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Autore: Shaara_2    10/01/2021    4 recensioni
Clementina è cresciuta con un lontano parente in un piccolo paese della Sardegna. A ventidue anni, finiti gli studi, sogna di rendersi indipendente e trovare finalmente la sua strada, ma la cattiva sorte che ha rovinato e ucciso sua madre e suo nonno sembra perseguitarla e lei sa di non potersi lasciare andare liberamente ai suoi sogni...
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5


“Che cosa ci fai qui?” mi disse tra i denti. “Non dirmi che ti sei cacciata in un altro guaio?”

Solo in quel momento mi accorsi di quanto l’uomo in abito scuro fosse alto, giovane e attraente. Sarà stato circa un metro e ottanta, un’età che poteva andare dai venticinque ai trent’anni, i capelli scuri, gli occhi verdi, la figura magra e slanciata e un sorriso talmente maligno da farmi impallidire con uno solo sguardo.

“Io-io... stavo cercando un bagno”

“Sei qui per andare in bagno?”

“No” scossi la testa. “Sono qui per un colloquio”

Delle urla si elevarono sul fitto chiacchiericcio dei presenti. 

“Dov’è quella scelerata che ha combinato questo scempio?”

La donna con la quale mi ero scontrata urlava a più non posso, cercandomi come un’indemoniata in mezzo a quel via vai di persone. Il rumore di stoviglie si fece più forte e una folla di eleganti uomini d’affari si avviò verso al rinfresco che era stato allestito accanto alla sala riunioni, nonostante il mio disastroso intervento. Una ventata di profumi e voci virili mi circondarono in un istante.

“Dove ti nascondi?” Urlò ancora la donna, ripulendo il tailleur con un fazzoletto sporco e facendosi strada tra ridolini e smorfie di disapprovazione dei presenti. Non potevo fare altro che nascondermi sperando di non essere notata. Per sfuggire alla sua vista mi abbassai, cominciando a tremare come una foglia. Ero talmente sconvolta che per poco non svenni dal terrore.

“Che cosa stai facendo?” disse il giovane in abito scuro mentre mi chinavo per passare in mezzo alle sue gambe o meglio quella era la mia intenzione, ma chissà lui che cosa pensò…  visto il sorriso malizioso che aveva sul volto.

“Allora?” mi disse, ridacchiando e tirandomi su per un braccio.  E sarà stato per la confusione o forse perché non sapevo più che cosa fare che presi la lettera dalla borsa e la misi in faccia al mio giovane inquisitore.

“Vede? Ho una lettera da presentare per il colloquio!”

La prese dalle mie mani, restando attonito per qualche secondo. Poi, dopo avermi guardata più volte, si mise a leggere l’intestazione:

“All’attenzione dell’Onorevole Alfonso Amat, Marchese di San Filippo, Marchese di San Maurizio, ecc.”

Aprì la busta e cominciò a fissare il foglio con occhi sgranati. Per un istante alzò lo sguardo, scuotendo la testa come se fosse incredulo, incurvò le sopracciglia, poi girò la busta, riprendendo a leggere a voce alta:

“Mittente: Donna Elita Carmen Josefa Osorio, Marchesa di Quirra, Baronessa di Uras ecc.

Sospirò, cercando di mantenere un certo controllo, e riprese a studiarmi con attenzione.

“Sei sua parente? La marchesa non farebbe mai niente per una persona per così dire…”

“Per così dire?” Provai un certo moto di rabbia nel percepire la sua allusione al mio status non proprio di alto livello.

“Normale” aggiunse lui, corrucciando la bocca in una smorfia di cinismo “È cosa nota a tutti che Donna Elita non degni della sua considerazione nessuno a meno che non sia un suo parente o di nobile origine. Quindi tu...”

“Io?” Portai le mani avanti “Io, no, non sono niente. Solo un’orfana… Però, ho lavorato per lei questa estate.”

Mi sentii a disagio nel dover esporre delle parti così private della mia vita, tantopiù che il giovane in abito scuro non aveva smesso di tenermi per un braccio e, se quello non fosse bastato a farmi agitare, continuava a fissarmi come se gli fosse venuto in mente qualcosa di urgente che lo portò a stringermi ancora più forte e trascinarmi dentro all’ascensore.

“Mi scusi, si è accorto di aver aperto la mia lettera? Come farò a mostrarla già aperta?” Provai a replicare, sentendomi smarrita ma lui, ignorando totalmente le mie lamentele, cliccò il tasto per chiudere le porte.

A mia discolpa posso dire che era vero che ero stordita, che me la stavo facendo sotto e non avevo ancora raggiunto un bagno, che avevo combinato un casino al piano di sopra, che avevo raccontato parte della mia vita ad uno sconosciuto, ed era vero anche che, come diceva zio Antonio, ero una facile preda per iene affamate e uomini senza scrupoli, ma farmi rubare la lettera di raccomandazione per il mio primo colloquio di lavoro, mi sembrò davvero troppo. Persino per una ragazza ingenua e stupida come me. Mai come allora mi sentii così fragile. Come avevo potuto lasciarmi raggirare in quel modo? Fidarmi di estraneo, poi... Come avevo fatto a non infuriarmi e a reagire, mentre lui la leggeva? Ero proprio un’idiota! Forse aveva ragione zio Antonio nel vedere un diavolo in ogni essere vivente di sesso maschile e io ero solo una bambina che si buttava addosso al primo mascalzone che cercava di fregarla. Ma non gliel’avrei fatta passare liscia a quel tizio. Forse ero veramente una piccola provinciale che non aveva mai lasciato la campagna, ma quanto a lingua e battibecchi non mi avrebbe battuto nessuno. Mi alzai sulle punte dei piedi per cercare di raggiungere i suoi occhi e fargli sentire la mie ragioni con uno sguardo infuriato.

“Ora, lei mi rende la mia lettera!” 

Alzai le mani per prendere la busta, ma lui, con fare goliardico, la sollevò oltre alla mia portata. Avrei voluto strozzarlo...

“Taci e fai fare a me…”

Fissai le sue labbra incurvate in un ghigno divertito, lui se ne accorse e allargò il sorriso. Una strana sensazione mi percorse nel sentirmi non del tutto indifferente al suo fascino e un'insolita paura attanagliò i miei pensieri.

“Devi fidarti” sussurrò, posando le labbra dietro al mio orecchio. Ebbi un sussulto a quello strano contatto e lo guardai di traverso. Forse non ero solo ingenua come cappuccetto rosso nella foresta, peggio, in qualche modo, mi ero affidata al lupo. Dovevo reagire immediatamente.

“Lei non farà un bel niente! E si sposti! Non mi tocchi, ha capito? E mi renda la lettera! Perché...  perché ride?”

“Da quando si va ad un colloquio di lavoro vestita per un funerale?”

Notai che gli brillavano gli occhi e che si tratteneva a stento dal lasciarsi andare ad una fragorosa risata. Questo mi fece imbufalire fuori misura, anche se, a dire la verità, avevo solo dato retta ad Antonio nel scegliere l'abbigliamento per l’occasione. 

“Mi raccomando: accollata e pudica” erano state la sue parole e io gli avevo dato retta. Sentendomi ridicola agli occhi di quello sconosciuto mi guardai nello specchio, ma il mio tailleur classico, a gonna lunga, nero, abbinato con la maglietta color fumo, non mi stava tanto male. Se, poi, fossi stata ad un funerale sarebbe stato perfetto, ma forse lì...

Quando l’ascensore si aprì mi ritrovai nel piano dove si tenevano i colloqui, notai subito i colori accesi dei presenti. Era estate e faceva caldo e nessuno sembrava vestito di nero, oltre a me, ovviamente. Chissà perché non l’avevo notato prima… Poi, con stupore, mi accorsi degli sguardi increduli che ci stavano scrutando e, cercando di mostrare indifferenza, levai le mani che tenevo strette sul collo del giovane per cercare di riprendere la lettera (o forse volevo strozzarlo) e lui, sempre ridendo, si ricompose.

“Non è come sembra…” provai a balbettare, ma il mio viso prese fuoco per la vergogna.

Un silenzio glaciale interruppe il brusio di fondo e, facendo finta di sistemare la gonna, uscii a testa alta dall’ascensore.

Ingoiai la saliva e strinsi le gambe, cercando di non pensare alle pulsazioni che la mia vescica faceva arrivare fino alla gola. Forse stavo per esplodere. Forse l’avrei fatta lì o peggio - mentre facevo il colloquio. Di fatto, un brivido freddo si aggiunse alla mia schiena sudata, alle gambe strette e i muscoli tesi per l’urgenza. 

Come se nulla fosse, il giovane dall’abito scuro mi trascinò fuori dall’ascensore, fendendo l’odore umano e il caldo infernale. Delle urla rimbombavano da un corridoio lontano. 

“Loi, dove sei? Loooooooi, ti hanno chiamata!”

Ciccio apparve più accaldato di quando l’avevo lasciato e la sua bocca era pallida e spalancata nel gridare il mio nome.

“Loiiiiii! Dove diavolo sei andata a fare pipì, in Tanzania?”

Con il viso paonazzo mi preparai per correre verso di lui, ma la stretta del mio tenace accompagnatore mi impedì di raggiungerlo.

“Lascia perdere e vieni con me.”

Chissà perché è impossibile accorgersi di avere davanti qualcuno di importante quando, proprio quel qualcuno, decide di darti attenzione. Forse perchè uno pensa che le persone importanti non ti degnino mai di uno sguardo. Però un dubbio mi sfiorò la mente quando vidi i numerosi aspiranti al colloquio farsi da parte. Cosa pensai, esattamente, non saprei dirlo. Osservavo tutto come al rallentatore: la gente che si faceva da parte per farci passare. I sorrisi maliziosi. Qualche occhiata di invidia. E un insopportabile brusio di sottofondo:

“Hai visto chi è?”

“Lo facevo più basso dalle foto sul giornale”

“E quella?”

“Non sarà mica la sua ragazza?”

Poi, ogni voce cominciò a vorticare nei miei pensieri come un’eco lontana. Come se ogni immagine non fosse altro che un frammento di una scena già vissuta: il giovane dall’abito scuro che apriva la porta dell’ufficio assunzioni. I dipendenti inebetiti davanti al suo ingresso. Le presentazioni ossequiose. Le strette di mano. Lui che andava via raccomandandomi ai presenti e, infine, le domande del colloquio… fu come un vortice di emozioni e sorrisi. Non pensavo che, anche stordita in quel modo, gli argomenti del mio corso di studi potessero fluire come un fiume in piena dalle mia labbra. Parlai ininterrottamente e senza confondermi nonostante l’ansia che provavo. Tutto accade come nei miei sogni più belli:

La commissione che discuteva estasiata:

“Quindi ti vedresti bene in un reparto di Engineering?”

“Perché non Innovation?”

“Ma che cosa state dicendo? Non avete sentito che competenze all’avanguardia? Non possiamo fare a meno di lei nel reparto di Automation!” 

Mi sembrò di vivere dentro una favola. Bellissimo! Fino a che non apparve lei: la donna bruna delle risorse umane. Con il tailleur macchiato di sugo, i capelli elettrici parzialmente incollati alla fronte, un tacco dodici spezzato e l’aria di chi sta per compiere una strage. La sua faccia trasfigurata mi squadrò incredula nel riconoscermi. Sembrava un drago pronto a sbranarmi. Ero finita!

“Tu!” 

Neanche in un film dell’orrore avevo sentito una voce tanto terrificante. E, se non fosse stata raggiunta da un collega che le disse qualcosa sottovoce, lasciandola pietrificata, sono certa che mi sarebbe saltata al collo. Lei, però, assunse un’espressione inquietante e preferii tacere.

“Tu!” ripeté la donna, sempre più livida dal furore.

“Dimmi: ti piace interloquire con le persone?”

“Interloquire?”

Quello fu tutto quello che mi ricordai mentre raccontavo gli avvenimenti della giornata alla Signora Greta che era venuta a prendermi con sua figlia.

“Mi sembra che il colloquio sia andato bene, non ti sembra?”

Mi disse con dolcezza, sporgendosi dal sedile passeggero della mini minor gialla di sua figlia.

“Non saprei, è il mio primo colloquio! Ma gli ingegneri della Com sembravano stupiti della mia tesi e anche molto interessati ad ascoltarmi.”

“Tuo zio ha sempre detto che sei una ragazza in gamba” aggiunse la signora Mancini.

La signora Mancini era una donna di mezza età, figlia della signora Ruda e madre della famosa Alina. Manuela Mancini era una donna magra, dall’aspetto materno e il sorriso sulle labbra. Non giovanissima, aveva sposato un capitano della Marina che stava spesso in missione all'estero. Un tipo molto vivace, a detta di zio Antonio, mentre lei, di carattere molto mite e gioviale, aveva preso casa a Roma, dove adesso viveva con la figlia nei mesi invernali, preferendo spostarsi in Sardegna o nella villa sul lago di Bracciano solo in estate quando il caldo rendeva la città un luogo insopportabile.

La donna, sentendo il mio silenzio, si girò per sorridermi e subito mi affrettai a risponderle.

“Una ragazza in gamba? Zio è sempre troppo buono.”

In quel momento passammo accanto ad un anfiteatro romano e con estrema meraviglia attacchi il viso sul vetro per non perdere neanche uno scorcio. La signora Ruda mi vide dallo specchietto retrovisore e aggiunse:

“Quello che Antonio non ci aveva detto è quanto tu fossi deliziosa e bella.”

“Bella? Io?”

Guardai il mio abito da lutto, domandandomi se mi stessero prendendo in giro.

“Sei veramente una splendida ragazza, mia cara” aggiunse la signora Mancini. “Inoltre, ti trovo incredibilmente somigliante a tua madre! Gli stessi capelli rossi, gli occhi azzurri.”

“Mia madre?”

“Oh! Sì, e se ti dovesse vedere adesso quel brutto ceffo del Sanjust penso che gli verrebbe un infarto!”

“Hai ragione! E se lo meriterebbe quel tipaccio!”

“Parlate di mio padre?” Mi aggrappai al sedile, cercando di mostrare un certo distacco. “Pazienza, per quell’uomo… io non ci penso più.”

“Puoi non pensarci, mia cara, ma resta tuo padre...” la signora Ruda mi fissò con aria seria. “Tu sei la sua unica figlia e, oltre ai suoi beni, un giorno, potresti ereditare anche il titolo nobiliare. Non credi che ti spetti di diritto?”

A quel punto scoppiai a ridere.

“Un titolo? Ma la nobiltà italiana non è stata dichiarata decaduta con la Repubblica?”

“La nobiltà Italiana, mia cara, ma molti titoli appartenenti alle grandi casate della Sardegna sono stati emanati dai regnanti spagnoli durante il loro dominio… e confermati nell'Elenco de Grandezas y Titulos Nobiliarios Espanoles fino ai giorni nostri…”

“Quindi, mio padre, sarebbe veramente un barone? Anche se non ho ben capito di quale nazione...”

La signora Ruda annuì con la testa.

“Signora, io non so cosa dire… ma, poi, in fondo, a che cosa può servire un titolo ai giorni nostri? Io non sono che una provinciale…”

“Non sottovalutare un titolo, anche se ti sembra obsoleto, ti darà accesso ad una discreta ricchezza e connessioni…”

Disse la signora Mancini.

“E le connessioni sono tutto ai giorni nostri, mia cara. Inoltre, non sottovalutare il fatto che apparterresti ad una delle famiglie che hanno fatto lo storia.” Prosegui la signora Ruda, fermandosi per un momento a pensare. “La famiglia Sanjust può vantare la sua ascendenza persino da Carlomagno! E devi considerare che una sola vita, mia cara, non è che un cerino che si spegne con la sua stessa fiamma. Ma appartenere ad una casata è qualcosa che trascende il tempo.”

Sua figlia si voltò a sorridermi, vedendomi assorta nei miei pensieri. 

“La bellezza che tu possiedi non è altro che il mezzo più usato per arrivare ad una di quelle famiglie, a quella ricchezza e connessioni… Ma tu immagina, bambina mia, di poter avere ogni cosa.”

Mi sorrise ancora una volta.

“È per tua madre, capisci?”

Disse ancora la signora Ruda.

La guardai attonita, non sapendo cosa rispondere. Antonio mi aveva abituato a pensare a me in modo umile e le mie uniche ambizioni erano quelle di poter vivere senza dover dipendere dalla benevolenza di altre persone. Sapevo della triste storia di mia madre, Antonio me ne aveva parlato. Mi aveva anche accennato delle ricchezze della mia famiglia paterna ma, poiché riteneva quell’uomo più pericoloso che utile, mi aveva pregato di dimenticarlo. Non avrei mai immaginato che in gran segreto, con il supporto delle sue vecchie amicizie, non avesse mai smesso di sperare in un mio riconoscimento legale. Ad ogni modo, non era un problema che mi opprimeva come quel certo bruciore che mi attanagliava da troppo tempo. Sentendo di nuovo le pulsazioni che dalla vescica mi stringevano la gola mi resi conto di non essere ancora riuscita ad andare in bagno. La mia ansia aumentò, trasformandosi in irrequietezza quando entrammo in galleria, al punto che la signora Ruda, fissandomi con aria allarmata, mi disse:

“Mia cara, ti vedo turbata, non volevamo farti agitare in questo modo…”

“Dimmi, tesoro” sussurrò con dolcezza la signora Mancini, accostando la macchina contro un marciapiede e girandosi a guardarmi con aria preoccupata. “Che cosa possiamo fare per farti di nuovo sorridere?”

Io fissai entrambe le donne e, arrossendo, mi aggrappai al sedile.

“Ecco… sapreste indicarmi un bagno? È urgente…”
 

 

Angolo dell'autrice:

Grazie infinite a chi sta leggendo questa storia e a chi è capitato qui per sbaglio. 
Se per caso vi avanza tempo, aggiungete questa storia tra quelle seguite, preferite o ricordate. Vi basterà cliccare sulle icone in alto a destra e il gioco è fatto. Per voi è solo un click, per me sarà un dono prezioso.
Un abbraccio a tutti <3
Shaara

Ps1: 
ho visto che riesco a scrivere uno o due capitoli a settimana, quindi, forse è più facile se ci diamo appuntamento. Ci vediamo tutti i mercoledì e la domenica dopo le 18. Se sarò troppo impegnata con il lavoro pubblicherò solo la domenica. Un'abbraccio e ci vediamo prestissimo!

Ps2: Carissimi lettori scusate se sto tardando a rispondere alle recensioni. Sto dando la priorità alle letture arretrate, ma presto sarò da voi.

 

   
 
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