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Autore: Miss All Sunday    31/12/2020    2 recensioni
“Lei aveva famiglia?“
“Sì. Noi.”
“Dovevo andare io. Ha sacrificato la sua vita; ha messo la sua vita nella mani di quella maledetta gemma.“
[Post Avengers Endgame]
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Midnight 


Era l’ennesima volta in quei dannati quarantacinque minuti che l’uomo si trovava costretto a soffocare un grido di dolore. Uno del suo calibro era stato addestrato a resistere persino alle peggiori torture, eppure il suo aguzzino sembrava spinto ad agire da qualcosa di molto più profondo, molto più viscerale. Era nervoso, questo era evidente, ma la cosa che più di tutte lo stava preoccupando era il suo sguardo. Spento, come se non fosse toccato da ciò che stava accadendo. Per esperienza aveva capito che un uomo simile non si sarebbe fatto alcun problema a ricorrere a ogni metodo possibile per raggiungere il proprio scopo; nulla l’avrebbe fermato.

Non poteva fargli notare di star cedendo altrimenti, ne era certo, avrebbe calcato la mano fino al limite per farlo parlare.

Si era quindi pulito la bocca da un rivolo di sangue sulla spalla della sua giacca scura. Gli aveva sorriso, prima di sputargli addosso macchiando ulteriormente la camicia, un tempo bianca, del suo interlocutore. Quest’ultimo si era slacciato con tutta calma i bottoni delle maniche per poter essere più libero nei movimenti. 

L’aveva colpito sul viso una volta, poi un’altra e un’altra ancora fino a rischiare di far cadere la sedia sulla quale la sua vittima si trovava. Aveva fatto scroccare le dita, dopodiché aveva sfogato la sua rabbia sulla porta della piccola stanza del motel in cui si trovava.

In altre occasioni avrebbe avuto da ridire sull’odore di muffa dell’edificio o sull’orrenda moquette color fango che tappezzava l’intero pavimento. 

In quel momento, però, il suo obiettivo era l’unica cosa a cui riusciva a pensare.

“Non sfidarmi! Ora parla!”

Non gli interessava se stesse urlando; in quell’assurdo buco dimenticato dal mondo nessuno faceva domande.

L’uomo, con ancora le mani legate dietro la sedia, non aveva nemmeno provato a fingere interesse. Aveva piuttosto voltato la testa verso il letto della camera su cui il suo aguzzino aveva buttato la giacca.

“Peccato amico, un completo del genere sprecato in un posto schifoso come questo.”

Clint si era costretto a soffocare l’impulso di ucciderlo lì seduta stante. Si era invece messo a camminare avanti e indietro di fronte all’uomo. Questi aveva il labbro rotto e la barba folta, ma l’arciere aveva visto chiaramente un sorriso farsi strada sul suo volto.

“D’accordo, non vuoi dirmi perché l’hai fatto? Sai che ti dico? Non mi interessa, rimpiangerai di esserti messo sulla mia strada fosse l’ultima cosa che faccio!”

“Tu non sai di cosa stai dicendo. Non ti dirò nulla, mi spiace amico ma hai fallito.”

L’ultima parola volutamente calcata.

“Sei solo l’ennesimo esaltato che crede di fare l’eroe, sappiamo bene entrambi che lo S.H.I.E.L.D. non tollera la tortura. Ti ho riconosciuto sai? Ricordo di averti visto in televisione insieme all’assassina che ha fatto quella strage a Lagos. Solo un’organizzazione come la vostra potrebbe accogliere gente come lei.”

“Ora basta!”

Aveva estratto la pistola che si trovava nella fondina nascosta sotto la camicia. Con un colpo secco la sicura era stata tolta. Aveva puntato l’arma verso il suo interlocutore.

“Non mi ucciderai...“

L’urlo dell’uomo era stata seguito da una serie di imprecazioni rivolte a Barton. La gamba aveva iniziato a  sanguinare copiosamente.

“Non voglio di ucciderti, non sarebbe divertente. Ora dimmi, dove si trova Maya Lopez?”

L’uomo aveva completamente cambiato espressione. Stava sudando freddo e implorava il suo aguzzino di risparmiarlo. Aveva capito di essere arrivato al capolinea, il punto in cui cedere sarebbe stata la sola possibilità di uscirne vivo.

“Non so di chi stai... stai parlando, lo giuro! Non ne so niente!”

Clint aveva poggiato l’arma sul letto ben lontana da loro per evitare spiacevoli risvolti. Poi era tornato sui suoi passi, esattamente dove si trovava poco prima. Aveva premuto la mano sulla ferita facendo imprecare nuovamente il suo interlocutore. Si era concentrato per un attimo sul palmo sporco di sangue poi, con una calma che avrebbe spaventato chiunque, l’aveva poggiato sul volto dell’uomo che aveva tentato inutilmente di divincolarsi. 

L’arciere aveva osservato per qualche secondo, l’impronta scarlatta spiccava sulla pelle della sua vittima. Si era abbassato sulle ginocchia per poter puntare gli occhi dritti nei suoi. Il tono della sua voce era basso e pacato.

“Ora ricordi?”

Aveva sentito l’altro deglutire rumorosamente, mentre le gambe avevano iniziato a tremargli.

“L’hanno presa loro! L’hanno presa loro!”

“Loro chi?”

“La Yakuza!”

“D’accordo. Chi oltre a te e a loro sa del rapimento?”

“Nessuno, lo giuro!”

“Dimostralo.”

L’uomo, rivelandosi un codardo della peggior specie, aveva iniziato a snocciolare nomi come fossero una filastrocca della quale cercava di ricordare ogni singola parola. 

L’arciere aveva sorriso per un istante. Non seppe dire se per la facilità con cui l’altro aveva parlato o per lo sdegno di constatare che quello che aveva di fronte non era altro che un verme che avrebbe tradito chiunque pur di aver salva la propria vita.

“È un peccato, credevo foste organizzati meglio. Voglio dire, nascondere Maya in un edificio controllato da così poche guardie... sono d’accordo sul portarla fino a Tokyo, ma si poteva fare decisamente di meglio.”

“Come fai a sapere dove si trovava? Nessuno lo sapeva e nessuno lo ha scoperto, tranne... no... non è possibile!”

L’uomo aveva iniziato ad agitarsi e, nonostante la ferita alla gamba, aveva cercato inutilmente di divincolarsi per riuscire a fuggire in qualche modo.

Barton aveva raggiunto il suo obiettivo. L’esatto momento in cui il suo interlocutore aveva capito chi avesse davanti. Non un agente dello S.H.I.E.L.D. e nemmeno una qualche guardia di Kingpin mandata per la ragazza. L’ex artista circense sapeva bene che la sua vittima non ci avrebbe messo molto prima di unire i puntini.

Aveva visto il moro recuperare un certa sicurezza; forse l’aveva sopravvalutato.

“Solo una persona è riuscita a scoprire dove si trovasse la ragazza! Come fai a conoscere quell’uomo? Fa parte anche lui della vostra organizzazione? Beh in quel caso digli che ha un bersaglio sulla schiena. La Yakuza lo troverà e lo ucciderà. Nessuno può mettersi contro di loro! È solo uno stupido se crede il contrario!”

Clint aveva fatto scoccare la lingua prima di alzarsi e dirigersi verso il letto matrimoniale che si trovava nella piccola stanza. Aveva recuperato una valigetta nera appoggiata sul comodino di legno ormai roso dai tarli. 

Aveva fatto scattare le chiusure in metallo.

L’uomo non poteva vedere cosa ci fosse al suo interno a causa del biondo che gli bloccava la visuale dandogli le spalle.

“Sai, tutti hanno un’arma preferita. C’è chi si affida alle buone e vecchie pistole. Chi azzarda con un arco. Ho persino conosciuto un uomo che si era creato un’armatura. C’era anche una donna...” Aveva fatto una pausa. “Lei era considerata di per sé un’arma.”

Aveva estratto qualcosa.

“Comunque, la Yakuza, eh? Evidentemente non hai ancora capito. Io so tutto. So che ti hanno detto di mentire su chi ha rapito Echo. La Mano... e io che pensavo che chiamare un’organizzazione mondiale con un’assurda serie di parole in modo che l’acronimo risultasse Scudo fosse una cosa idiota.”

L’uomo, se possibile, era impallidito ancora di più. Clint avrebbe giurato di averlo sentito deglutire a vuoto.

“Come sai...”

“Che sono stati loro?”

Si era voltato verso di lui. La katana che aveva in mano luccicava persino sotto la pessima luce giallastra della camera. I flebili raggi solari dell’alba iniziavano a filtrare tra le persiane dell’unica finestra della stanza. 

“Sei tu...”

“Signori, abbiamo un vincitore!”

“Lasciami andare o giuro che...”

“Che cosa? Avanti dillo!”

“Ti troveranno e ti uccideranno!”

Aveva sorriso prima di passare il pollice sulla lama della sua arma per pulire un macchia che in realtà non c’era.

“Mi spiace dovertelo dire prima della tua esecuzione, ma avete scelto l’obiettivo sbagliato. Per vostra sfortuna lei sta bene ed è sotto la nostra protezione. Echo era sopra le vostre possibilità...”

Si era avvicinato al suo interlocutore in modo che le parole successive che gli avrebbe sussurrato arrivassero forte e chiaro.

“Sono tutti morti. Sei l’unico rimasto, ma ancora per poco. Saluta i tuoi amici all’inferno da parte di Ronin.”

Si era alzato spinto da un’estrema calma che cozzava con le grida e i tentativi disperati della sua vittima che provava ancora una volta a liberarsi. 

Aveva emesso un respiro profondo, puntato l’arma al petto dell’uomo e chiuso gli occhi per un istante. Era pronto a mettere la parola fine alla sua personale missione che per mesi l’aveva tormentato.

Quando il suo sguardo aveva incrociato per l’ultima volta quello del moro, quest’ultimo aveva visto solo una cosa: morte.

Aveva spostato la katana pronto a colpire, non avrebbe sbagliato. Quando la lama aveva appena iniziato a lacerare la pelle dell’uomo un urlo aveva squarciato la pesante cappa di silenzio che aveva permeato la stanza.

Era stata una frazione di secondo.

Barton era stato violentemente scansato lontano e con lui la sua arma, la cui lama era appena sporca del sangue dell’uomo che ora sedeva a peso morto sulla sedia.

Le spire scarlatte che bloccavano Clint avevano stretto per un attimo la presa prima di lasciarlo andare. 

“Direttrice Hill, l’abbiamo trovato.”

Aveva poggiato una mano sul collo dell’uomo ancora incosciente.

“Direttrice, mi riceve? Sono l’agente Palicki. Confermo che Arthur Perry è vivo... come? Certo glielo dico subito. Agente Maximoff? Maria vorrebbe parlarle.”

Wanda si era limitata ad annuire prima di accendere con un leggero tocco della mano l’auricolare che aveva spento poco prima quando aveva stabilito il silenzio radio. Aveva inchiodato Barton al muro con lo sguardo prima di parlare.

“Si confermo, Perry è qui.”

Non aveva staccato gli occhi da Clint.

“No, no era solo. Devono averlo trovato quelli della Mano date le sue condizioni. Sì d’accordo lo faccio portare subito alla base.”

Aveva chiuso la conversazione mentre, con qualche breve parola, aveva dato il via libera all’agente, che ancora si trovava accanto ad Arthur intenta a prestare il primo soccorso, di occuparsi del suo trasferimento. 

Prima che la ragazza uscisse, Scarlet Witch l’aveva fermata.

“Mi raccomando, massimo riserbo.”

In tutta risposta la bionda aveva annuito convinta per poi lasciare per qualche minuto la stanza.

La Vendicatrice si era poi appoggiata con la schiena allo stipite della porta in attesa che Palicki e un altro agente, chiamato da quest’ultima per avere aiuto, lasciassero il piano di quel motel insieme a quello che a tutti gli effetti era appena diventato un soggetto sotto la custodia dello S.H.I.E.L.D.

Finalmente la mora aveva lasciato quella posizione chiudendosi la porta alle spalle, mentre Barton, ancora seduto a terra contro il muro, se ne stava in silenzio con la katana ai suoi piedi.

“Hai intenzione di startene lì per sempre? Dannazione Clint, ti ho appena evitato l’ennesimo richiamo nel giro di tre mesi dalla Direttrice, un omicidio sulla coscienza e magari un suicidio a tutti gli effetti. Che diavolo ti è passato in mente? Sai bene che Maria ha detto che quell’uomo è probabilmente l’unico aggancio con la Mano e tu che fai? Tenti di ucciderlo? E per di più sparisci come se nulla fosse lasciando in pensiero me, Laura e i ragazzi. Ho dovuto dire a tua moglie che eri in missione per conto nostro! Che avrei dovuto fare se ti fosse successo qualcosa? Clint parla! Dimmi qualcosa!”

Il biondo di era alzato e aveva recuperato la lama per poi passarla sulla manica sporca della camicia per togliere alcune macchie di sangue. 

A quella reazione Wanda aveva mandato al diavolo ogni buon senso. In pochi passi aveva azzerato le distanze fra loro sbattendolo contro la parete e bloccandolo con l’avambraccio premuto sul collo. 

L’arciere non aveva nemmeno provato a difendersi. Sembrava un fantoccio, il guscio vuoto di quello che fino a poco tempo prima era stato un fratello per lei. Aveva capito, però, che quello che per lei era poco tempo, racchiudeva ben cinque anni. Anni in cui il mondo di Clint era andato letteralmente in polvere.

Qualche istante dopo l’arciere si era deciso ad alzare gli occhi per incontrare quelli della ragazza. Con una mano aveva spostato il braccio di lei, che non aveva opposto alcuna resistenza, per poi superarla e lasciarsi cadere a peso morto sul letto che aveva cigolato. 

Aveva poggiato i gomiti sulle gambe e si era nascosto il viso tra le mani per alcuni secondi, come se volesse provare a soffocare tutte le emozioni che stava provando il quel momento. 

Quando aveva cercato nuovamente con lo sguardo la mora sembrava aver ritrovato una certa lucidità.

“Perché sei qua? Quell’uomo doveva morire per ciò che ha fatto. Dovevo vendicarla e tu me l’hai impedito.”

Aveva un tono pacato, ma traspariva tutta la sua frustrazione.

“L’abbiamo arrestato, non potrà comunque andare da nessuna parte.”

“Io non voglio che lo arrestino! Così prima o poi sarà libero, lui invece deve pagare!”

Wanda aveva addolcito il suo tono e gli si era avvicinata sedendosi accanto a lui.

“Clint, tu non sei un assassino.”

A quelle parole il biondo era scattato. La fronte corrugata a causa della rabbia.

“No è lui l’assassino! Lo sapevo che Maya non era morta senza motivo. È sempre colpa di qualcuno, se non c’è un colpevole che senso ha morire? Ma questa volta c’è e deve pagare!”

Scarlet Witch aveva fatto una pausa colpita dalle sue parole. Aveva cercato il modo più adatto per proseguire, ma prima si era inumidita le labbra per prendere altro tempo. 

“Clint, non è Maya quella che è morta. Natasha è morta, ma non è punendo quell’uomo che la riavrai indietro.”

Sono in quel momento l’uomo aveva realizzato ciò che aveva detto ed era crollato come un castello di carte. Le lacrime gli avevano reso gli occhi lucidi. Aveva fatto l’impossibile per resistere e non mostrarsi in quello stato davanti a Wanda che, se possibile, durante la sua vita aveva sofferto persino più lui. Quando però questa l’aveva abbracciato aveva abbassato le difese.

“Come posso riaverla indietro? Perché io non ce la faccio. Perché non sono morto io al posto suo? Che senso ha?”

La mora non aveva risposto limitandosi a quella stretta che lui per primo, dopo il funerale di Pietro, le aveva regalato. Non gli era importato cosa dicessero di lei; del suo passato, dei suoi poteri e di chi dicesse fosse solo un’assassina. 

Capiva come si sentiva in quel momento. Aveva imparato a conoscere Natasha. Si era rivista molto in lei e non era stata una sorpresa che da tre mesi a quella parte si ritrovassero spesso in silenzio di fronte alle tombe della russa e di Pietro. Aveva insistito perché fossero vicini anche nella morte. Dopo gli eventi di Sokovia la rossa si era presa cura di lei a modo suo, con gesti che alla maggioranza sarebbero parsi inutili o di poco conto, come quella giacca scarlatta che ancora costudiva gelosamente. 

Erano stati così per qualche minuto. Il tempo scandito solamente dalle lacrime di Clint che man mano si stava calmando.

“So cosa stai passando. Sappi che se vorrai la mia offerta è sempre valida.”

Il biondo si era scostato.

“So che usando i tuoi poteri potrei dimenticare il dolore che sto provando, ma non posso. Significherebbe dimenticare lei e per Natasha sarei disposto ad affrontare questo e altro. Laura racconta sempre a Nate di quanto fosse forte la zia e di come abbia salvato il mondo e fa lo stesso parlando di Pietro. Ma non dice mai che in entrambi i casi si sono sacrificati per me, sono io la causa delle loro morti.”

A quelle parole Wanda aveva poggiato due dita sotto il mento di Barton obbligandolo così a guardarla dritto negli occhi. Era pienamente convinta di ciò che stava per dire e di questo se n’è accorto anche l’uomo.

“Pietro ha scelto di salvare te e quel bambino prima che...”

Non aveva concluso la frase.

“Non ero lì presente, ma conosco mio fratello, posso immaginarlo mentre vi sorride nel vedervi sani e salvi. Lo stesso vale per Natasha. Da Sokovia fino a prima dello Schiocco posso assicurarti che fosse la persona più testarda che abbia mai conosciuto. Non lo dava a vedere, ma riusciva spesso a far vertere le scelte che prendevamo verso di lei, verso ciò che voleva. Ha scelto di disertare il suo Paese per seguire te. Ha scelto di diventare una ricercata per salvare Steve e Bucky e sono certa che sempre lei abbia preso l’ultima decisione. Non ti avrebbe mai permesso di fare il contrario. Era fatta così. E posso assicurarti che anche lei avrà avuto quel sorriso soddisfatto che aveva mio fratello.”

Clint aveva annuito asciugandosi l’ultima lacrima che aveva tentato la fuga dai suoi occhi e lo stesso aveva fatto Wanda che per non cedere aveva emesso un sospiro profondo per riprendere il controllo. 

L’agente Maximoff aveva fatto scoccare la lingua e riservato al biondo un’espressione gli aveva messo i brividi. Aveva cercato qualcosa in una delle tasche della sua divisa. Il cellulare che aveva estratto era ancora spento così, dopo aver atteso qualche istante che si accendesse. L’aveva passato a Barton che prima si era concentrato su di esso per poi riconsegnarlo alla mora. Aveva scosso la testa.

“Devi rispondere a Ross. È da dodici giorni ormai che prova a contattarti. Alla fine ha chiamato anche me, non ho idea del perché avesse il mio numero.”

“Non esiste. Ho fatto l’errore di ascoltare uno dei suoi messaggi in segreteria. Non posso farlo. Non riesco nemmeno a liberarmi di quell’immagine, del suo ‘va tutto bene’ che mi perseguita e della sua presa che si allenta prima di cadere. Non posso, non ce la faccio.”

“Fossi in te ascolterei l’ultimo messaggio di Isaiah. So che fa male, ma se non lo fai tu, sono certa che prima o poi te ne pentirai. Se lei ha voluto così ci sarà un motivo, ce n’è sempre uno.”

Clint aveva sbuffato prima di afferrare il cellulare e nasconderlo in tasca.

“Non ti prometto nulla.”

L’agente Maximoff aveva sorriso. Si era poi alzata e aveva attivato nuovamente l’auricolare che aveva iniziato a gracchiare, segno che qualcuno stava cercando di contattarla.

“Maria? Sì sì Perry è già diretto da voi, è sul Quinjet con Palicki e Blood, io farò ritorno con la mia auto. D’accordo, domani il rapporto della missione sarà sulla tua scrivania. Agli ordini Direttrice Hill.”

Barton aveva sentito la mora rispondere ad una qualche richiesta di Maria, ma non aveva ascoltato veramente. Infine, non prima di averlo salutato con un leggero bacio sulla guancia, Wanda aveva varcato la soglia della stanza numero 607 del motel Emerson. Pochi minuti più tardi, dopo aver rimesso la katana al sicuro nella custodia, anche Ronin aveva seguito le sue orme.

   
 
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