avete dovuto mettere bocca, signor Innes.”
Frank non si sarebbe di certo lasciato sopraffare così facilmente.
“Naturalmente ho dovuto metter bocca!”
“Io capisco che voi teniate al vostro amico, davvero… Ma saremo comunque riusciti a gestire la situazione, senza dover passare per questo brusco mutamento.”
“Io ero preoccupato per Archie, questo è giusto, e non volevo che in un prossimo futuro si ritrovasse in una qualche circostanza difficoltosa. Giustissimo. Ma non è solo per questo che ho espresso i miei dubbi su di voi. Dubbi! Ma quali dubbi? Voi siete così… perfetta, quali ostacoli voi non potreste sconfiggere?”
Christina guardò Frank con perplessità, ma non riuscì comunque a sgranare gli occhi. Si sentì anche arrossire per quel complimento detto così, con estrema semplicità, e ringraziò il fatto che non ci fosse il sole a mostrare il rossore delle sue gote.
“La gelosia ruba il senno all’uomo, signorina,” proseguì dunque il signor Innes, “e io non sono mai stato bravo a combattere contro i ladri. Anche voi siete una ladra, sapete: rubate il cuore della gente. E io come mai potrei contrastarvi?”
“Signor Innes…”
“Oh, perché tergiversare? Io volevo comportarmi da amico con Archie, questo è vero. E questo ho fatto, non c’è stato un secondo fine nel mio operare, su questo potete stare tranquilla. Ma voi… voi siete così bella, così carismatica. Avete una personalità così forte, potreste essere paragonata ad una antica Amazzone. Anzi, che dico? Lo siete sicuramente! E siete anche così giovane, davvero volete già legare la vostra vita indissolubilmente a qualcuno?”
“Ma io sono molto… affezionata al signor Hermiston, non vedo come--”
“Ma lui lo è a voi?”
Christina cominciava a sentirsi confusa. Per tutti i complimenti che stava ricevendo – non le era mai capitato che la sua vanità venisse alimentata in maniera così plateale – ma anche per l’argomento che stava venendo affrontato.
“Signor Innes, i vostri discorsi mi fanno venire il mal di testa.”
“E chiedo perdono di questo, ma vorrei che mi ascoltaste. Io sono assai certo del vostro attaccamento al mio amico, voi siete una persona sincera, e, se dite che questo attaccamento esiste, allora esiste. Ma pensate ad Archie: perché si è lasciato sedurre così velocemente dalle parole di uno come me?”
“Perché siete suo amico.”
“Ma io sono così misero… Eppure lui è venuto qui da voi e ha fatto quel che ha fatto. Perché? Perché sono riuscito a convincerlo in così poco tempo? Certo, la mia lingua è allenata,” qui fece una breve pausa, “ma le orecchie di un innamorato si chiudono di fronte a ogni protesta. Archie invece mi ha ascoltato.”
Il cuore di Christina stava battendo folle.
“So che quello che le sto dicendo è sconvolgente,” proseguì dunque Innes, “ma non potevo tenermi tutto ciò nel cuore ancora a lungo. Voi dovevate sapere cosa penso, perché voglio che siate felice. A una donna bella come voi non sta bene un’espressione triste. Voi dovete sorridere.”
Ma ora Christina non aveva voglia di sorridere.
“Avanti, signorina. Potete farmi un sorriso?”
Christina guardò Frank, e lui le pose due dita sotto il mento per farle alzare il viso, per farla stare a testa alta.
“La luna rende stelle i vostri occhi.”
Christina sorrise.
Quel sorriso portò, successivamente, ad altri ancora, perché furono gli incontri tra loro due a susseguirsi.
Innes aveva continuato a frequentarsi con Christina: dapprima si faceva trovare casualmente – ma forse neanche troppo per caso – sul cammino di lei. La salutava e scambiava con lei qualche fugace parola. Lui capì subito che una simile dispensazione di attenzioni le facevano piacere. Oh, ma all’inizio Christina era reticente, e anche molto. Gliel’aveva anche detto esplicitamente, una volta:
“Signor Innes, voi siete gentile, ma con questa situazione in corso tra me e il signor Hermiston, non mi pare il caso di intrattenere una conoscenza con voi.”
Ma anche in questo caso Frank era stato più affabile del solito, e alla fine era riuscito a convincerla che parlare, in fondo, non era niente di male. Molte signore e donne di classe avevano amici uomini, questo non impediva loro di avere comunque una felice vita privata. Parlare è lecito, l’essere umano è stato fatto per questo, e Christina – le aveva detto Innes – era anche lei una donna di classe – questo l’aveva fatta arrossire appena – quindi perché avrebbe dovuto esimersi dal comportarsi come più preferiva?
E chiacchierare era vero che fosse lecito e innocente, ma è uso comune e sensibilità verso il prossimo interrompere ogni contatto quando tali conversazioni, anche se apparentemente nate dal caso, iniziano a venir anelate e ad essere accompagnate da un cuore che batte fin troppo allegro.
E così, mentre Archie era a casa, a pensare cosa fare, a cercare di capire come dire a suo padre che intendeva passare la vita accanto ad una donna più povera di lui, che lui sicuramente avrebbe sottostimato… era in quel momento che Frank Innes aveva posato le labbra sulla fronte di Christina e lei non si era sottratta.
Il fatto fu singolare anche per quanto riguarda Innes stesso: tutto era iniziato come uno sgarbo, un attacco puramente dettato dalla noia e dalla superbia, eppure, con il passare dei giorni, uno smacco di tale portata aveva cambiato natura, e anche lui, infine, era arrivato a desiderare la compagnia della fanciulla, a desiderarla e a volerla vedere sorridere semplicemente perché era bello farlo.
Un occhio esterno avrebbe visto quei due giovani camminare tranquilli, conversare, a volte anche rimanere puramente in silenzio, oppure avrebbe potuto osservare come Innes cercasse di comportarsi il più amabilmente possibile, come Christina si beava dei suoi complimenti e delle sue premure.
Come quando, sul luogo dell’incontro, in una di quelle occasioni, Frank si presentò con, in una mano, il suo solito bastone da passeggio – quando non se lo dimenticava ad Hermiston, era un suo vezzo – e, nell’altra, un grande mazzo di fiori.
“Sono per me?” Aveva ingenuamente chiesto Christina.
“Non vedo nessun’altra,” aveva risposto lui, “a cui potrei farne dono.”
“Sono fiori di campo.”
“Sì, ho pensato che potessero piacervi. Forse era meglio dei fiori da serra, credo, sono più--”
“Oh, no, vanno benissimo! Mi piacciono i fiori di campo!”
“Dite davvero?”
“Sì, esprimono meglio gli intenti: molti uomini sono bravi ad andare a comprare fiori, basta loro pagare e vengono subito accontentati. Magari neanche li scelgono personalmente, ma fanno fare a chi di dovere. Voi li avete raccolti. Avete pensato a me mentre decidevate se quello che avevate davanti poteva entrare a far parte del mazzo o se invece non ne era sufficientemente bello.”
Innes annuì. “Avete ragione. E sono sollevato nel sentirvelo dire. Certo, è stato faticoso.”
Christina alzò entrambe le sopracciglia mentre rispondeva, curiosa e perplessa insieme, l’ombra di una successiva risata che spuntava già sulle sue labbra tenere.
“Faticoso? Avete fatto tutto di corsa, volete dire?”
“Oh, no! Mi sono preso tutto il tempo che reputavo necessario. È solo che ho dovuto rimanere piegato a lungo: la cernita dei fiori richiede tempo. La mia povera schiena non credo abbia apprezzato.”
E, detto ciò, Frank si portò la mano proprio su un fianco, riproducendo sul proprio viso quella che era palesemente una finta espressione di dolore.
Christina rise, come già lo spettatore esterno avrebbe predetto, se fosse stato presente all’epoca di questi avvenimenti.
“Oh, suvvia, parlate come se foste un povero vecchietto!”
“Ma io sono un povero vecchietto. Non vedete i peli sulle mie guance, i miei capelli? Ecco, osservate:” mentre parlava, Innes si tolse il cappello che soleva portare, specie sotto il sole, “ho proprio notato questa stessa mattina di avere dei capelli bianchi su questo lato della testa. Voi li vedete o è stata solo una mia impressione?”
Altri movimenti vennero messi in atto mentre l’affabile gentiluomo – questo sembrerebbe allo spettatore – continuava a proferire quel fiume di parole: lui si chinò in avanti, in modo da raggiungere, con il proprio viso, la stessa altezza di quello di lei; si giro appena di lato, con un piccolo sorriso ad increspargli le labbra, per farle osservare meglio il lato destro della sua testa, momentaneo oggetto di studio.
Christina rimase immobile, sul momento. La lingua le si era seccata. Non che stessero facendo qualcosa di sconveniente, questo era vero – questo avrebbe detto qualcuno – ma era la vicinanza stessa del viso di lui a renderla nervosa. Anche se, in fondo, ancora non era così pericolosamente vicino. Era una sensazione strana, una sensazione che le faceva… ballare le viscere proprio sotto il suo seno. Era un qualcosa che non aveva davvero provato fino in fondo neanche con il signor Weir.
Esitando appena, muovendosi con estrema lentezza, ma non con goffaggine, Christina allungò una mano verso di lui. Stava quasi per sfiorargli i capelli quando si fermò, con la mano ancora sospesa a mezz’aria; ma non aveva, in realtà, avuto un repentino cambio di idea, anzi: una nuova idea andò ad aggiungersi alla precedente. Christina tolse il guanto che le copriva le dita, e solo a quel punto gli toccò i capelli. Glieli spostò piano, con delicatezza, alla ricerca di quei capelli bianchi di cui li si era lamentato così espressivamente.
Frank si ritrovò a chiudere gli occhi non appena percepì la morbidezza del suo tocco. Gli sembrava una nuvola.
“Sarà la luce del sole…” disse, allora, lei, quasi in un sussurro, “ma non riesco a-- oh, no, ecco, ne ho trovato uno. E anche un altro! Avevate ragione, signor Innes.”
“Io ho sempre ragione, mia cara signorina Elliott. Vedete, allora? Sono un vecchietto. Vorrete ancora passare del tempo con me, ora, pur essendo entrata a conoscenza di questo terribile segreto?”
“Signor Innes, sono disposta a passare sopra la sua evidente età avanzata. Ma solo se mi promettete una cosa.”
Innes si voltò verso di lei, a questo punto, rimettendosi un po’ più dritto con la schiena – ma non troppo.
“Che cosa?”
“Che mi porterete altri fiori come questi.”
Una breve risata uscì dalle labbra di lui. “Toglierò il colore da tutti i prati, se fosse necessario.”
La risata di lei si aggiunse alla sua.
È portentoso, si potrebbe ben dire, quando la ricerca avara e vanitosa di attenzioni trova il gusto di dispensarle per un altrettanto egoistico senso di compiacere e di sembrare migliori di quel che si è.
Non accade più di questo tra loro, quel giorno. Ma fu non molto più tardi che l’irreparabile trovò la sua strada, ovvero quando due labbra si unirono sancendo la fine di ciò che fu e l’inizio di ciò che sarebbe stato.
Ah, se solo Frank Innes non avesse voluto compiere quello sgarbo, se fosse rimasto a Hermiston, se quel nuovo inizio non ci sarebbe stato, non ci sarebbe stata neanche la fine di quel finto gentiluomo!
Frank e Christina si diedero appuntamento sulle sponde dello Swingleburn, proprio laddove Archie, in un primo momento, aveva accompagnato Innes a pescare per fargli una cortesia, proprio laddove lo stesso Innes aveva iniziato a sospettare che Weir stesse nascondendo qualcosa.
Ma lo Swingleburn non era fatto solo per pescare. Era fatto anche per accompagnare, con il suono della sua corrente, il riposare di due giovani, stanchi dal camminare, che si erano seduti sull’erba, avvolti dall’ombra del destino e, in quel caso, anche della chioma di un albero, mossa dal sottile vento.
Frank e Christina erano seduti così vicini alla riva che lei doveva tenere l’orlo del proprio vestito lontano dall’acqua con una mano, altrimenti vi sarebbe finito dentro solamente perché mosso lievemente dal vento.
Parlavano, loro due, e si godevano il sole che filtrava dalle foglie al di sopra delle loro teste.
Poi qualcosa accade, ma non qualcosa di straordinario o avvenuto per caso, dato che fu lo stesso Innes a compiere il gesto. Ovvero: mise una mano nell’acqua dello Swingleburn, proprio lì, accanto al proprio ginocchio, e si bagnò le dita. Giocherellò con l’indice, creando tanto piccoli cerchi concentrici che andavano ad espandersi fino a scomparire, confluendo l’uno nell’altro. Poi raccolse nel palmo della mano qualcosa di più di poche gocce d’acqua, e, senza troppi sotterfugi, sollevò le mani per lanciare l’acqua fresca contro la sua interlocutrice.
Non erano due gocce, ma quel che provocarono fu giusto un macchiolina di bagnato sul suo vestito.
“Signor Innes!” esclamò, però, Christina, come prima reazione, quasi alzandosi in piedi – non lo fece, ma si spostò comunque un po’ di più verso l’albero sotto il quale si trovavano. “Cosa fate, signor Innes!”
“Suvvia, Christina, è solo un po’ d’acqua.”
Frank cercò di contagiarla con il proprio sorriso perfetto, ma, evidentemente, non ci stava riuscendo granché bene, visto che lei non ricambiò, anzi, continuò a parlare con la stessa tonalità di voce:
“Lo sappiamo io e voi che si tratta di un po’ d’acqua. Ma è acqua mista a terra, mi rimarrà una macchia, penseranno chissà cosa, di me, che non so neanche portare un vestito! Signor Innes!”
Il signor Innes, però, non smise comunque di sorridere, ma, dal canto suo, smise di parlare. Si tolse la tuba che teneva sul capo e la rovesciò, immergendola nel fiume con evidente sorpresa di Christina, che schiuse le labbra e sgranò gli occhi. Frank riempì la tuba d’acqua e, senza assolutamente svuotarla, se la rimise in testa per il verso giusto.
Inutile descrivere la cascata d’acqua fredda che finì di ricoprirlo da capo a piedi. Ed inutile parlare anche del continuo sorriso di lui, divertito, o della risata di cuore e cristallina che scaturì da lei.
“Va bene, così?” Suggerì lui.
Christina si sporse in avanti, inginocchiandosi, e lo baciò, bagnandosi il viso. Lo Swingleburn ne è ancora testimone.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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