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Autore: Heliconia    02/01/2021    2 recensioni
"Senza saperlo, sono sempre stato un marchiato; ma all’epoca mi pareva più una soluzione che una condanna". {Guts}
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Guts
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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♪♫Note♪♫ dell'autrice: una di quelle storie (?) che mi salgono quando ho bisogno di dare ai miei pensieri incoerenti un volto. Ebbene, a 'sto giro è toccato a Guts. Dategli pure il senso che volete e, anzi, scrivetemelo in una recensione: ENJOY!



Il dolore crea dei buchi nella trasmissione della memoria.
Poi ognuno li riempie come può.

Zerocalcare, Dimentica il mio nome.





I suoi occhi vitrei mi facevano sentire a disagio: guardarli era come dondolare in punta di piedi sull'orlo di un precipizio. Quando mi fissava troppo a lungo, un brivido mi saliva lungo la schiena. Pareva fosse sul punto di afferrare un martello e infrangerlo sulla calotta del mio cranio, per poi aprirla in cerca di quel qualcosa che sperava ostinatamente di scorgere sul mio volto.
Ogni giorno, il mio timore era che lo trovasse. 
Shisu era questo: un animale indifeso in cerca di un luogo da chiamare casa, che credeva di aver trovato in me e Gambino. Lui la guardava pietoso e le rivolgeva talvolta qualche frase infelice, ma poi se ne pentiva quasi subito quando notava che lei, per quanto putride fossero le sue parole, gli rispondeva sempre con un sorriso. 
Gambino le voleva bene di certo, ma credeva che certi sentimenti fossero sopravvalutati. Cosa provasse Shisu per lui, invece, era un mistero che portava gli spasimi dell'amore. Io ero altro da entrambi, eppure facevo parte a pieno titolo della loro strana famiglia.
 
Shisu mi ha cresciuto come fossi figlio suo, concepito dal suo bisogno di sfuggire alla paura della morte, che una sera le è scivolata giù dal grembo. Ospitare dentro una cosa così corrotta ti annienta l’anima - pensai allora - e distrugge anche quella di chi ti sta intorno. Ne ebbi la conferma osservando Gambino e l’espressione feroce che indossava come un’armatura.
Prima di apprendere quali fossero i demoni che tormentavano la vita del mio patrigno, desideravo con tutto me stesso somigliargli: c’era del fascino nel suo ghigno doloroso, nel suo portamento afflitto, nella bestialità di un capobranco che ha perduto la sua buona stella. Nella stessa misura in cui aspiravo a svelare il mistero di quella maledizione che si portava addosso, ne volevo un po’ anche per me. Senza saperlo, sono sempre stato un marchiato; ma all’epoca mi pareva più una soluzione che una condanna.  
Ho sempre provato un forte senso di confusione: sempre timoroso di strapparmi in mille brandelli e disperdermi nell'ambiente. Sempre troppo fragile, incapace di dare un ordine ai miei pensieri e sentimenti. Avevo bisogno di quel dolore.
Avevo bisogno di temprarmi, di essere integro.
Come lui.   
 
Una volta, guardandomi mangiare, Shisu si è messa a piangere. Così, all'improvviso.
Prima ha sorriso, con commozione, poi i suoi occhi si sono fatti lucidi. 
«Ti amo, bambino mio». 
Per lo stupore, ho mollato il cucchiaio e ho lasciato che si inabissasse nella zuppa.
Ti amo.
Non era la prima volta che lo diceva: mi ha sempre voluto molto bene ed io, di rimando, ho sempre accolto il suo calore con distacco.
Temevo non sarei riuscito a reggerlo.
Temevo mi sarei smembrato, al solo contatto.
Quella volta, però, le sue lacrime hanno infranto tutte le barriere che ci separavano e mi hanno trafitto in pieno.
Ho iniziato a spezzare nervosamente il pane in tante piccole molliche, con lo sguardo basso, il panico bloccato in gola insieme al magone che salì prepotente, spezzando la mia voce.  
«Ti amo anche io» mi limitai a dire.  
 
Shisu ha sempre saputo della mia fragilità, perché apparteneva anche a lei. A differenza mia, però, si lasciava trascinare; chissà dove. Io invece cercavo di mantenere il controllo con grande sofferenza e impegno, terrorizzato all'idea che un giorno qualcosa sarebbe venuto a rompere il mio delicato equilibrio e mi avrebbe sbalzato via, in un baratro così angusto da non contemplare alcuna via di fuga.
Mi preparavo, giorno dopo giorno, a ricevere qualcosa di così potente da spezzare definitivamente il mio corpo, il simulacro d’incertezze che mi sono impegnato per tanti anni a mantenere intatto, a contenere in una sagoma ben delineata. Finché avrei seguito Gambino, l’armatura che stavo forgiando direttamente sulla mia pelle sarebbe riuscita a contenermi, a combattere ogni insidia. Fintanto che avrei continuato a seguire Gambino, mi ripetevo…
 
Il dolore per la morte di Shisu gli spezzò l’anima.
Se io traevo forza da lui, lui ne traeva da quella donna.
Quella pazza creatura che era a malapena cosciente di sé stessa.
Il mostro che amavo e da cui fuggivo era la benedizione del mio salvatore, angosciato dall’amore che non riusciva a non provare.
Una volta svanita Shisu, Gambino è diventato il mio nuovo mostro, più atroce e pericoloso del primo. La sua falsa integrità è andata in pezzi, il suo essere caotico e contraddittorio ha strabordato ed è confluito nel mio.
Ed è stata la mia fine.
Ma… Ironia della sorte: se sono sopravvissuto, lo devo proprio a lui. Alla corazza che ho costruito negli anni, imitando ciò che credevo fosse lui o, forse, solo chi aspiravo a diventare.
Si può essere davvero grati e, nel contempo, traditi?
Si può davvero provare amore e odio allo stesso tempo?
Si può davvero provare gratitudine per la bestia che ti ha venduto a uno stupratore?
Il suo sangue non mi ha dato alcuna risposta. La distanza dalle persone ha fatto sì che non mi ponessi mai più queste domande. 
 
Poi, un giorno è arrivata Caska.
 
L'amore non è qualcosa che tu possa controllare e, quando fa male, ti lascia poco spazio per fuggire o attaccare il nemico che ti dilania il cuore. È una catena che ti immobilizza, finché il tuo corpo non viene prosciugato al punto da permetterti di sfilarla via e reagire un po' come ti pare; dipende da cosa hai accumulato dentro, mentre ti smembravi. Pazzia, rabbia, angoscia, schifo… In genere, ti salgono tutti insieme. 
 
Rantola, mentre si massaggia il ventre alla ricerca di una protuberanza. Lo fa spesso, mentre dorme; qualche volta sono tentato di allungare la mano, per sentire il battito.
Altre, me ne vado via. 
Mi allontano da lei, in cerca della solitudine che Gambino ritrovava nell'accampamento. Chissà se anche lui era inseguito dal volto di Shisu, mentre cercava di non pensare a lei, di rimuoverla per almeno un secondo. 
Mi accorgo, tutte le volte, che non c'è via di scampo: nei miei pensieri lei è lì a terra, che accarezza il fantasma di nostro figlio. È piccola, fragile, e ha paura di me.
Cerco disperatamente, ogni giorno, un briciolo di sagacia nel volto di quella donna: un segno, anche piccolo, dell'intelligenza seducente e cattiva della mia Caska. Sono convinto che lei sia ancora lì, da qualche parte. Che il trauma l'abbia solo mandata in letargo. 
Faccio male ad entrambi, pensandola così. Ma ho bisogno di pensarlo. Ho bisogno di sperare qualcosa, darmi uno scopo per continuare a vivere.
E intanto lei sorride, mugugna, con indosso il volto di mia madre.
E io tremo.

 

 

   
 
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