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Autore: adrienne riordan    04/01/2021    0 recensioni
[La calaca de azùcar]
La vita a Esqueleto sembra tranquilla ma non lo è affatto. A farne le spese saranno i suoi abitanti, quelli nuovi, quelli vecchi e... quelli antichi.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia mi vagava per la mente già prima delle vacanze di Natale e avrebbe dovuta essere scritta, appunto, per Natale. Ma, come avete visto dal mio tempismo nello scrivere i prompt per un evento che si tiene a ottobre, capirete che non potevo fare altro che scrivere la storia, e postarla, dopo Capodanno. È più forte di me.

… Stupido neurone fanwriter.

 

Occhio ti vede

 

“Adesso ti dico cosa puoi fare, Franklin”. Emanuel non aveva bisogno di alzare la voce per farsi sentire da Franklin. Sapeva che non era molto lontano e, nel silenzio della notte, le sue parole si sentivano molto chiaramente. “Puoi uscire dal tuo nascondiglio con le tue gambe oppure continuare a giocare a nascondino. Ma quando ti troverò potresti pentirti di non avermi ascoltato”.

Franklin non sapeva cosa fare, ma certo non aveva intenzione di avere a che fare con Emanuel. Nascosto nel retro del Pavo, si chiedeva perché Emanuel sembrava tanto arrabbiato con lui. Non aveva senso, l’unica relazione che aveva con lui erano le ordinazioni al locale ed era sicuro di non averne sbagliata nessuna, ma allora perché..!?

“Sai che non puoi nasconderti da me. Io vedo tutto.” Emanuel avanzava piano e sicuro nella sala deserta ma caotica. Si dovevano ancora allestire gli addobbi natalizi, sparsi disordinatamente per la stanza. Se Franklin avesse avuto la pazienza di tirarli fuori in un secondo momento, avrebbe avuto l’aiuto degli altri; tirandoli fuori alla fine del turno serale, invece, aveva tardato molto e solo per avere scatoloni sparsi nel locale. Mattew, unico rimasto oltre a Franklin per fare chiusura, era stato categorico nel non voler aiutare il collega a mettere a posto ma gli aveva intimato di sistemare entro l’indomani o Thomas non ne sarebbe stato affatto contento.

Franklin, rimasto solo a portare nel retro gli scatoloni (Mordecai sarebbe stato un po’ strettino il giorno seguente ma sarebbe stata una situazione temporanea) aveva visto dalla finestra Emanuel avvicinarsi al locale con lo sguardo più truce che gli era mai capitato di vedere. Il suo sesto senso gli diceva di tagliare la corda in fretta, fuggendo dalla porta sul retro. Fece per aprire ma vide, davanti ad essa, due signorine calacas. Non poteva farsi vedere da loro: avrebbero sicuramente avvertito il loro padrone della sua fuga e, una volta tramutato in tacchino, non sarebbe corso molto lontano. Si rassegnò a nascondersi dietro uno degli armadi, con l’assurda speranza di poter evitare l’inevitabile (e le parole del moro non avevano fatto altro che gettare benzina sul fuoco della sua ansia: l’oscura divinità era lì per lui!).

La porta della stanza si aprì lentamente. Nel silenzio, il lieve scricchiolio apparve ancor più sinistro alle orecchie del povero ragazzo. Non venne accesa la luce e la sagoma scura di Emanuel che entrava nella stanza apparve spaventosa.

 “Voglio solo parlare con te! Non ti faccio nulla, per ora. Il tono con cui erano pronunciate risultava però piuttosto funereo e minaccioso, cosa che fece rannicchiare Franklin alla parete, trattenendo il respiro, pregando chissà quale benevola divinità di poter diventare piccolo piccolo. Ecco, in quel momento non gli sarebbe dispiaciuto se la maledizione di Itlazcoliuhqui-Ixquimilli lo avesse trasformato in un piccolo insetto che avrebbe senza dubbio potuto battere in ritirata nel modo più discreto possibile…

Emanuel si avviò verso la porta di ingresso ma arrestò il passo per pochi secondi, come fosse in ascolto di qualcosa (forse sentiva il cuore di Franklin battergli furiosamente nel petto?) e Franklin non poté trattenere un grido disperato quando, con passo repentino, il ragazzo cambiò la direzione e si precipitò verso il nascondiglio di Franklin, intrappolandolo.

“AAAAAHHHH- ” Franklin sentì una mano di Emanuel stringersi attorno alla sua gola che gli strozzò il grido; lo vide alzare l’altra mano, da cui stava nascendo una luce azzurra sul palmo della mano. La luce azzurra finalmente rischiarì il buio, fino a quel momento tagliato dalla luce proveniente dalla porta, ancora aperta, da cui era entrato il moro, e creava un gioco di ombre che rendevano terrificante l’espressione di Emanuel anche senza la necessità di trasmutare nel suo aspetto divino.

“Ti ricordavo meno pavido, Tlaloc. Cinquecento anni di umanità ti hanno forse rammollito?” chiese Emanuel con severità.

 “VATTENEEEEE!” stridette Franklin in tutta risposta con la poca aria che la presa salda di Emanuel gli consentiva, piangendo come un bambino.

“Nel caso ti fosse sfuggito… non sei nella posizione per darmi ordini…” e guardò con schifo malcelato le sue lacrime. L’antica divinità della pioggia aveva passato secoli a ottenere le lacrime dei fanciulli come tributo, ed ora era ridotto così?

 “Dai, non piangere, sii uomo…” indicò con la mano rivestita di luce verso la finestra da cui una delle calaca osservava intensamente la scena.

“Ti do un consiglio per la prossima partita a nascondino: quando ti nascondi almeno non metterti davanti alla finestra. Quello che vedono loro, lo vedo anch’io” puntò nuovamente la mano verso Franklin “E non è la sola cosa che ho visto oggi” avvicinò le labbra all’orecchio di Franklin.

“Tu. Non. Legherai. Mordecai. A. Una. Slitta.” Franklin strabuzzò gli occhi. Ecco, quella era decisamente una cosa che Emanuel non avrebbe potuto sapere, se Franklin non avesse rivelato a Mordecai la sua grande idea proprio nella veranda del locale dove sostava una calaca apparentemente intenta a fissare il vuoto.

L’evento natalizio al Pavo si sarebbe tenuto la settimana successiva e Franklin aveva chiesto tutto entusiasta a Mordecai se non trovava una magnifica idea trainare una finta slitta di Babbo Natale per qualche metro, ovviamente nella sua forma di daino, che era così simile a una renna! Mordecai era ammutolito per lo shock, Thomas avrebbe voluto recuperare una pala per scavarsi la fossa in cui sprofondare, Mattie aveva effettivamente tirato fuori una pala gridando insulti, Alyson, Valiant e Aindreas si erano trincerati dietro a un “no comment” e la storia era finita con Franklin che prometteva che non si sarebbe arreso finchè Mordecai non gli avesse detto di sì.

“Ripeti cosa devi fare” disse Emanuel, facendolo tornare alla realtà; la luce aveva nel frattempo assunto la forma di una freccia, la cui punta si trovava troppo vicina alla sua carotide. “Tu. Non. Legherai. Mordecai. A. Una. Slitta.

“T-tu.. n-non legherai…” balbettò senza pensare il povero Franklin.

“Ti sei anche rimbecillito, Tlaloc!?” . Era possibile ruggire pur tenendo il tono di voce basso? Perché la voce di Emanuel, mentre alludeva al “rammollito” di qualche minuto prima, aveva proprio assunto la vibrazione di un ruggito, pur continuando a mantenere le labbra a pochi centimetri dal suo orecchio.

“IO non legherò Mordecai a una slitta! Lo giuro, lo giuro!” piagnucolò convinto Franklin.

Emanuel fece un passo indietro, liberando dalla sua presa il ragazzo tremante e allontanando definitivamente la punta della freccia da esso. Si avviò verso la porta, non senza prima avergli lanciato uno sguardo di pura severità ad ammonirlo di fare esattamente come aveva detto, o la sua vendetta sarebbe stata indimenticabile.

Franklin avrebbe davvero voluto scappare subito a casa da Thomas. L’idea di restare da solo nel locale (le calacas continuavano ad osservarlo imperterrite dalla finestra) lo atterriva e, piuttosto, avrebbe lasciato Mattie a gridare il giorno successivo, quando avrebbe constatato che non solo gli scatoloni erano rimasti nella sala ma che le luci erano rimaste accese e le porte erano rimaste aperte. Il giovane si impose una calma che non provava veramente: sì, era un rammollito, sì, era uno stupido ma no, non avrebbe coinvolto Thomas. Franklin aveva suscitato la collera di Emanuel e condividere questa informazione con Thomas avrebbe avuto come conseguenza quello di spaventare anche lui, e questo non era disposto ad accettarlo.

Spente le luci e chiuso per bene il locale, si avviò a passo di tacchino verso casa, per la prima volta con fare guardingo. C’era un’altra questione che lo impensieriva… All’apertura del Pavo del Corral, Thomas era stato chiaro: non c’era nulla di male a festeggiare eventi come il Natale, la Pasqua o la Festa del Ringraziamento ma non tutti, ad Esqueleto, avevano la stessa sensibilità in materia, ed era esattamente quella diversa sensibilità a dirottare diversi abitanti verso il Laberinto quando c’erano le serate a tema al Pavo. Quelle erano le festività di coloro che avevano annientato il popolo che adorava le divinità azteche, condannandole a loro volta all’oblio, e Thomas e Franklin avevano optato per spogliare tali festività di ogni connotazione religiosa o lesiva della dignità dei nativi americani. Di conseguenza, il Ringraziamento era diventato una mera occasione per ballare e banchettare col tacchino mentre il Natale era sentito tanto quanto un Natale vissuto in Giappone: solo lucine colorate e scambi di regali. Franklin non aveva visto nulla di male a chiedere a Mordecai di interpretare Rudolph, la renna dal naso rosso a capo della slitta, più profano di così! Ma aveva sbagliato clamorosamente i conti.

Emanuel non era tipo da vivere la vita cittadina, e sarebbe stato illogico pensare il contrario essendo uno dei carcerieri, ma una cosa l’aveva capita anche uno stupido come lui: il moro era uno di quelli che trovava irritante quel genere di festività. Tuttavia aveva lasciato gli abitanti liberi di vivere come volevano, e certo non aveva mai interferito con le iniziative del Pavo, almeno fino a quando Franklin non aveva coinvolto Mordecai nell’irritante festività. Itlazcoliuhqui-Ixquimilli era davvero così preso da Quetzalcoatl da non ammettere neppure di vederlo “umiliato” in una tradizione natalizia?

“Franklin! Ma ti sembra questa l’ora di tornare a casa? Franklin non aveva neppure realizzato di essere giunto a casa e Thomas, sotto forma di alce, lo stava aspettando all’ingresso. “Stavo iniziando a preoccuparmi” aggiunse spostandosi per lasciar entrare il compagno ma, vedendolo insolitamente privo della consueta energia, la preoccupazione aveva cominciato effettivamente a crescere.

“Franklin, cosa è successo?”

“Ecco, temo che Mattie si arrabbierà parecchio domattina, ho lasciato tutti gli scatoloni alla rinfusa nel salone” balbettò Franklin cercando disperatamente di imitare il solito sé.

“Nessun problema, vorrà dire che domattina arriverai prima”

“Oh no!”

“E ti darò una mano, così finiremo prima e faremo colazione direttamente lì”

“Oh sì!”

“…”

“…”

“Thomas…”

“Sì?”

“Coccole” esclamò arruffando le piume (e nascondendo l’espressione potenzialmente traditrice) contro la zampa dell’alce.

 

***

“Sai, Tlaloc, in fin dei conti sono convinta che attirare l’attenzione o conquistare l’amore di un dio non porti quasi mai a niente di buono”.

All’epoca, la divinità della pioggia aveva preso parecchio sottogamba le parole dette con noncuranza da quella che era stata una semplice serva nel Mitclan: lui, all’epoca, non aveva conosciuto Nanauatzin (conoscerlo, amarlo, per poi perderlo sarebbe stato dilaniante), senza contare che la servetta aveva avuto le sue ragioni personali per parlare così.

Adesso aveva realizzato che Itlazcoliuhqui-Ixquimilli era davvero così preso da Quetzalcoatl al punto non solo da cacciare tutti in quella gabbia chiamata Esqueleto, ma pure da minacciare la gente per inezie. Adesso, quelle lontane parole dette in tono del tutto casuale avevano assunto, nella mente di Franklin, tutta la forza di un pessimo, pessimo, pessimo presagio.

  
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