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Autore: Mahlerlucia    10/01/2021    2 recensioni
Ci sono ferite che non guariscono, quelle ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.
(Oriana Fallaci)
[Bokuto x Akaashi || BokuAka]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Tenma Udai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Anime/Manga: Haikyuu!!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale
Rating: giallo
Avvertimenti: Missing moment, Spoiler!, Tematiche delicate
Personaggi: Bokuto Koutarou, Akaashi Keiji
Pairing: #BokuAka
Tipo di coppia: Shonen-ai

 
 
 
 Giallo
 
 
 
 4 Dicembre

 
L’orologio da muro richiamava di tanto in tanto la sua concentrazione, come a volergli indicare l’imminente venuta di qualcosa che avrebbe completamente scombussolato quelli che erano gli iniziali piani della sua serata. Non che avesse in mente di concedersi chissà quale attività di svago o, più semplicemente, dedita alla tranquillità mentale; tutt’altro. Gli ultimi disegni di Udai erano arrivati al suo indirizzo di posta elettronica poche ore prima e solo a seguito del suo esplicito consenso. Tenma non aveva alcuna intenzione di tediarlo con le sue tavole e con quel carico d’ansia che tendeva a moltiplicarsi in prossimità di ogni singola scadenza. Ma Keiji era sempre stato dell’idea che la dura vita di un mangaka andasse sempre condivisa con chi si era sempre reso partecipe a pieno ritmo del suo lavoro, così come di ogni singolo cambiamento d’umore rilevato in corso d’opera, lieve o rilevante che fosse.
Alcuni frame erano appositamente stati lasciati in bianco, come lo stesso Udai aveva specificato nella seconda mail che gli aveva fatto avere quello stesso pomeriggio. Quelli sarebbero stati gli spazi dedicati alle azioni più salienti messe in atto dall’alzatore co-protagonista del suo spokon interamente dedicato al mondo della pallavolo.
Per poter dar loro una definizione occorreva attendere il ritorno dell’unica persona che sarebbe stata in grado di riattivare gli antichi e indimenticabili ricordi del giovane editore: Bokuto Kōtarō.

Certo che è difficile poter dare un giudizio alla trama con dei frangenti narrativi lasciati in sospeso in questo modo... 
Akaashi non ebbe il tempo necessario per formulare in maniera più esaustiva i propri pensieri a riguardo dell’opera incompleta inviatagli dal suo collega. Il suono martellante del campanello catturò la sua attenzione facendolo sobbalzare per la sorpresa. L’insistenza e la ritmicità con cui veniva premuto il bottone fece allontanare qualunque dubbio circa la vera identità di colui che lo stava attendendo dietro l’uscio di casa. Fece girare ben quattro volte la chiave nella toppa prima di sganciare anche il catenaccio che teneva bloccata la parte superiore della porta. D’altronde, per l’editore la prudenza non era mai troppa, specie quando si ritrovava nella spiacevole situazione di dover trascorrere diverso tempo in completa solitudine tra le mura domestiche.
Non appena si preparò ad accogliere il nuovo arrivato, si ritrovò repentinamente con il naso a un paio di centimetri da un bellissimo mazzo di rose rosse. Non aveva idea di quante fossero, ma di sicuro erano state confezionate con una cura tale da lasciarlo senza parole; al di là della maniera non di certo non particolarmente delicata con cui erano pervenute all’interno del suo campo visivo e olfattivo.

“Oh! Ma che succede?”

“Per-per te!”

Dietro a quel tributo naturale accarezzato dalle migliori arte botaniche, un timido e impacciato Kōtarō fece capolino tenendo la schiena eccessivamente inclinata, a mo’ d’inchino. Di primo acchito Akaashi fu colto dal dubbio che dovesse scusarsi per qualche incombenza che sarebbe stata vergognosamente rivelata di lì a poco, ma un attimo dopo una minuscola bustina di carta con il suo nome impresso gli fece completamente cambiare idea.
Afferrò quello splendido bouquet di rose sgargianti nel punto esatto in cui era stato legato da un sontuoso nastro rosso, sfiorando inevitabilmente le dita stringenti del suo compagno. Nonostante la leggerezza e la brevità di quel contatto, i cuori di entrambi non riuscirono a reagire in altro modo se non battendo all’impazzata all’interno dei loro petti, consapevoli di aver atteso quel momento per troppo tempo.

“Kōtarō... sono... sono... beh, grazie.”

“Sone belle vere? Sono stato nel miglio vivaio di Ōsaka proprio per avere le migliori rose rosse della prefettura e... beh, spero che non si siano rovinate durante il viaggio e... ancora di più spero che ti piacciano davvero.”

Keiji tornò ad annusare quei petali perfetti con maggiore minuzia, riconoscendo all’istante il profumo che poteva riscontrarsi solamente tra le piante e i fiori ben curati. Adocchiò ancora il bigliettino imbustato, ma questa volta lo raccolse e ne lesse il retro con maggiore attenzione: ‘Per il mio Keiji: tantissimi auguri!’.

Fu solo allora che il diretto interessato si accorse di essere giunto a pochissime ore dal suo ennesimo compleanno. E non a caso, il suo sesto senso lo indusse immediatamente a chiedersi quante fossero davvero le rose presenti nel mazzo. Come volevasi dimostrare, ognuna di esse era dedicata a un singolo anno della sua giovane esistenza, positivo o discutibile che fosse stato.
Socchiuse gli occhi e sospirò, lasciandosi nuovamente inebriare dal profumo di quel pensiero carico di premure ed emozioni. Cercò di trattenere una lacrima dispettosa che non voleva minimamente saperne di lasciargli passare la serata in tranquillità, in compagnia di quel compagno di cui aveva sentito la mancanza al pari dell’aria che respirava.

“Sono bellissime, Kō. Grazie.”

Una folata di vento gelido ricordò loro che si trovavano ancora sul pianerottolo di casa, nel pieno di una serata che non prometteva nient’altro che una nuova nevicata. O almeno questo era ciò che avevano detto le previsioni del tempo quella mattina.
Keiji si strinse nelle spalle e di riflesso circondò l’involucro che attorniava il suo regalo, concedendo un ultimo sguardo al simbolo di una amore sincero tramutato in semplici – ma meravigliosi! – fiori.  
Si voltò allo scopo di rientrare, assicurandosi che Bokuto lo seguisse seduta stante. Era pur vero che indossava il suo piumino sportivo con tanto si sciarpa e guanti coordinati, ma mai avrebbe consentito che si ammalasse proprio nei due giorni di permesso che si era concesso giusto per venire a festeggiare il suo compleanno. Non se lo sarebbe mai perdonato.

“Oh, che bel calduccio qui.”

Keiji posò le rose sulla penisola della cucina, mettendosi in cerca di un vaso adatto a contenerle. Ma prima di occuparsi del suo dono, lo aiutò a rimuovere i residui di neve dai capelli e dalla giacca, invitandolo a sistemarla affianco al termosifone acceso. Fu solo nel momento in cui cercò di allontanarsi che l’asso dei Black Jackals lo afferrò per un polso e lo attirò a sé, in maniera né particolarmente dolce ma nemmeno brusca; semplicemente ‘alla Bokuto’.
Sfiorò con un dito le sue labbra incerte, provocandogli un brivido di piacere che lo fece genere flebilmente un attimo prima di lasciarsi andare a un caldo e avvolgente abbraccio che lo colse impreparato. Kōtarō lo sentì tremare contro il suo petto, mentre s’impegnava a tenerlo stretto a sé quanto più gli era possibile. Non disse nulla, soggiogato dall’idea che semmai Akaashi avesse avuto desiderio di parlargli di qualcosa d’importante lo avrebbe fatto con i suoi dovuti tempi e senza alcuna pressione.

“A proposito... vuoi che ti prepari un bagno caldo? Così ti scalderai per davvero.”

Hey! L’idea non è malvagia, sai?!”

“Allora vado a predisporre il tutto. Tu intanto rilassati, intesi?”

Bokuto vide l’editore allontanarsi fino a dileguarsi nel corridoio semibuio. Il vezzo di muoversi per casa cercando di consumare meno corrente elettrica possibile continuava ad essere duro a morire, nonostante gli avesse più volte ricordato che non ci sarebbero mai stati problemi per lui per quanto riguarda scocciature come bollette e spese domestiche di vario genere.
Per ingannare l’attesa decise di dare un occhiata generale alla casa, dato che negli ultimi tempi erano più i giorni in cui era costretto a dormire fuori che tra quelle accoglienti mura. Tutto risultava in ordine, perfettamente pulito e sistemato al proprio posto. Il piano in acciaio della cucina emanava un luccichio tale da indurre fin da subito Kōtarō a pensare che Keiji non avesse mai preparato nulla di particolare per sé in quei giorni di solitudine forzata. E dulcis in fundo... il portatile era immancabilmente acceso sul tavolo della salotto, con tanto di tavole recentemente disegnate da Udai in bella vista.
Non riuscì a resistere all’impulso di osservare quei lavori da vicino allo scopo di comprendere come quei due interagissero quotidianamente, seppur sapesse bene che le loro argomentazioni vertevano quasi totalmente intorno al loro ambito di guadagno; o almeno era quello che lui si augurava. Notò quanto le tavole fossero incomplete e si chiese se fosse compito di Keiji provvedere a colmare i vuoti dovuti alle carenze di idee del giovane mangaka.

“Vuoi che ti prepari direttamente il pigiama?”

Akaashi tornò in cucina senza pensare che avrebbe ritrovato il compagno intento a curiosare tra le sue questioni lavorative. Si maledisse per essersi dimenticato di far sparire computer, appunti e bozze di ogni genere, sicuro del fatto che Kōtarō non avrebbe mai approvato un ritorno tanto tempestivo tra le fila di quella tediosa casa editrice.
Lo vide sollevare appena lo sguardo dallo schermo, per poi osservarlo in silenzio. Raramente aveva avuto a che fare con un’espressione tanto seria e ferma da parte sua. Ciò che stava cercando di comunicargli era ineluttabile e non lasciava alcuna possibilità di trovare un qualsiasi appiglio affinché potesse almeno tentare di giustificarsi.

“Non guardarmi così... te ne avrei parlato.”

“Keiji, tu non devi pensare al lavoro, nemmeno per errore. Sei a riposo ora, ok? E finché la dottoressa non ci dirà che stai bene tu non metterai piede in quel dannato ufficio, chiaro?”

L’ex alzatore puntò lo sguardo al pavimento – fin troppo lustro – per non dover ancora una volta affrontare le sue enormi iridi gialle cariche di accortezza e preoccupazione per quella palese dimostrazione d’irresponsabilità e mancanza di amor proprio. Per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare nemmeno un vocabolo che potesse in qualche modo tranquillizzare chi aveva fatto tanta strada per stare appositamente con lui nel giorno del suo compleanno. Bokuto non meritava di essere preso in giro per mero egoismo e impossibilità di star fermo per più di qualche giorno e questo Akaashi se lo tatuò tra i suoi pensieri come un novello senso di colpa che si sarebbe ben presto accodato a tutti quelli contro cui stava cercando di combattere da tempo.
Pensò che non fosse davvero il caso di parlargli della richiesta che gli aveva fatto Tenma per ultimare quel capitolo che aveva lasciato ben in vista sul desktop del suo pc.

“Non ti metterai a disegnare al posto di quello scansafatiche di Udai, vero?! È un lavoro che spetta a lui e-”

“Non mi ha mai chiesto di disegnare al posto suo, tranquillo.”

L’asso dei Black Jackals si alzò di colpo e batté le mani sul tavolo, come a voler mettere in chiaro che non si sarebbe fatto abbindolare dal suo timore di preoccuparlo eccessivamente: doveva fidarsi di lui come aveva sempre fatto, specie in un periodo delicato della sua vita come quello che stava affrontando. Già era difficile dover accettare la lontananza dovuta alle continue trasferte della sua squadra; saperlo ancora preso dalle sue scadenze e dai suoi “blocchi dello scrittore” lo disturbava quasi più di una sconfitta in una qualunque partita di League 1.
Per un attimo ad Akaashi ricordò i bonari rimbrotti  che  Kuroo rivolgeva a Kozume tutte le volte in cui quest’ultimo si perdeva nei suoi adorati universi virtuali; probabilmente stava solo tentando di imitarlo.

“Ad ogni modo... il bagno è pronto. Quando vuoi-”

“Scusami.”

Keiji cercò ancora una volta la luce dei suoi occhi, per vederla attorniata da uno sguardo dispiaciuto per le maniere un po’ troppo perentorie che aveva appena mostrato nei suoi riguardi. Si avvicinò lentamente a lui e gli prese le mani occupate dagli asciugamani che stava portando nella cesta del bucato per metterli poi in lavatrice.

“È che non voglio che ti succeda niente quando io non ci sono. Cioè, voglio dire... neanche quando ci sono ovviamente. Però... eravamo d’accordo che avremo seguito le indicazioni della psicologa.”

“Kōtarō, lo so che sei preoccupato per me, ma non è necessario. Non voglio che tu ti distragga dai tuoi doveri per me ed è anche per questo che sto facendo il possibile per tornare a stare bene. La dottoressa Masaki mi ha detto che ci vorrà tempo e pazienza, ma non ho nessuna intenzione di arrendermi.”

“Bravo, ‘Kaashi! Sono fiero di te! Queste sono le parole più belle che potevo sentirti pronunciare!”

L’abbraccio che ne seguì riuscì a riportare entrambi alla calma iniziale, sigillando ancora una volta quello che era il loro chiaro patto d’amore reciproco. Le labbra di Bokuto cercarono quelle del compagno, sino a portarle voracemente a sé.
Keiji nemmeno se ne rese conto, ma d’improvviso si trovò a ridosso della schiena dell’altro, caricato sulla sua spalla al pari di un sacco di mangime per animale da portare alle stalle. Il suo sincero apprezzamento per la massa muscolare che il compagno aveva acquisito negli anni con il duro allenamento non era di certo un mistero, ma mai avrebbe potuto immaginare che potesse sollevarlo da terra con così poco sforzo.  

“Mettimi giù, per favore! Come preparo la cena altrimenti?”

“Ecco, lo vedi?! Se ti lascio da solo dieci minuti ti metti a sistemare il ‘mondo’. No! Tu ti devi riposare!”

“Ma non ho sonno.”

“Le vasche da bagno non sono state pensate per dormirci dentro... Keiji-kun.”

“Cosa?!”
 
 
***
 
 
L’acqua calda e profumata fungeva sulla sua pelle come un balsamo levigante capace di fargli dimenticare per qualche tempo tutti i dispiaceri che lo avevano afflitto nelle ultime settimane. Sapere poi di essere circondato dall’intero corpo dell’unica persona di cui si fosse mai perdutamente innamorato in vita sua gli donava un senso di pace misto a gioia di cui aveva sentito visceralmente la mancanza, senza mai riuscire a realizzarlo a pieno regime come in quel frangente. Il mondo se ne stava fuori da quella porta dimenticata aperta, oltre quel grande appartamento in cui non vi era nessun altro rispetto a loro due.
Keiji chiuse gli occhi, poggiando delicatamente la nuca sull’ampio petto del compagno. Quest’ultimo lo accolse tra le sue braccia rilasciandogli un soave e prolungato bacio sulla guancia, portandolo a chinare appena il collo per facilitargli quel compito tanto apprezzato quanto bramato.

“Lo sai che mi sembri ancora più bello da quando ti ho lasciato solo?”

L’editore si lasciò sorprendere dall’ingenua spontaneità con cui quelle parole cariche d’affetto uscirono dalle labbra di Bokuto, sino ad arrivare alle sue orecchie come un soffio di vento a malapena sussurrato. Non era un atteggiamento tipico della star dei Black Jackals, ma da quando Keiji aveva avuto il suo ultimo e drammatico attacco di panico qualcosa era inevitabilmente cambiato in lui. Il vecchio Kōtarō maldestro e facilmente influenzabile dalle proprie emozioni aveva fatto posto a un uomo maturo e perennemente in apprensione per il bene più prezioso che gli fosse mai stato concesso dagli dèi; quel timido fiore dagli occhi indescrivibili che sapeva alzargli la palla come nessun altro aveva più saputo fare da allora.

“Si vede che stai un po’ meglio, lo devo ammettere.”

“Kō, tu non mi hai mai lasciato solo in questi giorni. È soprattutto grazie a te che ho deciso di non lasciarmi andare.”

Il corpo del maggiore s’irrigidì d’impeto, a dimostrazione di quanto quelle ultime parole pronunciate da Keiji avessero fatto effetto tra i suoi pensieri. Non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo apertamente, ma a modo suo si era sempre sentito – almeno in parte – responsabile di quanto stesse succedendo al suo ex alzatore. Lo stress generato dal lavoro era stato solo l’ultimo dei pretesti che lo avevano portato al collasso emotivo, l’apice di una montagna di responsabilità e amarezze che si stavano accumulando sin da quando era solo un bambino.
Akaashi si voltò appena, poggiando la tempia sulla sua mandibola contratta, come a volerlo rassicurare. Non voleva di certo intendere di essere stato sfiorato dall’idea di farla finita. Non avrebbe mai potuto fare una cosa tanto meschina all’unica luce capace d’irradiare le sue cupe e monotone giornate.

“Ma ci sono state anche altre persone che hanno dimostrato di volerti bene. Ayame-san, la dottoressa e... pure Udai. Ok, ammettiamolo.”

“E le tre ‘kappa’ dove le mettiamo? Mi riferisco a Konoha-san, Kuroo-san e Kuzome-san.”

“Kenma ti ha chiamato per davvero?”

“Ben due videochiamate tramite un programma che nemmeno conoscevo e che mi ha invitato a scaricare. Sono rimasto sbalordito esattamente quanto lo sei tu ora.”

“Questo succede perché ti vuole bene. Tutti ti vogliono bene. È impossibile non volerti bene, Keiji-kun!”

L’editore non aveva la benché minima idea di come poter controbattere a quelle affermazioni cariche di stima e affetto. Non era di certo un mistero per lui venire a sapere che i suoi amici di sempre tenessero particolarmente a lui e alla sua salute, indipendentemente dal fatto che fossero stati condizionati da Bokuto o meno. Il sunto della sua difficoltà stava nel non riuscire ancora pienamente ad accettare che delle persone così piene di vita e di interessi occupassero il loro tempo per stare dietro alle sue paturnie. Averli fatti spaventare a quel modo non era di certo un’intenzione preventivata in nessuno dei piani da lui messi a punto prima del suo ricovero, ma ad ogni modo era successo. E questo lo infastidiva parecchio.
Le lacrime cominciarono a rigargli il volto confondendosi con le minuscole goccioline d’acqua che trasudavano dalle sue ciocche color pece. Ma Kōtarō non si lasciò ingannare da quel miscuglio di liquidi trasparenti: ognuno di essi aveva la propria missione e non c’era nulla di male a pensare che in quel frangente l’altro volesse solamente dare sfogo a tutta la sofferta riconoscenza che racchiudeva nel cuore.
Portò un braccio sul bordo della vasca, senza minimamente preoccuparsi del fatto che parte dell’acqua ancora calda fosse fuoriuscita inondando quel pavimento costantemente tenuto a lucido dal proprietario. Con la mano opposta cominciò ad accarezzare delicatamente il dorso di quella del compagno. Addolcì quella presa portandolo nuovamente a districare la propria tensione, fino a quando non si decise a lasciarsi teneramente cullare da quel contatto soave che gli ricordò ancora una volta che non era solo contro tutto ciò che lo rendeva infelice; e non lo era mia stato.

“Non devi piangere, ‘Kaashi. Domani diventerai un anno più grande e più forte...”

Più forte?! Io?!

“... un altro anno assieme a me che non sono di certo facile da sopportare ma... Hey! È di Keiji-kun che sto parlando!”

Gli angoli della bocca del più giovane virarono lentamente verso l’altro, lasciando intravedere uno spiraglio di ripresa emotiva e persino il flebile suono di una risata abbozzata. Ruotò il polso della mano quel tanto che sarebbe bastato affinché Bokuto potesse incastrare le dita alle sue, senza che queste rifiutassero di stringerle a loro volta.
Pensò all’ora tarda che si era fatta, alla cena ancora da preparare, ai loro stomaci che reclamavano il loro pasto e al copriletto nuovo da inaugurare. Tra tutti questi pensieri ‘pratici’, gli balenò nuovamente per la mente la bizzarra proposta di Tenma, tanto da decidersi finalmente a condividerla con chi aveva ancora una volta concesso al suo buonumore di far parte di quell’inaspettata vigilia di compleanno.

“Che idea strana. Ma una foto di Tsumu-Tsumu non gli bastava?”

Fingerò di non aver udito il suono della parola ‘Tsumu-Tsumu’ mentre mi stai abbracciando dentro la nostra vasca da bagno. Ma solo per il bene dell’umanità.

“È ciò che gli ho proposto io stesso in un primo momento, usando anche Kageyama come alternativa. Ma Udai-san sostiene di aver bisogno di un’immagine ‘reale’.”

“Che pretese quel funghetto!”

L’espressione esageratamente imbronciata dell’ace fece sorridere ancora una volta l’editore, convincendolo a voltarsi del tutto per poter vedere in viso quel tedio mal espresso, perdendosi dentro la luce infinita di quelle intense iridi giallo oro davanti alle quali si era incantato oramai da diversi anni, senza essere più riuscito ad uscirne. Posò entrambe le mani sulle sue guance arrossate dal calore e dall’imbarazzo per stuzzicarle per bene.
Kōtarō rimase ammaliato dalla bellezza del corpo del compagno mostrato a quel modo, nudo e indifeso, ricoperto solo di quelle goccioline calde che gli ricadevano da ogni dove. Sentire la sua presenza sulle sue gambe lo portò inevitabilmente ad eccitarsi, desiderando di possederlo senza troppe cerimonie. Ma si limitò a vendicarsi tastando le sue natiche umide allo stesso modo in cui sentiva sprimacciare la pelle del suo viso.
Per fortuna che mi sono ricordato di fare la barba!

“Sarebbe un vero peccato, sai. Giusto ieri avevo trovato la vecchia divisa del Fukurōdani... certo, mi va un pochino stretta, ma è ancora indossabile.”

Bastarono quelle poche e semplici parole per mandare i pensieri di Bokuto nella confusione più totale. Akaashi in quel momento si trovava senza nulla addosso tra le sue braccia mentre lui avvertiva già un principio di erezione pulsargli tra le cosce, ma... l’idea di poterlo rivedere con la divisa che indossava quando avevano condiviso letteralmente il ‘mondo’ assieme lo stava ulteriormente mandando in brodo di giuggiole. Per non parlare dell’effetto che quella taglia inferiore avrebbe suscitato su quel corpo perfetto, oltre che tra i suoi pensieri più intimi e indicibili. 

“Sul serio? Quindi tu vorresti...”

“... io vorrei. Ma solo assieme te e con il tuo permesso.”

“Oh! Per chi mi hai preso? Per uno di quei mariti che non fanno uscire le mogli di casa? Certo che acconsento!”

Kōtarō sentenziò quelle frasi senza riflettere  il tempo necessario, rendendosi conto solamente in un secondo momento che aveva appena riportato alla mente di Keiji il ricordo di suo padre.

“Scusami.”

“E di cosa?”

Non importa. Davvero.

“Mi scuso accettando la proposta che mi hai fatto e che ti ha fatto quel nanerottolo di un mangaka.”

“Si chiama Udai Tenma. E tu sei stato molto maturo a metterti in contatto anche con lui mentre eri in ritiro con la squadra. Ho apprezzato molto.”

“L’ho fatto solo per te, non pensare cose strane.”

Lo so, Kō. E ti ringrazio per questo.
Keiji rispose a quella constatazione bofonchiata con un sorriso, prima di posare le labbra sulle sue e tornare a vederlo pimpante e sorridente come soleva piacere a lui.
 
 
***
 
 
5 Dicembre
 

Non era stato facile convincere Bokuto ad andare a prendere Udai direttamente a casa sua, dato che il giovane sensei quella stessa mattina gli aveva comunicato di non poter arrivare sino alla loro abitazione a causa del motore della sua utilitaria che aveva deciso ancora una volta di dare forfait. E come se non bastasse, la Toei – azienda che gestisce parte dei trasporti pubblici della capitale nipponica – aveva deciso di proclamare uno sciopero di sedici ore proprio nel corso di quella sfortunata giornata.
Dopo una serie di tentativi confluiti in un paio di ricatti erotici – che correvano il grave rischio di non funzionare, data la meritata notte di passione che avevano appena avuto la fortuna di condividere – era riuscito a fargli cambiare idea dandogli persino la possibilità di utilizzare la sua auto, visto e considerato che non veniva messa in moto da quel terribile giorno. La stessa dottoressa Masaki si era fortemente raccomandata di non tornare a mettere in pratica azioni che avrebbero potuto ledere la propria e l’altrui incolumità fino al termine della terapia. L’ansia generalizzata e le crisi di panico non erano di certo questioni da dover prendere sotto gamba e questo il giovane editore lo aveva imparato a sue spese, suo malgrado.

Nell’attesa dell’arrivo del suo ospite, decise di scansare i suoi consueti pensieri intrusivi dandosi da fare con le faccende domestiche. Raccolse i vestiti che lui e Kōtarō avevano sparso lungo il pavimento della stanza e li portò direttamente nel cestello della lavatrice, stando bene attento a separare prima i capi più scuri da quelli più delicati.
Fu nel momento in cui si trovò intento a decidere quale tipo di lavaggio avviare che udì la suoneria del suo telefono.
Non ditemi che si è perso, per favore! Ho impostato io stesso il navigatore del suo iPhone!

Un numero sconosciuto. Non anonimo o privato, semplicemente un insieme di cifre che corrispondevano a qualcuno che ancora non era rientrato nella sua rubrica telefonica.

“Pronto?”

“Buongiorno, Keiji. Spero tu stia passando un buon compleanno. Auguri!”

Questa voce... papà!
Non poteva credere alle sue orecchie! Se solo avesse trovato la forza necessaria avrebbe urlato quel fortuito pensiero all’interno di quel telefono che gli stava consentendo di tenersi in comunicazione con l’uomo che aveva permesso la sua esistenza e che, allo stesso modo, se n’era praticamente dimenticato a mano a mano che gli anni passavano.

“Ieri mi ha chiamato tua madre e abbiamo avuto modo di parlare a lungo. Mi ha anche girato il tuo nuovo numero... Ascolta, ma sei ancora in linea?”

Ho questo numero da oltre un anno, papà.

“Sì... sì. Sono qui. So-sono contento di sentirti. Come stai?


Pronunciare quelle scarne parole lo fece quasi rimanere senza fiato e con le lacrime agli occhi che spingevano per invadere ancora una volta la sua lucidità.
Cosa avrebbero potuto pensare di lui Kōtarō e Udai-san fossero arrivati in quel preciso momento?

“L’azienda non mi lascia un attimo di respiro, come al solito. Cerco di rientrare almeno per le Feste. Tua madre si è raccomandata anche più degli altri anni e glielo devo. Tu, invece? Che piani hai per Natale?”

Domande di superficie che non sarebbero potute andare oltre. Non in questo tipo di contesto perlomeno. Per poter parlare delle questioni più delicate lasciate in sospeso o, peggio ancora, mai realmente affrontate, ci sarebbe stato tempo. Quella telefonata era già di per sé un miracolo nel cuore dell’ancor incredulo Keiji.

“Sì dice che il Natale bisognerebbe trascorrerlo in famiglia... perciò...”

“Quindi ci vedremo? Bene, così avremo modo di parlare anche noi due.”

Parlare. Io e te…

“Ah... certo.”

“Va bene. Ora devo proprio andare. Ti rinnovo i miei auguri e mi raccomando... riguardati. Ciao, Keiji.”

Papà...
Sei preoccupato per me...

Quello fu davvero il compleanno più bello che Keiji potesse desiderare.




 
… Vieni qui
Ma portati anche gli occhi e il cuore
Io so disobbedire questo lo sai bene
E piangiamo insieme che non piangi mai, mai...


… E non nasconderti con le battute, non mi sconcentrare
Stiamo a vedere dove possiamo arrivare
E ridiamo insieme che ridiamo sempre, sempre, sempre
Ma non basta mai, mai, mai, mai... 










 

Angolo dell’autrice


Ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno voglia di leggere e recensire questa mia mini-long! :)

Capitolo 5: Giallo.
Ed eccoci all’ultimo capitolo di questa mini-long che è riuscita a darmi davvero tantissimo dal punto di vista emotivo. Al di là del mio amore viscerale per Bokuto e Akaashi, poterli trattare in questa maniera “approfondita” mi ha davvero donato delle nuove “prospettive di scrittura” che prima nemmeno immaginavo.
Tornando alla storia, ecco finalmente il tanto atteso ritorno di Bokuto, seppur si tratti di una toccata e fuga dal ritiro dei Black Jackals dovuta alla sua esigenza di essere con Keiji per il suo compleanno (eh, lo so... sono abbastanza in fissa con il compleanno del setter nelle mi fan fiction, abbiate pazienza! XD). I ritorni della “stella” non sono mai banali e difatti il bagno preparato per lui diventa un “bagno d’amore condiviso”! Mi sono divertita un sacco anche nel far notare queste piccole punte di reciproca gelosia presenti tra i due, ennesimo indice del fatto che non possono assolutamente fare a meno l’uno dell’altro. **
Ma chi “compare” sul finale?! Il nostro Mister Akaashi in splendida forma. Addirittura vorrebbe passare le Feste di Natale con moglie e figlio... pensa un po’ che lavata di capo gli avrà fatto la nostra mitica Ayame!
Grazie per aver seguito le vicende strampalate di questi due gufetti innamorati! <3

Il titolo generale della mini-long riprende quello della nota canzone di Elisa ‘Anche fragile’ (della quale riporto il ritornello finale al termine del capitolo).
Il testo è scritto in terza persona e al tempo passato.

Grazie a tutti coloro che passeranno di qua!

A presto,

Mahlerlucia
 
 

 
   
 
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