Questa storia mi vagava per la mente già
prima delle vacanze di Natale e
avrebbe dovuta essere scritta, appunto, per Natale. Ma, come avete
visto dal
mio tempismo nello scrivere i prompt per un evento che si tiene a ottobre, capirete che non potevo fare
altro che scrivere la storia, e postarla, dopo Capodanno. È
più forte di me.
… Stupido neurone fanwriter.
Occhio
ti vede
“Adesso ti dico cosa puoi fare,
Franklin”. Emanuel non aveva bisogno di
alzare la voce per farsi sentire da Franklin. Sapeva che non era molto
lontano
e, nel silenzio della notte, le sue parole si sentivano molto
chiaramente. “Puoi
uscire dal tuo nascondiglio con le tue gambe oppure continuare a
giocare a
nascondino. Ma quando ti troverò potresti pentirti di non
avermi ascoltato”.
Franklin
non sapeva cosa fare, ma
certo non aveva intenzione di avere a che fare con Emanuel. Nascosto
nel retro
del Pavo, si chiedeva perché Emanuel sembrava tanto
arrabbiato con lui. Non
aveva senso, l’unica relazione che aveva con lui erano le
ordinazioni al locale
ed era sicuro di non averne sbagliata nessuna, ma allora
perché..!?
“Sai che non puoi nasconderti da me. Io vedo
tutto.” Emanuel avanzava piano
e sicuro nella sala deserta ma caotica. Si dovevano ancora allestire
gli
addobbi natalizi, sparsi disordinatamente per la stanza. Se Franklin
avesse
avuto la pazienza di tirarli fuori in un secondo momento, avrebbe avuto
l’aiuto
degli altri; tirandoli fuori alla fine del turno serale, invece, aveva
tardato
molto e solo per avere scatoloni sparsi nel locale. Mattew, unico
rimasto oltre
a Franklin per fare chiusura, era stato categorico nel non voler
aiutare il
collega a mettere a posto ma gli aveva intimato di sistemare entro
l’indomani o
Thomas non ne sarebbe stato affatto contento.
Franklin, rimasto solo a portare nel retro gli
scatoloni (Mordecai
sarebbe stato un po’ strettino il giorno seguente ma sarebbe
stata una
situazione temporanea) aveva visto dalla finestra Emanuel avvicinarsi
al locale
con lo sguardo più truce che gli era mai capitato di vedere.
Il suo sesto senso
gli diceva di tagliare la corda in fretta, fuggendo dalla porta sul
retro. Fece
per aprire ma vide, davanti ad essa, due signorine calacas. Non poteva
farsi
vedere da loro: avrebbero sicuramente avvertito il loro padrone della
sua fuga
e, una volta tramutato in tacchino, non sarebbe corso molto lontano. Si
rassegnò a nascondersi dietro uno degli armadi, con
l’assurda speranza di poter
evitare l’inevitabile (e le parole del moro non avevano fatto
altro che gettare
benzina sul fuoco della sua ansia: l’oscura
divinità era lì per lui!).
La
porta della stanza si aprì
lentamente. Nel silenzio, il lieve scricchiolio apparve ancor
più sinistro alle
orecchie del povero ragazzo. Non venne accesa la luce e la sagoma scura
di
Emanuel che entrava nella stanza apparve spaventosa.
“Voglio solo
parlare con te! Non ti faccio nulla,
per ora”.
Il tono con cui erano pronunciate risultava però piuttosto
funereo e
minaccioso, cosa che fece rannicchiare Franklin alla parete,
trattenendo il
respiro, pregando chissà quale benevola divinità
di poter diventare piccolo
piccolo. Ecco, in quel momento non gli sarebbe dispiaciuto se la
maledizione di
Itlazcoliuhqui-Ixquimilli lo avesse trasformato in un piccolo insetto
che
avrebbe senza dubbio potuto battere in ritirata nel modo più
discreto
possibile…
Emanuel
si avviò verso la porta
di ingresso ma arrestò il passo per pochi secondi, come
fosse in ascolto di
qualcosa (forse sentiva il cuore di Franklin battergli furiosamente nel
petto?)
e Franklin non poté trattenere un grido disperato quando,
con passo repentino,
il ragazzo cambiò la direzione e si precipitò
verso il nascondiglio di
Franklin, intrappolandolo.
“AAAAAHHHH-
” Franklin sentì una
mano di Emanuel stringersi attorno alla sua gola che gli
strozzò il grido; lo vide
alzare l’altra mano, da cui stava nascendo una luce azzurra
sul palmo della
mano. La luce azzurra finalmente rischiarì il buio, fino a
quel momento
tagliato dalla luce proveniente dalla porta, ancora aperta, da cui era
entrato
il moro, e creava un gioco di ombre che rendevano terrificante
l’espressione di
Emanuel anche senza la necessità di trasmutare nel suo
aspetto divino.
“Ti
ricordavo meno pavido,
Tlaloc. Cinquecento anni di umanità ti hanno forse
rammollito?” chiese Emanuel
con severità.
“VATTENEEEEE!”
stridette Franklin in tutta
risposta con la poca aria che la presa salda di Emanuel gli consentiva,
piangendo come un bambino.
“Nel
caso ti fosse sfuggito…
non sei nella posizione per darmi ordini…” e
guardò con schifo malcelato le sue
lacrime. L’antica divinità della pioggia aveva
passato secoli a ottenere le
lacrime dei fanciulli come tributo, ed ora era ridotto così?
“Dai, non
piangere, sii uomo…” indicò con la
mano rivestita di luce verso la finestra da cui una delle calaca
osservava
intensamente la scena.
“Ti
do un consiglio per la
prossima partita a nascondino: quando ti nascondi almeno non metterti
davanti
alla finestra. Quello che vedono loro, lo vedo
anch’io” puntò nuovamente la
mano verso Franklin “E non è la sola cosa che ho
visto oggi” avvicinò le labbra
all’orecchio di Franklin.
“Tu.
Non. Legherai. Mordecai. A.
Una. Slitta.” Franklin strabuzzò gli occhi. Ecco,
quella era decisamente una
cosa che Emanuel non avrebbe potuto sapere, se Franklin non avesse
rivelato a
Mordecai la sua grande idea proprio nella veranda del locale dove
sostava una
calaca apparentemente intenta a fissare il vuoto.
L’evento
natalizio al Pavo si
sarebbe tenuto la settimana successiva e Franklin aveva chiesto tutto
entusiasta a Mordecai se non trovava una magnifica idea trainare una
finta
slitta di Babbo Natale per qualche metro, ovviamente nella sua forma di
daino,
che era così simile a una renna! Mordecai era ammutolito per
lo shock, Thomas
avrebbe voluto recuperare una pala per scavarsi la fossa in cui
sprofondare,
Mattie aveva effettivamente tirato fuori una pala gridando insulti,
Alyson,
Valiant e Aindreas si erano trincerati dietro a un “no
comment” e la storia era
finita con Franklin che prometteva che non si sarebbe arreso
finchè Mordecai
non gli avesse detto di sì.
“Ripeti
cosa devi fare” disse
Emanuel, facendolo tornare alla realtà; la luce aveva nel
frattempo assunto la
forma di una freccia, la cui punta si trovava troppo
vicina alla sua carotide. “Tu. Non.
Legherai. Mordecai. A. Una. Slitta.”
“T-tu..
n-non legherai…” balbettò
senza pensare il povero Franklin.
“Ti
sei anche rimbecillito,
Tlaloc!?” . Era possibile ruggire pur tenendo il tono di voce
basso? Perché la
voce di Emanuel, mentre alludeva al “rammollito” di
qualche minuto prima, aveva
proprio assunto la vibrazione di un ruggito, pur continuando a
mantenere le
labbra a pochi centimetri dal suo orecchio.
“IO
non legherò Mordecai a una
slitta! Lo giuro, lo giuro!” piagnucolò convinto
Franklin.
Emanuel
fece un passo indietro,
liberando dalla sua presa il ragazzo tremante e allontanando
definitivamente la
punta della freccia da esso. Si avviò verso la porta, non
senza prima avergli
lanciato uno sguardo di pura severità ad ammonirlo di fare
esattamente come
aveva detto, o la sua vendetta sarebbe stata indimenticabile.
Franklin
avrebbe davvero voluto
scappare subito a casa da Thomas. L’idea di restare da solo
nel locale (le
calacas continuavano ad osservarlo imperterrite dalla finestra) lo
atterriva e,
piuttosto, avrebbe lasciato Mattie a gridare il giorno successivo,
quando
avrebbe constatato che non solo gli scatoloni erano rimasti nella sala
ma che
le luci erano rimaste accese e le porte erano rimaste aperte. Il
giovane si
impose una calma che non provava veramente: sì, era un
rammollito, sì, era uno
stupido ma no, non avrebbe coinvolto Thomas. Franklin aveva suscitato
la
collera di Emanuel e condividere questa informazione con Thomas avrebbe
avuto
come conseguenza quello di spaventare anche lui, e questo non era
disposto ad
accettarlo.
Spente
le luci e chiuso per bene
il locale, si avviò a passo di tacchino verso casa, per la
prima volta con fare
guardingo. C’era un’altra questione che lo
impensieriva… All’apertura del Pavo
del Corral, Thomas era stato chiaro: non c’era nulla di male
a festeggiare
eventi come il Natale, la Pasqua o la Festa del Ringraziamento ma non
tutti, ad
Esqueleto, avevano la stessa sensibilità in materia, ed era
esattamente quella diversa
sensibilità a dirottare diversi abitanti verso il Laberinto
quando c’erano le
serate a tema al Pavo. Quelle erano le festività di coloro
che avevano
annientato il popolo che adorava le divinità azteche,
condannandole a loro
volta all’oblio, e Thomas e Franklin avevano optato per
spogliare tali festività
di ogni connotazione religiosa o lesiva della dignità dei
nativi americani. Di
conseguenza, il Ringraziamento era diventato una mera occasione per
ballare e
banchettare col tacchino mentre il Natale era sentito tanto quanto un
Natale
vissuto in Giappone: solo lucine colorate e scambi di regali. Franklin
non
aveva visto nulla di male a chiedere a Mordecai di interpretare
Rudolph, la
renna dal naso rosso a capo della slitta, più profano di
così! Ma aveva
sbagliato clamorosamente i conti.
Emanuel
non era tipo da vivere la
vita cittadina, e sarebbe stato illogico pensare il contrario essendo uno dei carcerieri, ma una cosa
l’aveva
capita anche uno stupido come lui: il moro era uno di quelli che
trovava
irritante quel genere di festività. Tuttavia aveva lasciato
gli abitanti liberi
di vivere come volevano, e certo non aveva mai interferito con le
iniziative
del Pavo, almeno fino a quando Franklin non aveva coinvolto Mordecai
nell’irritante
festività. Itlazcoliuhqui-Ixquimilli
era davvero così preso da Quetzalcoatl da non ammettere
neppure di vederlo “umiliato”
in una tradizione natalizia?
“Franklin!
Ma ti sembra questa l’ora
di tornare a casa? Franklin non aveva neppure realizzato di essere
giunto a
casa e Thomas, sotto forma di alce, lo stava aspettando
all’ingresso. “Stavo iniziando
a preoccuparmi” aggiunse spostandosi per lasciar entrare il
compagno ma,
vedendolo insolitamente privo della consueta energia, la preoccupazione
aveva cominciato
effettivamente a crescere.
“Franklin,
cosa è successo?”
“Ecco,
temo che Mattie si
arrabbierà parecchio domattina, ho lasciato tutti gli
scatoloni alla rinfusa
nel salone” balbettò Franklin cercando
disperatamente di imitare il solito sé.
“Nessun
problema, vorrà dire che
domattina arriverai prima”
“Oh
no!”
“E
ti darò una mano, così
finiremo prima e faremo colazione direttamente lì”
“Oh
sì!”
“…”
“…”
“Thomas…”
“Sì?”
“Coccole”
esclamò arruffando le
piume (e nascondendo l’espressione potenzialmente traditrice)
contro la zampa
dell’alce.
***
“Sai, Tlaloc, in fin dei conti sono
convinta che attirare l’attenzione
o conquistare l’amore di un dio non porti quasi mai a niente
di buono”.
All’epoca,
la divinità della
pioggia aveva preso parecchio sottogamba le parole dette con noncuranza
da quella
che era stata una semplice serva nel Mitclan: lui, all’epoca,
non aveva conosciuto
Nanauatzin
(conoscerlo, amarlo, per poi
perderlo sarebbe stato dilaniante), senza contare che la servetta aveva
avuto
le sue ragioni personali per parlare così.
Adesso
aveva realizzato che Itlazcoliuhqui-Ixquimilli era davvero così preso da
Quetzalcoatl al
punto non solo da cacciare tutti in quella gabbia chiamata Esqueleto,
ma pure
da minacciare la gente per inezie. Adesso, quelle lontane parole dette
in tono
del tutto casuale avevano assunto, nella mente di Franklin, tutta la
forza di
un pessimo, pessimo, pessimo presagio.