Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: erinrollins    01/01/2021    0 recensioni
Il primo incontro tra Legolas e Aragorn è un qualcosa che accade dettato non solo da intrecci e azioni umane, ma dato per lo più dal destino. Questo Thranduil lo ha percepito, ed è il motivo per il quale non apprezza Aragorn, fin da subito. Vorrebbe un destino sicuro per Legolas, dove possa vivere l'eternità lontano dai guai e da una possibile morte; per quanto sciocco sia, sa anche che tenerlo lontano dal destino che lo stesso figlio va cercando, è uno sbaglio.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Yaoi | Personaggi: Aragorn, Elrond, Gandalf, Legolas, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Thranduil sapeva di essere subdolo. Sapeva di esserlo stato in passato con Thror, con Thrain, addirittura con Thorin Scudodiquercia, ma niente avrebbe fatto pensare, a nessuno, che lo sarebbe stato anche con il figlio. Legolas però era intelligente e forte, era un guerriero esattamente come un tempo lo era lui, e sapeva che si sarebbe opposto con tutta la sua volontà alla decisione che il Re aveva preso, ovvero non festeggiare la luce lunare. 
Sapeva bene quanto il figlio adorasse quella festa non tanto per la luce in sé, ma per i ricordi ai quali era legato. La festa aveva luogo ogni cento anni e tutti gli elfi di Bosco Atro erano sempre pronti a festeggiare con canti, nuove melodie scritte solo per l’evento, gemme preziose di pura luce stellare e, soprattutto, erano pronti a uscire nella foresta per rinnovare il contatto con essa. Anche Thranduil portava nel cuore i momenti in cui, in tempi ormai antichi, usciva da Amon Lanc con Oropher alla sua sinistra. Suo padre era il re ai tempi ed era stato lui a ricordargli l’importanza di tale festa, quanto avrebbero perso non rinnovando il contatto con la natura e con la luce che li rappresentava. Ed era stato lui stesso a ricordarlo a Legolas, fin da quando era bambino. Se c’era una cosa che nessuno avrebbe mai detto di Thranduil era che ricordava con minuzia di particolari ogni momento legato al figlio. Ricordava bene la prima volta in cui aveva visto quegli occhi tanto simili e allo stesso tempo tanto diversi dai suoi, ricordava il giorno in cui lo avevano battezzato e consegnato alle stelle, ricordava anche i suoi primi cento anni, di cui solo due passati ad Amon Lanc. Legolas non aveva avuto la stessa fortuna di Thranduil, non avrebbe ereditato un regno prosperoso, ma il ricordo di qualcosa che un tempo era grande. Eppure non voleva, almeno inizialmente, che perdesse il contatto che lui stesso aveva avuto con la natura e con la luce, non voleva che perdesse la speranza, perché di tale si trattava. Ricordava l’ingenuo stupore con il quale Legolas aveva festeggiato quei primi cento anni durante la festa e ricordava il suo sguardo perso, mentre guardava la Luna.

“Festeggiare la luce stellare e quella lunare è importante. Non farlo significherebbe perdere una parte di noi. Tuo nonno ha tramandato a me l’importanza di farlo, il dovere di farlo. Ora io la tramando a te.” 

Erano state le esatte parole che aveva pronunciato ed erano le stesse parole che quella mattina aveva rinnegato. Era troppo pericoloso. Nella sua mente il viso felice ed ingenuo di un Legolas troppo giovane per capire quanto fosse dovuta quella frase andò in mille pezzi. Sapeva che annunciando a tutto il suo Reame che non avrebbero festeggiato l’umore sarebbe calato, sapeva che molti di loro avrebbero perso un pezzo di loro stessi, sapeva che anche lui avrebbe perso qualcosa; un contatto antico che aveva ereditato dal padre, un contatto con una foresta che faticava a riconoscerlo come sovrano e che dopo quella decisione avrebbe totalmente rinnegato il suo popolo. Significava dire addio alla Luna, alla foresta, alla loro stessa essenza. Ma il pericolo era troppo e non voleva, non osava neanche pensare ai pericoli ai quali potevano andare incontro: Dol Guldur, la sua amata e vecchia Amon Lanc, era diventata una roccaforte di Sauron praticamente impenetrabile e, nonostante lui ne conoscesse i segreti, sapeva che ora ne nascondeva ben altri. Sapeva che il rischio di essere attaccati da orde di orchi durante la ricorrenza nota a tutti era grande. E no, non lo avrebbe permesso. Un omicidio di massa causato da una flebile speranza non era contemplato. E non avrebbe neanche accettato una resistenza da parte di Legolas, che a differenza sua si aggrappava a quella speranza con le unghie e con i denti di chi sa che ha ancora un mondo per cui combattere. Ed era questo il motivo per il quale aveva preso quella decisione quando lui non c’era, di modo che non potesse contestarla. 

Sarebbe stato improvviso, doloroso. Probabilmente avrebbe allontanato il figlio ancor di più, ma era necessario. Erano quelli i momenti in cui un Re si riconosceva come tale, prendere decisioni difficili in tempi difficili, anche contro ogni previsione e dovere. Era quello che non era riuscito a fare Thorin Scudodiquercia ed era il motivo per il quale i nani esistenti erano pochi, e senza casa. Thranduil non peccava di arroganza verso la sua specie o il suo popolo, anzi, lo rispettava, ed era il motivo per il quale aveva preso quella decisione. Il resto del mondo poteva pure vederlo come un atto puramente egoistico. 
In tarda mattinata la decisione era stata presa e annunciata, e aveva lasciato il suo servo personale nella sua Sala del trono ad attendere il ritorno del figlio. 
Udì delle voci proprio mentre tornava verso il suo scranno, eco nei corridoi di una voce indignata. Thranduil avrebbe riconosciuto ovunque quel timbro, Legolas era a casa. 
Attraversò il primo corridoio e, invece che trovare solo suo figlio, davanti a sé trovò una scena atipica. Un uomo con una corda in mano, legata al collo di una creatura indefinita, era in piedi alla destra del principe elfico. 

“Le recenti decisioni? Quali recenti decisioni?” 

“Ho deciso che non festeggeremo la Luna stanotte. Uscire di notte è troppo pericoloso e non possiamo più permettercelo.” 


Thranduil anticipò il servo, facendosi avanti, interrompendo quello che sembrava un simpatico quadretto. Fu mentre li superava per raggiungere lo scranno che incrociò lo sguardo dell’uomo; non ebbe bisogno di guardare gli anelli, vedeva nei suoi occhi un qualcosa di antico che lo chiamava. Una consapevolezza e una saggezza anormale per un uomo, ma un uomo rimaneva. C’era qualcosa in quel dunedain che gli dava importanza, qualcosa che lo portava a ricordare tempi in cui non tutto era perduto. La somiglianza con una vecchia conoscenza era innegabile, giurava di aver visto lo stesso sguardo in quello di un valoroso Re di Gondor molti secoli prima; con lui aveva combattuto una guerra che sembrava avessero vinto. Sì, sembrava, perché dopo secoli erano ancora lì, arrivati al punto in cui Sauron aveva conquistato buona parte della Terra di Mezzo ed era prossimo a dominarla, il punto in cui lui e la sua stirpe ed il suo popolo erano stati costretti a nascondersi. Un moto di rabbia smosse l’animo di Thranduil, ma dall’esterno non lo si sarebbe detto, il suo sguardo non mutò. 
Quel ramingo somigliava in molte cose a Isildur, ma per molte altre sembrava diverso; gli occhi dell’uomo conosciuto in tutta la Terra di Mezzo come Aragorn non sembravano conoscere brama di potere, quella stessa che aveva impedito a Isildur di distruggere l’Unico Anello. Vivere e crescere con gli elfi a Gran Burrone doveva aver fatto bene all’animo dell’uomo. 

“Non possiamo non festeggiare la Luna stanotte. E’ letteralmente l’unica cosa che ci è rimasta da quando abbiamo abbandonato Amon Lanc, l’unica abitudine a noi vicina e cara.” 


La voce del figlio lo riportò alla realtà e fu in quel momento che si voltò, distogliendo lo sguardo dal ramingo. Come previsto, Legolas non aveva intenzione di cedere, ma ormai la decisione era presa. 


“Le abitudini si cambiano, Legolas.” 

La fermezza con la quale pronunciò quelle parole avrebbe fatto capitolare chiunque, ma non lui, non suo figlio. Sembrò animarsi tutto d’un tratto, come se lo avesse scosso violentemente. 


“Le abitudini si cambiano, ma le festività no. Quando ero un bambino eri il primo a parlarmi dell’importanza dei festeggiamenti, come fosse importante ravvivare la luce, come portasse speranza. Noi abbiamo bisogno di speranza, ora più che mai, Adar.”


“La speranza è qui, dentro le mura di queste caverne, al sicuro. Quando eri un bambino, non molto lontano da oggi, era diverso. Gli orchi non brulicavano le foreste come se fossero loro, i ragni non mangiavano ogni singola creatura vivente e i goblin non infestavano gli alberi.” 


La risposta di Thranduil fu subitanea. Non lasciava spazio a equivoci, voleva ferirlo. Il fatto che di fronte a loro ci fossero altre persone aggravava il peso delle sue parole, ne era ben consapevole, ma era cosciente anche del fatto che altrimenti la discussione non avrebbe avuto fine. La verità era che non si aspettava una reazione così nervosa, rabbiosa, indignata. Le parole che aveva pronunciato ebbero un effetto immediato nel principe; Thranduil avvertì la pesantezza delle parole che stavano per arrivare ancor prima che Legolas le pronunciasse.


“Elfi che bramano la luce lunare, la luce stellare, chiusi in delle caverne. Ti rifiuti di prendere le navi che ti porteranno nelle terre immortali… tu sei antico, è vero. Ma di saggio in te non c’è niente. Tu qua dentro appassirai.”


Dure e forti, lo colpirono più di quanto si sarebbe detto dall’esterno. Avrebbe voluto fermarlo, probabilmente in un’altra occasione avrebbe serrato il pugno, probabilmente in un’altra vita lo avrebbe abbracciato e si sarebbe spiegato con maggior cura, o magari non avrebbe detto quelle parole, ma quella era la loro realtà. Thranduil si limitò a guardarlo, freddamente, senza dire niente. Non riusciva a replicare perché non c’era un modo per replicare; quello che Legolas diceva era vero. 
Quando il principe si inchinò, ma non di fronte a lui, capì il perché di quella pesantezza. Capì anche perché le sue parole avessero acquisito un significato del tutto diverso, perché c’era Aragorn ad ascoltarle. Si trattava di orgoglio e- e cos’altro? 
Mentre Legolas se ne andava Thranduil notò con la coda dell’occhio il tentativo inutile dell’uomo di nascondere gli anelli dietro il mantello pesante e logoro; tentare di nascondere la sua identità non faceva altro che rimarcare quanto nobile fosse, e questo lo infastidiva. Era diverso da qualunque altro re avesse mai conosciuto. 


“Troppo tardi, Erede di Isildur. Io so chi sei.”

Con estrema calma e lentezza Thranduil sibilò quelle parole. Si poteva percepire il fastidio che provava. Aragorn lo sentì chiaramente, sebbene non sapesse con certezza se fosse riferito alla sua presenza o alle parole del figlio. 

“Molti Re o presunti tali sono giunti qui, rivendicando, parlando, sbraitando… nani e elfi, anche uomini. Eppure mi sfugge perché tu sia qui e non a Gran Burrone, da Re Elrond, a cui porgo i miei più cari saluti.” 

Il messaggio era chiaro, diretto: sei qui, dimmi il perché e una volta fatto torna dai tuoi elfi, possibilmente lontano da mio figlio. Si era creato un legame subitaneo tra Aragorn e Legolas, era chiaro al Re del Reame Boscoso. Un legame del genere determinava destini, fati, probabilmente più grandi di quelli di semplici uomini o donne; legami del genere, che nascevano da un reciproco rispetto, erano destinati a durare per l’eternità. Thranduil non avrebbe incoraggiato Aragorn a rimanere, quella scintilla non si sarebbe dovuta tramutare in un fuoco. 

“E’ vero, Mio Signore Thranduil. Ma io non sono qui perché sono Re, né sono qui per conto di Re Elrond, che sono sicuro ricambierà i suoi saluti. Sono qui per lui.” 

Aragorn tentò di mantenere un tono pacato, in linea con i toni eleganti ai quali il Re di Gran Burrone gli aveva detto di attenersi in caso avesse mai parlato con un Re del calibro di Thranduil. Il ramingo non disse bugie, si attenne alla verità, d’altronde non era un Re e sicuramente non era destinato a tornare a Gran Burrone. La sua prossima missione sarebbe stata a Brea. Indicò Gollum poco dietro di sé, che teneva lo sguardo basso. Il fiato pesante della creatura era diventato un rumore di sottofondo per Aragorn, che ormai non provava più fastidio nell’averlo vicino, ma solo nel sapere che avendone la possibilità avrebbe attentato nuovamente e numerose volte alla sua vita. 
Thranduil abbassò lo sguardo, lo guardò per quelli che sembrarono istanti interminabili. Sembrò considerarlo solo in quel momento. Sebbene l’avesse vista non aveva fatto riferimento alla creatura, rendendogli l’importanza che aveva, ovvero nessuna. 

“Per questa creatura.” 

“Esattamente, Mio Signore.” 

“E cosa dovrei farci con questa creatura?” 


“Dovreste metterla nelle vostre segrete, impedirgli di scappare. Ha con sé informazioni importanti riguardo l’Unico Anello.”

Aragorn sapeva che così avrebbe sicuramente catturato l’attenzione del re elfico e così fu. Thranduil alzò lo sguardo verso Aragorn, liberando Gollum di quel fardello. 

“E dimmi, ramingo… chi è che ti manda?” 

La risposta Thranduil la sapeva, sarebbe stata solo una conferma ai suoi dubbi. Lui era stato uno dei pochi dopo la Prima Guerra a capire che Sauron non era stato sconfitto come tutti pensavano, ma subito accodato a lui era arrivato Gandalf il Grigio. Uno stregone mediocre con una grande volontà, uno stregone che gli aveva causato molti guai e perdite di pazienza molti anni prima grazie ad una certa compagnia di nani. Ma da allora non l’aveva più visto e, da una parte, era stato meglio così poiché non sapeva quanto avrebbe apprezzato la sua compagnia. Una cosa però era certa, ed era che l'obiettivo era quello di giocare d’astuzia. Non era Erebor il punto cruciale, non quanto Smaug che la abitava; tentare il tutto per tutto non era nello stile di Thranduil e, sebbene dovesse ammettere che dal punto di vista teorico era sembrata una mossa intelligente, nella parte pratica aveva avuto una conclusione disastrosa. Thorin Scudodiquercia e la sua discendenza morti, altre ingenti perdite.
Dietro le questioni dell’Unico Anello e dietro ogni mossa ben studiata c’era Gandalf il Grigio.

“Gandalf lo Stregone.” 

“Oh, Gandalf il Grigio.” 

Thranduil rispose serafico, Aragorn capì che sapeva la risposta. Una domanda retorica, nulla più.

“Intelligente da parte sua mandare te e non presentarsi di persona. L’ultima volta che l’ho visto abbiamo avuto- una piccola incomprensione. Dovuta a dei nani. E a un drago.” 

“Molto intelligente, sì. Gandalf lo è.” 

“Quella compagnia di nani è morta, insieme al suo Re. Dimmi quindi, quale è la sua prossima mossa? Dove ti manderà?” 

L’osservazione di Thranduil fece accapponare la pelle del ramingo. Si guardarono negli occhi e per un attimo lo sguardo di Aragorn cambiò, mutò, divenendo più serio e coriaceo. 
Gandalf non lo avrebbe mai mandato a morire e, se quella era l’insinuazione, non sarebbe stata accettata con fragorose e grosse risate. 

“Con il dovuto rispetto, Mio Signore, ma quello che dovrò fare non può essere rivelato. Importante è sapere che le armate di Sauron si stanno muovendo, che hanno informazioni non complete riguardo l’Unico Anello e che potrebbero averne grazie a questa creatura. Il suo nome è Gollum e Gandalf ha chiesto espressamente che venisse rinchiuso qui, ha mandato me non per paura di affrontarvi, ma perché ha molte altre cose importanti a cui pensare. Probabilmente si fida di voi, si fida delle vostre segrete che si dice siano impenetrabili, anche se entrambi sappiamo che non è così. Si narra che un gruppo di nani siano fuggiti dalle segrete del Reame di Bosco Atro… non mi è dato sapere se l’incomprensione creatasi tra voi e Gandalf sia dovuta a questo.” 

Silenzio. Thranduil era una statua mentre guardava Aragorn. Ne vedeva l’importanza e la serietà, vedeva in lui la compostezza di un Re esattamente al suo pari. Era ovvio che avesse fretta, era ovvio che tutto ciò che Gandalf stava facendo era per tentare di salvare il salvabile. Lui non si sarebbe opposto, ovviamente, ma provocare e punzecchiare erano passatempi che gli alleggerivano l’eternità; questo non significava che accettasse quando veniva fatto il viceversa, soprattutto parlando di quella compagnia di nani. Nello specifico quel nano, che nonostante fosse morto continuava a infestare i suoi ricordi e la sua rispettabilità, il suo nome. Come Thorin e i suoi fossero scappati dalle sue segrete impenetrabili era ancora un mistero per lui, ma non gli interessava certo analizzare la questione in quel momento. 

“Bene. Allora questa creatura verrà rinchiusa nelle segrete del Reame Boscoso finché Gandalf e io lo riterremo necessario.” 

“Grazie, Mio Signore.” 

Aragorn si inchinò appena in segno di rispetto, senza però staccare gli occhi dal Re elfico. I due si stavano studiando ancora, per orgoglio Thranduil aveva accettato e in quel momento la situazione era di stallo. Sapeva che probabilmente si era giocato la possibilità di considerarlo un alleato e un amico, come considerava Elrond, ma il rispetto da parte sua c’era, ed era reale. Sospirò appena, decise di abbassare lo sguardo e piegare appena la testa. 

“Non volevo mancarvi di rispetto, ma la situazione-” 

“Non giustificarti, ramingo. Non ne ho bisogno, non voglio sentir nessuno lagnarsi. Soprattutto qualcuno che dovrebbe essere un re.” 

Stizzito e orgoglioso, Thranduil fece un gesto con la testa. Bastò per far capire al suo servo di prendere la corda che Aragorn teneva e trascinare Gollum oltre il corridoio, per portarlo in quelle che dovevano essere le segrete. Aragorn osservò Gollum sparire dietro le enormi arcate scavate nella roccia prima di tornare con gli occhi sul Re, che nel frattempo si stava sedendo sul trono, accavallando poi le gambe.

“Taur’ohtar, lle naa belegohtar,  cormlle naa tanya tel’raa. Ma devi fare attenzione. Non tutti saranno disposti a perdonarti come ho fatto io questa mattina.” Ramingo, sei un possente guerriero, il tuo cuore è come quello di un leone. [...]

Aragorn si inchinò ancora, in segno di scuse. E sì, certo, si voleva scusare davvero, ma c’era un’altra questione importante che gli premeva sul petto, una questione che non poteva evitare. 

“Non sono qui per peccare di superiorità, non è mia intenzione. Non sono un Re e non sono un suo pari, Mio Signore. Ma ho bisogno di chiedervi altre due cose, due personali favori.” 

“Mani uma lle merna?” Cosa vuoi?

“Un posto dove rimanere stanotte. E’ mattina, ma dovrò rifornirmi prima e quello che mi aspetta è un lungo viaggio. Non vorrei incontrare orchi lungo la via di Bosco Atro, non mentre fa sera. Come stavate dicendo a vostro figlio, il principe Legolas, la via di notte sarà tempestata di creature oscure.” 

Thranduil studiò Aragorn, che non lo guardava più negli occhi. Era ancora chino, nel tentativo di dispensare un rispetto che il re elfico non era sicuro provasse. Si stava arruffianando con pompose frasi nel tentativo di accecarlo. Aragorn aveva vissuto con gli elfi, doveva sapere che Thranduil sapeva notare ogni cosa, già sapeva dove voleva andare a parare. Il modo in cui aveva nominato Legolas fece alzare l’attenzione del re elfico, che si sistemò impercettibilmente sul trono, quasi come se fosse un segno di nervosismo. Se l’erede di Isildur fosse stato un uomo normale probabilmente non l’avrebbe neanche notato, ma era cresciuto con gli insegnamenti di Elrond ed era chiaro, Legolas era l’unica visibile e tangibile debolezza per il Re di Bosco Atro. Thranduil non aveva ancora distolto lo sguardo da Aragorn, sembrava stesse pensando a quale fosse la miglior mossa da quel momento in poi, per evitare quello che ormai sembrava inevitabile. L’interesse dell’uomo per suo figlio era ovvio.

“Alza lo sguardo e guardami, erede di Isildur. Cosa è mio figlio per te?” 

Mellonamin, come ogni elfo, Mio Signore. E proprio per questo devo farvi la mia  seconda richiesta. So cosa Legolas porta nel cuore, perché lo stesso fardello che porto io. L’ho potuto notare fin da subito e posso dire con sincerità che non pensa quello che vi ha detto. Vuole solo il meglio per voi e per il vostro popolo. E’ quello che vorrei io per il mio, da Re e da figlio. Non siate troppo duro con lui, è un grande guerriero, un ottimo arciere e credo che potrebbe uscire fuori dalle grotte solo per poter osservare la Luna. Ne sarebbe in grado, ma se per voi non fosse abbastanza io potrei-” Mio amico, [...]. 

“Dina! Tira ten’ rashwe, Taur’ohtar. Resterai una notte per il rispetto che nutro Re Elrond, ma mi aspetto che tu sparisca dal mio Reame quando il Sole nascerà tra i monti.” Silenzio! Stai attento, ramingo. [...]

Thranduil si sentì punto nel vivo, totalmente. Il fatto che Aragorn osasse mettere bocca nelle sue questioni private era inaccettabile, ma ad infastidirlo ancor di più fu la richiesta in sé. Far uscire Legolas, di notte, da solo. Gli sembrava incredibile, non aveva forse capito quale era la questione, la pericolosità? Aragorn capì di aver osato troppo, si limitò ad un inchino profondo prima di uscire velocemente dalla Sala del trono. Quella parentesi non l’avrebbe certo raccontata a Gandalf… e qualcosa gli diceva che, anche se ne avrebbe riso di gusto, non gli avrebbe più chiesto di far ritorno a Bosco Atro.

 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: erinrollins