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Autore: melianar    10/01/2021    2 recensioni
Essere figlia di Valeria Messalina non è facile, ed è qualcosa con cui Ottavia deve fare i conti per tutta la vita, tra voci di corte e ricordi non suoi.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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I.

 

A pranzo suo padre sembra confuso, beve e incespica nelle parole più del solito.

«Com’è che l’imperatrice oggi non ci degna della sua presenza?» domanda in un tono che a Ottavia sembra quello di Britannico quando i grandi non gli concedono quello che vuole.

Infatti Narciso e Pallante gli rivolgono lo stesso sorriso che riservano a Britannico, mentre sussurrano qualcosa che lei non capisce e non ha voglia di sentire.

Ottavia lo sa perché sua madre non viene a pranzo. La nutrice l’ha svegliata di notte per dirglielo.

Sua madre non verrà più a pranzo, né in nessun altro posto. Adesso è nei Campi Elisi, tra i prati di asfodeli che Ottavia non è proprio sicura di come siano fatti, ma non ha voluto chiederlo alla nutrice.

«Perché?» ha domandato soltanto.

«Perché lo ha ordinato tuo padre, piccola. Non si gioca col fuoco in eterno, prima o poi ci si brucia. E succede a tutti, sai, anche alle belle signore come tua madre. Se l’è cercata, poverina. Tu bada a non fare lo stesso, quando sarai cresciuta».

A non fare che cosa?

La domanda le è rimasta bloccata in gola, assieme a tante altre. Assieme alle lacrime.

Non è sicura se per sua madre si possa piangere, non si piange chi muore per volere del Cesare.

E adesso suo padre sta guardando proprio lei. Ha gli occhi lucidi, ma forse è colpa del vino. 

«Sei proprio bella, bambina mia» mormora. «Ottavia, rimani come sei. Non diventare come lei, non diventare come tua madre».

C’è qualcosa nella sua voce spezzata, nei suoi occhi. Ottavia non lo ha mai visto così triste.

Non le interessa più avere risposte, d’impulso gli tende le braccia.

«Non lo farò mai».

 

 

II.

 

«Ma tu ti ricordi com’era lei? Com’era veramente?»

La voce di Britannico è poco più di un sussurro, ma riesce a sovrastare il frastuono del banchetto nuziale che giunge fino alle loro stanze.

Ottavia sente mancarle il respiro, come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno viso.

La evocano il meno possibile e mai apertamente. E certo non c’era bisogno di farlo oggi che loro padre prende in sposa Giulia Agrippina.

Una nuova imperatrice, con tanto di figlio maschio da portare in dote, perché Britannico è figlio di una cagna e non si sa mai cosa potrebbe succedergli.

Sì, Ottavia ha imparato ad ascoltare. A restare in silenzio mentre servi, matrone e perfino senatori parlano della debolezza di suo padre e della lussuria di sua madre, come se lei non esistesse.

C’è un così grande potere nell’essere piccola, nell’essere femmina.

Britannico non ha quel potere. Davanti a lui le parole vengono pesate con cura, così come i sorrisi.

Per questo, anche se ha un anno più di lei, non ha paura di fare domande e ha quello sguardo vulnerabile e implorante mentre aspetta che lei gli risponda.

«No che non la ricordo. Cosa credi? Sono passati due anni!»

Di solito lui cede se usa quel tono tagliente, ma non oggi.

«Io invece la ricordo. Aveva gli occhi come i tuoi».

A Britannico scappa un sorriso. Come se le avesse fatto un complimento.

«Non aveva i miei occhi. Era una cagna. Non voglio parlarne più».

Solleva gli occhi a incontrare quelli del fratello, ma li distoglie subito.

Perché lo sguardo di Britannico adesso è così doloroso da sostenere?

 

 

III.

 

«Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia».

È strano pronunciare quella formula per il ragazzo che le è stato insegnato a considerare fratello.

Nessuno di quei brividi d’attesa di cui le ha parlato la nutrice: Ottavia si sente solo stanca e frastornata e non vede l’ora che le cerimonie finiscano per potersi ritirare nel conforto delle proprie stanze.

Nerone nasconde peggio di lei l’apatia, e anche quello che le sembra disappunto.

Ottavia osserva Agrippina sussurrargli qualcosa all’orecchio e il suo volto distendersi in un sorriso conciliante.

Lei non ha una madre che le sussurri consigli nel giorno delle nozze.

Il pensiero la coglie di sorpresa, e fa più male di quanto pensasse.

Solleva il mento e raddrizza la schiena.

Meglio senza madre che con una madre come la sua. Chissà quali consigli da prostituta le avrebbe rifilato.

Ottimi consigli per la rovina dell’impero.

«Quanto sei cresciuta in fretta, bambina mia! Pensare che solo ieri ti tenevo in braccio e la tua mamma mi guardava come una leonessa… Aveva paura che ti facessi cadere, con queste stupide braccia che mi ritrovo».

Ottavia sussulta. Da quanto tempo suo padre è lì, in piedi accanto a lei? E dire che con quella sua andatura assurda è difficile non notarlo.

Lo guarda e oggi le sembra più fragile, più vecchio, più stanco. Così diverso da come dovrebbe essere un Cesare.

Cerca qualcosa di giusto da dire, ma per una volta è lui quello più veloce.

«Le volevo bene, sai? Gliene ho voluto davvero. Le somigli così tanto… Spero tu abbia più fortuna».

No, no che non le somiglio. Ed è inutile che ti penta adesso, è morta perché l’hai ordinato tu.

Questo vorrebbe gridargli Ottavia. Invece abbassa gli occhi, sperando che lui non veda scendere le lacrime che ha trattenuto per anni.

 

 

IV.

 

«Insomma madre, non mi seccare. Cosa vuoi che faccia ancora?»

La voce di suo marito le arriva da così vicino che Ottavia per un attimo trattiene il respiro.

Ma non c’è nessuno, è solo un’illusione, un gioco di echi che forse nemmeno chi ha costruito i giardini imperiali conosce.

Lei sì, però. Quando erano piccoli lei e Britannico si lanciavano messaggi stando dalle parti opposte del grande parco… No, a Britannico non deve più pensare.

Dimenticare i morti, occuparsi dei vivi.

Se lo ripete spesso, ma non tutte le lezioni si imparano con la stessa facilità.

«Di lei non ti interessi mai. Non la rispetti. Da quanto tempo non dormite insieme?»

Adesso è la voce di Agrippina a riecheggiare e lo fa con quel tono tra il dolce e il pedante che riserva soltanto a suo figlio.

«Ottavia è mia moglie, ha tutti gli onori di un’imperatrice e tanto le deve bastare. Cos’è, adesso viene a piangere da te? A dire che io non la soddisfo? Be’, madre, sai che c’è? Se somigliasse solo un po’ a quella cagna di sua madre, allora sì che ci andrei a letto con lei! Invece è solo un pezzo di marmo. Che me ne faccio io di un pezzo di marmo?»

La risposta di Agrippina Ottavia non riesce a sentirla.

Brividi freddi le percorrono la schiena.

Se solo le somigliasse un po’.

Lei che si è sempre impegnata a essere la più buona. La più gentile, la più fedele.

Come si fa, madre, a essere simili a te? Come si fa a ridere come ridevi tu, dove si impara a provare quel piacere che ti travolgeva come un fuoco e che ti portava a cercarne ancora e ancora?

Ma le risposte sono solo tra i vivi, non sulle labbra gelide dei morti.

 

 

V.

 

«Non intendevo tradire la tua fiducia, Cesare, perdonami se puoi. Ma lei… be’, tu mi capisci, è la degna figlia di sua madre».

Dietro l’espressione contrita di Aniceto, Ottavia intravede il luccichio di una risata.

Certo, in fondo è una pantomima divertente, con un’attrice di tutto rispetto.

Lei che tiene sempre lo sguardo basso. Che non ha mai guardato in faccia un uomo che non appartenesse alla sua famiglia.

Ma adesso la accusano di adulterio perché bisogna liberarsi di lei, perché è facile gettare fango addosso alla figlia di Valeria Messalina.

Perché quella è l’accusa perfetta per eliminare una donna quando non serve più, non importa che faccia di tutto per rendersi invisibile o che sfoderi le zanne di una lupa.

Chissà, si sorprende a pensare, forse anche per sua madre le cose non sono andate come le hanno sempre raccontato.

Forse ha sempre ascoltato una storia sbagliata. Ma qual è la storia giusta? Esiste una storia giusta?

Una verità, come quelle di cui chiacchierano tanto i filosofi?

Avrebbe dovuto domandarselo prima, non adesso che l’aspetta soltanto l’esilio.

Non adesso che, forse, anche di lei non resteranno altro che ricordi sbagliati.

 

Note

 

Ho sempre pensato a Ottavia con tanta tenerezza e un profondo senso di ingiustizia per come le sono andate le cose, ma fino a pochi giorni fa non avevo realizzato la portata del suo essere figlia della famigerata Valeria Messalina e di quanto memorie (o dicerie?) tanto incombenti sulla madre abbiano probabilmente contribuito a plasmarne la personalità.

Poi è arrivata la folgorazione e chi sono io per non cogliere l’occasione di esplorare simili dinamiche?

E non potevo nemmeno esimermi dallo sfruttare un pochino le dicerie di quel pettegolo di Svetonio, per esempio per quanto riguarda Claudio che dopo aver mandato a morte la moglie chiede come mai non si presenti a pranzo:P

Sicuramente tornerò a breve su questi lidi con altre storie su questa famiglia, che è rientrata di prepotenza nel mio cuore e ha deciso di insediarcisi in pianta stabile.

Come sempre grazie Kan per il betaggio e per le rassicurazioni alle mie mille pippe (credetemi, sono tante davvero :P) e grazie per aver letto, a presto

Mel

 

 

 

 

 

  
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