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Autore: Vincentpoe    09/01/2021    2 recensioni
La guerra tra la Redania e l'impero di Nilfgaard ha devastato il Velen, e migliaia di persone si sono ritrovate ad essere arruolate nell'una o nell'altra fazione. Con il rischio di morire ogni singolo giorno, molti soldati disertavano, alcuni perché volevano tornare dalle loro famiglie, altri per scopi meno nobili. Il racconto parla di un disertore, che attraversa un Velen devastato dalla guerra e dai mostri per ricongiungersi con sua moglie e sua figlia. Non è Geralt di Rivia, non è Ciri, è semplicemente un uomo, come me e voi, che ha tutto da perdere.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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C’è mancato un pelo.
I soldati nilfgardiani mi stavano per impiccare, ma il boia deve aver sbagliato a stringere il laccio, perché mi sono risvegliato poco fa a terra, a boccheggiare con il collo che mi faceva male, ma vivo. Se questo è l’aldila, allora puzza come il Velen e fa schifo come il Velen. Mi sono nascosto nel foltobosco a riposare, e quando caleranno le tenebre  mi rimetterò in viaggio verso casa, da Annie, mia moglie. Stringo tra le mani la sua lettera, che profumava  del grano appena falciato del mio campo; è stata quella lettera che mi ha convito a lasciare il fronte Nilfgardiano la scorsa notte, insieme a due miei compagni. Ci è bastato chiedere il turno al fronte orientale, dove stavano scavando il fossato, e nascondere alcune provviste sotto le palizzate. Eravamo in tre a fuggire quella notte, io, Vendrik e Gartier:  Vendrik venne trascinato in fondo alle paludi due ore dopo la nostra fuga dai drowner, ho cercato di salvarlo, mozzando con un colpo di spada la testa di uno di quei necrofagi, m fuggì quando vidi l’acquitrino tingersi del sangue di un uomo che conoscevo fin dall’infanzia. Gartier invece lo uccisero sul posto i nilfgardiani, con un dardo di balestra dietro la schiena, mentre tentava di scappare.
Valiamo cosi poco per i nostri regnanti? Nillfgad, Temeria, Redania, a nessuno importa delle vedove costrette alla prostituzione per sopravvivere, o dei nostri figli, che se non vengono ammazzati dai soldati ci pensano i mostri, che adesso imperversano  nei boschi, crogiolandosi delle carne dei cadaveri. No, non mi importa chi sarà il regnante di questo sputo di terra dimenticato dagli Dei, mia figlia non crescerà senza un padre. Ripenso a lei, cosi simile alla mia Annie, con i capelli rossi presi da mia moglie, se non fosse che mia moglie ha una grossa voglia sul collo, la prima cosa che notai quando mi innamorai di lei; ormai era più di un anno che mancavo da casa Calano le tenebre, mi rimetto in cammino, evitando la strada principale, e attraversando il bosco, con l’orecchio sempre vigile, per carpire qualsiasi rumore. I soldati si possono affrontare, o almeno perire provandoci, ma i mostri?´ghoul, spettri, nekker, creature da incubo si nascondono in ogni angolo oscuro, e con alcuni di questi una spada può ben poco. Arrivo ad un piccolo villaggio, mi sembra Glensdale, anche se fatico a riconoscerla: l’ultima volta che ero stato in questo villaggio, si svolgeva la festa del raccolto, la taverna era decorata di fiori appena colti, scorrevano fiumi di birra e c’era cibo in abbondanza, ovunque si rideva e si ballava fino a crollare esausti. Era sei anni fa; adesso la palizzata che circondava il villaggio era stata rinforzata con cataste di legna, barili, carri in disuso e pezzi di barca, sulla strada non passava anima viva, e le uniche presenze viventi, a parte qualche guardia, erano i mendicanti o i rifugiati che dormivano in giacigli di fortuna ricoperti di escrementi e fango. Potrei passare da sotto la palizzata, ma sarei troppo sospetto; mi conviene passare per le strade del villaggio, nascondendo bene il mio volto sotto il cappuccio. Cammino veloce, diritto, guardando on la coda nell’occhio se qualcuno mi stesse notando, per fortuna no. Sono quasi arrivato alla fine del sentiero, quando ecco che sento uno scalpitare di zoccoli. Dannazione, era quasi fatta, cerco di appiattirmi contro il muro di una casa per non farmi vedere, e guardo con la coda nell’occhio chi sono i cavalieri, ma non c’è nessuno. Strano. Non posso essermelo immaginato, li sentivo, ma ora sento la temperatura farsi più fredda, l’acqua dei secchi  e delle pozzanghere congelare in un attimo. Alzo lo sguardo e li vedo…. O dei! Non è possibile, pensavo fossero solo delle leggende. Cavalieri neri su destrieri infernali cavalcavano a mezz’aria scendendo sul villaggio…. La Caccia Selvaggia!. Corro, senza voltarmi, verso l’altro cancello, mentre intorno a me si scatena il putiferio. Gente che fugge in preda al panico, altre persone che si rinchiudono in casa e pregano, madri che pur di fuggire abbandonano i propri bambini, che vengono calpestati dagli zoccoli dei cavalieri, squartati da segugi mostruosi o ghermiti da mani rivestite di ferro nero. Continuo a correre, vedo con la coda nell’occhio uno di quei mastini mostruosi corrermi a fianco mi butto nei cespugli, poco avanti a me una ragazza sta fuggendo, inciampa cade, mentre i cavalieri neri si stanno avvicinando, non posso lasciarla lì, la faccio rialzare e corro tenendola per il braccio, ma lei scappa, in preda al panico, impazzita dal terrore. Corre verso il sentiero, lo attraversa, sta per buttarsi tra gli alberi, quando una sciabola le trapassa il ventre, uccidendola. Mi butto, nei cespugli, coprendomi la bocca, sento il rumore di stivali metallici che calcano il terreno passarmi vicinissimo. Passano interminabili momenti in cui trattengo il fiato, senza emettere un suono, quando finalmente il cavaliere se ne va. Aspetto un po’ prima di rialzarmi, per rimettermi in cammino.
 Ritorna il giorno, non posso restare così scoperto, devo trovare un posto dove nascondermi. Trovo una vecchia capanna in rovina, non sembra esserci nessuno, entro, mi guardo bene intorno e tengo il coltello stretto in mano. C’è un piccolo focolare, con le ceneri tiepide, accanto una stanza, ascolto se ci sia qualcuno dentro, è tutto silenzioso, entro, e rimango orripilato dal macabro spettacolo. Nella terra, ci sono due corpi, sul pavimento c’è una bambina, avrà sui cinque o sei anni piena di lividi e con il volto bluastro, dalla testa esce del sangue, sul letto c’è una ragazza, avrà sui diciannove anni, la camicetta è stata strappata, mostrando i seni, sulle labbra c’è un livido gonfio, e intorno al collo si vedono le impronte violacee di due mani, le guance sono ancora rosse. Sento un rumore  dietro di me, mi volto e con il coltellaccio riesco a parare il colpo di un manganello. L’uomo che mi ritrovo davanti ha la barba incolta e il viso scavato dalle privazioni indossa un paio di mutandoni umidi, e una malconcia giubba di cuoio dell’esercito temeriano. Urla , comincia a colpirmi compulsivamente, indietreggio, e riguardo i corpi della ragazza e della bambina.
Potevano essere mia moglie e mia figlia…
Qualcosa dentro di me scatta, una furia incontrollabile mi pervade, vedo rosso
-POTEVANO ESSERE MIA MOGLIE E MIA FIGLIA!- urlo. Afferro una brocca e la disintegro sul volto del disertore, comincio a tempestarlo di pugni, sento le mie nocche umide di sangue, gli prendo la testa e comincio a sbatterla contro la parete, urlando. Ripeto quella frase molte volte, sento le ossa  del suo volto spezzarsi, e continuo a ripetere quella frase, mi fermo solo quando il muro prende un colore scarlatto, lascio andare l’uomo, che cade sul fianco privo di vita come una bambola di pezza, mi rannicchio sul muro e comincio a piangere. Ripenso alla mia casa sulla collina, ai capelli ramati di mia moglie, a mia figlia che gioca nei campi, ripenso ai tempi in cui ero felice, prima che la guerra distruggesse tutto. Sto rannicchiato per parecchio tempo, giocherellando convulsamente al buio con la mia fede di ferro, con una pietra di salgemma, Ripenso a quando feci fare queste due fedi dal fabbro, in cambio di un sacco di mele. il metallo l’avevo preso da un ferro di cavallo, e la salgemma l’avevo raccolta da una vecchia cava abbandonata. Sto a ripensare a quei momenti finché non mi faccio coraggio, e mi rialzo. Non ho tempo per seppellire i corpi, e i necrofagi potrebbero scavare e divorarli. Prendo il corpo della bambina, lo adagio accanto a quello della ragazza, e faccio in modo che la circondi con le braccia, come se dormissero un sonno sereno. Porto fuori il corpo del brigante, e lo lascio a terra; avrebbero potuto mangiarlo anche i cani, per quel che mi riguardava. Dò fuoco alla baracca, faccio una preghiera agli Dei e mi rimetto i  cammino. Passano giorni, in cui viaggio solo di notte, attraverso i boschi, alle volte anche allungando il mio cammino, tra vecchi sentieri di caccia e piste di animali, mi nutro di bacche acerbe e mi disseto con l’acqua delle pozzanghere;  una mattina vedo un bambino raccogliere funghi, e mi avvicino, volendo chiedere se potesse indicarmi quali fossero commestibili, ma quello fugge terrorizzato appena mi vede, del resto, ero sporco, trasandato e con addosso una giubba dell’ esercito, cosa mi aspettavo? Una notte sento il rumore di una battaglia provenire dalle colline, cerco di allontanarmi il più possibile, e da lontano vedo gli stemmi del Sole in campo nero e dei colori di Skellige. Strano, non sapevo che i guerrieri delle isole fossero giunti sul continente, per aiutare Re Radovid forse. Mi allontano, continuo a camminare nella foresta, vedo la collina sopra la quale è costruita la mia fattoria. Mi dirigo in quella direzione ormai convinto di essere arrivato, quando sento un ringhio provenire dalle mie spalle. Mi giro, vedo un grosso cane nero, con le orecchie e la coda tagliata ringhiarmi contro, resto immobile e a bassa voce cerco di calmarlo, mentre il mio piede arranca a trovare dietro di me nel trovare terreno. Il cane fa parte all’inseguimento, mi volto e comincio a correre fuori dal bosco, ma il cane si fa sempre più vicino, fa un balzo e mi atterra, mia azzanna un polpaccio, e comincia tirarmi indietro. Sento le sue zanne affondarmi nella carne, e inizio a scalciare, alla fine riesco a liberarmi, arrivo fuori dalla foresta, casa mia è neanche ad un miglio, a dividermi c’è solo una scarpata, dietro di me c’è la mia fine. Prendo coraggio e rotolo giù dalla scarpata, urtando rocce e ferendomi con gli arbusti, il cane non mi segue. Ormai era  fatta. Cammino zoppicando verso casa mia, pensando a quando avrei riabbracciato mia moglie e mia figlia: avrei dato fuoco all’uniforme, mi sarei tagliato un dito per non tornare al fronte, non mi importava, avrei fatto qualunque cosa per stare con la mia famiglia. Varco il cancello, spaventando gli animali, evidentemente sono molto brutto, o molto puzzolente, prendo dei fiori dal giardino per non presentarmi a mani vuote, e apro la porta di casa.
Quello che vidi mi impietrì.
Vicino al focolare c’è mia moglie, la riconosco per i capelli ramati che le scendevano lungo la schiena, uno scialle ad avvolgerle il collo, era stretta  tra le braccia di un uomo, biondo, dagli occhi azzurri, più giovane di me, si stanno baciando . Si accorgono di me e mi guardano terrorizzati, Annie è ancora più bella di quanto mi ricordassi; vedo le vesti ricoprire una grossa curva sul suo ventre.
Di nuovo, vengo travolto da quell’ira irrefrenabile, un impulso selvaggio e sanguinario. Prendo un coltello dal tavolo e mi lancio contro l’uomo, lui afferra un’ascia per difendersi. E’ giovane e forte, ma non  è un soldato, non ha mai combattuto, non ha mai ucciso. Paro con un braccio l’ascia, e li pianto il coltello nel collo, una volta, poi due, poi tre, gli squarcio la gola e lo lascio annegare a terra in  una pozza di sangue. Mi rivolgo verso Annie, la rabbia non mi fa ragionare. Ho rischiato di essere impiccato, ho attraversato l’Inferno per tornare da lei, e la scopro incinta e tra le braccia di una altro uomo! Non riesco a controllarmi, i miei nervi cedono definitivamente, non sono più un essere umano, sono una bestia primitiva preda dell’ira; mi avvento su di lei, lei urla, le premo una mano contro la gola, e affondo il coltello nel suo petto. Lei cade a terra, cerca di urlare ma la mia mano glielo impedisce, lotta per liberarsi, le cade lo scialle, e io continuo ad affondare la lama, vedo i suoi occhi pieni di paura e le guance rigate dalle lacrime, ma continuo, in preda alla furia cieca. Mi rendo conto di quello che ho fatto solo quando i suoi occhi verdi si spengono. Lascio il coltello, indietreggio, guardandomi le mani sudice di fango e sangue. Guardo lei, immobile, sembra che dorma, guardo i suoi capelli ramati tinti di sangue, il suo collo bianco…
Annie aveva una voglia sul collo.
La porta alla mia destra si apre, esce una signora anziana, dai capelli argentati, si appoggia ad un bastone, guarda l’orribile spettacolo di cui io ero stato autore e lancia un grido, il suo sguardo si ferma su di me, smette di gridare, è totalmente paralizzata, poi crolla sulle ginocchia, lasciando cadere il bastone a terra, e infine crolla sul fianco. La afferro e la tengo tra le braccia, lei boccheggia, gli occhi sono pieni di lacrime, avvicina la mano verso il mio volto e mormora :
-non è possibile…sei…-
Sussurra il mio nome, è l’ultima cosa che dice, poi i muscoli si rilassano e gli occhi si spengono,, la testa si gira, mostrando una voglia sul collo; la sua mano cade, gliela prendo, sul suo anulare c’è un anello di ferro, con una pietra di salgemma. Resto paralizzato, il mio cervello cerca di dare un significato a tutto ciò. Con la coda nell’occhio vedo un movimento nella stanza dal quale era uscita la vecchia. Lancio un urlo di terrore quando vedo una creatura accovacciata dietro un mobile, con poche ciocche di capelli sporchi che ricadono sul viso, la pelle raggrinzita e di un verde marcescente, ricoperta di fango, la testa inclinata di lato, il collo di un colore violaceo e gli occhi vacui e opachi, mi fissa mostrando le zanne, ma non si muove...
Corsi per tutta la notte, urlando e maledicendo gli Dei, corsi nel cuore nella palude, fino a quando non trovai una caverna. Ci entrai dentro, e mi infilai in profondità nelle viscere della Terra, lontano dalla luce. Nella mia mente era ancora stampata come un marchio a fuoco i fatti di quel giorno. Non ho più cognizione del tempo, e tutto sta diventando sfocato; chi ero io? Ripeto i nomi di mia moglie e di mia figlia incessantemente, iniziò a scriverlo sulle pareti della caverna con le unghie, sforzandomi di non dimenticarli, mentre non riuscirò mai a dimenticare ciò che ho fatto quel giorno, come non riuscirò mai a dimenticare ciò che vidi in quella stanza.
Il mio riflesso in uno specchio, mentre sorreggevo mia moglie.
   
 
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