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Autore: UnaQualunque01    03/01/2021    0 recensioni
"Non sei tu sono io" oppure "Sei tu non sono io" sono quelle tipiche frasi capitateci almeno una volta nella vita. Ma questa è solo la punta dell'iceberg.
Dovevo capirlo già in tenera età quanto la mia strada verso l'amore fosse in salita. Come quando mi piaceva alle scuole medie quel ragazzino in carne, con l'acne e i capelli super gettonati all'epica lunghi sulle tempie e con la fila in mezzo (tipo Dawson per intenderci). Ma a me non importava: nulla me lo avrebbe tolto dalla testa...nemmeno il palo allucinante che ho preso quando mi ha detto che non gli piacevo. Ed ecco come inizia la mia avventura nel mondo dell'amore. Perché questa è solo la premessa di tutte queste pagine, un piccolo assaggio per farvi capire lo standard sul quale mi sarei mossa.
"Disagio" è una delle mie parole preferite, in questa chiave ironica che punta a raccontare un po' delle mie storie d'amore (o non-amore): esprime quel concetto di "ma davvero è successo?" che non riesci ad esprimere in nessun altro modo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ci sono storie incredibili dietro queste pagine, non ci sono storie d’amore da film o inseguimenti all’aeroporto con mazzi di fiori e discorsi commoventi; secondo me è tutto abbastanza lineare (vabbè, per gli standard della mia vita...capirete perchè).

Gli ultimi anni sono stati STRAPIENI di avvenimenti, alcuni positivi e altri negativi. È dalla combinazione di entrambi che è nata la voglia (su consiglio anche di alcune persone che mi conoscono piuttosto bene) di scrivere due righe. E di cosa voglio parlare in queste “due righe”? La verità è che voglio parlare di tutto, sperando di tenere un filo logico per chi le leggerà. 

Spesso dico ai miei amici che, se una persona dovesse basarsi sulla mia bacheca di facebook, la mia vita potrebbe sembrare una barzelletta, ma la cosa di cui voglio parlare per certo è di tutte le persone che ho incontrato negli ultimi anni, in particolare dei ragazzi con cui ho avuto a che fare. 

Indipendentemente da quanto una ragazza, una donna, si faccia forza e talvolta si imponga anche di andare dritta per la sua strada senza lasciarsi influenzare dal ragazzo/ uomo di turno, ci sarà sempre quella parte di noi più o meno grande che cede e che ha ceduto in passato (non neghiamolo), anche solo nel pensiero.

Di persone, da quando ho capito che guardare Dawson’s creek in televisione e fantasticare nella mia stanza non mi bastava più, ne ho incontrate un po’ e il mio intento è proprio quello di scrivere tutto questo per far capire a voi che non siete sole in queste esperienze più o meno belle, più o meno travolgenti, più o meno gratificanti, più o meno significative.

Eh sì, perchè ne ho incontrate parecchie di persone. Alcuni sono diventati fidanzati, alcuni mi hanno fatto realizzare quanto fossi rincoglionita, altri mi hanno fatto capire cosa significa amare veramente e altri sono stati anche dei coglioni sebbene fossero delle bravissime persone (sì, è possibile essere una brava persona ma comportarsi da coglione allo stesso tempo).

Se avete letto l’introduzione credo che abbiate cominciato a capire con chi avete a che fare e su che livello (di disagio) ci muoveremo tra un capitolo e l’altro). Il mio principe azzurro tredicenne che a stento mi rivolgeva la parola tra i corridoi della scuola (media) non mi guardava nemmeno praticamente e mi aveva anche detto che non gli piacevo.

Sarà stato forse anche complice questo equivoco episodio che ha coinvolto anche la Telecom? 

Non ricordo come ma riuscii ad avere il suo numero di casa e un giorno le mie amiche mi convinsero a telefonare; nessuno rispose (evviva, pericolo scampato!) ma ovviamente la vita doveva farmi capire sin da subito chi comandava: i suoi genitori telefonarono a casa mia perchè avevano un cazzo di registratore che ti permetteva di recuperare le chiamate perse e non conoscevano il mio numero. Che forse questo ingenuo tentativo di stalking abbia spaventato il piccolo figlio dell’estate? CHI PUÒ DIRLO.

Pensavo che la mia vendetta sarebbe arrivata, mio caro fake Dawson. Eccome se sarebbe arrivata.

Naturalmente non l’ho mai più visto in vita mia e non è arrivata nessuna vendetta. La velocità con cui la tua testa parte per la tangente con un ragazzino grassottello, con i capelli alla Dawson pieni di gel e l’apparecchio ortodontico, che non ti considera minimamente, è la stessa con cui te lo dimentichi appena cambi scuola.

Chiediamoci un’altra cosa: dov’ero e com’ero io nel frattempo? Non avevo ancora scoperto l’uso della piastra per capelli, li portavo spinosi e con una fila centrale che pareva un’autostrada, avevo acne e apparecchio per i denti anche io e mi ero fissata con un ombretto che si chiamava “polvere di luce” che tentavo di indossare appena potevo - anche a scuola - e che era composto da due colori estremamente sobri: bianco perlato glitterato e azzurro cenerentola.

Dovevo capirlo che non sarebbe stato facile già da quei momenti.

Perché questa è solo la premessa di tutte queste pagine, un piccolo assaggio per farvi capire lo standard sul quale mi sarei mossa. Come dicevo, ci sono state storie più serie, storie meno serie, storie “non-storie”. Prendevi una tazza di tè e cominciate a leggere queste pagine, che non hanno l’obiettivo di dare nessun insegnamento (non sono nessuno per poter insegnare qualcosa), bensì hanno il solo ed unico scopo condividere delle esperienze che, nel bene o nel male, oggi mi hanno portato ad essere quella che sono, e della quale sono contentissima.

Facendo un rapido flash forward a dove sono oggi posso però solo dire che sono stra-felice di quello che sono riuscita a raggiungere, di come sono e di dove sono. So (finalmente) cosa voglio e le mie energie sono tutte votate al raggiungimento dei miei obiettivi personali e professionali.

“E allora perchè se sei contenta della vita che hai oggi ti metti a rivangare il passato in un libro?”

Beh, perchè certe volte ho avuto la sensazione di essere un po’ sola nel vivere determinate situazioni: guardandomi intorno ho avuto più volte l’impressione che fossi io l’unica ad essere incasinata e che per gli altri fosse tutto rosa e fiori. È stato solo parlando con altre persone che ho davvero realizzato quanto queste situazioni siano comuni anche tra ragazze che in comune hanno anche poco. Prendiamo queste righe come le parole e i fatti che un’amica incontrata al bar racconterebbe della propria vita; un modo per confrontarsi e per capire che in fondo quello che ci è capitato o che ci sta capitando è più frequente di quanto non sembri, che si tratti della storia più lunga della nostra vita o di storie di breve durata. O di situazioni che nemmeno possono essere definite “storie”.

Se anche solo una singola persona, leggendo queste pagine, dovesse pensare “cavolo questa storia somiglia un po’ alla mia!”, sentendosi capita e vedendo come in realtà questo sia più comune di quanto non si immagini e non sia poi la fine del mondo, vuol dire che queste pagine avranno giá assolto lo scopo per cui sono state create.

Credo fermamente, che ogni storia, ogni situazione, per quanto breve, sia in grado di insegnarci qualcosa. Per questo alla fine di ogni storia che mi accingo a raccontarvi (e nelle quali, come immagino abbiate capito, non vi è nulla di inventato) vorrei anche fornirvi una sintesi di cosa ho imparato da quella storia (sugli altri o su me stessa) e una piccola misurazione del livello di disagio relativo alla situazione che vi ho descritto. Disagio misurato in numero di “facepalm” (perchè è esattamente come ho reagito alla fine di alcune di queste storie).

Dal momento che siamo nell’era della semplificazione, della globalizzazione e della (presunta) ricerca dell’efficienza, sappiamo che, se non mettiamo degli acronimi per darci un tono ogni volta che facciamo un’analisi, abbiamo già perso in partenza.

Ed è per questo che un banalissimo facepalm non è sufficiente per l’analisi antropologica (sulla mia pelle) che questo libro si accinge a fornire. 

Per dare una (fintissima) parvenza scientifica a tutto ciò, il livello di disagio sarà misurato dal prestigiosissimo, rinomatissimo - e per nulla creato appositamente per questo libro - indice 

EDDAI (= Equivalente Del Disagio Affrontato Involontariamente) che può andare da 1 a 5.

 INDICE EDDAI = 1 → poco, pochissimo disagio

 INDICE EDDAI = 5 → incredibile, incommensurabile disagio


Sebbene “disagio” componga anche la password della rete WiFi di casa mia, nel mio piccolo spero di aver lasciato anche io qualcosa nel corso di queste esperienze, ma probabilmente non lo saprò mai con certezza. 


Ai posteri l’ardua sentenza.

   
 
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