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Autore: Ormhaxan    11/01/2021    3 recensioni
"There's a thunder in our hears, baby. So much hate for the ones we love"
Jackie vuole scappare da mesi e anni difficili, da un passato scomodo e doloroso e per farlo si trasferisce a Londra, dalla sua migliore amica Lana. Qui inizia a convivere con lei e i suoi due coinquilini, Chris e Morgan, creandosi un'apparente serenità. Ma non sempre il passato rimane sepolto e le cicatrici che ci portiamo dietro sono difficili da nascondere. Presto, Jackie si renderà conto che non è l'unica a combattere contro i propri demoni e che, se si vuole sopravvivere, l'unico modo per farlo è restare uniti...
[STORIA PUBBLICATA PRECEDENTEMENTE E ORA RIPUBBLICATA IN UNA NUOVA VERSIONE]
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Thunder-2-0

 

Londra, 2016


La voce degli altoparlanti posti sopra di lei la destò da quello stato di dormiveglia in cui era caduta qualche minuto prima: erano passate quasi otto ore da quando era salita su quel gigantesco aereo con un biglietto di sola andata in mano, decisa a lasciarsi alle spalle una volta per tutte la vasta terra del sogno americano e la sua disastrata vita oltre oceano, nella speranza di iniziarne una totalmente diversa e, soprattutto, migliore.
Sbadigliò assonnata, non prestando troppa attenzione alla voce metallica del capitano che in sottofondo continuava a parlare con tono piuttosto sbiascicato e ovattato, aggiornando i passeggeri sulla temperatura e le condizioni meteo; Jacqueline spostò con fare distratto il suo sguardo fuori, osservando attraverso l’oblò posto alla sua destra il panorama sotto di lei, le case bifamigliari dal tetto spiovente sempre più vicine. Portò le mani in alto, aprendo e chiudendo le dita come a formare un artiglio felino, sgranchendo gli arti superiori del suo corpo e attese impaziente che l’aereo toccasse suolo britannico.
Una volta atterrato e fermato completamente, i passeggeri attorno a lei iniziarono ad alzarsi dalle loro postazioni, affollando come formiche operose gli stretti corridoi ricoperti di moquette rossa e malconcia: come da copione si avventarono come una marmaglia di cani randagi sulle cappelliere grigie poste sopra le loro teste, come se rimanere un secondo di troppo in quella scatola con le ali mettesse a repentaglio la loro vita. Dal canto suo Jacqueline fu una delle ultime ad alzarsi, a prendere il suo trolley color jeans e, salutate le hostess e gli steward, a percorrere il lungo corridoio che la portò dritta dritta all’uscita del gate, dove ad aspettarla c’era la sua migliore amica, la ragazza che per tanti anni era stata sua compagna di scorribande: Lana.

Uscita, Jack – così si faceva chiamare dai suoi amici, un nome che da sempre sentiva più suo rispetto a quello di origini francesi e tributo all’amata First Lady che i suoi genitori le avevano messo - si guardò intorno con aria spaesata, cercando tra la folla di gente più disparata quel caschetto biondo platino che contraddistingueva la sua amica. La trovò qualche istante dopo, dietro due tipi tutti imbellettati che reggevano tra le mani dei cartelli su cui era stato scritto con un pennarello nero il nome di chissà chi, e con un mezzo sorriso si diresse con passo spedito verso di lei. Anche la bionda fece lo stesso, e in men che non si dica le due amiche si ritrovarono abbracciate, contente come non mai di rivedersi dopo tanto tempo – cinque anni, per essere precisi.

“Benvenuta nella City, ragazza!” esclamò euforica Lana, dandole il benvenuto nella città britannica che era diventata a tutti gli effetti la sua casa “Sono così contenta di vederti, non posso ancora credere che tu abbia deciso di venire qua.”
“Anche io sono davvero contenta, credimi” rispose sinceramente la mora, abbracciando l’amica ancora una volta “Non ci vediamo da secoli e, da quello che ho sentito ultimamente, credo che tu mi debba raccontare molte cose.”
Lana arricciò il naso: certo, di cose ne erano successe, ma in quel momento lei avrebbe preferito parlare di Jack, del motivo che l’aveva spinta a lasciare New York e trasferirsi nel vecchio continente, nella sempre uggiosa e umida Londra. Ma, forse, era meglio dare tempo al tempo, si disse mentre si avviavano verso l’uscita dell’aeroporto di London City, perché era evidente che la mora non era ancora pronta a parlare di quello.
“Parli del fatto che mi sono trasferita in un appartamento vicino all’Università Queen Mary con due ragazzi scapestrati oppure del fatto che, mentre suono la chitarra come passatempo un una band, sono anche riuscita a diventare associata di uno studio di design?” chiese retorica lei, decidendo una volta tanto di assecondarla.
“Esattamente!” confermò l'altra, lanciandole un’occhiata furba e assumendo un’espressione curiosa e leggermente malandrina.
“Beh, cosa posso dire? Morgan e Chris sono dei bravi ragazzi.” lasciò la frase a metà, pensando alle parole appena dette e sorrise, cosa che provocò perplessità nella mora “Non fraintendermi,” si mise subito sulla difensiva lei, continuando il discorso prima che Jack potesse prendere la parola “Sono davvero dei bravi ragazzi, solo... solo che sono un po’ particolari: a loro piace fare la bella vita, le ore piccole. Spesso alzano il gomito e fumano un po’ troppa erba anche per i miei gusti” schiocco la lingua sul palato, e arrivata alla stazione che collegava l’aeroporto con la città si precipitò a una delle tante macchinette elettroniche presenti per comprare due biglietti
“Nonostante questo e se non ricordo male, queste piccolezze non sono mai stati dei problemi per te” la guardò con la coda dell’occhio, e questa volta fu lei ad assumere un’espressione malandrina “In ogni caso li conoscerai questa sera, quando torneranno per cena” annunciò mentre estraeva i biglietti e riprendeva la sua marcia verso i binari, seguita a ruota dall’altra che, stranamente, rimaneva in silenzio “Sarà l’occasione perfetta per scambiarci quattro chiacchiere e farti un’opinione di loro, una buona opinione, spero.” concluse nel momento esatto in cui, poco lontano, stava arrivando in stazione il loro treno. Senza dire altro, entrambe si accostarono alla linea gialla e si preparono alla battaglia per la conquista di un posto a sedere.

Durante il tragitto dall’aeroporto alla stazione di Bow Road, situata tra la Hammersmith e la District e meta ultima del loro viaggio, aveva iniziato a piovere: Jack guardò le goccioline di pioggia cadere da un cielo grigio non tanto diverso da quello di New York, notando solo allora il vero spirito della città fatto di taxi neri e autobus rossi a due piani, gli alberi dalle foglie ingiallite e i palazzi di due o tre pieni fatti con mattoni grezzi. Si disse che, dopo tutto, quella città tanto chiacchierata non era poi così male e, con un po’ di fortuna, si sarebbe sentita a casa nel giro di qualche settimana. Anche la gente stessa non sembrava poi così diversa: correvano tutti, per andare dove non era dato saperlo, ma sembravano di fretta – forse era la pioggia che li faceva correre più del dovuto? – sembravano persi in un mondo tutto loro mentre, coperti dai loro impermeabili e dagli ombrelli quasi tutti scuri, si affrettavano ad entrare nella piccola stazione di mattoni rossi della metro.
“Tutto bene?” le chiese Lana, notando il suo insolito silenzio e, guardandola con la coda dell’occhio e abbozzando un timido sorriso, Jack annuì, tornando a guardare la città esplodere di vita intorno a lei “Dai, vieni prima che il semaforo diventi rosso! Attendere sotto la pioggia è sempre una seccatura”
Riuscirono ad attraversare per un pelo e, insieme, si immisero in una delle strade laterali, anche questa fatta di alberi e di case a schiera a due piani: superarono vari negozietti, un ristorante da cui proveniva un forte odore speziato e che Jack riconobbe subito come indiano e anche un piccolo parco dedicato ai cani; camminarono per circa due o tre minuti, fino a quando Lana non si fermò davanti a un cancelletto contornato da un muretto a secco che dava su di un minuscolo cortile con un altrettanto minuscola fatta di piante, siepi e prato inglese.
“Eccoci arrivate!” esclamò con fare teatrale la bionda mentre cercava nella sua ampia borsa a tracolla le chiavi che trovò un istante dopo “Eccoci a casa”.
 

**
 

“Eccoci qua: casa dolce casa!”  Lana si affrettò a togliersi il cappello di lana e i guanti che indossava, sbattendo pesantemente i piedi sullo zerbino ed esortando la nuova arrivata ad accomodarsi.
L’ingresso era davvero piccolo, aveva giusto lo spazio per un appendiabiti e poco altro, ma nonostante questo si percepiva immediatamente un’aria confortevole e vissuta, di quelle che rende ogni appartamento che si rispetti una vera e propria casa.
“Carino” disse semplicemente Jack mentre, dopo essersi tolta anche lei cappotto e cappello, si addentrava nell’appartamento, in un’ampia stanza che faceva sia da soggiorno che da cucina. La stanza era molto luminosa, cosa che non la mora apprezzò subito, e quasi al centro c'erano due divani – uno a tre posti e uno più piccolo – davanti a un televisore di modeste dimensioni; sulla parete alla sua sinistra, invece, si trovavano due librerie in noce colme di libri e, più in fondo, una cucina nera e bianca e dei banconi con degli sgabelli laccati bianchi dove, ipotizzò, gli inquilini consumavano la colazione e mangiavano quando il tempo era poco. Dalle finestre della cucina si intravedeva anche un cortiletto appena più grande di quello anteriore, anche questo tenuto bene e, difronte e lei, una scala portava al primo piano dove probabilmente si trovavano le camere da letto.
“Carina, vero? Tutto merito dei genitori di Chris che si sono trasferiti in campagna e hanno deciso di lasciarlo a lui; certo non è Mayfair, ma non ci lamentiamo.” Quando Jack non disse nulla la bionda proseguì nel suo discorso: “Abbiamo anche una mansardina sai?” indicò con il dito il piano di sopra e poi guardò il trolley della sua amica, posato precedentemente all’ingresso e guardò con aria colpevole la bruna
“Fammi indovinare,” iniziò Jack, leggendola nella mente “La mansarda spetta a me, il che significa che dovrò trasportarmi la valigia e tutto il resto su per le scale.”
Lana annuì mortificata e, dopo un sonoro sbuffo, Jack decise che non avrebbe perso tempo e si sarebbe tolta quell’impiccio di torno immediatamente “Avanti, biondina, fammi strada!

“Credo… credo che mi stia per venire un infarto” annunciò qualche minuto dopo Jack, poggiando pesantemente la valigia davanti alla porta della mansarda, provocando un rumore sordo e ovattato; piegata in avanti e con il fiato corto, si appoggiò con una mano alla ringhiera dell’ultima rampa di scale e guardò in cagnesco l’amica che se ne stava a pochi passi da lei “Cazzo!” imprecò infine.
“Mi dispiace, davvero” si scusò Lana, facendo del suo meglio – e fallendo miseramente – per nascondere un mezzo sorriso.
Ripreso fiato, Jackie entrò in quella che sarebbe stata la sua stanza, seguita da Lana: l’ambiente era molto spazioso, minimale e l’arredamento veniva chiaramente da una nota catena di mobili nordica. Jack aveva sempre amato quello stile, a cui però si accompagnava un tocco tutto inglese dato dalla carta da parati fiorata – alcuni l’avrebbero trovata di dubbio gusto, ma non lei – e dalla finestra esposta a Nord da cui si poteva intravedere il vicino Victoria Park. Non era molto, questo lo sapeva, ma l’idea di essere là, con la sua amica d’infanzia, lontano da New York, dai mesi infernali che aveva passato e tutto il resto la rendeva felice come non lo era da tempo.
Stava per ringraziare Lana, quando la porta d’ingresso si aprì e una musica rock sparato a tutto volume scosse la casa come un boato provocato da un terremoto.

“Dio, non ancora i Guns!”  Lana alzò gli occhi al cielo, per qualche motivo ignoto a Jack era esasperata e seccata “E’ un mese che quel cretino non sente altro ed io tra poco credo che vomiterò o, peggio, mi caverò i timpani con un cucchiaino del servizio da the!”

Jackie sorrise, scuotendo la testa: quando si arrabbiava Lana era davvero buffa, una caratteristica che non aveva perso e che non era mai cambiata nel corso del tempo. Curiosa, la seguì nuovamente dabbasso, nel soggiorno nel quale aveva fatto il suo ingresso in casa per la prima volta; ritornate al piano terra, ebbe appena il tempo di mettere a fuoco la figura poco lontano da lei, un ragazzo con lunghi capelli castani ed una barba ispida e incolta, fare la sua comparsa dalla cucina prima che Lana gli strappasse il telefono di mano e zittisse la musica che ne fuoriusciva

“Che cazzo fai, idiota?” la insultò lui, serrando gli occhi fino a farle diventare due fessure. Per qualche istante nessuno dei due parlò, limitandosi a guardare in cagnesco l’altro, tanto che Jack ebbe il timore che stesse per iniziare una lite furibonda tra quelli che, aveva capito, erano essere dei coinquilini.
“Metto fine a questa tortura” rispose dopo poco lei, piccata “Tra poco saprò meglio le parole dei testi e le note delle canzoni dei Guns n Roses piuttosto che i nostri”
“Fanculo, Lana! Quando però sei tu a mettere a palla i Cure tutti noi dobbiamo sorbirli e stare in religioso silenzio, vero?” continuò a punzecchiarla lui.
“Solo perché non riesci a cogliere la poesia dietro le parole di Robert Smith non puoi rompere le palle a me. Fatti una cultura piuttosto!”
Adesso i due si fronteggiavano come due nemici d’armi, l’orgoglio ferito e il bisogno di difendere i propri paladini ben chiari: erano l’uno a pochi centimetri dal corpo dell’altro, tanto che i loro nasi – quello sottile di lei e quello più marcato e leggermente storto di lui – sembravano quasi sfiorarsi; come due gatti in calore, davano l’impressione di essere sul punto di saltare alla gola da un momento all’altro. Ci pensò un colpo di tosse da parte di Jack a farli tornare alla realtà, firmare un invisibile tregua e un successivo trattato di pace.
“Scusaci” sussurrò Lana, grattandosi la nuca e abbassando lo sguardo visibilmente imbarazzata “Ma come vedi quando si parla di musica ci accendiamo come delle micce”
“L’ho notato” fece presente lei, lasciandosi scappare un mezzo sorriso divertito “Non mi presenti il tuo amico?”
“Cosa? Oh, sì, giusto!” Lana si mise lateralmente ai due, un perfetto arbitro tra due spadaccini “Jack, lui è Chris, batterista del mio gruppo e colui che ci permette di avere un tetto sopra la testa. Chris, lei è Jackie, meglio nota da tutti i suoi amici come Jack, la mia migliore amica”
“Tanto piacere” dissero praticamente insieme, tendendosi una mano e stringendosela a vicenda. Chris aveva una mano grande, calda, ma la sua stretta era delicata, tutto il contrario della sua, che era decisa e ben salda.
“Ho comprato del kebab mentre stavo tornando” annunciò successivamente Chris, indicando la busta di plastica biodegradabile posata su uno dei banconi della cucina “Spero tu non sia vegetariana o vegana, Jack, perché temo di non aver pensato a una alternativa. Ma nel caso fosse un problema posso sempre ordinare dei falafel o…”
“No, no, tranquillo! No ho problemi con la carne, anzi ti ringrazio per aver pensato anche alla mia cena” Jack abbozzò un sorriso
“Lana ti ha già fatto vedere la tua stanza?” chiese il ragazzo, cambiando argomento
 “Qualcosa, più che altro la mansarda e poco altro” Lana le fece un cenno di seguirla nuovamente al primo piano; una volta tornate su – questo su e giù stava mettendo a dura prova entrambe, ma nessuna delle due sene lamentò – la bionda proseguì a mostrarle il resto dell’appartamento: “Quello è il bagno” disse, indicando la seconda porta sulla sinistra del piano “Mentre questa è la mia stanza ” indicò la stanza accanto “Più in fondo c’è la stanza di Chris e con il tuo arrivo Morgan si è trasferito nella stanza infondo al corridoio”
“Oddio, non volevo dare fastidio. Se sapevo di creare tutti questi problemi sarei andata in un ostello oppure...”
“Non dirlo neanche per scherzo!” esclamò Lana, alzando una mano e zittendola “Nessun problema, davvero. E poi quale amica permetterebbe ad un'altra di andarsi a prendere le pulci o chissà che altro in un ostello da quattro soldi?” con la mano fece un gesto secco, come a voler scacciare una mosca “E poi, anche se non lo ammetterà mai, sono certa che a Morgan non dispiace prendersi la camera da letto più grande del primo piano, quella con l’acustica insonorizzata.

Dopo il breve tour della casa Jack disse che aveva bisogno di fare una doccia per togliersi lo sporco del viaggio e dei mezzi di trasporto. Rimasta sola per la prima volta nella sua nuova stanza, si lasciò andare ad un lungo sospiro liberatorio mentre si distendeva tra le morbide e profumate coperte.
“E così eccoci qua: non si torna più indietro” disse a sé stessa, passandosi una mano tra i lunghi capelli color cioccolato e pensando che quella nuova pagina della sua vita meritava anche un nuovo taglio di capelli e, perché no, anche un nuovo colore. “Perché no? Ho sempre desiderato avere i capelli rossi”
Da quel momento in avanti, di disse con fermezza, New York e la sua vecchia vita, così come tutti i suoi amari e infelici ricordi, facevano parte del passato. Londra era il suo futuro, un futuro che lei sperava fosse radioso, pieno di possibilità e, perché no, pieno di amici. Chris sembrava un tipo apposto e per quando riguardava quell’altro tipo, Morgan, sperò che anche lui fosse un tipo apposto e simpatico. Dopo tutto, avrebbero dovuto vivere sotto lo stesso tetto, dividere la spesa di bollette, cibo e persino un bagno. Dovevano per forza andare d’accordo, era inevitabile. Con tutti quei pensieri per la testa, Jack si alzò dal letto, aprì la valigia, da cui estrasse una maglia pulita e dei pantaloni comodi, e si vestì velocemente prima di riscendere in cucina, dove la stava aspettando un succulento kebab che avrebbe divorato in pochi minuti.


*

Angolo Autrice: It's been 84 years... okay, magari non proprio 84 anni, ma ne è passato di tempo dall'ultima volta. Onestamente non so neanche se ci sarà qualcuno che ancora leggerà i miei deliri, ma ci provo. Thunder Hearts è stata la mia primissima originale, pubblicata tanti anni fa e poi cancellata per diversi motivi - primo tra tutti perchè non mi piaceva il risultato finale. La ripropongo oggi, a distanza di anni, con più consapevolezza e, spero, con meno banalità e più inclusione e diversità. Spero, ovviamente, che vi piacce e vi invito, se vi va, a lasciare una recensione...
Alla prossima,
V.
  
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