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Autore: Stardust Revolution    01/01/2021    0 recensioni
Hiroshi e Mitsuru sono conosciuti per essere il fortissimo duo in campo della scuola media Hirado, l'uno famoso per la sua potenza, l'altro famoso per la sua agilità. Ma come si sono conosciuti questi due ragazzi così diversi, la cui poi improbabile amicizia è culminata sul campo da calcio?
(Nota. Kato e i suoi compagni sono personaggi originali)
Genere: Azione, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hiroshi Jito/Clifford Yuma, Mitsuru Sano/Sandy Winter, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina era partita col piede sbagliato. Decisamente sbagliato.
Mitsuru Sano si era svegliato tardi e ora stava correndo a scuola in tutta fretta. Aveva avuto degli incubi che non lo avevano fatto dormire come si deve ed era rimasto a rigirarsi nel letto per ore e ore prima di prendere finalmente sonno e riuscire ad addormentarsi.
Da quando aveva iniziato ad andare a scuola alcuni ragazzi più grandi lo avevano preso di mira senza un reale motivo. Durante la cerimonia di apertura aveva per sbaglio sbattuto contro alcuni ragazzi più grandi che stavano dando fastidio a delle ragazze appena iscritte, e da allora quei tre tizi avevano iniziato a prenderlo in giro, a pedinarlo e a fargli brutti scherzi.
Uscì di casa finendo di abbottonarsi la divisa, tra i denti la colazione che mandò giù in fretta e furia. Mitsuru non si dava pace: “Certo che, a volte, la gente è proprio noiosa!”, pensò mentre correva, sapendo che lo avevano preso di mira solo perché loro erano più grandi di lui, in ogni senso. Superò due ciclisti e un cane che correvano ai lati della strada con sicurezza e velocità. Era magro ma molto agile, sembrava quasi una cavalletta e, nel sorpassarli, li salutò con una mano. Il cane gli abbaiò contro e lui, spaventandosi, accelerò la sua corsa. Il suo sguardo si fermò per qualche attimo su alcuni bambini molto piccoli che si passavano una palla colorata tra i piedi, mentre erano mano nella mano con le loro rispettive mamme.
Mentre sorrise a quella scena, sentì la campanella della scuola media Hirado suonare.
«Accidenti!» gridò, cercando di volare come un fulmine. Il vento gli scompigliava la massa di capelli scuri e la pesante frangia che gli copriva gli occhi. Era arrivato a scuola, era entrato e stava per fiondarsi nella sua classe, quando incrociò nel corridoio proprio i tre ragazzi più grandi. Facevano la terza media ed erano considerati dei ragazzacci perché fumavano, non andavano affatto bene a scuola ed erano degli attaccabrighe. Mitsuru frenò con entrambe le gambe la sua folle corsa mattutina. I tre ragazzi gli si erano parati davanti, quello al centro già rideva, le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Ma guarda guarda chi abbiamo qui. Sei in ritardo, per caso?» disse ridacchiando.
Mitsuru non si lasciava intimidire facilmente. Anzi, iniziava a capire che quei tre, probabilmente, lo odiavano così tanto proprio perché non era il tipo da farsi sottomettere. E, c’è da specificarlo, quei tre erano molto più alti di lui, ma il suo carattere gli impediva di farsi mettere sotto senza dire una parola ed era molto veloce anche a scappare.
«E tu come mai sei a scuola, Kato? Oh, stai facendo finalmente il bravo assieme ai tuoi due amichetti?» lo canzonò Mitsuru, con tutto il coraggio che poteva mostrare.
Kato si accigliò e subito il suo riso scomparve dalla sua faccia, ora scura. Schioccò le dita e i suoi due compagni subito avanzarono, afferrarono Mitsuru per entrambe le braccia in un attimo.
«Ehi! Lasciatemi andare!» stava per gridare il ragazzo, ma Kato gli diede un calcio nell’addome, zittendolo. Mitsuru gemette, per qualche attimo tutto gli vorticò attorno, si sentì trascinare via nei bagni dei ragazzi. Lì, senza volerlo, vomitò la colazione appena fatta. I due amici di Kato lo lasciarono cadere a terra, ridendogli addosso e dicendogli cattiverie.
«Ti facciamo passare noi la voglia di risponderci!» disse Kato prendendo lo straccio per lavare i pavimenti che era poggiato in un secchio dell’acqua sporca, in un angolo, e iniziando a picchiare Mitsuru con quello, sporcandolo e riempiendolo di colpi.
Il ragazzo si portò le mani sulla testa, raggomitolandosi su se stesso, ma gli altri due ragazzi di nuovo cercarono di afferrarlo e di bloccargli le mani. Stavolta Mitsuru non si lasciò trovare impreparato, riuscì a svincolarsi agilmente, ma la sua unica via di fuga, l’uscita, era sbarrata da Kato stesso.
«Prendetelo e ficcategli quella testa nel cesso!» ordinò agli altri due.
Mitsuru, provò ancora a scappare anche se non aveva nessuna via di fuga e, mentre uno stava provando ad acchiapparlo per i capelli, scivolò con un piede sul pavimento mezzo bagnato e finì contro una delle porte dove c’erano i gabinetti chiusi.
«Ouch!» si lamentò il ragazzo portandosi una mano sulla testa, mentre la botta risuonava in tutto lo stanzone.
«Sei finito, microbo.» gli disse Kato avvicinandosi a lui minacciosamente.
Ma la porta dove aveva sbattuto Mitsuru si aprì con violenza.
«Non si può nemmeno stare al cesso in pace! Che state facendo qua fuori?!».
Il vocione apparteneva ad un ragazzo altrettanto imponente. Mitsuru guardò Kato e i suoi due compagni perdere colore sul viso. Conoscevano quella montagna parlante? Si stava chiedendo Mitsuru mentre cercava di capire quanto fosse dannatamente alto e imponente il nuovo ragazzo che sembrava spuntato dal nulla.
«Jito … non volevamo disturbarti.» fu il commento di Kato, che alzò le mani con una risatina, ora nervosa.
“Jito. E’ il suo nome?” pensò Mitsuru.
In un secondo Jito afferrò Kato per il colletto e nel secondo successivo aveva  già steso lui e gli altri due, che se la filarono a gambe levate, scivolando comicamente sul pavimento bagnato. Jito li guardò ridendo. A quanto pareva quella scena pietosa fu abbastanza divertente da lasciarli andare.
«Con voi non ho finito!» gli gridò mentre quelli scappavano e uscivano dal bagno come se fossero rincorsi da un toro.
Mitsuru cercò di alzarsi, ma tra il pavimento bagnato, i suoi vestiti bagnati, e il corpo dolorante lo trovò estremamente difficile.
«Ehi, tu.».
La voce di Jito lo fece sobbalzare. Si voltò a guardare la montagna che aveva davanti e che lo guardava dall’alto verso il basso.
«Non sono stato io a fare tutto quel casino! Mi hanno buttato qui dentro conto la mia volontà, io stavo andando in classe!» disse Mitsuru, con un tono arrabbiato e vagamente tremolante.
Jito lo guardò per qualche secondo, poi abbassò una mano su di lui, lo prese per la camicia e lo tirò su con un solo gesto. Mitsuru si ritrovò in piedi senza essersi alzato.
«Grazie.» disse con un sorriso sollevato, portandosi una mano tra la massa di capelli, per poi afferrare la sua cartella che era finita sotto i lavandini. Si guardò negli specchi e borbottò una serie di imprecazioni sottovoce, mentre cercava di asciugarsi e pulirsi come meglio poteva.
«Non posso andare in classe in questo stato! Maledetto di un Kato!» esclamò con rabbia. La sua frangia si spostò per un attimo dal suo viso, rivelando due occhi brillanti e arrabbiati.
«Non sei spaventato.» disse Jito.
«Eh?» fece Mitsuru, voltandosi.
«Non sei spaventato. Di solito quelli che vengono picchiati e perseguitati da quei tre se ne vanno con la coda tra le gambe, piagnucolando.».
Mitsuru si strinse nelle spalle.
«E’ un arrogante e uno sbruffone. Non ho paura di lui, mi ha preso di mira solo perché sono più basso di lui. Ma ho notato che non può competere con uno come te!» rise sonoramente.
Quella risata sorprese Jito, che ne stava a braccia conserte a fissare quello strano ragazzo, pensando che assomigliasse a uno di quei cani con il pelo arruffato davanti gli occhi.
«E’ la prima volta che vedo uno appena picchiato ridere come uno scemo!» esclamò Jito grattandosi il naso, divertito.
«Oh, davvero?» rise Mitsuru, in risposta.
Il ragazzo stava cercando di pulirsi la camicia, quando su quella gocciolarono alcune gocce rosse.
«Eh?» fece Mitsuru non capendo da dove venissero.
«Ehi, ti sei per caso aperto il cranio con la testata di prima sulla porta?» gli disse Jito avvicinandosi e indicandogli una tempia.
Mitsuru si voltò e si guardò nello specchio: un rivolo di sangue usciva dalla sua tempia sinistra.
«Quello stronzo … !» esclamò Mitsuru portandosi una mano sulla ferita.
Jito rise tra sé e sé.
«Non puoi andare in classe conciato così, andiamo in infermeria.» gli disse sorpassandolo e uscendo dal bagno.
Confuso, Mitsuru gli corse dietro.
«Volevo dirti una cosa!» gli disse.
«Mi hai già ringraziato.» rispose Jito, annoiato.
«No. Volevo dirti che hai la chiusura dei pantaloni aperta.» rise Mitsuru.
Jito sobbalzò e si affrettò a sollevare la zip. Lanciò uno sguardo minaccioso a Mitsuru, ma quello non fece una piega.
«Sei proprio strano tu.» gli disse.
«Mi chiamo Mitsuru Sano!» si presentò Mitsuru.
«Sono Hiroshi Jito. Sei uno di prima?».
«Si, frequento la prima, mi sono iscritto quest’anno. Tu sei di terza come Kato e i suoi?».
«No, faccio la seconda.».
«Wah! E anche se sei uno di seconda quei tre se la sono data a gambe a quel modo? Devi essere davvero forte! Con quelle braccia che ti ritrovi sono sicuro che li avrai pestati a dovere un sacco di volte quei tre, a giudicare dalle loro reazioni!» ridacchiò camminandogli affianco.
«Abbastanza … .» rise Hiroshi.
I due si recarono in infermeria, che però era vuota.
«Quando ti serve qualcuno non c’è mai.» borbottò Hiroshi entrando nella stanza e Mitsuru rise stringendosi nelle spalle. Vedendo che poi il ragazzo sembrava sapere dove fossero i cerotti e tutto il resto si incuriosì.
«Vieni spesso qui?» gli domandò sedendosi su una sedia e massaggiandosi le costole con una mano.
«Non proprio. Mi ci spediscono i professori assieme alle mie vittime.» ghignò.
«Oh!» sorrise Mitsuru.
Hiroshi gli lanciò un’occhiata.
«Ti hanno pestato ben bene, sicuro di stare bene? Sbaglio o ti hanno anche fatto vomitare la colazione?» gli disse indicando il suo stomaco con un gesto del capo.
«Mh.» fece Mitsuru annuendo, un po’ imbarazzato.
Hiroshi prese dell’ovatta e la diede al ragazzo, che si scostò i capelli e si disinfettò la tempia stringendo i denti. Hiroshi poi gli applicò un grosso cerotto bianco quadrato, che subito Mitsuru coprì con i capelli.
«Grazie ancora per l’aiuto.» disse Mitsuru.
Hiroshi rispose solo con un grugnito misto ad un sorriso e quella fu la prima volta che Mitsuru Sano e Hiroshi Jito si conobbero, ancora prima di iniziare a giocare a calcio assieme.
Ma Kato e i suoi non si arresero al tormentare Mitsuru. Un giorno, mentre tornava a casa da scuola nel pomeriggio, i tre gli fecero un’ imboscata.
  
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