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Autore: crazyfred    11/01/2021    1 recensioni
{FRANCESCO & EMMA} "La neve aveva assunto l'odore dei suoi baci sotto i portici, del cioccolato, della cannella e delle arance che aromatizzavano i bicchieri bollenti di vin brûlé"
Prosieguo ideale della storia d'amore di Emma e Francesco, dove li abbiamo lasciati alla fine della quinta stagione. La voglia di ricominciare da zero, ma anche di non cancellare quello che è stato, il ricordo indelebile di errori da non commettere più. E chissà, magari coronare il loro amore con un nuovo arrivo...
Ma anche la storia di quella banda di matti che li circonda: Vincenzo, Valeria, ma anche Isabella, Klaus e naturalmente Huber.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 22 - Non solo padri




 
"Tanti auguri a te! Tanti auguri a te!" Emma sentì Francesco canticchiarle nell'orecchio, alle sue spalle, con un filo di voce, svegliandola dolcemente "è il compleanno del mio amore, ma il regalo lo fa lei a me!"
Emma sorrise, ancora ad occhi chiusi, stiracchiandosi come meglio poteva e girandosi verso l'autore di quella canzoncina, intento a fasciarle la pancia con un abbraccio, stando molto attento a non pesarle addosso nemmeno con una mano, neanche fosse di porcellana.
"Ehi baby Neri!" esclamò, baciandole la pancia, sotto l'ombelico. "Baby Neri?" domandò la donna, alzandosi sui gomiti. Era arrivata al punto di non vedere più i suoi stessi piedi, e in quel caso, fosse rimasta allungata, quella mongolfiera felice le avrebbe coperto totalmente il volto del marito. "Amore mio, in qualche modo dovrò pur chiamarlo o chiamarla … sta per nascere e ho bisogno di prendere confidenza. Non ho la stessa fortuna che hai tu di viverci insieme h24" "Tra un mese ne riparliamo di questa fortuna…" commentò lei, sarcastica.
"Non mi distrarre …" la rimproverò lui, giocoso, tornando a rivolgersi al pancione, che ormai aveva raggiunto quasi la sua estensione massima "dicevo, baby Neri, hai la minima idea di quanto io ami tua madre?" "Io direi di sì, visto che è proprio per quello che è finito lì dentro" Emma scoppiò a ridere, facendo sobbalzare la pancia, per l'espressione snervata di Francesco che non riusciva ad arrivare al punto del suo discorso. "Ecco appunto … quindi siccome non posso chiudere la porta a chiave come ho fatto per tuo fratello, sei pregato o pregata di chiudere gli occhi perché non credo che tu voglia vedere cosa stiamo per fare io e la mamma …"
Emma fece accertarsi che Leo non potesse interromperli. Non era mai successo, fino a quel momento, ma più che per pudore, Emma temeva spiacevoli situazioni da dover spiegare. Ma Francesco la rassicurò: "È ancora presto perché si svegli …" sospirò, risalendo il tronco della moglie tracciando un'ideale percorso di baci "fidati di me". Si fidava di lui.
"Non ci credo …" rise Emma, tra il divertito e l'incredulo, togliendogli la maglietta. Tornando ad allungarsi, finì per ritrovarsi l'uomo disteso al suo fianco, una mano sulla testa, tra i capelli, e l'altra che, dalla pancia, scendeva lenta e attenta in mezzo alle gambe. Il caldo del mese di Agosto non era nulla al confronto del fuoco che sentiva dentro mentre le labbra del marito trovavano la loro meta, leggermente dischiuse, sul suo collo. "Come puoi volermi anche adesso … così?" gli domandò, in un soffio. Non si sentiva brutta, anzi, non si era mai sentita così sé stessa, ma ne aveva lette tante su mariti lontani, che nell'ultimo mese trattano le mogli come santuari sacri ed intoccabili. "Forse non ti è chiara una cosa" le disse, portandosi con il viso su di lei, fronte a fronte "non starei con te non ti volessi sempre. Sempre."
Lui tornò a baciarla dolcemente, con attenzione, ma non era gentilezza che lei voleva, non quando il tempo correva veloce. Sentiva forti le lancette della sveglia sul comodino e temeva il risveglio del piccoletto nella stanza a fianco, che sentisse rumori che non capiva, che corresse a bussare alla loro
porta. Ma si fidava di lui. La giovane donna avvolse l'uomo con un braccio, tirandolo a sé più che poteva, con l'altro corse a stringere la mano che lui aveva ancora tra i suoi capelli. Le dita si trovarono e si intrecciarono: lunghe, affusolate ed eleganti quelle di lei, tozze e massicce quelle di lui. Emma si trovò a gemere piano, trattenendo tutto il suono nella gola, le labbra serrate. Il braccio di lui scese a cingerle le spalle nel momento in cui, pur controvoglia, si staccarono e lei inarcò leggermente la schiena, per liberarsi dal top che indossava per dormire. In un'istante, Emma si ritrovò una mano calda ed umida ad accarezzarla, scendendo dal collo lungo i seni. La bloccò, stringendo forte il polso, per riportarla dove aveva bisogno che fosse.
Alla luce chiara di un giorno che, irradiando l'intera stanza, prometteva di essere sereno e rovente come i precedenti, le loro labbra tornarono ad incontrarsi; al quel contatto lei si lasciò andare totalmente, lasciando che fosse lui a guidarla, come un cavaliere fa con la sua dama. La loro pista da ballo era un letto e il loro ballo l'amore. Francesco l'accolse contro di sé, come non ci fosse altro posto al mondo dove essere sicuri, come fossero passati giorni senza vedersi né sentirsi.
La paura di venire scoperti svanì dalla testa di Emma non appena il suo volto incontrò il torso bronzeo e tonico del suo uomo.
 
A colazione Leonardo guardava Emma e Francesco stranito ma al contempo felice. Quando abitava dai Moser era un evento raro vedere dei momenti di tenerezza tra i suoi genitori adottivi. Con Emma e Francesco, invece, non mancava mai occasione. Quella mattina più del solito. Emma, in pantaloncini e una maglietta larga - Leonardo non ne era sicuro ma avrebbe giurato fosse di Francesco - scalza e una fascia un po' vintage tra i capelli raccolti per tenere il collo scoperto e fresco, stava appoggiata al piano della cucina, dando le spalle alla finestra, con una bottiglia di latte tra le mani. Francesco, al suo fianco, anche lui in calzoncini e maglietta, apriva le uova, facendo attenzione mentre separava i tuorli dagli albumi. Parlavano e ridevano, ridevano e parlavano. Nel frattempo Emma lo aiutava con gli ingredienti, non mancando di baciarlo ogni volta che si avvicinava a lui, ora per passargli lo zucchero, ora per versare la farina o il latte.
"Perché siete così?" "Così come?" domandò Emma. "Sorridete con la faccia scema" affermò Leonardo, molto candidamente. Francesco, dando le spalle al bambino, schiarì la voce nascondendo una risata; Emma invece, paonazza, provò a salvare la situazione: di certo il bambino non poteva capire, ed erano abbastanza sicuri che non avesse sentito nulla. Quando erano passati davanti camera sua, per andare a fare la doccia, dormiva ancora beato.
"Non abbiamo la faccia scema! Siamo solo felici." "E perché?" "Perché è un giorno speciale …" spiegò il forestale "hai fatto gli auguri ad Emma? Ti ricordi? Oggi è il suo compleanno" "Sì, tranquillo" intervenne Emma "appena è sceso mi ha fatto gli auguri questo bravo bambino"
Emma, per non provocare altre domande, decise di andare a sedersi a tavola, accanto al piccoletto, e Francesco, ai fornelli, un canovaccio sulla spalla, si concentrò sulla frittata dolce tirolese di cui Emma aveva avuto improvvisamente voglia. Il piccolo, tra una pucciata di biscotto e l'altra, guardava Francesco e ridacchiava. "Che c'è ancora?" domandò Emma, sospettosa, prendendo un biscotto dalla confezione aperta davanti al bambino. Sarà stata l'aria di festa, sarà stata l'attività fisica a stomaco vuoto, ma aveva una gran fame. "Francesco cucina!!!" rispose, sghignazzando "È una cosa di femmine!!!" "Non è vero" lo corresse Francesco "è una cosa da grandi" Leonardo fece spallucce, dubbioso "Il mio finto papà non lo faceva mai".
Da qualche tempo, Leonardo aveva preso a chiamare Bruno Moser con l'appellativo di papà finto, in quelle rarissime occasioni in cui l'argomento cadeva su di lui e sui mesi passati con la sua famiglia. Era qualcosa che confortava e spaventava i due coniugi allo stesso tempo: era un sollievo, per loro, che Leonardo avvertisse il distacco, ma d'altro canto una tale presa di coscienza da parte di un bimbo così piccolo implica una sofferenza non indifferente che forse veniva taciuta.
"Ascolta piccolo …" esordì Emma, battendo la mano sulla coscia: divaricando leggermente le gambe riusciva ancora ad avere spazio necessario per farlo sedere. Leo, non se lo fece ripetere due volte. Gli piaceva stare seduto in braccio ad Emma: il suo profumo dolce lo tranquillizzava e quella pancia strana che in qualche modo aveva un bambino dentro che si muoveva e a volte comunicava con l'esterno lo intrigava. "Ci sono delle persone, come Bruno, che pensano che le mamme debbano occuparsi della casa e dei bimbi e che i papà invece debbano lavorare per avere i soldi per fare la spesa. Io e Francesco invece lavoriamo tutti e due e pensiamo che sia giusto dividersi i compiti in casa come c'è bisogno. Se io sono stanca ci pensa lui e viceversa. Anche perché se io non sono a casa e Francesco non cucina voi che fate … non mangiate e restate nella sporcizia?" "Nooo" "Ecco … e così sarà per te quando sarai grande. Se vivrai da solo dovrai cucinare" "Ma io non so cucinare" "Non ti preoccupare imparerai" intervenne il forestale, portando in tavola l'omelette strapazzata con tanto zucchero a velo e la confettura di mirtilli "ti svelo un segreto: Emma non sapeva cucinare niente quando l'ho conosciuta" "E ancora?" protestò Emma contro il marito "e comunque piccolino, non ti devi preoccupare perché c'è ancora tanto tempo … anni, anni e anni … prima devi diventare più alto di me" "Allora io non voglio crescere"
Ad Emma scappò un sorriso ed un sospiro di sollievo "No, amore, nemmeno io voglio che cresci" confessò, posandogli un bacio sulla fronte "E ora vai a sedere che ho tanta fame e questo kaiserschmarren ha un aspetto delizioso"
 
Vincenzo, mentre tirava fuori dall'armadio il piccolo trolley rosa della sua bambina, ripensava alla serata passata. Quando non pensavano, lasciandosi guidare semplicemente dai loro sentimenti, tutto andava esattamente come doveva andare. Niente previsioni, niente calcoli, niente ripensamenti. Solo l'amore che l'uno provava e l'altro ricambiava. Sì, lo ricambiava, ormai non c'erano più dubbi.
Tornato a casa alle quattro del mattino, aveva trovato Valeria addormentata sul divano e non aveva avuto il coraggio di svegliarla. Lui era crollato sul letto dopo la lunga notte e, al suo risveglio, non aveva trovato la donna, ma solo un biglietto sul comodino, posizionato sulla sveglia che aveva impostato al posto suo, in cui lo informava che era dovuta scappare per prendere servizio.
Era, in qualche modo, la sintesi di ciò che Valeria era per lui: il timone della sua nave, colei che, in tutti quei mesi, era riuscita a fargli mantenere la rotta, come padre e come uomo, pur restando invisibile; non l'aveva cambiato, ma la sua presenza era riuscita a tirare fuori il meglio di sé.
Il citofono squillò, rivelando Eva sotto un capello da sole a tesa larga e dei grossi occhiali neri. Vincenzo, vedendola dal video sorrise: se pensava di passare inosservata con quel look, stava fallendo alla grande. Erano a San Candido, non in Costa Smeralda, i turisti vanno in giro in scarpe da trekking, zaino in spalla e, al massimo, un cappello da pesca per ripararsi dai raggi del sole.
"Hola Vincenzo!" "Ciao Eva, benvenuta!" si scambiarono un saluto di cortesia, un bacio sulla guancia fugace mentre la donna correva a prendere in braccio la bambina, che giocava tranquilla sul pavimento della zona giorno.
Come accadeva sempre ogni volta che Eva era in visita, alla bambina occorreva qualche minuto per rendersi conto che la donna che vedeva sullo schermo del telefono del padre non era come i cartoni animati, ma era la sua mamma in carne ed ossa. Con il passare dei mesi tutto diventava più semplice, complice anche la maggior presenza di Eva nella vita della bambina: non era più solo il mittente di tanti regali.
"¡Hola muñequita! ¿Como estas? ¡Te he echado de menos!"
A Vincenzo non dava affatto fastidio che parlasse in spagnolo con la bambina, e anzi trovava che fosse una cosa tutta loro che poteva aiutare a rendere speciale il loro legame, e poi Valeria gli aveva spiegato che essere bilingue avrebbe dato una marcia in più alla bambina. E allora sarà poliglotta, pensò Vincenzo, p
erché Mela avrebbe di certo anche imparato a parlare il napoletano.
"E così è questa la nuova casa?" domandò Eva, guardandosi attorno mentre andavano nella camera di Mela. Era la prima volta che ci entrava, anche se Vincenzo le aveva fatto un piccolo tour con il telefono per controllare che la stanza fosse di suo gradimento, visto che dividevano le spese. "Eh sì … adesso però è un tantino più vissuta. Ti piace?" "Non è male … però casa nostra era tutta un'altra cosa" "Casa … nostra … l'abbiamo venduta Eva, non esiste più." Forse era stato inutilmente severo, ma non capiva questo suo rivangare su un passato che lei stessa, in primis, non aveva voluto. Eva, dal canto suo, capì perfettamente la rimostranza dell'uomo e si scusò per la battuta fuori luogo.
"Hai già preparato la valigia, Vincenzo?" "No, ho solo preparato lo zaino con i suoi giocattoli preferiti" "Meglio così …" commentò la donna, prendendo la bimba in braccio "almeno posso scegliere io, tanto c'è tempo. Vero princesita? Papà non è tanto bravo con la moda come la tua mamita …"
Vincenzo contò mentalmente fino a 10. Per il bene della bambina - e anche della sua sanità mentale - non avrebbe fatto alcun commento, né avrebbe ribattuto ancora a qual si voglia vena polemica.
Il commissario ricordava perfettamente la passione, se non addirittura l'ossessione, della sua ex compagna per la moda. Quando convivevano, i suoi abiti occupavano solo un piccolo angolo della grande cabina armadio che avevano fatto costruire apposta: il resto erano solo scarpe - ne avrà avute una cinquantina, abiti e completi. Li chiamava spese di rappresentanza e, fosse stato per lei, avrebbe provato a scaricarli dalle tasse del B&B. Se non fosse abbastanza sicuro che la bambina sarebbe rimasto con lui la maggior parte dell'anno, Vincenzo si sarebbe preoccupato del cattivo ascendente che avrebbe avuto su Carmela: agli occhi di tutti sarebbe stata una scena carina tra madre e figlia, impegnate a scegliere gli abiti più carini, creando già i look per ogni giorno, ma per Vincenzo era solo un inutile, nonché dispendioso, interesse.
Le lasciò sole per un po', andando a stendersi sul divano. Pensò che fosse giusto che la piccola e sua madre trovassero un po' di intimità prima di partire. Non sarebbe stato facile separarsi dalla bambina per una settimana intera, ma era giusto che passassero del tempo insieme, da sole: con lui attorno, la bambina sarebbe stata sempre portata a stargli vicino, avendo con lui una maggiore confidenza. Prese il telefono e iniziò a cercare sul motore di ricerca l'intervista ad Eva di cui gli aveva parlato Valeria: non l'aveva dimenticata, ma aveva bisogno di leggerla con i suoi occhi per affrontare l'argomento. Non servì molto tempo: non solo la rivista era una di grosso calibro, ma la notizia era stata riportata da altri giornali minori; persino piccole riviste online della provincia avevano ricondiviso l'articolo.
Eva Fernandez torna in Italia, titolavano. Un nuovo progetto per stare vicina alla mia bambina come sottotitolo virgolettato. E giù a raccontare di sé come madre, di come bilanciava il lavoro con la maternità e altre classiche finte storie da copertina che creano empatia con il pubblico e fanno vendere più copie. Finché non avesse tirato in ballo sua figlia direttamente poteva stargli anche bene, aveva bisogno di far parlare di sé per lavorare, è così che funziona in quel mondo, glielo aveva spiegato, ma che non gli parlasse dei suoi piani prima che finissero sulle riviste di gossip, questo non poteva tollerarlo.
"Vale, ya estamos listas" "Che?" domandò Vincenzo, voltandosi, un po' perché sovrappensiero, un po' perché capiva il castigliano, ma Eva spesso parlava veloce come un tornado.
"Oh, scusami, a volte dimentico di dover parlare in italiano, non sono più abituata … dicevo che noi siamo pronte"
Il commissario lanciò un verso di stizza dietro un riso sardonico. "Forse è meglio che ti abitui …" "Come prego?" "No, dico … forse è meglio che ti eserciti un po'" spiegò, alzandosi dal divano "visto che torni a lavorare in Italia." Vincenzo si portò di fronte alla donna, che teneva la bimba tra le braccia. "Chi te lo ha detto?" chiese la donna, come se a venire a galla fosse un segreto di Stato. "Eva, anche a San Candido abbiamo le riviste di gossip e la connessione internet" la sopportazione di Vincenzo era arrivata al limite e il suo tono di voce lo rendeva ancora più evidente. Non solo glielo aveva tenuto nascosto, ora si permetteva anche di recitare la parte dell'indignata. "Te lo ha detto Valeria?" "Non mettere in mezzo Valeria in questa cosa" sbraitò il commissario, la voce ferma e seria "Da chi l'ho saputo non ha importanza, ho visto l'intervista con i miei stessi occhi e fino a prova contraria so leggere. Perché non me lo hai detto?" "Volevo farlo, te lo giuro. È solo che volevo farlo a quattr'occhi e non per telefono." "Però dirlo alla stampa prima che al padre di tua figlia è normale, secondo te?" "Va beh, dai, ora non ti agitare … che sarà mai?! Ora lo sai …" Eva cercava di minimizzare, inframmezzando le sue spiegazioni stentate con un risolino che stava, per quanto riguardava Vincenzo, solo peggiorando la situazione. Era una persona tendenzialmente comprensiva, ma non amava le prese in giro.
"No Eva. Devi dirmelo tu se mi devo agitare" avrebbe voluto gridare e sentiva che lo stava facendo, perché dentro si sentiva ribollire, e le unghie quasi stavano scavando nella carne tanto teneva stretti forte i pugni. Ma doveva mantenere la calma, per Mela e anche per sé stesso, perché l'ultima volta che aveva perso la pazienza con Eva aveva rischiato di perdere l'affidamento della bambina "Mi devo preoccupare?"
"Ma no, che vai pensando. Vedi che ho ragione io a dire che ti lasci influenzare troppo da Valeria …"
Eva, Vincenzo lo sapeva bene, era gelosa di Valeria. Non riusciva a capacitarsi che una ragazza a suo dire non particolarmente avvenente, con un misero gruzzoletto da parte e con una vita banale senza particolari prospettive o aspirazioni se non una vita dietro una scrivania, fosse riuscita a conquistare il cuore del suo uomo al punto da fargli dimenticare la madre di sua figlia in poco tempo. Sì, era vero, lei aveva commesso i suoi errori, ma lui neanche aveva voluto darle un'altra chance.
Quando dimostrava, come in quel caso, la sua possessività, Vincenzo aveva la conferma che aveva solo sprecato tempo. Per Vincenzo, infatti, di chance se ne erano date fin troppe. E Valeria non era stata un rimpiazzo: lui aveva semplicemente smesso di mentire a sé stesso dopo anni.
"Fammelo un favore, Eva. E fallo pure a te stessa. Lascia fuori Valeria" la rimproverò, gesticolando, come sempre quando si agitava. Lei non conosceva Valeria, non aveva idea di cosa aveva dovuto passare e quale peso si era dovuta mettere, ancora giovane, sulle spalle. Non era vero che non aveva sogni, ma aveva dovuto sacrificarli per occuparsi di Isabella e, in un certo modo, anche di lui e di Carmela.
Eva si scusò, sommessamente. Lo vedeva lì, davanti a lei, così protettivo nei confronti di quella ragazza che a lei non diceva assolutamente nulla e sentiva il sangue ribollirle nelle vene. Era gelosa, sì, era inutile mentire a sé stessi. Ma non di Vincenzo … si erano voluti bene, ma per lui non provava nulla più che un tenero affetto, quello che si prova quando un sentimento è passato e si guarda al passato con nostalgia. Era gelosa di un sentimento così, che tira fuori il meglio di te, per cui sei pronto a sfidare il mondo. Lui, per lei, quel passo non lo aveva mai fatto.
"Quindi non mi porti via la bambina?" domandò l'uomo, i toni addolciti. Con Eva era sempre stato così: un momento tenerezza, l'altro parole che volano pesanti di cui pentirsi un'istante dopo. Un  giro perpetuo sulle montagne russe su cui, alla lunga, gli era venuta la nausea.
"Vacanza esclusa? … No, assolutamente" lo rassicurò lei "con i ritmi del set sarebbe sempre con la tata. E poi è giusto che stia qui, questa è casa sua e non c'è posto più sicuro di questo. Ma Milano è sicuramente più vicina di Madrid e quando mi hanno offerto la parte non ci ho messo molto ad accettare. Mi piacerebbe venire a trovarla ogni weekend, se me lo permetti. E magari qualche volta sarete voi a venire a trovarmi."
Aveva sentito e visto tanti colleghi parlare di famiglia allargate in cui il vecchio e il nuovo, in qualche modo, riescono a convivere, civilmente, formando una grande tribù. Voleva provarci anche lei, Vincenzo spesso le diceva di non buttarsi giù, che non era una stupida. Ma con quel caratterino, lo riconosceva anche lei, era difficile andare d'accordo con gli altri.
"Una cosa alla volta" la frenò Vincenzo, rassicurato ma pur sempre guardingo "intanto devi cominciare a lavorare. Di cosa si tratta?"
Eva, iniziò a parlarglidel nuovo progetto, di come aveva avuto la soffiata di questa nuova serie tv e dei provini, di come avesse saputo che aveva ottenuto la parte mentre era alla guida in pieno centro a Madrid e che c'era mancato poco che non tamponasse l'auto che le stava davanti; gli raccontò della trama, del cast e di tutto quello che avrebbe dovuto fare appena finite le vacanze.
Vincenzo stava a guardarla mentre parlava, ammirato, piena di passione per quello che faceva. Eva riconosceva che non si trattava un progetto impegnato, da prime visioni al cinema o premiazioni in grande spolvero con il sfilata sul tappeto rosso; per lei, però, non faceva differenza, ci avrebbe messo tutto l'impegno e la professionalità di cui era capace. Non era affatto superficiale, quella facciata che si era costruita addosso era solo l'unico modo in un cui era stata abituata a sopravvivere in quel mondo patinato.
E, forse per la prima volta, il commissario comprendeva quanto quel lavoro fosse importante per lei; prima l'aveva sempre sottovalutato, probabilmente per una sorta di snobismo e pregiudizio, come se quello fosse solo un gioco e non un lavoro vero e proprio. Non l'aveva mai capita, ma ora si rendeva conto che, in realtà, non le aveva mai permesso di aprirsi.
"Siamo in pre-produzione ma è come se fossimo già a pieno regime" concluse, orgogliosa.
"Io … io devo chiederti scusa" quasi sussurrò Vincenzo, invaso dall'imbarazzo. Non era abituato a tirare fuori quello che aveva dentro, non si usava in casa sua, non era una cosa che dovevano fare gli uomini. "Per cosa?" "Per non averti mai supportata … per non averti lasciata libera di seguire la tua strada" "Vincenzo è stata una mia scelta tornare a San Candido e avere la bambina" "Sì … e poi sappiamo bene entrambi come è andata a finire…"
Il tempo delle recriminazioni era finito: bisognava assumersi le proprie responsabilità. Eva di figli non ne voleva, non si sentiva pronta, ne avevano parlato e lui aveva insistito finché lei non aveva ceduto. Vincenzo aveva anteposto i suoi desideri a quelli di lei, che voleva solo trovare la sua strada, che non era quella che lui avrebbe voluto per lei. Erano in una relazione, ma di fatto a senso unico.
"Davvero Eva, se fossi stato ad ascoltarti ci saremmo risparmiati un sacco di complicazioni" "Ma non avremmo avuto Mela"
Aveva ragione. Il suo amico, Francesco, glielo diceva spesso: le cose non accadono mai per caso; non era sicuro che fosse tutta farina del suo sacco, ma non poteva dargli torto. A Mela, del resto, non avrebbe mai rinunciato.
"Allora vuol dire che qualcosa di buono lo abbiamo fatto…" "Eh già…" concordò Eva "vero muñequita?"
La piccolina, per una volta, sembrò contenta tra le braccia di sua madre. Sorrideva e lo faceva di gusto, gli occhioni cioccolato che le brillavano, come facevano sempre quando era con qualcuno di cui aveva totale fiducia. Giocava in braccio ad Eva, rispondendo alle moine e agli scherzi. La donna, dal canto suo, finalmente riusciva a sentire quel calore che per oltre un anno aveva cercato: non era più solo un esserino a cui doveva voler bene perché era sua figlia, le voleva bene, la cercava, la voleva perché era parte di lei, era un bisogno fisico. Forse non sarebbe stata mai una madre perfetta, forse non sarebbe stata la madre da manuale che sperava, probabilmente avrebbe sempre avuto con sé il macigno di una madre che la vedeva come talento e non come figlia a metterle paura, ma ci avrebbe provato e non si sarebbe più tirata indietro alla prima difficoltà. Ora era sicura che quella bimba paffutella e riccioluta avrebbe voluto bene anche a lei, incondizionatamente e per sempre.
Vincenzo, vedendo la bambina serena, si distese, accarezzandole delicatamente la testolina; decisamente sua figlia era la cosa migliore che avesse fatto nella sua vita.
 
Nel giardino antistante il maso, Emma approfittava della frescura del tardo pomeriggio addolcita dai raggi del sole che, iniziando ad abbassarsi, non sono più roventi come in pieno giorno. A quelle altitudini era facile passare dal caldo afoso a temperature autunnali in meno di ventiquattro ore. La giovane donna ringraziava di quel sollievo, seduta alla panca del tavolo, leggendo un libro e sorseggiando una limonata fresca.
Leo, a cui non interessavano certi dettagli climatici, era impegnato a tirare i calci al pallone contro il muro di pietra della legnaia, le lunghe ciocche di capelli che nessuno riusciva a convincerlo a tagliare imperlate di sudore, il viso arrossato per lo sforzo. Ogni tanto si fermava, attirato dal rumore in lontananza di un'auto o di un trattore che passavano nella strada principale, e, raccolto il pallone, scrutava lungo il viale, nella speranza che un fuoristrada familiare facesse ritorno.
Emma, che per un po' lo aveva scrutato in silenzio, alla fine lo chiamò vicino a sé.
"Stai aspettando Francesco?" domandò dolcemente. Il bambino annuì. "È dovuto andare in caserma per un'emergenza, ma torna presto"
Ad Emma sembrò strano che fosse così impellente, il 16 di Agosto, la presenza del comandante, ma suo marito non si assentava più per lavoro oltre i suoi turni, a meno che non fosse strettamente necessario, quindi doveva essere veramente importante. Era difficile pensare alla forestale come una forza di polizia vera e propria, anche Emma aveva dovuto abituarcisi quando avevano iniziato a vivere insieme: se prima, nel suo immaginario, lo aveva relegato a qualcosa in più di un guardacaccia, ora sapeva bene che i suoi compiti erano ben più ampi e complessi e, in emergenza, non esistevano festivi o ferie. E così, dopo la passeggiata al lago di mattina e il pranzo di festeggiamento in una malga nei pressi del lago, Francesco aveva dovuto rispondere all'appello dei colleghi di turno.
"Sai che facciamo? Adesso andiamo a rinfrescarci con una bella doccia" propose "e sono sicura che quando avremo finito Francesco sarà a casa"
Emma ci sperava, ma intanto avrebbe guadagnato tempo. Nonostante la mattina trascorsa insieme, Leonardo non si stancava mai di trascorrere del tempo con Francesco, che sembrava nato per fare il padre: sapeva come prenderlo, che attività proporgli, persino come richiamarlo senza essere troppo severo né troppo blando. Emma ci provava a stare al suo passo ma, un po' perché rallentata fisicamente dalla gravidanza, un po' perché non aveva mai avuto a che fare con i bambini di quell'età quotidianamente, non si sentiva naturale, sciolta: non se ne faceva una colpa però, ma guardava suo marito con interesse, carpiva i segreti, provava ad imitarlo. Ma quello che succedeva tra i suoi due ragazzi, quando erano insieme, per lei era ancora un mix tra magia e mistero.
Leonardo accettò il compromesso di Emma, un po' perché era stufo di aspettare in vano, giocando da solo, un po' si sentiva davvero stanco: la passeggiata tra i boschi era stata lunga e faticosa anche per lui.
Mentre si dirigevano in casa, il rombo di un motore colse l'attenzione del bambino: c'erano pochi dubbi, quello era davvero Francesco. L'auto, un fuoristrada verde militare, si avvicinava fino a fermarsi di fronte al maso. Il piccoletto guizzò via, in direzione dell'auto, senza che Emma opponesse alcuna resistenza.
Francesco, sceso dall'auto, allargò le braccia per accoglierlo, chinandosi alla sua altezza. Aveva sognato da tanto di trovarsi in una situazione del genere, per molto tempo aveva creduto che solo nei sogni gli era permesso immaginarsi protagonista di una vita simile.
"Papaaaà!!!" urlò Leo, saltandogli addosso. Francesco, ricambiando il suo abbraccio e alzandosi in piedi, per un attimo pensò di averlo immaginato. "Co-come mi hai chiamato?" "Scusa …" disse il piccolo, abbassando lo sguardo, come se avesse commesso il più grave dei delitti "non lo dico più" "No piccolo!" si affrettò a correggersi l'uomo, accarezzandogli il visino e scendendo con la mano fino al mento, per tirarlo su e guardarlo dritto in volto. Povero piccolo, pensò, chissà come gli erano uscite quelle parole per pensare che fosse un rimprovero. "È solo che non me lo aspettavo, non pensavo di aver capito bene" "Io lo so che non sei il mio papà, ma sai fare tutte le cose che fanno i papà e allora io ho pensato che potevi essere tu il mio papà. Vuoi? Tanto io abito qui con te" "Sì..sì lo voglio" affermò l'uomo, baciandogli forte la guancia. "Piangi?" chiese il bambino, ingenuamente. "No … è solo allergia" inventò, sorridendo. Ma stava sforzandosi così forte di non piangere, seppur di felicità, che il naso chiuso e gli occhi arrossati e lucidi gli stavano reggendo perfettamente il gioco.
Emma, invece, defilata, ancora vicina alla porta di casa, non faceva il minimo sforzo per nascondere la sua commozione. Le lacrime scendevano copiose per il suo uomo, perché sapeva bene quanto sollievo quella parola così semplice aveva il potere di dargli. Non le interessava che Leo non avesse neanche provato a chiamare lei mamma, era solo felice per Francesco e la pace che questo legame speciale gli avrebbe dato. Lei aveva accettato questo bambino nella loro vita, era stato normale e spontaneo che diventasse parte della famiglia, ma lo riconosceva anche lei che il legame tra i due era un'altra cosa.
Li vide parlottare tra loro, a bassa voce e, portando il bambino a terra, Francesco si diresse verso il retro dell'auto, da dove tirò fuori uno scatolone. Leo, emozionato e agitato al tempo stesso, guardava il contenuto della scatola con gli occhi ricolmi di gioia ma attento, al tempo stesso, a quello che Francesco, sempre a bassa voce gli spiegava. Qualunque cosa fosse, era tentato di afferrarla con le sue mani ma non osava, non prima che Francesco avesse finito quelle che avevano tutta l'aria di essere delle raccomandazioni.
All'ennesimo sì con la testa del piccolo, Francesco mise lui stesso le mani nella scatola e quello che estrasse lasciò Emma senza fiato. Con il bambino che gli ronzava attorno nel pieno dell'eccitazione, il forestale si incamminò verso sua moglie, stringendo tra le braccia una palla di pelo biancastro e beige, con una decisa striatura bianca che sembra una mezza luna. "Non mi dire …" esclamò Emma, scuotendo la testa "non può essere" "E se invece ti dicessi di sì?" "Come hai fatto? Non si può! Sono esemplari sequestrati, c'è un'indagine in corso, sono…" "…sono il comandante della caserma che ha svolto le indagini, quando ero nelle Forze Speciali ero un conduttore cinofilo, mia moglie è un'etologa esperta in lupi … direi che qualche credenziale per occuparci di Luna ce l'abbiamo"
Entrambi risero. Francesco che muoveva qualche filo per ottenere un favore per sé stesso: questa sì che era una novità. La giovane donna, accarezzò il muso della cucciolotta che era ben cresciuta da quando l'avevano trovata, in quello stesso giardino. Il suo pelo era leggermente schiarito e forse, in futuro, quella macchia che le aveva regalato il nome si sarebbe persino confusa con il resto della pelliccia, le orecchie erano dritte, con le punte leggermente afflosciate e i canini erano spuntati. La piccolina ricambiò, leccandole le mani, ed emettendo degli ululati brevi ed acuti, con maggior forza di quella che aveva quando stava in caserma; non sembrava affatto intimorita: sicuramente l'odore di chi le aveva prestato soccorso era ben impresso nella sua memoria e le risultava familiare e rassicurante.
"Lo so che forse non è il momento" si affrettò a scusarsi il forestale "con la casa appena aperta e il bebè in arrivo ma .." "Va benissimo così" tagliò corto sua moglie "Com'era? In palafitta una branda per chi ha bisogno non mancherà mai? Beh facciamo che vale anche per il maso Neri …" "Luna però non sta in una branda" precisò l'uomo. "Branda, cuccia, piedi del letto…fa lo stesso" "Eh no! Ai piedi del letto no…" "Sì sì va bene come vuoi tu …" Emma ignorò le rimostranze del marito, prendendolo in giro con un gesto della mano per aria e un sorriso furbo.
"Posso papà?" Leo, implorante, tendeva le mani verso la cucciolotta, in punta di piedi per arrivare più facilmente alle braccia del padre. "Ok, ma ricorda quello che ti ho detto". Il bambino, diligente, annuì come se dalla promessa fatta dipendesse il futuro dell'intera umanità. Prese la lupacchiotta tra le braccia con scrupolo, ma non resistette molto prima di abbracciarla e strofinare le sue guance alla morbida pelliccia. Il bimbo iniziò a parlarle liberamente, come se l'animale potesse capirlo, mentre faceva da Cicerone mostrandole il giardino, la casetta dove l'avevano trovata e i suoi giochi, Francesco ed Emma stavano a guardare, compiaciuti.
"Hai sentito?" domandò l'uomo. Era trionfante, come Emma lo aveva visto poche volte; era come se so dei tanti pezzi in cui il suo cuore si era frantumato anni prima, avesse ritrovato il suo posto. Emma annuì, accarezzandogli il volto, e dai suoi occhi traspariva tutto l'orgoglio per quel traguardo che significava troppo per lui. Ma non era tronfio, la sua gioia restava dimessa e riusciva comunque a mettere gli altri - Emma - al primo posto. "Chiamerà mamma anche te, è solo questione di tempo" "Non importa" si affrettò a chiosare lei, serena "sono felice per te. È giusto così: tu gli hai voluto bene dalla prima volta che lo hai visto, quando nessuno ti credeva, nemmeno io"
Entrambi si trovarono a ripensare a quei giorni, quando Francesco vide Leonardo per la prima volta al maso dei Moser, dove Emma lavorava. Il respiro che gli si spezzava in gola, il cuore che perse un battito a vedere quel bambino che dondolava sull'altalena e gli ricordava tanto, troppo, Marco e Livia.
"Ho rischiato di perderti per quella sbandata. Tu aspettavi il nostro angelo ed io mi sono concentrato su un estraneo" Quelle parole con cui Emma gli aveva sputato in faccia tutto il suo disprezzo e la sua commiserazione ancora bruciavano, indelebili come una cicatrice da ustione, monito per un errore da non commettere mai più. Emma, però, scosse la testa, a voler scacciare quel ricordo di parole che sapeva di aver detto ma che non riconosceva come sue. "Abbiamo sbagliato entrambi: indipendentemente dal sangue o dal DNA tu lo hai sentito tuo fin dal primo momento, io no"
Emma non credeva al caso, ma al destino sì: era andato, secondo lei, esattamente come doveva andare, non c'era da criticarsi o fasciarsi la testa per cose al di fuori del proprio controllo. Bisogna invece prendere quello che veniva e trarne il meglio: avevano perso il loro bambino, ma sulla loro strada ne era arrivato un altro, bisognoso di tutto quell'amore che loro avevano da offrire e con il quale costruire una famiglia, proprio loro che, una famiglia, non sapevano nemmeno come cominciare a costruirla.
   
 
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