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Autore: Roscoe24    12/01/2021    3 recensioni
"Arthur sapeva essere estremamente premuroso, quando non si comportava come un totale babbeo.
E questo pensiero fece sfarfallare il cuore di Merlin, in un modo che lui decise volutamente di ignorare per tutta una serie di innumerevoli motivi (...). Non poteva innamorarsi del suo capo. Sarebbe stato poco professionale, decisamente poco etico, e oltraggiosamente scontato."
Genere: Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Gwen/Lancillotto, Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Arthur fu svegliato da un fastidioso suono ripetuto. Il suo cervello addormentato impiegò circa un minuto per svegliarsi completamente e ricordargli tutti gli eventi della sera precedente, così come gli fece realizzare che non percepiva nessun peso sopra di sé. Si mise a sedere di scatto, realizzando che il suono ripetuto proveniva dalla cucina e probabilmente era causato da Merlin intento a preparare la colazione. Questo avrebbe spiegato sia la sua assenza, sia i rumori fastidiosi che l’avevano svegliato. Si alzò dal divano ancora mezzo addormentato e si diresse verso la piccola cucina. Rimase appoggiato allo stipite della porta, mentre osservava Merlin che si dava da fare ai fornelli, armeggiando con spatola e padella per cuocere le uova sbattute.
“Il tuo divano è scomodissimo.”
Merlin sussultò lievemente per la sorpresa e si voltò verso di lui. “Buongiorno anche a te, raggio di sole. La prossima volta puoi provare il pavimento, se snobbi tanto il mio divano.”
Arthur si avvicinò a lui, poggiandosi con un fianco al piano cottura. Le braccia incrociate al petto e gli occhi fissi in quelli di Merlin.
“La prossima volta cerchiamo di dormire in un letto. Magari il mio, che è estremamente comodo.”
“Sei tu che mi hai praticamente trascinato sul divano. Prenditi le tue responsabilità.”
Touché.
Arthur rimase ad osservarlo per qualche istante mentre continuava a muovere le uova per fare in modo che si cuocessero bene senza bruciarsi. Poteva abituarsi a tutto questo. A dire la verità si era già abituato a tutto questo. Il loro rapporto non sarebbe cambiato più di tanto, realizzò. Era già capitato che facessero colazione insieme, la mattina, magari perché erano rimasti a casa di Arthur per lavorare fino a tardi. Era abituato a Merlin che preparava il caffè, o la colazione.
Di diverso c’era solo la natura del loro rapporto, che aveva smesso di essere solo amichevole.
E la cosa lo rendeva più felice di quanto si sarebbe mai immaginato. Non essere più solo amici rendeva in qualche modo il loro rapporto più completo, quasi come se fosse giusto che stessero insieme. E forse la cassiera aveva avuto ragione a definirli una coppia.
Arthur si sporse e gli lasciò un bacio sulla guancia, mentre Merlin continuava ad occuparsi della colazione.
“E questo per che cos’era?”
“Perché mi andava di farlo.”
Merlin sorrise, si voltò verso di lui e lo baciò sulle labbra. Un contatto fugace e delicato, che tuttavia non bastò ad Arthur che gli afferrò il mento tra due dita e lo fece voltare di nuovo verso di sé per baciarlo di nuovo, più approfonditamente. Merlin sentiva il cuore che perdeva il controllo di sé ogni volta che si baciavano. Gli sembrava di essere tornato un ragazzino con una cotta enorme e l’incapacità di gestire i propri sentimenti.
C’era un qualcosa di estremamente nuovo, in tutte le sensazioni che provava. Era come se stesse riscoprendo determinate emozioni per la prima volta, sotto una luce nuova, con un’intensità nuova, mai provata prima d’ora.
“Stai facendo bruciare la mia colazione, Merlin.” Gli sussurrò Arthur, quando si separarono.
Merlin si affrettò a spegnere il fuoco, salvando la loro colazione in extremis.
“È la nostra colazione, Arthur. Non cominciare a fare l’egocentrico. E comunque sei tu che mi hai distratto!”
“Non sembrava ti stessi opponendo, comunque.”
“Smettila e vai a sederti.”
Arthur sorrise ed obbedì, andando a sedersi al suo posto al tavolo in formica che stava al centro della cucina. Era già tutto apparecchiato: piatti, tazze di caffè, posate, zuccheriera e pane tostato. Arthur sapeva che la zuccheriera era lì solamente per lui. Il caffè a Merlin piaceva amaro.
Il padrone di casa riempì i due piatti di uova e poi sistemò la padella nel lavandino, prima di andarsi a sedere di fronte ad Arthur.
“Ci sono state delle novità, al lavoro?” Domandò Merlin.
Arthur ingoiò il suo boccone, prima di rispondergli. “Intendi nei tre giorni dove non ti sei fatto vedere e mi hai condannato ad avere a che fare con George?”
“Avevo i miei buoni motivi per non venire, mi pare. E poi di che ti lamenti? George è praticamente l’assistente perfetto!”
“George è incredibilmente noioso. Mi ha parlato per due ore consecutive della giusta impaginazione per la stesura dei contratti.” Roteò gli occhi al cielo con disperazione, prima di fissarli di nuovo in quelli di Merlin. “E poi lui non è te. E io voglio solo te.”
Merlin arrossì fino alla punta delle orecchie. “Intendi come assistente?”
“Sai cosa intendo.”
“Sai, esternare ciò che provi, ogni tanto, mica ti ucciderebbe.”
“Anche non ribattere a qualsiasi cosa io dica non ti ucciderebbe, ma tu lo fai comunque.”
“D’accordo, scusa.” Gli sorrise. “Allora, novità?”
“Ho verificato la tua pista. Ho contattato la vicina e ha detto che è disposta a parlare con noi ed eventualmente anche venire a testimoniare in tribunale.”
“E non sei contento?”
“Lo sono. Ma dobbiamo essere pronti. È un caso importante. Se falliamo, Annabelle rischia grosso.”
“Dobbiamo trovare un posto in cui può stare per tutta la durata del processo.”
“Dai suoi genitori?”
“No, suo marito sa dove vivono i suoceri. Potrebbe andare là, minacciarla o minacciare loro. Potrebbe metterla in pericolo. È un uomo violento, non possiamo rischiare le faccia del male. Potrebbe arrivare a…” Merlin fece una pausa. Era uno scenario talmente orribile che non voleva nemmeno ipotizzare quella fine catastrofica. “La casa dei suoi è esclusa.” Continuò, riprendendosi. “Possiamo cercare di contattare una di quelle associazioni contro la violenza domestica. Potrebbe vivere lì, in anonimo. Non figurerebbe in nessuna lista e lui non potrebbe rintracciarla.”
Arthur ci pensò su e annuì. Era una buona idea. “Chiamo Morgana e la informo che stiamo andando in ufficio, così possiamo cominciare a muoverci in questa direzione.”
Merlin annuì.
Poco dopo, stavano uscendo di casa diretti allo studio legale a bordo dell’auto di Arthur.




*





In macchina, Merlin era concentrato sul suo cellulare: stava controllando possibili associazioni per Annabelle, mentre Arthur guidava. Solo quando si fermò ad un semaforo alzò lo sguardo per capire quanto mancasse allo studio, ma si rese conto che stavano andando da un’altra parte.
“Arthur, perché stiamo andando a casa tua?”
“Perché devo cambiarmi, non posso venire al lavoro così. Tu non hai la minima idea di cosa significhi rispettare un dress-code, Merlin, ma io sì.”
Merlin alzò gli occhi al cielo. Arthur sapeva essere così pretenzioso. Merlin si era abituato ai suoi sfottò riguardanti il suo abbigliamento – non tutti potevano permettersi i completi di alta sartoria, quindi lui si era adeguato alla politica dell’ufficio riguardo il vestiario secondo le sue possibilità economiche – ma non trovava che l’abbigliamento di Arthur stonasse. Certo, maglione di lana e jeans non avrebbero fatto felice Uther, ma magari se era Arthur a portarli avrebbe fatto un’eccezione?
Soprattutto quando il maglione gli stava così bene? E aderiva nei punti giusti, evidenziando l’ampiezza delle spalle…
“Merlin?”
…e la robustezza delle sue braccia.
“Merlin?”
“Cosa?”
“Mi stai fissando. Di nuovo. Se dici un’altra volta che non stai fissando me, ti defenestro.” 
“Non credo lo faresti. Sarebbe aggressione, o tentato omicidio visto che siamo in mezzo alla strada con altre macchine che potrebbero investirmi. E tu non vuoi avermi sulla coscienza.”
“Ne sei sicuro?” Arthur gli lanciò un’occhiata laterale, prima di partire di nuovo non appena il semaforo divenne verde. “E tecnicamente eravamo fermi, quindi niente tentato omicidio.”
“Come ti pare.” Tagliò corto Merlin, tornando con gli occhi fissi sul cellulare. Avrebbe dovuto concentrarsi di nuovo sulla sua ricerca per trovare qualcosa che facesse al caso loro, ma sentiva gli occhi di Arthur su di sé. Cosa estremamente pericolosa, visto che stava guidando. Si voltò verso di lui, notando un enorme sorriso soddisfatto sul suo viso.
“Adesso sei tu che fissi me. E vorrei farti notare quanto sia incredibilmente pericoloso e irresponsabile. Non voglio morire perché sei un idiota, Arthur.”
L’espressione di Arthur mutò in tre secondi, facendosi accigliata. “Primo: non sono idiota…”
“Discutibile.”
Arthur lo fulminò, prima di continuare. “…Secondo: non posso guardarti?”
“Non quando guidi. No. È severamente vietato quando la mia vita è nelle tue mani.”
Arthur portò gli occhi di nuovo sulla strada. “Va bene, allora. Vorrà dire che potrai continuare a farlo tu. A quanto pare, ti piace fissarmi e negare di farlo.” Gongolò, soddisfatto.
“Te l’hanno mai detto che sei un tronfio pallone gonfiato?”
Arthur ridacchiò. “Andiamo, Merlin. Esternare ciò che provi mica ti ucciderebbe.” Citò spudoratamente le parole usate da Merlin a colazione, mettendoci più enfasi del necessario. Arthur sapeva essere una fastidiosa, sarcastica, spina nel fianco, se si impegnava. “Puoi ammettere di trovarmi bellissimo!”
Ecco, appunto.
Merlin non gliel’avrebbe data vinta, anche se lo pensava con ogni fibra di sé stesso. “Guida, Arthur.”
“Ammettilo.” Lo sfidò, Mr. Sono Irritante Di Natura.
“Guida.” Si impuntò Merlin. Il suo ego era già abbastanza enorme senza che lui ammettesse nulla.
Arthur gli riservò un sorrisetto saccente e soddisfatto, ma poi tacque. Merlin ringraziò la sua buona stella, che ogni tanto si svegliava e lo aiutava a salvaguardare la sua sanità mentale. Tornò a concentrarsi sul cellulare, mentre Arthur imboccava la strada che li avrebbe condotti a casa sua.



*


Arrivarono poco dopo. Arthur parcheggiò davanti a casa propria, nel vialetto che conduceva alla porta d’entrata. Uscirono dalla macchina e si diressero verso l’ingresso. Quando Arthur aprì la porta, Merlin lo seguì all’interno. Si mossero automaticamente, come se fosse naturale per entrambi entrare insieme in quella casa dove ognuno aveva il suo spazio e al tempo stesso lo spazio veniva condiviso.
Arthur si diresse al piano di sopra, dove stavano le camere; Merlin, invece, si mise seduto sul divano e continuò la sua ricerca dell’associazione adatta.
Si prospettava un’attesa discreta, davanti a lui. Sapeva quanto Arthur fosse estremamente lento a prepararsi. Era davvero un miracolo che arrivasse puntuale al lavoro o agli appuntamenti in generale. Probabilmente si svegliava all’alba per essere impeccabile. Era estremamente vanitoso. E Merlin pensava che tutto quello sforzo fosse estremamente superfluo perché Arthur era bellissimo sempre.
Continuò la sua ricerca, segnò qualche numero di telefono che poteva fare al caso loro e cominciò a contattare le varie associazioni che garantivano l’anonimato, spiegando la situazione.
Le prime tre dovettero rifiutare, in quanto non disponevano più di posti liberi e Merlin provò un profondo moto d’angoscia misto a rabbia per l’ingiustizia che così tante donne erano costrette a subire perché al mondo esistevano uomini simili, violenti, cattivi. Era così ingiusto. Questa consapevolezza gli ricordava il motivo per cui aveva scelto quella professione. Non era stato facile, per lui. Il suo percorso di studi era costato parecchio. Era stato uno studente-lavoratore per tutta la durata della sua carriera universitaria, alternando libri d’esame a tavoli da servire. Era stato estenuante, ma era riuscito a laurearsi. E adesso si stava impegnando per aiutare al meglio le persone, soprattutto quelle che subivano ingiustizie.
“Andiamo?”
Merlin sobbalzò. Non si era reso conto di quanto fosse passato, o forse Arthur ci aveva messo meno di quanto si aspettava, ma trovarselo davanti fu una piccola sorpresa.
Arthur si era fatto la doccia più veloce del mondo – il che era praticamente un miracolo – e si era cambiato, abbandonando maglione e jeans in favore di uno dei suoi completi. Ne indossava uno blu navy, abbinato ad una camicia bianca, che faceva risaltare i suoi occhi azzurri in un modo che Merlin avrebbe definito letale per sé stesso e per l’intera popolazione. Sul serio, come osava andare in giro in quel modo e pretendere che lui non lo fissasse? Era naturale che l’avrebbe fatto, insomma! Era un essere umano, con delle debolezze e una propensione quasi vergognosa ad un esubero di salivazione davanti ad una visione simile.
“Vedi qualcosa che ti aggrada, per caso?”
Brutto stronzo insolente, l’ha fatta apposta! Si era vestito in quel modo per provocarlo.
“Non saprei, dimmelo tu, dato che ti sei impegnato tanto per essere notato.”
Arthur si avvicinò al divano dove Merlin era ancora seduto. Infilò un ginocchio tra le sue gambe per fargliele aprire e si inserì nel mezzo. Lo guardò dall’alto per un interminabile istante, prima di appoggiargli le mani sul viso, accarezzandogli gli zigomi e scendendo fino ad arrivare alle labbra. Ne tracciò il perimetro con il pollice. Merlin aveva delle labbra bellissime, carnose, rosee e delineate alla perfezione.
“È tremendamente difficile strapparti un complimento.” Sussurrò, la voce che andava a mischiarsi delicatamente al silenzio che li circondava. Merlin trovò estremamente tenero quel comportamento e sorrise, prima di mettersi in piedi. Arthur non si spostò di un millimetro, quindi erano talmente vicini che i loro nasi si potevano sfiorare. Merlin ne approfittò per un veloce bacio all’eschimese, prima di appoggiare le sue labbra contro quelle di Arthur. Si prese tutto il tempo che probabilmente in realtà non avevano. Erano in ritardo, sicuramente. Ma non gli importava granché. Non adesso che l’unica cosa che gli interessava era la bocca di Arthur sulla propria e le loro labbra che si muovevano in sintonia, con delicatezza e lentezza, esplorandosi ancora una volta; le loro lingue intrecciate, intente a scoprire una nuova terra che nonostante fosse inesplorata riusciva così fortemente a sembrare casa.
Arthur era il suo posto nel mondo, l’unico che lo facesse sentire a proprio agio.  In lui aveva trovato quella parte di sé che riusciva a farlo sentire completo. E non era sicuro di riuscire ad esprimere pienamente a parole tutte queste sensazioni, semplicemente perché pensava che non avessero ancora inventato parole in grado di esprimere tali sentimenti, ma…
“Sei bellissimo.” Gli sussurrò sulle labbra, appena si separarono.
…ma quello poteva dirlo. Era semplice esternarlo, soprattutto perché era la verità. E per quanto alcune verità possano essere ardue da ammettere, o esternare, questa faceva parte di quelle verità assolute inconfutabili che devono necessariamente essere dette ad alta voce.
E Merlin l’avrebbe ripetuto ogni volta che Arthur avesse voluto, solamente per vedergli comparire in viso quel sorriso radioso che adesso gli stava regalando. Arthur sembrava genuinamente felice, come un bambino la mattina di Natale. E Merlin si trovò ad esserlo per riflesso. Lo baciò ancora e Arthur sorrise prima di rispondere a quel bacio. Le labbra che si scontravano di nuovo, fameliche e desiderose di incontrarsi un’altra volta ancora, come due amanti che sono stati tenuti separati per troppo tempo e bramano febbrilmente la vicinanza reciproca.
“Credo che dovremmo andare.” Mormorò Merlin, la fronte appoggiata a quella di Arthur. “Siamo già in ritardo. E tu non sei mai in ritardo.”
“Mi stai influenzando negativamente.” Si separò da lui con riluttanza e recuperò tutto ciò che gli serviva per l’ufficio. “Andiamo.”
Merlin annuì e uscirono insieme di casa. Salirono nuovamente in macchina e si diressero verso l’ufficio.







*




Arrivarono in ritardo. Ovviamente. Arthur si trattenne dall’incolpare Merlin perché sapeva che in parte era anche colpa sua, ma nonostante questo si trovò a realizzare quanto il suo umore fosse alle stelle. Poteva decisamente abituarsi a mattinate così. A svegliarsi insieme a lui, ad andare al lavoro insieme e poi tornare a casa insieme.
Nel tragitto verso lo studio avevano concordato di non cambiare atteggiamenti in ufficio per non destare sospetti. E per non far parlare di loro e del fatto che in pratica fossero un cliché vivente: capo e assistente, sai che novità. Ma le lingue lunghe avrebbero sicuramente sparlato e inevitabilmente Uther sarebbe venuto a sapere tutto e nessuno dei due voleva che fossero terzi a mettergli la pulce nell’orecchio. Voleva essere Arthur a parlargli, a dirgli le cose come stavano.
E a Merlin andava bene. Era giusto che Arthur affrontasse suo padre quando si sentiva pronto e nel modo che lui ritenesse opportuno.
Una volta usciti dall’ascensore, si incamminarono verso lo studio. Merlin poi si sistemò alla sua scrivania, mentre Arthur si diresse verso il suo ufficio. Mentirebbe se dicesse che pur di guardarlo un po’ di più non avesse rischiato di sbattere la testa contro la sua porta, ma per fortuna non se n’era accorto nessuno – Merlin compreso, che altrimenti l’avrebbe preso in giro fino alla fine dei suoi giorni.
Ad ogni modo, si era fermato prima che sulla superficie di legno venisse fatto un calco della sua faccia.
Si ricompose ed entrò nel suo ufficio, sussultando quando notò che c’era qualcuno seduto alla sua scrivania.
“Sei in ritardo.” Gli fece notare Morgana.
“E tu sei seduta dove non dovresti.” Arthur si tolse il cappotto e lo appese all’attaccapanni vicino alla porta, prima di avvicinarsi alla scrivania. Con una mano fece cenno a Morgana di alzarsi, ma lei non lo fece. Piuttosto, fece mezzo giro di sedia verso di lui e lo guardò con un sorrisetto compiaciuto.
“Perché sei in ritardo? Tu non sei mai in ritardo.”
Morgana sapeva davvero che nervi toccare per farglieli saltare come delle corde di pianoforte rotte.
“Non sono affari tuoi. Alzati da lì.”
Ma Morgana lo ignorò di nuovo. Arthur non avrebbe dovuto nemmeno stupirsi, eppure si stupiva. E si innervosiva. Detestava essere ignorato.
“Va bene, se non vuoi dirmelo, indovino io. C’entra Merlin?”
Arthur sospirò, facendo ricorso a tutta la sua pazienza. Si passò una mano sul viso per nascondere il rossore che sentiva crescere sulle guance. Morgana doveva essere una specie di indovina, o veggente, o qualche creatura mistica simile perché non si spiegava come aveva fatto, altrimenti, ad indovinare. Ad ogni modo, decise di assecondarla. Prima o dopo, tanto, sarebbe venuta a saperlo.
“Sì.”
“E scommetto che c’entra il fatto che non è venuto al lavoro per tre giorni. Merlin è tante cose, ma di certo non è un uomo inaffidabile. Dimmi, fratellino, c’è qualcosa che vuoi dirmi, a riguardo?”
Tutto quel giocare al gatto e al topo, dove Morgana si stava divertendo moltissimo ad essere il gatto, lo stava stufando.
“Sono in ritardo perché ho passato la notte a casa sua.” Ammise e quando vide l’espressione maliziosa sul viso della sorella arrossì violentemente: “Ci siamo solo baciati!” Esclamò. 
Ammetterlo era liberatorio, ma nonostante questo Arthur sentì l’ansia montargli nel cuore. Temeva ancora il giudizio delle persone che gli stavano intorno. Aveva paura che potessero cambiare nei suoi confronti, o vederlo sotto una luce diversa. Arthur non voleva che questo succedesse. L’unica cosa che voleva era essere libero di essere sé stesso, ma sapeva che comunque questa libertà aveva un prezzo. Il coraggio di essere libero implicava doversi scontrare con quelle persone ancorate ad idee retrograde e bigotte, idee che non coinvolgono altri tipi di relazioni diversi da quello uomo-donna.
Ma quando Morgana sorrise, lui sentì tutte quelle paure scivolare via. Leggendo quel sorriso nel volto della sorella capì che almeno tra di loro le cose non sarebbero cambiate, che Morgana non l’avrebbe visto diversamente.
“E chi è stato a fare il primo passo? Tu o lui?”
Arthur rimase spiazzato da quella domanda. Di certo non se l’aspettava. “Non credo siano affari tuoi.”
“Andiamo, Arthur! Accontentami!”
L’uomo si arrese. Sapeva quanto Morgana potesse essere insistente e sapeva che non avrebbe lasciato cadere la questione fin quando non le avesse risposto.
“Io.”
“Oh, dannazione!”
Arthur la guardò con occhi sgranati. “Pensi di spiegarmela questa reazione?”
Morgana cominciò a gesticolare, facendo tintinnare i braccialetti che aveva al polso come tante campanelle. “Io e Leon abbiamo una scommessa in corso che riguarda proprio te e Merlin. Io pensavo che il primo passo l’avrebbe fatto lui, Leon pensava che l’avresti fatto tu. Gli devo 50 sterline, accidenti a te!”
“Hai fatto una scommessa su di me?? Sei impazzita??” Arthur alzò inevitabilmente la voce, sentendosi profondamente strumentalizzato.
“Sì, ho scommesso su di te, anche se forse sarebbe meglio dire contro di te. E no, non sono impazzita.” Ammise lei, senza scomporsi minimamente davanti alla sua reazione. “Sei consapevole che tu e Merlin fino a ieri eravate gli unici a ignorare di provare qualcosa l’uno per l’altro, vero?”
Arthur si calmò momentaneamente davanti a quell’osservazione. Non ci aveva mai pensato, in effetti. Lui stesso aveva realizzato che ciò che provava per Merlin poteva non essere solo amicizia solo quando aveva rischiato di perderlo. E quando aveva deciso che un modo giusto per esprimere gratitudine fosse baciarlo, ma dettagli.
E quando aveva notato quanto fosse bello. O che ricordasse a memoria i loro scambi di messaggi.
O che trovasse adorabile il fatto che si coprisse come un pinguino perché ha costantemente freddo. O che fosse terribilmente affascinato dal suo modo di pensare e agire. O che pensasse avesse un cuore buono e altruista.
Beh, merda. Era stato davvero un idiota a non rendersi conto prima di provare qualcosa per la persona che aveva sempre definito il suo migliore amico.
E forse l’aveva subito definito così per non dover realizzare prima che provava qualcosa per lui di decisamente non amichevole, troppo spaventato dalle implicazioni che ciò avrebbe portato. Ma adesso era tutto diverso. Adesso Arthur non voleva più nascondersi.
“Gli unici?” Fece eco Arthur.
Morgana annuì, con più soddisfazione del necessario. “Tutti se n’erano accorti, Art. Vi guardate sempre così intensamente e sembra che non percepiate nessun altro, intorno a voi. Se lo chiedi a me è un po’ stucchevole, ma se ti fa stare meglio Gwen pensa che stiate benissimo insieme.”
Arthur arrossì. “È così palese?”
“Cosa, che volete strapparvi i vestiti di dosso? Sì, lo era per tutti meno che per voi due perché siete idioti.”
“Ehi!” Esclamò risentito. “Non siamo idioti!”
“Lo siete.” Tagliò corto la donna, alzandosi dalla sedia e lasciando il tanto agognato posto al fratello. “Ma sono felice per te, davvero.” Il suo sorriso, però, si mutò in un’espressione seria non appena formulò una domanda: “Hai intenzione di dirlo a Uther?”
“Sì. So che non la prenderà bene, ma non mi importa. Non voglio perdere Merlin.”
“Stucchevole, ma comprensibile. Non troverai qualcun altro disposto a sopportarti come fa lui. Sul serio, quel ragazzo è un santo.”
“Sta’ zitta, Morgana.” Ribatté, ferito nell’orgoglio. Merlin non era un santo. Aveva dei difetti anche lui, per Dio!
Morgana lo liquidò con un gesto incurante della mano. “Sta’ zitto tu, sai che ho ragione!”
Arthur alzò gli occhi al cielo, esasperato. “Ad ogni modo, c’è un motivo per cui hai invaso il mio ufficio che esula dal volermi torchiare sulla mia vita privata?”
Morgana prese posto davanti alla scrivania di Arthur e lui la imitò sedendosi dove prima era seduta lei.
“Sì. Volevo informazioni sul caso di Annabelle.”
“Merlin sta cercando un’associazione. Mentre lui si occupa di quello, noi possiamo cercare dei precedenti simili a questo caso e vedere se possono volgersi a nostro favore, in tribunale.”
“Mi sembra un buon piano.”
“Davvero? Concordi con me senza ribattere?”
“Non stupirti tanto. Stai gestendo bene questo caso e non ho niente da ridire a riguardo.”
“Grazie, Mo.”
Lei annuì. “Solo… non farci l’abitudine, ok?”
“Ma certo.” Arthur accennò una risata.
“D’accordo. Vado, così inizio a cercare dei precedenti che possano esserci utili.” Morgana si alzò dalla sedia e si diresse verso l’uscita. Arthur la ringraziò di nuovo e si mise a lavorare.




*





L’Apocalisse dovrebbe avere un suono specifico. Non che Arthur se lo fosse mai davvero chiesto, ma se si fosse fermato a ragionare sull’ultima parte della Bibbia, avrebbe potuto immaginare scenari specifici: fuoco, guerra, vite spezzate e angeli in lotta contro demoni. Il tutto condito da un rumore in sottofondo: esplosioni e grida di terrore e dolore, o colme di rabbia.
Nel suo caso, probabilmente l’Apocalisse aveva il suono e la forma di Uther Pendragon, che nel pomeriggio di quella giornata cominciata così bene, squarciò la sua quiete con ordini e pretese che riguardavano proprio lui.
Arthur riuscì a sentire suo padre raggiungerlo ancora prima che fosse vicino alla sua porta. Sentì l’agitazione dei dipendenti, il brusio concitato delle voci che sussurravano cose incomprensibili e l’avanzata di suo padre tra le scrivanie che procedeva a suon di: ‘come ha osato?’ ‘come si è permesso!’ ‘la sua condotta è inaccettabile!’ e altre frasi simili che avevano come unico scopo quello di alimentare la rabbia di Uther.
Arthur si preparò mentalmente a ricevere suo padre e tutto il suo malumore, come Michele che si prepara a fronteggiare l’Apocalisse. Quello era il primo passo della sua personale guerra: Uther probabilmente aveva scoperto che aveva agito alle sue spalle, accettando il caso di Annabelle, e si preparava alla strigliata del secolo. Avrebbe dovuto aspettarselo. Ormai erano quasi due settimane che lavoravano a quel caso. Avevano avuto più tempo di quanto si sarebbe mai aspettato, in realtà.
Con un profondo sospiro, che servì ad infondergli tutto il coraggio di cui aveva bisogno, si alzò dalla sua scrivania, rimanendo in piedi in attesa che la sua porta si spalancasse e che Uther facesse il suo ingresso nel suo ufficio.
La cosa a cui Arthur non era preparato era percepire la voce iraconda di suo padre fuori dal suo ufficio, mentre inveiva contro qualcuno che non era lui.
“Come ti sei permesso, ragazzino? Pensavi davvero che non l’avrei scoperto? Sei uno stupido!” La voce di Uther suonò ovattata dalla porta chiusa e dalla vicinanza Arthur impiegò due secondi a capire con chi stesse parlando.
O meglio, contro chi stesse inveendo.
E che sia dannato se dovesse permettere a chiunque di rivolgersi a lui in quel modo.
Arthur aprì la porta del suo ufficio. Si trovò davanti a ciò che si aspettava: tutto lo studio era immobile a guardare Uther che inveiva contro Merlin, quasi come se lo stesse pubblicamente mettendo alla gogna. Merlin, dal canto suo, non si era lasciato intimorire, rifiutandosi di evitare lo sguardo di Uther o di abbassare il capo davanti a quelle urla. Le sue guance erano imporporate, ma Arthur aveva la sensazione che più che vergogna, quella fosse una reazione dovuta dalla rabbia.
E un po’ lo capiva. I modi di suo padre erano spesso troppo duri e troppo plateali. Le sue punizioni erano esemplari e spesso esagerate. Aveva licenziato persone valide per i più futili motivi. E adesso stava facendo ingiustamente una scenata a Merlin, quando avrebbe potuto semplicemente convocarlo nel suo ufficio e chiedergli spiegazioni.
Senza contare, poi, che lui non c’entrava niente in tutto questo. Era Arthur quello che gli aveva chiesto di agire.
“Smettila di prendertela con lui, non c’entra niente. Io gli ho chiesto di prendere quei documenti, perché io sto lavorando a quel caso.”
Arthur si avvicinò alla scrivania. Le sue parole provocarono l’improvviso silenzio di Uther, che guardò il figlio con incredulità, quasi gli avesse appena detto la più impensabile delle cose. Si guardò intorno, rendendosi conto che tutti lo stavano guardando. E se era favorevole a punire un dipendente in pubblico per insegnare così anche agli altri come comportarsi, non era altrettanto favorevole al fatto che fosse suo figlio quello che lo contraddiceva. Così lo afferrò per un braccio e lo trascinò verso l’ufficio da cui era appena uscito. Merlin si alzò d’istinto per seguirlo, ma Arthur gli lanciò un’occhiata seria, intimandogli silenziosamente di stare esattamente dov’era. Merlin, riluttante, rimase a guardare Arthur che spariva dentro al suo ufficio e Uther che si chiudeva la porta alle spalle.
Una volta che furono soli, lontano da occhi indiscreti, Uther riprese parola.
“Mi hai disobbedito?” Domandò, il tono aspro e duro.
“Annabelle ha bisogno del nostro aiuto.”
“Quella donna non può pagarlo il nostro aiuto! E abbiamo già troppi casi pro-bono! Come pensi di fare, mh?”
“Lo farò io, gratis.”
“Non essere ridicolo! Hai una reputazione da mantenere! E comportarti in questo modo danneggia la tua e quella dello studio!”
Uther era furioso. Arthur riusciva a vedere una vena pulsargli al lato del collo. Non riusciva a credere che davvero non capisse la necessità di aiutare Annabelle. Non riusciva a credere che tutto potesse ridursi ad una semplice questione economica, come se davanti non avessero una persona in carne ed ossa, ma solamente un numero che genera soldi.
“Come può un atto di gentilezza danneggiare la mia reputazione?”
“Perché non c’è spazio per la gentilezza, in un lavoro come questo. Devi essere razionale, mantenere il sangue freddo. Devi essere ligio alle leggi. Sono quelle che contano.”
“Sono le persone che contano. Le leggi sono state scritte dagli uomini per gli uomini. Per proteggere chi non può farlo. E Annabelle non può farlo. Ha un bambino, in grembo. E se non portiamo avanti questa causa, la sua vita e quella di suo figlio saranno in pericolo.”
Uther si placò un istante e per un secondo Arthur sentì crescere la speranza di avercela fatta, di averlo convinto.
Ma quella speranza svanì nel momento esatto in cui suo padre parlò di nuovo.
“Non possiamo farci niente. Dille di presentarsi il prossimo trimestre, quando potremmo prendere nuovi casi pro-bono.”
“Il prossimo trimestre potrebbe essere tardi, per lei.”
“Non è un mio problema!!” Gridò Uther, spazientito.
Arthur sentì un profondo senso di ingiustizia e rabbia nei confronti di quella risposta tanto egoista. Non riusciva a capacitarsi del comportamento del padre eppure, evidentemente, Uther credeva fino in fondo alle sue parole. E se l’unica cosa che gli importava davvero era la reputazione dello studio, Arthur avrebbe fatto leva su quella.
“Ma è un mio problema. Trovo inaccettabile lasciarla a sé stessa. Se non vuoi aiutarla tu, la aiuterò io. E se non vuoi che lo faccia con lo studio, mi licenzierò e andrò a chiedere aiuto ad altri. A Mithian, magari. Sono certo che lei vorrà aiutarmi. E quando arriveremo al processo e ci sarà la stampa, dovrò dire perché sto lavorando con un altro studio legale che non sia quello della mia famiglia. Vuoi che la tua reputazione non si rovini? Accetta questo caso. Passerai come una specie di paladino della giustizia.”
Lo sguardo di Uther si fece duro e glaciale. Arthur temette ancora una volta che rifiutasse il caso. Temette che il suo atteggiamento, anzi che convincerlo, lo spingesse ad impuntarsi ancora di più sulle sue convinzioni solo per fargli vedere chi è che comandava davvero in quello studio e in quella famiglia.
Arthur aveva sempre cercato la sua approvazione, senza rendersi veramente conto dei difetti che aveva suo padre. Di quanta pressione gli mettesse, di quanto il suo averlo cresciuto in un certo modo avesse condizionato non solo sé stesso, ma anche le persone che lo circondavano, in particolare Morgana.
“Dovrai fare tutto da solo. E non dovrai lavorarci in ufficio, togliendo ore di lavoro preziose a casi per cui veniamo pagati.”
Arthur tirò un immaginario sospiro di sollievo.
“Mi sta bene.”
“E devi vincere, Arthur. Intesi?”
“Sì.”
Uther gli lanciò un’ultima occhiata, quasi volesse assicurarsi che il suo messaggio fosse stato recepito a dovere e poi uscì dall’ufficio.
Ad Arthur sembrava di essere stato prosciugato di ogni sua energia vitale, ma era soddisfatto. Era riuscito a fronteggiare suo padre, a far valere il proprio punto di vista senza obbedire ciecamente a qualsiasi cosa uscisse dalla sua bocca. Ed era riuscito a dare una speranza ad Annabelle, che era la cosa più importante.
Arthur sapeva che quello era il primo passo verso l’affermazione di sé stesso. Ed era piuttosto liberatorio.
Un lieve bussare lo distrasse dai suoi pensieri.
“Avanti.”
Merlin entrò e si chiuse la porta alle spalle.
“Da quando bussi?” Domandò Arthur.
“Da quando nel tuo ufficio ci sono litigate simili. Come stai?”
Arthur accennò un sorriso. “Meglio di quanto ci si possa aspettare. E tu? Mi dispiace ti abbia cazziato per colpa mia.”
“Sapevo l’avrebbe fatto.” Fece spallucce. “Non devi preoccuparti per me.”
“Se non per te, per chi altrimenti?”
Merlin lo guardò, percependo un piacevole calore all’altezza del cuore. Non gli permetterei mai di farti nulla. Quella frase gli riecheggiò in testa. Adesso aveva avuto la prova di quanto quelle parole, contrariamente a quanto aveva inizialmente pensato, non fossero solamente belle parole. Era una verità, un dato di fatto.
“Grazie.”
Arthur annuì e sorrise, guardandolo dritto negli occhi, in quel modo che era capace di far afflosciare la colonna vertebrale del povero Merlin.
“Torno al lavoro.”
“Sì, ma non al caso di Annabelle. Suppongo tu abbia sentito quali sono le nuove condizioni.”
Merlin annuì. “Ho sentito. Stai tranquillo, mi occuperò del resto. E stasera lavoreremo al nostro caso clandestino.”
“Dormi da me?”
“Mi prepari la colazione, domani mattina?”
“Mi stai ricattando?” Domandò, alzando un biondo sopracciglio.
“Non lo chiamerei ricatto, quanto piuttosto trattiva.”
“Una trattativa implica trovare una condizione vantaggiosa per entrambi. Se pensi, quindi, di doverne intavolare una, significa forse che non pensi che dormire con me sia una condizione vantaggiosa? Ci sono persone che ucciderebbero per essere al tuo posto!”
“E persone che ucciderebbero volentieri te per essere uno zuccone arrogante. Come vedi, il mondo è bello perché è vario.”
Arthur gli riservò un’occhiata tagliente. “Al lavoro, Merlin. Adesso!”
“Sì, capo.” Affermò Merlin. Si voltò verso la porta, ma prima di aprirla, con ancora una mano sulla maniglia, si voltò di nuovo verso Arthur. “Di solito, che lato del letto occupi?”
Arthur sorrise. “Il sinistro.”
“Bene, mi prenderò il destro.” Ricambiò il sorriso e poi uscì, tornando al suo lavoro.
Arthur, con il cuore più leggero, fece lo stesso.





*




La sua giornata lavorativa era quasi finita. Arthur sentiva ancora il peso della discussione avvenuta con suo padre ore prima sulle spalle ed era certo che tutta questa faccenda avrebbe gravato non solo su di lui, ma anche sulle persone che avevano deciso di aiutarlo. Quel pomeriggio, un’ora dopo la litigata a cui, nonostante la porta chiusa, aveva assistito tutto lo studio, nel suo ufficio si erano presentati Leon e Lancelot, chiedendo il permesso di poter aiutare. Arthur li aveva massi al corrente delle condizioni imposte da Uther – tra cui, straordinari non pagati – ma entrambi avevano rispettosamente insistito per aiutare, come due perfetti cavalieri mitologici che si immolano per salvare una donzella.
Annabelle aveva più di un cavaliere – Gwen e Morgana comprese – disposto a salvarla dalla torre più alta del castello e a portarla via da quel drago malvagio che le stava rovinando la vita.
Arthur avrebbe voluto che questa fosse solo una favola perché se così fosse stato il finale sarebbe stato scontato: il bene che trionfa sul male. Ma sapeva che non era così. Sapeva che lui e la sua squadra avrebbero dovuto impegnarsi per vincere, perché se avessero perso, Annabelle sarebbe stata in pericolo. Più di quanto non lo fosse già.
Era grato a tutte le persone che gli avevano offerto il loro aiuto. E voleva avere fiducia in loro e in quello che avrebbero potuto ottenere lavorando insieme.
La porta che si aprì lo destò dai suoi pensieri, facendolo sussultare lievemente. Stava già sorridendo, aspettandosi di vedere Merlin comparire sull’uscio per dirgli che era ora di andare, ma il suo sorriso morì nell’esatto momento in cui sulla soglia notò suo padre.
“Possiamo parlare?”
Arthur non era esattamente dell’umore per parlare. Quella giornata era stata estenuante e l’unica cosa che voleva era tornarsene a casa e stare tranquillo, ma sapeva che non poteva fuggire alle sue responsabilità.
“Certo.”
Uther si sedette davanti al figlio. “Ho pensato molto alla nostra discussione. Non avresti dovuto disobbedirmi, Arthur. Se non rispetti tu le mie decisioni, come ti aspetti che lo facciano gli altri? Dobbiamo essere un fronte unito e compatto.”
“Vorresti, quindi, che ti obbedisca ciecamente, anche quando non sono d’accordo con te?”
“Non metterla in questo modo.”
“E invece è proprio questo il punto: vuoi che sia come te, ma io non sono te. Ho idee diverse dalle tue e un giorno…”
“Un giorno…” Lo interruppe bruscamente Uther. “…Questo studio sarà tuo e che io sia dannato se i tuoi atteggiamenti rovineranno il mio operato!”
Arthur serrò la mascella. Uther era ingiusto. L’aveva sempre rispettato, aveva sempre guardato suo padre come se fosse l’uomo più rispettabile del mondo, colui che sapeva dargli tutte le risposte giuste.
Evidentemente non era così. Crescere significa anche imparare a notare gli errori dei genitori, a percepirli a loro volta come esseri umani in grado di commettere sbagli e non come creature mistiche invincibili.
Arthur ci aveva messo un po’ più del previsto a capirlo, ma alla fine l’aveva capito.
“Un giorno, questo studio sarà mio e di Morgana, anche lei ha i miei stessi diritti, o te lo sei dimenticato? Prenderemo decisioni insieme e creeremo un ambiente dove nessuno avrà paura di noi, ma ci rispetteranno come noi rispetteremo chi lavora qui.”
“Non mettere in mezzo tua sorella!” Lo ammonì. “La tua politica del capo-amico è ridicola! Non ti permetterò di farlo!” Gridò Uther, furioso, balzando in piedi.
“Allora diseredami!” Ribatté, alzandosi a sua volta.
Uther si ammutolì, guardandolo con quanta più freddezza i suoi occhi glaciali erano capaci. Arthur avrebbe tremato davanti ad uno sguardo simile, ma si rese conto che aveva scoperto di essere perfettamente in grado di sostenersi da solo, di stare in piedi anche senza l’approvazione di un padre che aveva cercato di plasmarlo a sua immagine, senza soffermarsi sul fatto che Arthur potesse avere le sue idee, il suo carattere e le sue opinioni.
“Mi hai deluso, Arthur. Rifletti sui tuoi comportamenti. Ne riparleremo quando sarai disposto a chiedere scusa.”
“Non chiederò scusa per avere idee diverse dalle tue, papà.”
“Lo farai. Stanne certo. Tornerai a portarmi rispetto, ragazzino.” Gli puntò un dito contro e, senza lasciargli tempo per ribattere, si voltò e uscì, sbattendosi la porta alle spalle.
Arthur emise un profondo respiro, quasi come se quel gesto avesse il potere di liberarlo di tutto il peso che sentiva sul cuore a causa di quella situazione. Era legato a suo padre ed era la prima volta che un attrito tra di loro sembrava insormontabile. Era difficile avere a che fare con Uther, un uomo irremovibile e orgoglioso. Le volte che si erano riappacificati era successo perché Arthur aveva sempre fatto un passo indietro, ma questa volta non era disposto a farlo.
Sperò solo che con il tempo avrebbero potuto trovare un modo per parlare civilmente e cercare di capirsi.
Sospirò, di nuovo, e si diresse verso la porta. Recuperò il cappotto, lo indossò e uscì dall’ufficio, chiudendo a chiave la porta. Ne aveva avuto abbastanza per quella giornata. Ora, l’unica cosa che desiderava davvero era la quiete della sua casa e Merlin, che ovviamente lo stava aspettando appoggiato al bordo della scrivania con le braccia incrociate.
“Quanto hai sentito di quello che ci siamo detti?”
“Abbastanza da essere fiero di te.”
Arthur sorrise d’istinto – Merlin aveva così tanta fiducia, in lui, che aveva il potere di infondere un po’ di quella fiducia in Arthur, quando perdeva sé stesso. Gli si avvicinò, agganciando i propri occhi ai suoi. Alzò una mano per accarezzargli una guancia, un gesto fugace che venne compiuto in assenza di occhi indiscreti che avrebbero potuto spettegolare su di loro. Le mani di Arthur formicolarono, desiderose di altri contatti, e realizzò quanto volesse essere libero di poterlo accarezzare senza avere timore che qualcuno potesse cadere in tentazione di liberare le malelingue.
“Andiamo via, ti va?”
Merlin annuì.
“Andiamo a cena?”
“Sì, ma solo se mi lasci pagare.”
“Non succederà mai.”
“Non fare lo spocchioso arrogante, Arthur. E lasciati offrire la cena.”
Arthur roteò gli occhi al cielo, ma si arrese. “Sei una spina nel fianco, te l’hanno mai detto?”
“Nessuno eguaglia la tua capacità di fare complimenti. Sono commosso.”
“Smettila.”
Merlin si aprì in un sorrisetto soddisfatto e, dopo essersi accertato che non ci fosse nessuno, gli lasciò un bacio a stampo. “Ho fame. Sbrigati.”
“Mi hai appena dato un ordine?”
“Può darsi.”
“Ti fa sentire bene, non è vero?”
“Un po’ sì, lo ammetto.”
“Non farci troppo l’abitudine.” Arthur ridusse la distanza che c’era tra di loro, schiacciando Merlin tra sé e il bordo della sua scrivania. Percorse con gli occhi tutto il viso di Merlin, fissandoli poi sulle sue labbra piene. Si leccò le proprie, come se solo guardare la bocca di Merlin gli ricordasse che sapore avesse e ne sentisse la mancanza. Avrebbe voluto baciarlo, divorargli le labbra voracemente, ma sapeva che avrebbe dovuto farlo velocemente e un bacio frettoloso l’avrebbe lasciato insoddisfatto.
“Andiamo via. Ho voglia di baciarti e non voglio farlo qui.”
Merlin deglutì a vuoto, la gola secca. Improvvisamente aveva caldo. Molto caldo. Annuì perché non si fidava della sua voce, che sapeva non sarebbe uscita correttamente, e perché se Arthur voleva baciarlo lui di certo non era nessuno per contraddirlo.
Arthur fece un passo indietro e insieme si diressero verso l’uscita, decisamente impazienti di lasciare quell’edificio e stare finalmente soli.




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Ciao! Chiedo scusa per il ritardo, ma ho avuto problemi con il pc e non sono riuscita ad aggiornare!
Credo che comincerò ad aggiornare ogni due settimane, non per sadismo o altro, ma semplicemente perché sono molto indietro con la scrittura del sesto capitolo e visto che in pratica, di già scritto, mi rimane solo il quinto non vorrei che passasse troppo tra un capitolo e l’altro.
Venendo al capitolo in questione… mi sono lasciata andare a un po’ di fluff con Merlin e Arthur e non so se sono ancora IC, ma spero di sì.
C’è uno scontro con Uther. Ho pensato che una divergenza di opinioni riguardanti la gestione dei casi e dello studio potesse essere una “traduzione” dello scontro che hanno avuto quando Uther-fantasma ha incontrato Arthur e si è lamentato di come stesse gestendo il regno e la sua vita in generale. Spero sia almeno un po’ fattibile.
Ringrazio chiunque legga, abbia messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite e chiunque abbia lasciato una recensione. Mi fa un immenso piacere! <3
Vi saluto, alla prossima! ^v^
 
   
 
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