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Autore: MaxT    03/01/2021    5 recensioni
Antartide, anno 2047. Il trattato che vieta la militarizzazione e lo sfruttamento minerario del continente ghiacciato sta per scadere, mentre il cambiamento climatico ha iniziato a colorare i ghiacci in lento scioglimento con fioriture colorate di alghe unicellulari.
Un uomo e una donna, sopravvissuti allo schianto di un aereo, stanno cercando di salvarsi raggiungendo su una motoslitta una lontana stazione meteorologica segnata su una mappa. Entrambi si nascondono a vicenda un segreto mentre, osservati da occhi invisibili, proseguono verso il luogo misterioso. Vi troveranno la salvezza, o l'epicentro del pericolo che li minaccia?
La storia partecipa al concorso 'Manuale di Sopravvivenza Vol.1' indetto da Spettro94
Genere: Avventura, Science-fiction, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Neve rossa

 

Capitolo 2: Ghiaccio e sangue

 

 

 

Per la prima parte del loro viaggio, Roger e Malony parlarono poco. Nonostante il flusso di aria di riscaldamento, lo spazio racchiuso dalla capottina restava ancora piuttosto freddo; anche quando poterono abbassare i passamontagna dai visi, la condensa del loro alito continuava a ornarli di ritmici sbuffi bianchi.

Fu lei a rompere il silenzio: “Roger, hai detto che sei un ingegnere minerario. Sei già stato nell'Antartide?”.

Lui rispose, un po' diffidente: “Non lo ricordo con sicurezza”. In verità avrebbe giurato di sì, quell'ambiente unico non gli era del tutto nuovo, ma mano a mano che rifletteva sui suoi ricordi annebbiati ricordava anche che il trattato antartico vietava, ancora dal lontano 1959, lo sfruttamento minerario del continente ghiacciato. Era meglio evitare di dare adito a speculazioni che non sapeva dove avrebbero potuto portare, soprattutto con una straniera. Soprattutto se russa.

“E tu, Malony? Sei già stata nell'Antartide?”.

“Sì, diverse volte. Questa volta ero diretta alla stazione scientifica S.Nikolaj”.

“Sei una scienziata, o cosa?”.

“Qualcosa di simile. Sono una glaciologa”.

“Un tema attuale, quindi”.

“Attualissimo. Fino a pochi anni fa, chi parlava dell'Antartide lo immaginava candido. Quando ero bambina, molti mi dicevano che avevo delle iridi azzurre come il ghiaccio. Ma non intendevano il ghiaccio che abbiamo attorno adesso”. Fece un vago gesto, che Roger non vide, per indicare tutt'attorno. “Questo aspetto rossastro delle distese di neve ghiacciata era inimmaginabile quando ero bambina. Vaste zone dell'Antartide sono irriconoscibili a causa delle striature colorate della fillofora antartica e di altri tipi di alghe unicellulari”.

“Sembra un po' sangue”, convenne lui.

“Si, ma intendiamoci, non è così tutto l'anno. Le alghe sono organismi fotosintetici, e in primavera e in piena estate il colore dominante è il verdazzurro, o anche una specie di nero prugna. Poi, quando l'estate declina, la clorofilla viene persa e le alghe diventano rossastre. Il colore che vedi non è ancora alla sua massima saturazione, tra un mese la neve sembrerà davvero striata di sangue”.

“Inquietante”, convenne lui continuando a guidare. “Sto andando nella direzione giusta?”.

“Sì, vai tranquillo, ci penso io a correggerti se sbagli. Abbiamo già percorso più di quaranta chilometri”. Dopo un breve silenzio, riprese: “Le fioriture di fillofore nel ghiaccio sono un effetto del riscaldamento globale del clima e, al tempo stesso, ne sono una concausa. La neve colorata assorbe molta più luce dal sole, si riscalda e si scioglie prima. La velocità di scorrimento dei ghiacciai verso il mare sta aumentando, e così pure l'estensione delle zone scoperte dal ghiaccio”.

“E questo è un bene o un male?”, chiese lui con sospetto. Non aveva nessuna voglia di sorbirsi una tirata ecologista sui diritti dei poveri pinguini accaldati.

“Dipende dal punto di vista”. La sua scrollata di spalle venne completamente nascosta dai pesanti indumenti arancioni che la facevano somigliare a una specie di nano da giardino. “Dal punto di vista di un naturalista è una catastrofe. Segnerà la scomparsa di un ambiente naturale unico, e avrà grosse ripercussioni anche sugli ecosistemi costieri. Poi c'è il punto di vista delle città marittime di tutto il mondo: la vecchia previsione di un aumento del livello del mare di ottanta centimetri entro la fine del secolo è già stata quasi raggiunta, e siamo ancora all'anno 2047. Ormai nelle città costiere ci sono quartieri che si trovano con l'acqua in cantina a ogni mareggiata.

Poi c'è il punto di vista dell'aumento della temperatura: con la diminuzione dell'albedo, la Terra assorbe sempre più calore dal sole. A proposito, lo sai cos'è l'albedo?”

“Ma certo che lo so!”, rispose lui infastidito.

“Ah bene. Perché, vedi, non si può dare per scontato da uno che non sa cosa neanche in che anno siamo”.

“Beh, ora lo so, grazie alla maestrina”.

Lei tacque brevemente, offesa. “Allora non ti racconterò la parte più interessante”, disse infine.

“Brava, non raccontarmela”, rispose lui cinico. Dopo un attimo di silenzio, aggiunse: “C'è una parte interessante?”.

“Ci stavo arrivando, ma visto che non vuoi...”, rispose lei facendo il gesto di guardarsi intensamente le unghie, cosa che le riuscì malissimo con i guantoni indossati.

“Solo per capire cosa tu consideri interessante”.

“Lo dirò... solo per evitare che tu ti addormenti alla guida”. Si schiarì la voce, e riprese: “La fioritura della fillofora è un avvenimento naturale, ma la sua estensione dalla costa, dov'è iniziata una trentina di anni fa, all'interno del continente antartico è molto più rapida di quanto ci si potrebbe attendere da una diffusione naturale, tanto più che il lento movimento dei ghiacciai verso il mare dovrebbe contrastare questa diffusione, e anche i venti catabatici prevalenti al livello della superficie ghiacciata sono dall'interno verso il mare, non viceversa. Quindi esistono dubbi che questa diffusione non sia del tutto naturale”.

L'orgoglio di Roger lo trattenne ancora una volta dal domandare cosa volesse dire 'catabatico'. Preferì chiedere, invece: “Stai dicendo che qualcuno sta seminando la fillofora ad arte?”, cercando di caricare la frase con una percettibile dose di scetticismo.

“Questo è l'oggetto della mia ricerca alla stazione di S.Nikolaj”.

“E perché mai qualcuno dovrebbe farlo?”.

“Per accelerare lo scioglimento della calotta, naturalmente”.

Roger rinunciò a chiedere chi avrebbe potuto trarre vantaggio da tutto ciò. Anche senza ricordare niente dell'anno passato, non era difficile rispondersi da solo.

Malony ora taceva. Sbirciandola nello specchietto retrovisore, a Roger lei sembrava intenta a scrutare con attenzione fuori dai finestrini, prima da una parte poi dall'altra.

Il sole, che all'inizio era nettamente alla sua destra, si era lentamente spostato più di fronte e più in basso, e cominciava a dare fastidio alla vista. Lui cercò di tirarsi avanti il cappuccio su quel lato. Prima o poi avrebbe avuto bisogno di improvvisare un paraocchi, ma con cosa?

Cercò di concentrarsi sui ricordi. Gli ultimi due anni erano una nebbia confusa, ma cercò di partire da qualche sprazzo per ricucirlo in un qualcosa di coerente. Aveva un vago ricordo di essere sceso da un aereo su una pista innevata, ma era sfuggente come un sogno, e forse era solo questo.

 

Antartide, nove mesi prima

 

Benvenuti signori. Io sono il colonnello Taylor, il responsabile della sicurezza di questo sito”. L'uomo dall'espressione di mastino, in completo protettivo bianco mimetizzato da puntinature rossastre e azzurrastre, li accolse a fianco della pista di atterraggio sul ghiacciaio striato di rosso. “Vi prego, andiamo immediatamente al coperto, abbiamo ventisei minuti per rientrare alla base prima del passaggio del prossimo satellite”. La sua figura squadrata fece strada verso un gatto delle nevi in attesa.

Roger guardò alla sua destra, verso la rampa da carico del grosso aereo quadriturboelica che stavano lasciando. Altri tre cingolati gli si stavano accostando, mentre l'equipaggio, nell'ampia stiva nervata come l'interno di un gigantesco pesce preistorico, stava febbrilmente armeggiando con un carrello elevatore attorno a delle grandi casse bianche.

I passeggeri appena sbarcati si guardavano intorno, incuriositi dal surreale paesaggio di neve arrossata contornato da rilievi rocciosi che si stagliavano contro il cielo tinto di un azzurro intenso, come in alta montagna.

 

La voce allarmata di Malony lo riscosse dai suoi pensieri. “Ferma! Ferma! Cos'è quello?”.

Lui rallentò d'istinto. “Cosa?”.

“Ferma, ti dico. Lo abbiamo passato adesso. Mi sembrava un morto, un uomo morto”.

Appena lui fermò il mezzo, Malony armeggiò su una chiusura di velcro su un fianco della capottina, e dopo qualche impacciato tentativo la aprì. Il vento gelido disperse in un attimo il relativo tepore dell'abitacolo.

Roger rinunciò a gridarle di chiudere la porta, e uscì malvolentieri per andarle dietro.

Lei si era fermata davanti a qualcosa che poteva sembrare un cumuletto di neve.

Quando le si avvicinò, lui dovette constatare che Malony aveva ragione: era davvero un uomo, paludato in una tuta termica bianca e con gli sci ai piedi. Una grande chiazza di sangue gelato sulla neve si confondeva con le striature rossastre della fillofora. Ai suoi piedi aveva sci da fondo, e una delle sue gambe era extraruotata verso l'esterno in un modo innaturale. Ma quello che più impressionava erano i cinque tagli paralleli da dietro la spalla fino al fianco opposto, che attraversavano diagonalmente la schiena macchiata di rosso scuro.

Poco più in là si trovava uno zaino bianco squarciato, con alcuni oggetti dispersi al suolo; un pacco tenda lacerato, qualche indumento di ricambio e i resti di un apparecchio elettronico ormai irriconoscibile.

Lo guardarono a lungo. L'uomo non dava nessun segno di vita. Quando lei lo scosse, appariva rigido come un blocco di ghiaccio.

“Ma... cosa può essere stato?”, chiese Roger disorientato. “Sembrerebbe quasi la zampata di un orso”.

Detto questo, si guardò attorno con timore. Possibile che ci fosse un simile pericolo ad attenderli in quel sinistro deserto ghiacciato? Le orme sulla neve dura erano minime e troppo confuse per poter dare qualunque risposta; gli sembrava di riconoscere sono qualche linea disegnata dagli sci, proveniente proprio dalla direzione verso la quale stavano andando.

Anche Malony stava scrutando tutt'attorno, poi riguardò gli strappi insanguinati.

“Potrebbe sembrare proprio una zampata”. Estrasse nuovamente il tablet dalla sua borsa, e cominciò a prendere un'inquadratura.

“Ma ti sembra il momento?”, sbottò lui irritato, “Non è che vuoi una foto ricordo tutta sorridente accanto al cadavere?”.

Lei rispose gelida: “Non possiamo portarcelo dietro, ma almeno documentiamo chi era e come è morto”. Dopo alcuni scatti tutt'in giro, aggiunse: “Ora dobbiamo girarlo”.

Dopo un'ulteriore occhiata preoccupata tutt'attorno, lui annuì.

Anche facendo forza assieme, il proposito si rivelò molto difficile: il cadavere era rigido, e gli sci ai piedi creavano un grande intralcio. Lei armeggiò sopra le chiusure e li tolse, e infine riuscirono a girare il corpo.

Gli occhialoni fuori posto lasciavano intravedere un occhio sbarrato. Lei li tolse, poi spostò il passamontagna e il cappuccio, fino a rendere visibile il volto. Era un uomo giovane, dai capelli e la barba cortissimi e gli occhi chiari. La pelle della parte in basso alternava chiazze ortostatiche rossastre dove il sangue si era accumulato, e biancastre dove invece il corpo era rimasto premuto sul suolo. I morti non hanno mai un bell'aspetto, questo dovevano aspettarselo.

Lei scattò diverse inquadrature. “Se usciremo da questo guaio, almeno potremo dare un nome a quest'uomo sfortunato”, disse lei. Poi si guardò attorno preoccupata. “Presto, risaliamo sulla motoslitta”.

Gli ultimi passi prima di rientrare nel mezzo vennero fatti in fretta, guardandosi alle spalle e tutt'attorno.

“Riparti, presto!”, disse lei una volta rientrata, ancora armeggiando con l'apertura della capottina che non voleva saperne di tornare a chiudersi bene.

“Subito”.

Richiuso sommariamente l'abitacolo, lei armeggiò brevemente col suo tablet e osservò i rilievi che si intravedevano verso sudovest. “Fai una correzione di rotta. Venti gradi a sinistra. Il nostro obiettivo dovrebbe essere dietro a quelle alture senza neve all'orizzonte”.

“Va bene. Ma Malony, che cosa credi che abbia ucciso quell'uomo?”.

“Non lo so proprio, Roger. Spero tanto di non doverlo scoprire di persona”.

“I tagli sembravano dei graffi di un orso. Ma non dovrebbero esistere orsi polari in Antartide, no?”.

“Per esistere esistono, signor smemorato. L'anno scorso il WWF, con la collaborazione del governo canadese e quello australiano, hanno portato qui forse trecento orsi polari, che nell'Artico sono in piena estinzione per lo scioglimento della calotta glaciale. L'idea è che un numero limitato di orsi avrebbe potuto adattarsi a questo habitat cacciando foche e pinguini di Adelia, che per ora non sono considerati a rischio immediato. Ma la domanda è: cosa farebbe un orso polare così nell'entroterra, in questo deserto ghiacciato?”.

Lui emise un grugnito indistinto di assenso, poi aggiunse: “E se fosse stato un orso smarrito, perché non ha divorato il corpo? Non è che qui avrebbe trovato altre occasioni per mangiare”.

“Non lo so proprio”, rispose lei cupa. Tornò ad armeggiare con il tablet. Una piccola icona lampeggiante le confermò che le immagini erano state inviate attraverso il collegamento satellitare della motoslitta.

Malony tornò a scrutare l'esterno attraverso i finestrini di plastica flessibile. Chi gliel'aveva fatto fare di ficcarsi in questo guaio?

 

Mosca, due mesi prima

 

Signor colonnello Matarov, sono ai vostri ordini” esordì lei entrando nel moderno ufficio del suo superiore nel quartier generale del Servizio Informazioni Estero della Federazione Russa, il misterioso SVR-RF. Il grattacielo faceva parte di un complesso di edifici futuristici isolati nel verde nel distretto Yasenevo, fuori Mosca.

L'uomo, vestito in un elegante completo grigio fumo, restò in piedi rivolto verso l'ampia finestra panoramica per alcuni secondi. “Siediti, Malina Nikolayevna”, le disse senza voltarsi. Sembrava guardare assorto, forse senza vederlo, il bel panorama boschivo e la lunga forma a Y dell'ala sottostante, ben evidente dall'alto.

Lei sedette a disagio sulla poltroncina davanti all'immensa scrivania, chiedendosi se quest'accoglienza gelida fosse studiata.

Finalmente il colonnello si girò e andò lentamente a sedersi, con un'espressione indecifrabile sul suo viso volpino. Il suo sguardo indugiò a lungo su di lei prima che l'ufficiale iniziasse a parlare con tono grave.

Malina Nikolayevna Petrova, vogliamo offrirti una possibilità per riscattarti dal tuo recente fallimento in Cile. Non ti nascondo che la missione che ti stiamo offrendo è pericolosissima, oltreché disagevole”.

Porterò a termine qualunque missione vogliate affidarmi, signor colonnello, o morirò nel tentativo”. Si era preparata con cura questa risposta altisonante. “Cosa dovrò fare?”.

Bene, Malina Nikolayevna. Tu dovrai seguire le tracce di una nostra squadra di esplorazione nell'Antartide”. Poi, rivolto al computer sul suo tavolo, ordinò seccamente: “Immagine uno”.

Sullo schermo alle sue spalle comparve proiettata l'immagine delle fototessere di tre uomini in divisa. Gli sguardi decisi sui visi giovani erano contornati da impeccabili divise mimetiche con le magliette a sottili righe bianche e blu, portate con orgoglio da tutte le forze speciali della Federazione Russa.

Questi sono, o più probabilmente erano, il capitano Kovich e altri due membri delle forze speciali Spetsnaz. Il loro compito era avvicinarsi di nascosto a un luogo apparentemente insignificante, ma in realtà misterioso”.

 

E' proprio il luogo dove siamo diretti ora, pensa lei di malumore.

 

“Senti, Malony”, riprende lui, “Non ti sembra così strano... Sì, a parte l'orso o quel che è stato, l'Antartide è immenso e deserto. Non è che sia coperto di morti, neanche se si fossero conservati per cent'anni. Non ti pare strano che noi partiamo da un posto qualunque, percorriamo un centinaio di chilometri e lo troviamo lì, a pochi metri dal nostro percorso? Che probabilità c'erano che succedesse?”.

“Però è successo”, tagliò breve lei. Estrasse dalla borsa il suo flaconcino di profumo spray e, sollevando il passamontagna, se lo spruzzò sotto il mento.

Passò pochissimo prima che lui lo percepisse. “Questo profumo...” iniziò, poi si acquietò.

“Ti piace, Roger? Non è buono?”.

“Sì”, poi continuò a guidare in silenzio.

Malony tornò a immergersi nei suoi ricordi, fin troppo nitidi.

 

Mosca, due mesi prima

 

Immagine due!”.

Sullo schermo apparve un'immagine biancastra screziata e puntinata alla quale dapprima Malina fece fatica ad attribuire un significato.

Il colonnello Matarov si girò verso lo schermo e indicò con un puntatore laser qualcosa proprio al centro dell'inquadratura. “Questa fotografia satellitare mostra un uomo a terra, morto, proprio lungo il percorso che il gruppo del capitano Kovich avrebbe dovuto percorrere”.

Con questo suggerimento, Malina individuò rapidamente la piccola figura umana scomposta, vestita di bianco.

Il vestiario e l'equipaggiamento sembrano compatibili con quelli che avevano in dotazione. Non sappiamo perché sia morto, né abbiamo localizzato gli altri due membri del commando. Tu, Malina Nikolayevna, seguirai le tracce di questi uomini e raggiungerai questo corpo per indagare sulle cause della sua morte. La sua posizione sarà memorizzata sulla mappa nel tuo tablet”.

 

Roger continuò a guidare in silenzio. Avrebbe potuto aumentare la velocità della motoslitta, non la stava tirando al massimo. Però col trascorrere delle ore il sole, dapprima alla sua destra, si stava sempre più spostando verso il suo campo visivo, e cominciava a disturbare la sua visuale verso nordovest. “Malony, non è che questi occhialoni abbiano anche dei paraocchi? Il sole comincia ad abbagliarmi”.

“Aspetta... vediamo se ho un fazzoletto di carta...”. Lei armeggiò con la borsetta ed estrasse un blocchetto di Post-it. “Ecco, prova con questo”, disse allungandosi verso avanti per porgergli uno dei bigliettini.

Lui lo prese e lo sistemò sull'intelaiatura degli occhialoni. Era instabile, ma dava un po' di protezione dal fastidioso abbagliamento. “Grazie, Malony, va meglio. Riesci a tenere d'occhio il lato destro?”.

“Va bene”. Strizzò gli occhi guardando controsole, facendosi schermo con una mano. “Nessuna minaccia in vista, per ora”.

“Quanto manca alla destinazione?”

“Circa sessanta chilometri”.

“Speriamo che ne sia valsa la pena”.

“Lo sapremo solo quando saremo lì, Roger”. Se ci arriveremo, completò tra sé ritornando ai suoi pensieri.

 

 

 

  
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