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Autore: _Il colore del vento_    31/12/2020    10 recensioni
[Sirius/Alice] [Frank/Alice]
Dal testo:
Amare Sirius Black, ha imparato, è tutta un’altra storia. Quelli come Sirius non chiedono nulla, ma pretendono tanto – tutto.
Quelli come lui non permettono che, in cambio delle proprie attenzioni, li si ripaghi con sentimenti cauti e sbiaditi, monchi. Sirius conquista e infiamma, mette a soqquadro l’ordine faticosamente costruito e sbriciola le certezze impilate con cura. Amare quelli come lui significa amare visceralmente, radicalmente e senza riserve, accettando di restare perennemente in bilico sul filo di un rasoio.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Paciock, Frank Paciock, Sirius Black
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Dedicato a una persona che soffre di manie di abbandono che non ho abbandonato. <3



 
𝑺𝒏𝒊𝒑𝒑𝒆𝒕𝒔 𝒐𝒇 𝒂 𝒇𝒂𝒕𝒆𝒍𝒆𝒔𝒔 𝒍𝒐𝒗𝒆

 
1.

All’inizio, è il suo modo di guardarla durante una riunione dell’Ordine: di sbieco, il più delle volte; con fissità, non appena lei interviene e prende la parola.
Alice non riesce mai a guardare nella sua direzione, mentre parla: teme di deconcentrarsi, di confondere le parole, perciò guarda dritto davanti a sé, ricambiando le occhiate di tutti tranne che le sue.
Ma Alice, lo sguardo di Sirius, se lo sente costantemente appiccicato addosso. Ci ha provato, a far finta di nulla. Si è data della paranoica, dell’egocentrica — ha semplicemente interpretato male i gesti di lui, è questo che si ripete.
Solo che quella strana sensazione non la abbandona mai.
E, in più, ogni volta che si volta verso di lui e ne incrocia lo sguardo, Sirius non appare mai imbarazzato. Al contrario, le dà sempre l’impressione di divertirsi un mondo — qualcosa, qualcosa che lei non riesce a cogliere, sembra rallegrarlo profondamente.
Forse, a divertirlo, è la confusione che le legge in volto e che Alice non sa mascherare. O forse è perché, poi, quella che abbassa lo sguardo per prima è sempre lei, con una mano che – con gesto rapido e involontario – corre a ricacciare una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
All’inizio, è il suo modo di guardarla e il modo in cui i suoi occhi la fanno sentire.
Lei è sempre stata abituata a Frank, del resto, al proprio riflesso nelle iridi di lui: un’immagine che da un po’ di tempo – da troppo tempo, a dire il vero – si è fermata, è divenuta immutabile come una fotografia Babbana.
Frank la guarda come si guardano le cose familiari: distrattamente, senza cura ai dettagli e senza aspettarsi sorprese di sorta. La guarda come si guardano le cose affidabili, prevedibili, noiose. E quello è un riflesso in cui lei non sa più riconoscersi – in cui non sa se vuole ancora riconoscersi.
Da troppo tempo Alice ha iniziato a darsi per scontata ed è per quello, forse, che Sirius la destabilizza tanto: negli occhi grigi di lui, si percepisce diversa ogni volta — ogni volta, si sente rinascere.
 
 

2.

Un pomeriggio in cui si ritrovano al Quartier Generale, entrambi in anticipo per una riunione, Alice si rende conto di quanto loro due siano diversi — è una consapevolezza acuta, lucida.
Prendono posto in silenzio e lei lo osserva con discrezione.
Sirius siede con placida calma, perfettamente a suo agio, come al solito: lui, del resto, possiede quell’innata abilità di saper stare ovunque senza mai risultare di troppo o fuori luogo. Non come lei, che indugia senza saper cosa fare o dove posare gli occhi: tamburellare con le dita sul tavolo, fissare alternativamente l’orologio a muro o la finestra — nulla di tutto ciò sembra darle pace.
È sempre stato così, da che ha memoria, e con chiunque le capiti accanto.
 Alice ha sempre dovuto lottare con la timidezza e l’inadeguatezza, sempre avvertendo la necessità di dover conquistare il proprio posto — in una stanza o nel mondo, poco importa: lo sforzo è lo stesso.
 «Prewett, dovresti smetterla, sai?».
Le parole di lui la raggiungono assieme al fumo della sua sigaretta. Alice sobbalza, sollevando sul volto dell’altro uno sguardo interrogativo.
Sirius inspira ed espira, scrutandola col capo leggermente inclinato, con quell’aria perennemente divertita.
Ciocche di capelli scuri gli ricadono sugli occhi chiari e sfoggia la disinvoltura e la sicurezza di una bellezza che non richiede alcuna fatica: una bellezza aggraziata, fluida, naturale.
«Dovresti smetterla di vivere come se chiedessi il permesso.»
Forse è quello, quella frase pronunciata con franchezza, il punto di non ritorno.
 


 
3.

«È successo qualcosa, con Paciock?»
Alice cerca di ignorare il consueto, immancabile fiotto di sollievo nel petto al suono della sua voce, ma con scarsi risultati.
Non l’hanno deciso, non ne hanno mai parlato, eppure è così che va tra loro due, ormai. Quando è prevista una riunione dell’Ordine, sono i primi a presentarsi al Quartier Generale — e con largo anticipo, a dirla tutta.
A volte arriva prima lui e, al suo ingresso, Alice lo trova mollemente seduto ad aspettarla, con una sigaretta accesa tra le labbra e le gambe allungate davanti a sé — i piedi sono fasciati nei soliti stivaletti scuri e slacciati di cui, ormai, conosce a memoria il rumore che producono avvicinandosi.
Delle altre, è lei ad arrivare prima.
Si porta sempre una copia della Gazzetta del Profeta con sé, perché trascorrere l’attesa recuperando le ultime notizie non è mai una perdita di tempo. Saper leggere tra le righe di quanto viene detto – o, il più delle volte, taciuto – dai giornali è una qualità vitale, in tempi di crisi.
I membri dell’Ordine sanno benissimo quanto sia necessario non perdere di vista i canali di comunicazione ufficiali: ogni articolo, ogni trafiletto, anzi, può contenere una notizia fondamentale, celare un dettaglio utile, in grado di gettar luce sulle azioni di Voldemort e seguaci. Anche le notizie in apparenza più banali possono insospettabilmente risultare importanti, se ben interpretate.
Solo che Alice non riesce mai a leggere più di qualche riga, prima di una riunione.
Si distrae facilmente e, per quanto non le piaccia ammetterlo, sa che un angolo della sua mente è sempre in perenne attesa del suo arrivo. Ogni volta, finge di non curarsene, di non dispiacersi se i minuti passano senza che lui si faccia vivo.
Eppure, ogni volta, quando sente la sua voce, si sente immediatamente sollevata, leggera; come se un peso invisibile le scivoli via dalle spalle mentre il cuore prende a batterle a un ritmo forsennato.
«Allora?» insiste Sirius – il fumo lascia le sue labbra in uno sbuffo di impazienza.
Alice è confusa e, forse, un po’ lusingata dalle sue attenzioni. Non ha mai creduto possibile che lui potesse notare la crescente freddezza tra lei e Frank.
In realtà, Alice non ha mai pensato che lui potesse anche solo far caso a lei, interessarsi seriamente alla sua vita (non ha mai voluto concedersi il lusso di sperarlo). Ha sempre ritenuto Sirius Black una persona troppo affascinante, troppo enigmatica – semplicemente troppo – e immaginare un suo genuino interesse nei suoi confronti (lei così banale, così ordinaria) è un passo che non ha voluto compiere, non ancora almeno.
Eppure, adesso, avvolta dalla serena quiete del Quartier Generale vuoto, immersa in un silenzio che vibra di nuova, sorprendente intimità, non riesce a trattenere un piccolo – quasi impercettibile – palpito di speranza.
«Credo» inizia Alice esitante, giocando con l’orlo sgualcito del giornale aperto sul tavolo, «che crescere assieme sia estremamente faticoso. Insomma, di questi tempi, è difficile anche solo concentrarsi su se stessi - cercare di non arrendersi, di non lasciarsi andare alla paura e all’apatia - e pensare di potersi addirittura coordinare a un’altra persona, un altro individuo che a sua volta deve crescere e farsi forza, è … è estenuante».
«Non posso dire di comprendere appieno il tuo discorso, purtroppo.»
La replica di lui è ironica, anche se lo sguardo nei suoi occhi grigi sembra improvvisamente più intenso e la voce pare arricchirsi di una sfumatura seria che prima non c’era. Alice lo guarda curiosa.
«Non ho mai sentito il bisogno di “coordinarmi” a un’altra persona» specifica Sirius, accarezzandosi pensierosamente le labbra con le dita che reggono la sigaretta. «I miei amici mi hanno praticamente accettato così come sono e se non ci sono riusciti loro, a farmi cambiare, dubito che possa riuscirci qualcun altro».
Il senso di intimità si è acuito, ora, ma non per questo Alice si sente più intimidita; anzi, a dire il vero, non si è mai sentita così a suo agio con qualcuno di relativamente sconosciuto.
«Credo tu stia mentendo» si sente insinuare, in un moto di improvvisa, limpida schiettezza.  «Secondo me, i tuoi amici un po’ ti hanno cambiato … ti sei lasciato cambiare».
L’altro a quel punto ride, passandosi una mano nei capelli. «E va bene,» ammette, «forse un po’».
«Quindi converrai con me che, in teoria, potresti ancora cambiare» si ritrova a insistere Alice, sorpresa della strana sicurezza da cui si sente d’un tratto animata.
«In teoria sì, forse» le concede lui dopo un attimo di pausa — sembra quasi divertito e incuriosito dalla piega insolita assunta dalla conversazione.
«Per la persona giusta» aggiunge lei, non riuscendo a trattenersi e quasi pentendosene l’attimo dopo. Non è mai stata così diretta e, per un istante, teme di risultare troppo sfacciata.
Sirius la guarda dritto negli occhi, prima di rispondere (la ragazza quasi non si accorge di trattenere il respiro).
«Per la persona giusta» ripete lui, con una luce negli occhi che non sa decifrare — vi scorge divertimento, malizia, persino un guizzo di solenne sincerità.
Stavolta, tocca ad Alice sorridere.
 

 


4.


Il giorno in cui lo bacia, piove a dirotto.
A riunione finita, Frank è andato via di corsa, evitando accuratamente di guardarla negli occhi. È trascorsa poco meno di una settimana dalla loro ultima discussione, terminata con un’Alice in lacrime e un Frank distrutto e colto totalmente alla sprovvista.
«Così non va, è come se non ci capissimo più» aveva concluso lei, stanca, passandosi una manica del maglione ad asciugarsi gli occhi umidi.
Frank era rimasto in silenzio, in stato di cauto allarme, quasi anticipando le parole successive.
«Forse … forse dovremmo prenderci una pausa» aveva mormorato Alice —non era stata capace di guardarlo, però.
Il silenzio che li divideva s’era fatto improvvisamente denso e impenetrabile –come una cortina invisibile – e Frank aveva saputo aggiungere solo un semplice, secco e deluso: «Capisco».
E probabilmente no, si era detta Alice, lui non aveva capito davvero, almeno a giudicare dalla freddezza della voce e dai passi pesanti con cui si era allontanato da lei, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo. Lei non l’aveva rincorso, non l’aveva fermato — era stanca, troppo stanca, e aveva preferito raggomitolarsi sul divano e dormire.
Oggi, al Quartier Generale, non si sono scambiati neanche una parola e Frank, seduto all’estremità opposta del tavolo, è parso ben deciso a ignorarla, quasi come se lei non esistesse — come se loro non fossero mai esistiti.
Alice, dopo, si sente così nervosa e avvilita, così distratta e avviluppata dai propri pensieri, che si accorge di essere rimasta indietro solo quando si sente chiamare.
«Prewett, pensi di restare qui fino alla prossima riunione? Che dedizione commovente, Silente dovrebbe esserne messo al corrente».
Lei sobbalza, voltandosi verso la soglia — c’è Sirius, lì, che la sta guardando lievemente incerto, col gomito poggiato sulla maniglia della porta.
«Ero distratta, scusa» risponde lei, affrettandosi a indossare la giacca e a raggiungerlo. Lasciano il Quartier Generale assieme (dopo essersi assicurati di controllare gli Incantesimi di Difesa e di Disillusione) e, fuori, li sorprende una pioggia battente che li costringe a godere per un po’ del misero riparo offerto dalla tettoia sopra le loro teste, fermi sui gradini d’ingresso del Quartier Generale. Il luogo di ritrovo dell’Ordine si trova un po’ fuori mano, rispetto al centro di Londra, e nei dintorni si dispiega soltanto vasta e aperta campagna — ora immersa in un’umida oscurità.
Una volta all’aperto, lei e Sirius restano in silenzio: lui gioca distrattamente col casco della moto (parcheggiata lì vicino), mentre Alice resta a fissare la pioggia che cade ininterrottamente.
Pensa all’appartamento vuoto che l’attende, ora che Frank è tornato dalla madre, e si sorprende di non provare nulla — né rimpianto, né tristezza. Niente. Si sente stranamente indifferente, Alice, come se la pioggia – cadendo – lavi via ogni sua emozione, lasciandosi dietro un guscio svuotato e ripulito.
 «Vi siete lasciati, tu e Paciock?».
La voce di Sirius è un po’ più alta del solito, per via del suono scrosciante della pioggia, e la fa trasalire. Non si è ancora abituata al suo modo diretto di porre domande: dritto al punto, senza inutili esitazioni e giri di parole.
Alice si stringe nel cappotto, fa cenno di sì col capo un paio di volte, affondando le labbra nelle pieghe della sciarpa. Avverte l’intensità dello sguardo di Sirius, ma lei mantiene ostinatamente il proprio fisso davanti a sé, sulla luce tremolante del lampione di fronte e il fascio di luce attraversato dalle gocce di pioggia — schegge oblique che fendono l’aria.
«Non so cosa si debba dire, in questi casi» continua lui, sempre scrutandola, e sorprendentemente Alice si ritrova a sbuffare. Perché Sirius Black, che sa sempre come coglierla di sorpresa, deve preoccuparsi ora di dire “la cosa giusta”, “quello che ci si aspetta”, proprio quando lei non vuole sentire nulla di quel che si dice “in casi come questo”? (Proprio quando lei è così stanca?)
Lo guarda di sbieco, dal basso verso l’alto. «Potresti dirmi cosa diresti tu, piuttosto. Lo apprezzerei di più».
Sirius incassa il colpo con un sorriso. «In quel caso, allora, posso dire che non mi dispiace affatto».
Si avvicina di un passo e Alice deve sollevare il mento per guardarlo. È difficile tenere gli occhi allacciati ai suoi, come voler tenere gli occhi puntati contro il sole.
«No?»
«No. Non sono minimamente dispiaciuto per la vostra rottura. Sollevato sì, però.»
Ora che Sirius è così vicino e la guarda con tale intensità, Alice non è più sicura di essere un guscio vuoto. Forse, la pioggia scrosciante non l’ha svuotata del tutto — è sopravvissuto il fuoco nel petto, nelle vene, che si ravviva ogni istante che passa, con lui tanto vicino, così vicino da poterne avvertire il respiro sulla pelle.
È la consapevolezza di quello che lui riesce a farle provare anche adesso, proprio quando si sente più persa, più instabile che mai – una foglia in procinto di staccarsi dal ramo e volare lontano –, a spingerla a farlo.
Alice si solleva in punta di piedi e preme con forza le labbra su quelle di lui, che è rapido abbastanza da allontanare la mano che regge il casco e stringerla a sé con quella libera (ne avverte il peso piacevole sulla parte bassa della schiena).
Saggiare il sapore delle sue labbra è un risveglio — Alice, al tocco di Sirius, divampa.
«Sai», riprende lui tra un bacio e l’altro, poggiando la fronte alla sua, «è dalla prima volta che ti ho visto al Quartier Generale che volevo farlo».
Alice sorride sulla sua bocca: non lo ammette ad alta voce, ma è così anche per lei.
 

 

5.

Se aveva pensato che, frequentandolo, le cose potessero cambiare, Alice si sbagliava di grosso.
L’effetto destabilizzante di Sirius non passa mai. 
La tradizione di ritrovarsi in anticipo al Quartier Generale continua (anche se, da qualche giorno, Alice non porta più la Gazzetta del Profeta con sé — sa che non avrebbe né tempo, né voglia di cercare brandelli di verità fra le pagine del quotidiano) e il silenzio, ora, è riempito dal suono di baci e sospiri.
Quando uno dei due arriva, con l’altro già lì che attende, si scambiano giusto un paio di battute frettolose prima che le labbra cerchino le labbra e le mani si facciano strada, avide, andando a scandagliare e setacciare la pelle, prima di stringersi.
Il tempo, scandito dall’orologio a muro e i respiri rotti, affannati, non è mai abbastanza. Mai sazi, le loro esplorazioni s’interrompono bruscamente al suono di passi e voci nell’ingresso.
Si lasciano andare velocemente, a quel punto, ricomponendosi, ma la frenesia resta (sotto la pelle, nelle mani bisognose e le braccia improvvisamente vuote che attendono di stringersi ancora).
Alice aveva creduto che, frequentandolo, le cose potessero cambiare e a ben vedere, per lei, sono persino peggiorate. Trascorrere l’intera riunione con la sensazione degli occhi di Sirius addosso, ora, è pura tortura.
Si sente una sciocca, a sentirsi così smaniosa e deconcentrata, alla stregua di un’adolescente alle prese con la sua prima cotta, quando lei è a tutti gli effetti un’adulta … e un Auror, per Merlino!
Quando incrocia brevemente gli occhi di Frank attraverso la stanza, poi, si chiede se non dovrebbe sentirsi in colpa.
Forse, riflette - i membri dell’Ordine intanto discutono e lei fatica a tener traccia delle parole pronunciate -, dovrebbe provare rimorso — verso Frank, verso il mondo. 
Forse, non dovrebbe esserle consentito sentirsi così viva, proprio quando fuori c’è chi la vita se la vede ingiustamente sottrarre. Non dovrebbe poter godere di sensazioni così profonde e intense – questo fuoco che non l’abbandona mai –, quando fuori le tenebre s’infittiscono e la gente brancola nel buio più totale.
Non dovrebbe coltivare così diligentemente – egoisticamente – la propria felicità, Alice lo sa.
Eppure, quando si volta verso un paio di occhi grigi, vispi e luminosi – occhi che la trovano sempre e ravvivano il fuoco –, smette di riflettere.
Non c’è spazio per il rimorso o per altro, neanche per il vuoto, quando dentro di sé ci si sente così straordinariamente pieni.
 

 
6.

L’appartamento di Sirius è piccolo e spoglio. La prima volta che vi ha messo piede, le ha raccontato di averlo comprato con i soldi dell’eredità di uno zio materno.
«Non mi serve arredarlo» esordisce d’un tratto, guardandosi attorno soddisfatto.
Ha la testa poggiata sullo stomaco di Alice e le lenzuola sgualcite non riescono a coprire granché del suo corpo nudo. Lei gli accarezza i capelli, in ascolto.
 «Anche vuoto è milioni di volte più bello della casa in cui sono cresciuto» lo sente dire dopo un po’.
Sirius non parla mai della sua infanzia, ma quando non riesce a trattenere uno di quei piccoli accenni, nella sua voce si intrufola sempre una nota d’amarezza.
La mano di Alice si ferma un attimo a mezz’aria, prima di affondare di nuovo fra le sue ciocche scure. «Non è vuoto» mormora la ragazza, abbassando gli occhi sul viso dell’altro, appena lui si volta a guardarla.
«Lo riempiamo noi».
Sirius sorride, prima di sollevarsi sulle braccia per sfiorarle le labbra in un bacio lento e rilassato. Le sue dita afferrano pigramente le lenzuola che la coprono, sfilandole via con calma e sostituendosi ad esse col proprio corpo — è un contrasto piacevole, quello tra il tessuto e la pelle calda di Sirius (anche se, a contatto con la propria, Alice preferisce immensamente di più la seconda).
Fra le sue braccia, occhi negli occhi e con l’amore che indugia fra loro come possibilità rinnovata, non ancora dischiusa, Alice trema d’anticipazione.
Fanno l’amore subito dopo, fino a che non scende sera — assieme, incidono il vuoto che li circonda.
 


7.

Dopo una notte passata in missione per l’Ordine, Sirius ha preso l’abitudine di salire da lei, per fare colazione assieme prima che Alice esca per recarsi al Ministero.
Uscendo dal bagno, accolta dallo sfrigolio delle salsicce sul fuoco e dall’aroma di caffè, se lo ritrova intento a spadellare in cucina.
Lui, il caffè, lo beve sempre amaro ed è quello il sapore dei baci con cui le augura il buongiorno.
Mentre Sirius è impegnato ai fornelli, Alice si siede – le gambe dondolano avanti e indietro e con una mano si sorregge il mento – e lo osserva muoversi in casa sua con estrema disinvoltura, quasi come se conoscesse quel posto da sempre.
Sirius è un conquistatore nato: sa impadronirsi di ogni territorio in tempi irrisoriamente brevi, senza alcuna fatica e totalmente — è stato così per il suo appartamento, per il suo corpo, persino per il suo cuore, che lui ha imparato ad abitare in così poco (soprattutto per lei che non lascia entrare mai nessuno).
Alice, in queste mattine trascorse assieme, sente i suoi passi risuonarle dentro: lo sente andare avanti e indietro nelle stanze della sua anima, spalancando finestre e illuminando persino gli angoli più reconditi. Sirius si è impadronito di lei piano, con delicatezza, ed è assurdo come sappia calamitare completamente la sua attenzione e – ancora, sempre – riempirla.
Quando la raggiunge a tavola, lo ascolta parlare e lo osserva mangiare, servendosi a sua volta — intanto, riflette su quanto sia tutto così strano e, al contempo, familiare.
Le bastano quegli attimi con lui per dimenticare il peso delle angosce e le preoccupazioni che la tengono sveglia la notte.
Con lui, diventa tutto estremamente facile.
 
 

 
8.

Le cose smettono di essere facili quando nell’idillio subentra la paura.
Fin dall’inizio, Sirius è sempre riuscito a placare la paura di Alice con lo stesso carisma di un prestigiatore: gli è sempre bastato poco - il suono della voce, l’intensità magnetica dello sguardo o il sapore delle sue labbra - per farle dimenticare in un battito di ciglia tutto quel che accade fuori.
Sirius è una parentesi di pace – è esplosione di vita, incendio, infinite possibilità – in un mondo che crolla e solitudini che vanno alla deriva.
Forse, l’attira tanto proprio perché sprigiona il fascino di un’altra vita, la vita felice che potrebbe condurre se non vivesse in un’epoca simile, e perché –nello specchio invitante dei suoi occhi – Alice si vede così come sarebbe stata, se tutto fosse stato diverso.
Solo che Sirius è un uomo come tutti e il suo trucco non può durare per sempre (la realtà smaschera anche lui, alla fine).
In lotta contro i Mangiamorte, neanche lui sa come tenere lontane la paura e l’angoscia — la morte incombe e lui non può farla sparire.
Alice corre, con la risata terrificante di Bellatrix Lestrange che la insegue e scintille di luce verde che le intralciano il cammino.
Accade in un attimo che le mozza il respiro: lo vede, Sirius, lo intravede a qualche metro di distanza occupato a combattere con due figure incappucciate e un Avada Kedavra gli sfiora una guancia.
È in quel momento che Alice crede sia giunta la fine — si paralizza sul posto, incurante di tutto (delle Maledizioni e delle urla, delle risa folli di Bellatrix, della morte). Riesce solo a seguire Sirius con lo sguardo; persino adesso lui monopolizza la sua attenzione — lo fa inconsapevolmente, ignaro di aver raggelato il tempo e di averle rubato il respiro.
Lui combatte senza sosta, senza sapere che – poco più in là – lei ha rinunciato alla battaglia, troppo terrorizzata, troppo concentrata su di lui (ti prego, ti prego, fa’ che viva, ti prego) per difendere se stessa.
Quando qualcuno la afferra per il colletto, spingendola con forza dietro una colonna, Alice ripiomba bruscamente nel presente. Cerca di divincolarsi, di voltarsi (ora non riesce più a vedere Sirius e il terrore aumenta, le sembra di impazzire — ti prego, ti prego, ti prego), ma un paio di braccia la immobilizzano.
«Ma sei impazzita? Che diavolo ti è preso?» sbraita una voce nota nel suo orecchio. Alice solleva il proprio sguardo stralunato: è Frank, è lui che la sta scuotendo.
«Sei fuori di te, Alice» le sta dicendo concitato, urlando al di sopra del fragore circostante. «Un pizzico più a destra e la Maledizione della Lestrange ti avrebbe uccisa!»
Alice scuote il capo, angosciata e terrorizzata (ti prego, ti prego, fa’ che stia bene), nel tentativo di sfuggire alla sua presa ferrea.
«Non sei in te!» continua Frank, afferrandole il polso e Smaterializzandosi con lei via dalla battaglia, dopo essersi guardato attorno per avere via libera.
Al Quartier Generale, prima di andar via di nuovo, Frank la affida alle cure di una scarmigliata Marlene McKinnon, che ha la guancia graffiata e sanguinante e prende a spingerla subito dentro con forza, tirandola per la mano (“Forza, Alice, forza. Vieni con me!”).
Ma Alice punta i piedi, si dibatte — lei deve tornare, deve sapere. (Ti prego, ti prego, ti prego.)
Marlene, alla fine, sceglie di accontentarla. Si limita ad Appellarle una coperta e a condividere con lei l’orrore di un tempo che non passa. Per un istante, Alice pensa che, dentro, persino l’orologio a muro debba essersi bloccato, assieme al suo cuore terrorizzato.
È impossibile che il mondo possa continuare a girare, che non se ne stia fermo, inerte, ad aspettare di sapere che lui vive.
La paura si dirada soltanto al primo albeggiare, dopo quelli che le sembrano secoli, e quando, attorno a loro, i membri dell’Ordine iniziano a far ritorno.
È solo quando vede Sirius (con una ferita al braccio, ma apparentemente incolume), che avanza reggendo un Remus Lupin incosciente, che Alice riprende a respirare — e il mondo a girare.
Nel caos che segue, attimi di concitazione in cui tutti si ritrovano, tentando piano di riaversi, e si stimano i danni subiti, non riesce a fare a meno di allontanarsi da Marlene e di correre da lui; attende che Sirius faccia distendere Remus, prima di gettargli le braccia attorno al collo.
Da sopra la spalla di lui, intercetta lo sguardo di Frank, fermo a qualche metro da loro: li sta guardando – sorpreso, ferito, ancora deluso; l’avrebbe perdonata mai?  L’avrebbe perdonata mai per quell’amore che gli ha sottratto, lo stesso che ora il suo cuore riversa sulla persona che stringe fra le braccia? Forse no, non l’avrebbe perdonata, ma ora non vuole pensarci.
Sirius, intanto, resta stranamente passivo tra le sue braccia, irrigidito dalla sorpresa — non sono mai stati così espliciti, non davanti agli altri membri dell’Ordine, a Frank (in effetti, se non fosse stata così preoccupata, Alice sarebbe stata più cauta).
«Sto bene, Alice, sto bene» ripete la sua voce arrochita, proprio vicino al suo orecchio. «Sono qui».
Ed è vero, è lì, tra le sue braccia, eppure Alice non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione che qualcosa si sia irrimediabilmente crepato, guastato. La paura ha contaminato la purezza dello stare tra le sue braccia e infranto la quiete.
Ora, ogni volta che lo guarda, il fuoco che avvampa dentro di lei minaccia di avere la meglio, di scottarla.
L’incantesimo si è spezzato: negli occhi di lui, non brillano più le infinite possibilità di altre vite — vi scorge soltanto gli orrori di quella presente in cui sono intrappolati.
Alice lo guarda e lo riscopre tremendamente fragile; l’eco della risata della Lestrange sembra essersi accucciata nelle sue orecchie, fuggendo dalla battaglia con lei, e la sente propagarsi, espandersi dentro di sé (non c’è più solo il sentimento per Sirius ad abitarla: adesso, lui ha da condividere lo spazio del suo cuore con una paura che le avvelena il respiro).
Quando alza lo sguardo sul suo volto, esausto dopo la battaglia, non c’è più solo il grigio dei suoi occhi – il verde deve averle irrimediabilmente segnato le iridi, perché ora tutto le appare verde (il mondo, alla luce di quest’alba stremata, restituisce tutta la sua fragilità e debolezza, tutta la sua tremenda caducità).
Alice sente di camminare sull’orlo di uno strapiombo e sa che, stavolta, neanche Sirius –anche lui è verde, verde, verde – potrà trattenerla dal cadere.
 

 

9.

Dal giorno della battaglia, Sirius è diventato stranamente sfuggente ed evasivo.
Non ci sono state altre colazioni, né baci rubati prima di una riunione — solo silenzio.
Alice ha tentato di tornare a respirare – nonostante il verde che sporca ogni cosa –, ma fa troppa fatica (l’assenza di Sirius non fa che accrescere la pena).
Non ha mai immaginato che, nonostante tutti i discorsi di Silente e dell’Ordine, nonostante gli avvertimenti di Malocchio e l’addestramento Auror, la sua prima battaglia seria l’avrebbe gettata in un tale stato di agitazione.
Lei e Frank, quando stavano assieme, pensavano spesso a come sarebbe stato combattere, combattere davvero, e ovviamente avevano prefigurato anche gli scenari peggiori. Solo che, evidentemente, l’immaginazione di due giovani e inesperti Auror ha pur sempre i suoi limiti e, alla fine, non può che scontrarsi contro le asprezze della vita vera, reale.
Nelle sue speculazioni, nel chiuso, controllato laboratorio della sua mente, Alice ha sempre fatto i conti con la propria razionalità – conteggiando punti di forza ed elaborando strategie –, ma ha sempre tenuto fuori i sentimenti.
Nei suoi scenari artificiali, nella rassicurante equazione di vita che si era tracciata, Sirius non era previsto. Lui è piombato nella sua esistenza senza essere annunciato, stravolgendola completamente. Forse, se fosse rimasta con Frank, anche la sua reazione al pericolo sarebbe stata meno intensa, meno traumatica.
Con Frank, l’amore - che pure c’era stato, Alice non l’avrebbe mai rinnegato - era diventato abitudine; nei rassicuranti confini dell’amore di Frank, si era adeguata a una vita senza scossoni e senza sorprese, una vita “dritta” che seguisse obbediente i binari prestabiliti, senza deviazioni e indugi.
Amare Sirius Black, ha imparato, è tutta un’altra storia. Quelli come Sirius non chiedono nulla, ma pretendono tanto — tutto.
Quelli come lui non permettono che, in cambio delle proprie attenzioni, li si ripaghi con sentimenti cauti e sbiaditi, monchi. Sirius conquista e infiamma, mette a soqquadro l’ordine faticosamente costruito e sbriciola le certezze impilate con cura. Amare quelli come lui significa amare visceralmente, radicalmente e senza riserve, accettando di restare perennemente in bilico sul filo di un rasoio.
Quando l’amore si desta, però, riscuotendosi dall’apatia e ritrovando la voce, non è mai solo: il risveglio non è mai parziale. Riportandola alla vita, Sirius l’ha obbligata a sentire, con tutta se stessa e senza vie di scampo. Alice non può che lasciarsi andare al fuoco che incendia le vene, alla fame che s’estingue solo pelle contro pelle, alla languida pienezza da ricercare fra lenzuola sgualcite, all’intimità disinvolta e naturale.
Eppure, ora che è sveglia, vigile, ora che la tranquillità degli affetti pacati non le appartiene più, ora che ha abbracciato il turbamento, non ha ripari contro la voragine, contro il verde che, come edera, s’insinua e s’arrampica nei polmoni. Non può sottrarsi alla paura che la ghermisce e la scuote, lasciandola disorientata ed esposta.
Ora che ha risposto all’appello, Alice non può tirarsi indietro — dire addio alla paura sarebbe come rinnegare l’amore.
 

 


10.

Durante la loro frequentazione, è sempre stato come se le parti si fossero invertite: Alice, più grande di Sirius, ha, paradossalmente, indossato i panni dell’ingenua, di quella inesperta, e lui, più giovane, si è mostrato sempre, perfettamente padrone di sé.
Alice si è sempre sentita piccola, davanti a lui — lui così maturo e spigliato, con tutti i suoi sorrisi scanzonati e le battute pronte, con il suo avanzare sfrontato nel mondo senza mai chiedere il permesso.
Eppure, ora che si fronteggiano in silenzio, lei non può fare a meno di chiedersi se la maturità di Sirius non sia solo apparente, se - la sua - non sia semplicemente una facciata particolarmente ben riuscita, una maschera tanto ben fatta da celare completamente quel che c’è sotto.
Alice, alla fine, è tornata all’appartamento di lui. È stato strano, come andare a stanare una preda che rifugga ostinatamente il cacciatore.
Ha capito che qualcosa non andava da subito, da quando lui le ha aperto la porta dopo minuti trascorsi a bussare invano — non che, comunque, ne sia rimasta completamente sorpresa (sono giorni che la evita).
Sirius le ha aperto con un’espressione impassibile, distaccata, e ha preso a rispondere alle sue domande con fastidiosa laconicità.
Confusa e agitata (non ne può più del verde che la opprime e da cui si sente soffocare), Alice – alla fine – è esplosa per davvero.
Sirius le stava davanti, un Sirius irriconoscibile eppure, al contempo, familiare (il fuoco nel petto non vuole proprio saperne, di estinguersi) e lei non ce l’ha fatta più. Ha chiesto (preteso) di sapere il perché del suo recente comportamento, incalzandolo sempre più, fino ad urlare.
Ma, alla fine, neanche le urla bastano: Alice vorrebbe scuoterlo – così come lui ha fatto con lei fin dall’inizio, con i suoi sguardi destabilizzanti durante le riunioni e il desiderio recalcitrante, che premeva per uscire; vorrebbe strappargli di dosso quest’indifferenza che non le ha mai rivolto.
«Mi stai evitando» ripete — l’accusa nella voce tenta di celare l’angoscia. Lui non si cura di negare ed è a quell’assenza di reazioni che Alice si aggrappa per rafforzare le proprie, per ravvivare la rabbia.
«
È dalla battaglia che mi eviti. So di essere stata avventata, al Quartier Generale, ma ero preoccupata e …»
Sirius la interrompe, brusco.
«Eri terrorizzata» la corregge con malcelata stizza. «Marlene mi ha raccontato in che condizioni eri, quando Paciock ti ha condotta lì».
Alice lo guarda senza capire, ferita dall’accusa che ora è lui a rivolgerle e che non riesce ad afferrare.
«Ero spaventata, sì, per te … e allora?».
Sirius distoglie lo sguardo, irrigidendo la mascella. C’è, nel linguaggio del suo corpo, qualcosa che le parla di rifiuto e di orgoglio, un’impenetrabilità che le ricorda antiche fortificazioni inespugnabili. «Io non ho bisogno di qualcuno che si preoccupi per me» sbotta irritato, suonando inaspettatamente infantile.
Alice spalanca la bocca, lasciandosi sfuggire un verso di incredula indignazione. È a questo punto che subentrano i dubbi (la luce che piove dalla finestra alle spalle di Sirius è insopportabilmente verde) e si chiede se abbia mai capito veramente qualcosa della persona che le sta davanti.
«Mi stai dicendo che sei arrabbiato con me perché mi preoccupo per te?» chiede, tentando di raggruppare i pensieri, di capire.
«Non è che ti limiti a “preoccuparti”, Alice, tu… sei troppo coinvolta» ribatte Sirius con un accenno d’asprezza nel tono che è sempre più difficile ignorare. «Tu mi soffochi».
Quell’ultima parola, sputata tra i denti quasi con cattiveria, ha il potere di farla trasalire e, al contempo, di rischiararle la mente.
«È per questo, quindi» mormora, colpita dall’improvvisa realizzazione: Sirius è capace di amare e dare tanto, anche, ma solo a patto che si rispettino le sue condizioni. Gli si può stare accanto solo finché si è disposti a giocare.
Quando si prova a fare sul serio (“sei troppo coinvolta”), invece, quando si cerca di spingerlo ad esporsi, a riconoscere l’importanza di quel che si sta condividendo, lui si ritira, fugge via. In effetti, pensa Alice, in questo momento, non ha più niente del ragazzo audace e sicuro, maturo, che ha imparato ad amare, che ha creduto di amare. Ora, Sirius le sembra soltanto un animale braccato in cerca di una via di fuga.
È buffo – e infinitamente triste – che proprio colui che è stato capace di farle sentire la vita come nessuno prima, proprio lui che l’ha ridestata alla dolcezza e all’orrore, anneghi nel verde, incapace persino di vederlo. “Tu mi soffochi” le ha detto (parole forti come uno schiaffo), ma –a ben vedere – è lui a opprimersi con le sue stesse mani, a negarsi la possibilità di prendersi sul serio e di lasciarsi prendere sul serio da un’altra persona.
 “Non ho bisogno di qualcuno che si preoccupi per me” ha detto, ma è una bugia. Sarebbe più onesto dire che non vuole averne bisogno, che detesta l’idea di dipendere da qualcuno (forse, gli bastano i suoi amici per quello), di legarsi e mettere radici.
Sirius così affezionato alla propria libertà, talmente tanto da distruggere i rapporti che minacciano di comprimerla, è in realtà il carceriere di se stesso, che si trincera dietro un’apparente autonomia negandosi la possibilità di essere felice con altri.
È triste – e infinitamente buffo – che, nonostante tutto, lui abbia anche cercato di avvertirla, a modo suo.
«Non ho mai sentito il bisogno di “coordinarmi” a un’altra persona» le aveva detto un pomeriggio, al Quartier Generale. Ora, guardandolo così attentamente, così immerso nel verde, Alice potrebbe azzardare che non ha mai voluto farlo – che forse non lo vorrà mai –, il che è praticamente la stessa cosa.
Quel pomeriggio lontano, così lontano che sembra impossibile sia accaduto solo qualche mese prima, lei aveva sfacciatamente insinuato l’esistenza di “persone giuste” — ci ha sperato per un po’: ha sperato di essere lei la persona giusta per Sirius, quella con cui lui potesse “coordinarsi”, ma non è così.
Lo realizza adesso, in un appartamento piccolo e spoglio che le appare infinitamente grande e irrimediabilmente vuoto; si era illusa di poterlo riempire – che sciocca! –, ma è un’impresa che va troppo al di là delle sue capacità.
Sirius l’ha riempita senza che lei glielo chiedesse, ma Alice non può riempire chi vive la vita fingendosi pieno, completo, non può mostrargli ciò che si rifiuta di vedere.
«Sai, non dovresti far sentire me in errore solo perché mi assumo il peso dei miei sentimenti» riesce a dire, infine. Ora è lui a guardarla apparentemente incapace di seguire il filo dei suoi pensieri. Resta in silenzio e c’è da ammettere che non gli si addice: il silenzio di Sirius è opprimente, sfiancante; fa venir voglia di mettersi a urlare o scappare lontano.
«Non incolparmi solo perché ho osato sperare di poter costruire qualcosa con te, che fosse possibile prenderci più sul serio» s’interrompe, Alice — sospira. «Ho esagerato a credere di poter crescere con te, quando è più che evidente che tu non vuoi affatto crescere».
Un lampo di consapevolezza attraversa gli occhi di Sirius, occhi che sono diventati d’un tratto insondabili, ed è quella luce la cosa più vicina ad una confessione che potrà mai ottenere da lui. Dovrebbe essere una vittoria, la conferma di averci visto giusto (in ritardo, certo, ma con fondatezza), ma si sente solo stanca e sconfitta. Non c’è mai nessun vincitore, in casi come questo.
Quando lei e Frank si sono lasciati, ha dovuto imparare a convivere con un appartamento vuoto. Ora, Alice dovrà abituarsi a vivere con l’insostenibile assenza di chi l’ha vissuta così a fondo da segnarla, da chi l’ha abitata interamente, capillarmente, insinuandosi persino nei recessi più remoti.
Ora, e non sa se ne sarà mai all’altezza, dovrà imparare a convivere con le proprie ceneri.
 
  

   11.

L’ultima volta che si ritrovano per qualche attimo da soli è un giorno particolare, giù al Quartier Generale — si tratta di un pomeriggio curiosamente allegro e spensierato.
È un pomeriggio d’estate e, fuori, la campagna soleggiata sonnecchia tranquilla.
Quel giorno, qualcuno ha trovato chissà dove una macchina fotografica e qualcun altro ancora ha pensato che, dal momento che c’erano praticamente tutti, sarebbe stato carino scattare una foto per immortalare tutti assieme i volti di chi si è unito per la medesima causa e che, per essa, combatte tutti i giorni, a costo di fatica e sacrifici.
In men che non si dica, qualcuno (Fabian e Gideon, probabilmente, con la complicità di Dearborn e il burbero Aberforth) è riuscito a racimolare da bere e da mangiare, trasformando l’occasione in una vera e propria festa. È un clima insolito, ma di cui hanno tutti un disperato bisogno — persino il rigido, sempre vigile Malocchio sembra sorprendentemente allentare la presa per qualche ora.
Alice si sta guardando attorno rilassata, quasi soddisfatta, traendo piccoli sorsi dalla propria Burrobirra, quando avverte la presenza di qualcuno accanto a sé.
Si volta, convinta sia Frank, per poi trovarsi davanti a un paio di familiari occhi grigi. Alice non si cura di nascondere la propria sorpresa e lo accoglie con meravigliato silenzio.
Non lo vede così da vicino da quella volta nel suo appartamento (si chiede, in un angolo della mente, se sia ancora spoglio come allora) perché, nonostante tutto, nonostante il fatto che frequentino entrambi assiduamente il Quartier Generale, sono riusciti a evitarsi.
È un confronto, quello con Sirius, che ha cercato di rifuggire il più a lungo possibile, da quando si è ricostruita una sua quotidianità.
Frank è tornato da lei, alla fine. Non ci sono stati né fuochi, né scintille, ma lui ha saputo insegnarle che esistono bellezze meno appariscenti, meno rumorose; piccole, modeste bellezze da conquistare e coltivare col tempo —da accudire.
Scegliere la tranquillità e la stabilità, le ha fatto capire, non è una resa, ma un compromesso da costruire assieme. Ha rinunciato alla passione, Alice, ma ha ricevuto in cambio la fiducia e il sostegno di un uomo che tiene a lei e che si prende abbastanza sul serio da scommettere tutto sulla loro relazione, che si prende abbastanza sul serio da voler guardare un po’ più in là del presente e del piacere — con Frank, ha guardato al futuro, ha capito di poter crescere.
È facile amare, quando si brucia per qualcuno – con Sirius è stato tremendamente semplice –, ma Alice ha capito che, a volte, sono le cose complicate a regalare molta più soddisfazione, è la dedizione costante (come quella che serve ad alimentare gli affetti meno sfavillanti, meno vividi) a dare frutti più duraturi.
Il pensiero vola al suo piccolo Neville, a casa con la nonna, e prende coraggio prima di guardare in faccia il suo passato — i sogni di tutte le vite che non avrà mai, ma che, almeno stavolta, non riescono a reggere il confronto con l’unica che ha e che ha scelto di vivere, per la quale combatte con ogni suo respiro.
C’è un altro passo che deve compiere, però. Lo capisce quando guarda Sirius negli occhi così da vicino, come quella volta sotto la pioggia (le gambe le tremano esattamente come allora).
Il fuoco che solo lui sa accendere c’è ancora, ci sarebbe stato sempre, così come le orme dei suoi passi che avrebbero continuato a pesarle sul cuore. Alice lo guarda e capisce che l’amore per lui non sarebbe mai andato via.
Il passo che deve compiere è accogliere quest’ammissione.
Sirius sorride piano, un sorriso appena accennato, con la sua solita aria di disinibita eleganza — resta accanto a lei con una mano affondata nella tasca dei pantaloni e una stretta attorno al collo di una bottiglia. Per un attimo, le sembra di essere tornata indietro, di avere davanti il Sirius Black che ha varcato la soglia del Quartier Generale per la prima volta, poco dopo i suoi M.A.G.O.
«Ti trovo bene» esordisce diretto come al solito e la sensazione svanisce in fretta. Ci sono tanti sottintesi, impigliati fra le sue parole, ci sono i suoi occhi che indugiano sulla fede di Alice e sulla pancia leggermente più piena sotto il vestito, segno di un parto da cui non si è ancora ripresa del tutto — segno di una nuova vita.
È impossibile, dopo le sue parole, illudersi che il tempo non sia passato; anche l’orologio a muro continua indisturbato a scandire il ritmo delle loro esistenze, che procedono allontanandosi ciascuna per la propria strada.
Intravede anche una sorta di perversa soddisfazione, nel suo sguardo. Come se vederla lì, sposata e madre, sia un modo per sgravarsi del senso di colpa, per liberarsi dai dubbi, dal tormento degli “e se” (“E se l’avesse fermata, quella volta che era corsa via dal suo appartamento?”, “E se si fosse preso sul serio?”, “E se le avesse consentito di costruirsi un futuro con lui, sarebbero stati felici? Avrebbe funzionato?”).
«Sto bene, infatti» conferma Alice, abbassando lo sguardo (come alle riunioni di un tempo, quando lui la guardava e lei non riusciva a ricambiare). Anche adesso, dopo tutto il tempo e la crescita, dopo la lontananza e la dedizione, Sirius riesce ancora a destabilizzarla.
«Io non avrei mai potuto darti tutto questo, lo sai» mormora lui dopo qualche istante di silenzio, costringendola ad alzare di nuovo gli occhi.
Sembra convinto di quel che dice e probabilmente, pensa Alice, è davvero così: del resto, se una persona continua a vedersi in un modo, a ritagliarsi un’immagine in cui avvolgersi ogni giorno, non è detto che, alla fine, non si finisca col coincidere veramente con la propria facciata.
Forse, a furia di non prendersi sul serio, Sirius è infine diventato incapace di farlo — forse, non avrebbe davvero potuto renderla felice, nonostante la passione e il fuoco, nonostante le labbra che cercano invano le labbra e le braccia che piangono la mancanza di quello che non possono più stringere.
Alice lo avrebbe amato per sempre, lo riconosce, ma è in questo pomeriggio d’estate che capisce di non avere rimpianti.
Sì, la felicità avrebbero potuto conseguirla assieme, forse, ma in un mondo diverso — in questo, il loro tempo assieme è scaduto.
Alice ha vissuto Sirius e si è lasciata vivere, come non l’avrebbe più vissuta nessuno, ma ora l’ha perduto; l’ha amato e, adesso, ne amerà il ricordo.
 
Epilogo
 
 È buffo – e infinitamente triste – che la pace faticosamente ricostruita non sia destinata a durare.
Un altro fuoco arriva a travolgerla, alla fine; un fuoco dal quale non è dato riemergere, non tutti interi — è quello della follia.
Questo fuoco è spietato e divora tutto, tutte le vite, soprattutto quella che si sceglie di vivere.
La felicità che aveva pensato di coltivare a piccole dosi è andata in fumo e lei è rimasta bloccata in un eterno presente (l’orologio a muro dev’essersi rotto e il mondo ha smesso di girare, almeno quello di Alice).
Il fuoco ha ridotto in cenere la dedizione e i progetti, ha sgretolato la passione che aveva pensato di ridurre in ricordo da serbare nelle stanze disabitate del cuore.
Senza futuro e senza passato, Alice stringe tra le mani un mucchio di cenere muta, che – per lei – non ha più alcun valore.

 
 
 
 Note:

Non avrei mai pensato a questa coppia, non da sola, ma, parlandone con la personcina a cui dedico questo malandato tributo, ho finito con l’apprezzarla (è veramente buffo, ma non incomprensibile, nel mio caso, che in un modo o nell’altro ci sia sempre di mezzo Sirius: il mio profilo esplora Sirius Black in tutte le salse, praticamente!).
Nel tentativo di approcciarmi a questi due personaggi, di immaginarli in coppia, sono riuscita a pensare solo a questo: a un amore a stralci, destinato a “non avere destino”, una parentesi di qualche mese nei primi tempi in cui i Malandrini si uniscono all’Ordine.
Come vedete, non ho poi stravolto la trama di base: Alice e Frank, dopo un allontanamento a seguito di incomprensioni, dopo Sirius, ritornano insieme – si sposano e hanno Neville, proprio come nella saga. Quello che cambia è, diciamo così, l’intermezzo.

In questa versione, ho pensato che il vero dramma di questa coppia potesse essere non tanto il non amarsi, forse sono davvero giusti, in fondo; piuttosto, è semplicemente il momento (l'epoca) a non essere giusto per loro.
Chiedo scusa ai fan della coppia per il trattamento riservato a Frank (mi è dispiaciuto tantissimo, giuro), che in questa storia sembra un semplice ripiego.
In realtà, credo che la situazione sia più complessa di così o - almeno - è così che ho cercato di immaginarla. Insomma, in questa versione, credo che Alice lo abbia amato a modo suo e che, anche alla fine, impari a fatica ad amarlo di nuovo. La diversa intensità dei suoi sentimenti, verso Frank e Sirius, deriva dalla diversa personalità di entrambi: se Frank è sicurezza, è stabilità, Sirius è l’opposto. Rappresenta il fascino (ma anche i rischi) di una vita vissuta al momento, imprevedibile e turbolenta.
E Alice, semplicemente, capisce di non poterlo seguire per sempre, non lungo una strada così pericolosa, non quando il mondo è - già di per sé - spaventoso.

Che dire, spero di aver delineato i motivi e la psicologia di Alice in maniera sufficientemente coerente e convincente (nonostante sia un’Alice diversa da quella che si potrebbe desumere dalla saga) e di aver reso abbastanza chiaramente le diverse immagini che ha di Frank e Sirius.
In ultimo, chiedo scusa anche ai fan della Sirius/Alice, per questo che è a tutti gli effetti un primo, impacciato tentativo!

Fede, spero tanto che ti piaccia! <3

P.S. A te, caro lettore, auguro un buon anno nuovo (un anno di rivincita, di ripresa, dopo un 2020 così complicato) e ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato.
 


 
  
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