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Autore: Genziana_91    06/01/2021    5 recensioni
Quando un giovane finisce per caso su uno strampalato sito archeologico, Villa Eleni e i suoi abitanti diventano il fulcro di un gomitolo di intrighi e di una misteriosa sparizione.
Genere: Commedia, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. San Damiano
Arrivai a San Damiano che non doveva esser più tardi delle cinque del lunedì dopo il fatidico messaggio, riempiendomi i polmoni di aria vera. Avevo viaggiato dalla stazione più vicina su un autobus che aveva visto epoche migliori per una strada tutta curve e tornanti, con il rischio costante di rivedere il tramezzino prosciutto e maionese di qualche ora prima. Mettere i piedi sul suolo fermo mi fece sentire una persona nuova, ma soprattutto con tutti i pezzi al posto giusto. Era nuvoloso e una leggera pioggerellina aleggiava, indecisa se concedersi il lusso di gocce vere e proprie o se limitarsi ad una pacata nebbia. Doveva andare avanti così da un po’ perché le grondaie degli edifici in pietra del villaggio gocciolavano. Arrancai dunque con il mio zaino per la salita di acciottolato che portava all’antico borgo di San Damiano, piccolo e arroccato tra possenti mura medievali in cima ad un colle, circondato da boschi, rocce ed occasionali capre. Il paese sembrava deserto, se non per qualche sbuffo di fumo da un paio di comignoli. Percorsi gli ultimi metri a passo svelto, rincuorato all’idea di una coperta calda e una bella tisana prima di iniziare la mia personalissima avventura.

Un campanellino alla porta annunciò il mio arrivo nell’ostello e dopo pochi istanti si affacciò una signora sulla quarantina, infagottata in un pile rosso passato di moda dall’ultima glaciazione e con l’espressione di chi era molto preso a non fare nulla. Le diedi il mio nome, lei lo cancellò da un’agenda di tre anni fa e poi si mise a frugare in un mobiletto alla ricerca della chiave. Guardai l’orologio in stile “cucina di campagna anni ‘90” e mi resi conto che erano già le sette e un quarto.
“Mi scusi, quell’orologio segna l’ora giusta?” chiesi timidamente e un po’ allarmato.
Lei interruppe un momento la sua laboriosa ricerca, guardò me, guardò l’orologio e scrollò le spalle con aria sorpresa e perplessa: “E’ importante?”.

Mi resi conto che no, non lo era. Per niente.

Guadagnate le chiavi mi gettai senza ritegno tra le calde braccia del letto e spensi la luce, lasciandomi cullare per qualche istante dai rumori del luogo, dal sottile e impercettibile gocciolare della pioggia e dai lontani richiami del bosco, là fuori da qualche parte. Mi sentivo sollevato, come se mi avessero tolto un grosso peso da dosso, ma al  contempo spaesato dall’improvviso cambio di prospettiva. Mi accorsi che non riuscivo a sentire da nessuna parte il ticchettio di un orologio e che la luce che filtrava dalla mia finestra era il pallido riflesso della nebbia.

A San Damiano la modernità aveva fallito nell’imporre la sua tirannia.

Decisi di prolungare il mio soggiorno all’ostello per altri tre giorni, in cui mi proponevo di esplorare i dintorni e riprendere l’allenamento (e il fiato!) che evidentemente avevo perso in quegli anni dietro una scrivania. La salita di San Damiano aveva stroncato il mio orgoglio, ma mi aveva ricordato un’importante lezione di viaggio: la preparazione è tutto. Così mi misi sul primo sentiero che trovai e mi lasciai guidare tra le valli e le rocce di quel luogo un po’ fuori dal tempo. Non incontrai tracce umane in nessuno dei miei giri, se non un tipo sulla cinquantina e in maniche di camicia che saliva su per i tornanti diretto chi sa dove con un pick-up di un colore indefinito tra il kaki e il topo tiberino. Non sono sicuro che quel colore avesse un nome. Comunque, il tizio non mi degnò di uno sguardo e io continuai a girovagare. In una delle mie peregrinazioni mi ritrovai a vagare tra gli alti rami di rosa canina che aveva da poco messo i frutti. Una nuvola di bacche rosse mi accolse e rimasi incantato a guardarle per un tempo indefinito ma decisamente lungo. Quel frutto così autunnale, in piena estate mi stupì e per un po’ mi disorientò. Il tempo stesso in quei giorni prese una piega strana e irreale: il mio cervello non riusciva a calcolarlo correttamente e le ore passavano velocissime mentre i minuti sembravano non finire mai. Il mio frenetico orologio biologico da uomo di città era impazzito del tutto.
   
 
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