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Autore: Shaara_2    03/01/2021    3 recensioni
Clementina è cresciuta con un lontano parente in un piccolo paese della Sardegna. A ventidue anni, finiti gli studi, sogna di rendersi indipendente e trovare finalmente la sua strada, ma la cattiva sorte che ha rovinato e ucciso sua madre e suo nonno sembra perseguitarla e lei sa di non potersi lasciare andare liberamente ai suoi sogni...
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4
 

Il palazzo dove avrei fatto il colloquio di lavoro era quantomeno curioso. Sembrava un prefabbricato degli anni ottanta, immerso nel traffico cittadino tra le mura Aureliane e un bellissimo quartiere dai grandi palazzi stuccati. L’ingresso era modesto. Da un lato c’era una portineria con dei tornelli che impedivano l’accesso diretto agli uffici. I toni del blu e del rosso davano un tocco di colore agli arredi e ai poster appesi alle pareti. Una musica allegra faceva da sottofondo al chiacchiericcio di numerosi gruppi di persone che sostavano nello spiazzo esterno o nell’androne prima dei tornelli. Un via vai di profumi e persone entravano e uscivano dalle porte scorrevoli e io, un po’ spaesata, rimasi per un attimo a guardare accanto all’ingresso. Una hostess mi venne incontro. 

“Posso aiutarla?”

“Sono qui per un colloquio di lavoro”

“Bene, è nel posto giusto! Mi segua, la accompagno al piano delle Risorse Umane.”

Prima di salire in ascensore, la donna fece un cenno e un gruppetto di ragazzi si avvicinò per ascoltare le sue istruzioni. 

Per la prima volta avrei fatto un colloquio attinente ai miei studi. Ero veramente carica! Non potevo assolutamente perdere quell’occasione se non volevo finire a fare la perpetua(2) a zio Antonio o, peggio ancora, la badante a tutte le vecchiette del mio paesino di campagna. No, sarei stata assunta e chissà se avrei sentito la nostalgia del profumo degli agrumi in primavera o se avrei rimpianto il periodo della vendemmia, i piedi sporchi e l’odore del mosto. Ma non avevo studiato ingegneria per fare la contadina. No, avevo dei sogni e se fossi stata attenta, grazie al mio impegno, avrei trovato un lavoro dignitoso. Quello era il mio unico scopo o almeno era quello che mi dicevo.

“Nervosa?”

L’hostess sorrise e un riga di sudore mi scivolò lungo la schiena.

“Oh, sì, parecchio!”

Quando l’ascensore si aprì ci trovammo davanti ad una grande sala con delle sedie di legno, le pareti di vetro e numerose luci artificiali nascoste tra i pannelli del soffitto. Quella stanza era tutto ciò che mi separava dal mio destino. Peccato per l’attesa che sembrava prospettarsi.

“Ci sarà da attendere un po’...” mi disse l’hostess, abbozzando sorriso.

“Aspetterò...”  

Poi, notai una sedia vuota e con un salto mi lanciai per afferrarla. Un brusio non troppo contenuto e un denso odore umano si sollevò tutto intorno. Gli ascensori salivano e scendevano. Profumi e parole si accalcavano, occupando ogni spazio. Un po’ annoiata adocchiai una macchinetta di vivande, pensando di prendere da bere.

“Mi terresti la sedia?” domandai al ragazzo seduto accanto e lui, sventolandosi con un foglio, mi rispose:

“Per li pescetti, se te la tengo!”

Dopo due ore avevo individuato la stanza dove avvenivano i colloqui e la donna, che di tanto in tanto si affacciava per chiamare le persone, non mi sembrò poi così cattiva come inizialmente avevano detto i primi intervistati. Aveva i ricci scuri, il naso aquilino, un tailleur beige e delle bellissime decoltè tacco dodici. E la voce non era così stridula come diceva il ragazzo di colore che continuava a sudare nella sedia accanto.

Un’altra mezza minerale e, dopo tre ore, l’odore e la calca superavano la mia sopportazione.

“Tu in che cosa sei laureata?” Mi chiese il ragazzo di colore, asciugandosi la fronte.

“Ingegneria, e tu?”

“Sei fortunata, perché stanno cercando dei tecnici.”

Sollevai un sopracciglio, ingoiai un altro sorso d’acqua, e gli sorrisi.

“Per li pescetti!” biascicò “Scusami, è che sono un po’ sofferente… il caldo è insopportabile e, con tutta questa gente, l’aria condizionata è come se non ci fosse!”

“Già...” risposi, senza fargli notare che lo stavo studiando. Sembrava un tipo affabile, di pelle scura, grassoccio, vestito con una camicia bianca e un pantalone di lino blu che sembrava scoppiargli addosso.

“Per li pescetti, vedi? Sono nervoso.” Si asciugò la fronte con un fazzoletto e mi porse una mano. “Piacere, mi chiamo Girolamo, ma gli amici mi chiamano Ciccio.”

“Piacere, mi chiamo Clementina” allungai una mano felice di parlare con qualcuno.

“Per li pescetti! Scusa la distrazione, sono laureato in lettere. Sembro rintronato, non è vero? È che tra caldo ed emozione non riesco più a contenermi!”

Sorrisi, cercando di sembrargli comprensiva. “In lettere?”

“Sì, e speriamo che abbiano bisogno di scrittori perché è l’unica cosa che so fare… se dovessero farmi anche solo una domanda di matematica...”

“Non sapevo che alla Com cercassero scrittori…”

“Infatti, non li stanno cercando… però io cercherò di commuoverli… So fare anche le facce buffe, sai? Per li pescetti, se so fare le facce buffe!”

Lo guardai divertita e lui fece una faccia così comica che mi strappò una risata. Vidi le persone che affollavano la stanza girarsi nella nostra direzione e sollevai le spalle.

Dopo quattro ore d’attesa la camicia bianca di Ciccio era appiccicata al suo busto, mettendo in evidenza i chili di troppo, mentre io avevo bevuto così tanto che cominciavo ad avere esigenze diverse dell'ammazzare il tempo.

“Senti” dissi sottovoce. “Sai dov’è il bagno?”

Ciccio mi indicò un corridoio dietro al vetro trasparente.

“Lì, mi pare. Ma, fai attenzione, questo posto sembra un labirinto.”

“Tienimi il posto, sto tornando. E chiamami se senti il cognome Loi, va bene?”

“Per li pescetti se lo farò! Mi sentiranno urlare per tutto il palazzo”

Risi, prendendo le bottiglie che avevo scolato, e mi avviai per il corridoio. Ormai avevo la vescica satura e quando vidi il bagno, capii che avevo già aspettato troppo per alzarmi.

“Mi sto pisciando…”

Purtroppo, quando aprii la porta del bagno, la donna delle pulizie, con una smorfia, mi fece capire che non era il caso di restare e mi avviai più avanti.

Con le gambe traballanti fermai una signora molto elegante che camminava a passo svelto in direzione opposta.

“Scusi, saprebbe dirmi dov’è il bagno?”

“Là!” disse la donna, indicando un angolo in fondo al corridoio. Comunque, se è proprio urgente, dopo la curva ci sono le scale e anche al piano di sopra ci sono altri bagni. Però, attenzione, oggi c’è il Consiglio d’Amministrazione e ci sarà un po’ di movimento, meglio stare alla larga dalla sala riunioni.

“Oh, perfetto, grazie delle spiegazioni!” 

La ringraziai, accelerando il passo, potevo resistere ancora per poco. 

“Mi seu piscendi...”

A gambe strette mi avviai per un corridoio tutto uguale, bianco, spoglio, con delle porte rosse. Unico dettaglio un cartoncino appeso ad un lato di ogni porta, con i nomi dei dipendenti incorniciati. Pensai che se mi fossi persa non avrei mai ritrovato la strada in un ambiente così impersonale e, per non sbagliarmi, contai le porte che mi separavano dal primo bagno.

“Mi seu piscendi!” (3)

Arrivai dietro l’angolo stringendo i denti. Superai una fotocopiatrice e mi gettai verso la scritta “Donne” ma, quando aprii l’antibagno, trovai un cartello davanti ad ogni porta: “Guasto - guasto - guasto”

“Non è possibile! Mi seu piscendi!” (3) esclamai stremata e, come una pazza, mi gettai per le scale. Camminare era diventato impossibile e, solo facendo training autogeno, arrivai all’ultimo gradino. 

“Mi seu piscendi, mi seu piscendi...” (3) 

In quel momento si aprirono tutti gli ascensori e un gruppo di camerieri invase l’androne con vivande e carrelli. L’odore di sugo e crostata di mele mi arrivò sotto il naso. 

“Qualcuno sta per mangiare” pensai e incuriosita e rimasi immobile ad osservare i numerosi vassoio passarmi davanti.

Un certo languore mi ricordò che non mangiavo dalle sei del mattino e con l'acquolina alla gola seguii con lo sguardo i camerieri muoversi in fila indiana verso un corridoio stretto. 

“Mi sto pisciando…”

Solo quando si allontanarono mi venne in mente che se mi avessero preceduto avrei dovuto aspettare che passasse tutta quella processione prima arrivare alla toilette. A quell’idea mi misi a correre e, con uno slalom degno di un corridore professionista, zigzagai tra i carrelli lanciandomi verso l’angolo opposto. Ero talmente allo stremo delle mie possibilità che, senza volerlo, andai addosso ad una signora con un tailleur beige e dei bellissimi tacchi dodici che, nell’impatto, fecero un balzo fino ai tramezzini al prosciutto. Lei però non cadde subito ma, dopo tre giri su se stessa, mi scivolò addosso. 

“Mi seu piscendi” sussurrai a denti stretti.

Sbattemmo così forte che ruzzolai per terra mentre lei si sfracellò contro i carrelli, facendo piovere una minestra rossa e densa contro le pareti, sui suoi ricci neri, sui camerieri, e sull’abito chiaro che si chiazzò diventando più simile al mantello di un giaguaro.

La donna cominciò ad urlare inferocita e quando con un fazzoletto si tolse il sugo dalla faccia riconobbi il naso aquilino e la donna dell’ufficio assunzioni. 

“Porca paletta!” gridai e, nel tentare di darmela a gambe, girai l’angolo del corridoio a tutta velocità. 

“Toilette Donne” la scritta mi apparve come un miraggio, così mi affrettai a raggiungere il bagno prima di farmela sotto ma, proprio in quel momento, si aprì una porta e un centinaio di persone in abito blu si riversarono nel corridoio, parlando animatamente in numerose lingue straniere e costringendomi a retrocedere verso la donna che ancora gridava come una pazza!

“Se ti prendo di scotenno! Tu, qui, hai chiuso! C-h-i-u-s-o! Capito?”

Quella voce stridula mi terrorizzò fino alle ossa o forse era la voglia di andare al bagno, ma di certo fu la disperazione a costringermi a prendere a colpi di tacchi i passanti in modo da riuscire ad arrivare alla meta. Gli eleganti signori si spostavano gemendo e sollevando i piedi, la donna urlava, i camerieri cercavano di pulire e io, ormai a carponi, cercavo ancora di raggiungere la toilette. Sgattaiolai piano piano da sotto un carrello ma, prima di riuscire ad aprire la porta che bramavo, la collana che portavo al collo si incastrò sul bottone di una giacca da uomo, facendomi fermare.

Un giovane mi afferrò per un braccio.

“Che diavolo stai combinando?”

Aveva i capelli scuri, uno sguardo maligno e il sorriso di un uomo che non si era mai divertito tanto in vita sua.

“La ragazza del taxi!” disse sottovoce e io sbiancai nel riconoscere il giovane che mi aveva aiutato poche ore prima.

 

Note:

(2) La perpetua è una donna, nubile, che serve il sacerdote, in genere come domestica. Questo nome venne esteso alle donne di servizio che restavano presso le famiglie per cui lavarovano per tutta la vita. Oggi questa denominazione è in disuso, ma resta nota la sua figura.

(3) “Mi seu piscendi!”: “Mi seu” in dialetto campidanese si può tradurre come: “mi sto”, piscendi non merita traduzione :-)


Angolo dell'autrice:

Grazie infinite a chi sta leggendo questa storia a chi l'ha aggiunta tra le preferite o seguite e anche a chi è capitato qui per sbaglio. Non so ancora se vale veramente la pena di scriverla o se è talmente banale da meritare l'autocombustione... Io ci provo... per ora senza revisione...
Se vi capita di passare di qua, e vi sembra il momento giusto, fatemi sapere che cosa ne pensate ;-)
Baci galattici e un po' sardi per tutti!
Shaara

   
 
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