Fanfic su artisti musicali > Greta Van Fleet
Segui la storia  |       
Autore: _Lisbeth_    12/01/2021    2 recensioni
Dal prologo:
"- E anche questa giornata di lavoro è giunta al termine. - la frase della dottoressa Warren fece annuire la giovane tirocinante, che raccolse tutte le sue cose dal divanetto e le sistemò nella borsa.
- A che ora dovrei venire, domani?
- Domani... - Danielle Warren si alzò dalla propria sedia e diede uno sguardo al calendario appeso alla parete, mettendosi in punta di piedi per poter vedere meglio. – Domani non abbiamo pazienti. Però ho una buona notizia da darti: da venerdì potrai tenere tu stessa le sedute."
"Jake prese un sorso dal bicchiere. – Perché sono qui?
- Perché sono il tuo numero di emergenza e ieri sera eri praticamente in coma etilico."
"- Jake. – la ragazza puntò gli occhi in quelli del fratello. – Ti rendi conto che è qualcosa che potrebbe aiutarti?
- No! – si alzò dalla panchina su cui era seduto e sbarrò gli occhi. – Come dovrebbe farmi stare meglio parlare con una persona che non ho mai visto dei cazzi miei? E’ come prostituire i propri neuroni."
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jacob Kiszka, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
- Non lo avrei detto a nessuno, Danny. Tantomeno a Sam. – sospirò Jake, stropicciandosi un occhio. – E… E nemmeno Josh lo…
Danny fermò Jake prima che potesse finire la frase. Non voleva farlo stare ancora peggio, date le sue condizioni già pessime, sapeva che parlare di Josh gli facesse male. Gli posò una mano sulla spalla, sentendola ancora più spigolosa dell’ultima volta che l’aveva sfiorata. – Lo so.
Il più grande abbassò lo sguardo sul pavimento.
- Ma non è solo questo, Jake. E’ che non volevo rovinare tutto. Magari si sarebbe creato imbarazzo o…
- Non avresti mai potuto rovinare nulla. Sei sempre stato come un fratello e come un figlio per tutta la nostra famiglia, era un rapporto troppo forte per potersi spezzare. Tra l’altro ti ho sempre considerato un fratello maggiore pur essendo più piccolo di me. Anche adesso. – Il ragazzo deglutì. – E non mi ero mai accorto del fatto che potessi star male anche tu. Ero talmente concentrato sul mio dolore da non notare il tuo. Mi sento stupido.
- Ma che stai…
- Fammi finire. – Jake si morse un’unghia. – Mi sento stupido perché tu mi hai sempre aiutato. Mi hai sempre dato dei consigli che sono serviti a farmi stare meglio. E io non mi sono mai accorto che anche tu avessi bisogno di qualcuno.
- Non potevi saperlo, Jake.
- Avrei dovuto rendermene conto.
- Non devi sempre e per forza darti la colpa, non serve a nulla. Serve solo a farti odiare te stesso ancora di più. – strinse più forte la spalla di Jake. – Tu hai perso un gemello. E per quanto possa fare un male tremendo anche a me, per te è una cosa completamente diversa. Non so cosa si provi, non riesco nemmeno a immaginarlo, ma posso solo dirti che l’unica cosa sbagliata che hai fatto è stata non prenderti cura di te stesso.
Danny vide un piccolo sorriso apparire sulle labbra del maggiore. – Tu sei assurdo.
- Come?
- Nel senso, - Jake agitò le mani in aria. – Tu sei la persona più buona che abbia mai conosciuto. In ventun anni sei sempre stato attento agli altri, forse mettendo anche te stesso in secondo piano.
- Anche io sbaglio. Perché sono umano, e da umano cado anch’io. Spesso proprio per il mio mettere gli altri al primo posto faccio degli errori nei confronti di me stesso.
- Ti voglio bene, Danny.
Il più piccolo rise, scrollando le spalle. – Non avevo mai sentito questa frase uscire dalle tue labbra.
- Nah, come la fai lunga, non è vero.
- Anch’io ti voglio bene, comunque. Stai meglio?
Jake annuì appena. – Sì. Mi gira solo un po’ la testa.
- E per quell’altra cosa?
- Di che parli?
- Della psicologa.
 
 
- Jake Kiszka! Da quanto tempo, hai deciso di diventare astemio? – la vivace voce di Leo non risollevò Jake neanche per sbaglio.
- Tre birre.
L’espressione del barista cambiò e il ragazzo, di pochi anni più grande di Jake, abbassò la testa asciugando i bicchieri. – Non si salutano gli amici?
Il chitarrista stava perdendo la pazienza. – Sì, okay. Ciao, Leo.
Al ragazzo dietro al bancone bastò quella risposta per sorridere di nuovo. Leo era sempre stato un tipo strano. Era sempre allegro, ogni volta che era Jake andato lì non aveva mai visto un’espressione mogia o triste sul suo viso. Era originario di Santo Domingo, aveva una lunga chioma scura di dreads e ciglia lunghissime.
- Che mi dici? Come stai? Ti vedo molto dimagrito.
- A posto. – rispose Jake scrollando le spalle. Aveva il morale a terra, non voleva parlare con nessuno. In testa aveva solo i riccioli rossi di Tracy e la sua voce morbida mentre gli parlava. Non ricordava nemmeno quando avesse iniziato a provare qualcosa per lei, sapeva solo che era così strano. Non provava nulla per nessuno da quando Jita era andata via, ma si chiedeva se dipendesse solo dal fatto che in quegli anni non fosse uscito con molte ragazze o dalla sua incapacità di sentire qualsiasi cosa. Forse non era così, forse semplicemente non aveva trovato ancora nessuno che riuscisse a farlo sussultare ogni volta che ci pensava o sentiva il suo nome.
E ora che l’aveva trovata, era impossibile.
- Tieni, sono dieci dollari. – Leo allungò i tre bicchieri e Jake allungò la banconota, incastrando poi due bicchieri nelle mani e il terzo nell’incavo del braccio destro.
Uscì dal locale e, tra uno e l’altro, fumò due sigarette. Dopo il terzo se ne mise in bocca un’altra. Tossì un paio di volte.
“Smettila o ti si carbonizzeranno i polmoni”, gli diceva sempre Ronnie. Ormai non poteva farci più di tanto. Ricordava quando, in quarta superiore, sua sorella gli aveva buttato tutto il pacchetto nella spazzatura.
Espirò il fumo dalle labbra schiuse, iniziando a sentire la testa un po’ più leggera. Ma c’era sempre Tracy, e poi c’era sua madre. C’era Sam, sedato in ospedale. Prima di fare tappa in quel pub, aveva accompagnato Joy a casa sua.
“Sei da sola?” le aveva chiesto una volta sotto al suo portone.
“Ci sono Stevie e Ruth, di sopra. Mi terranno compagnia loro” gli aveva risposto Joy, riferendosi alle sue cagnoline. Jake aveva annuito, salutandola con un mezzo sorriso e tornando alla macchina.
Il ragazzo guardò la propria automobile con la mente annebbiata. Di certo non poteva guidare per andare a casa. Ma si ricordò della casa che si trovava a pochi metri dal pub.
Mentre barcollava verso l’edificio, sperò solo che Danny non si sarebbe troppo arrabbiato. Ma quella, d'altronde, non era una cosa possibile.
 
 
Quando Danny tornò nel proprio salotto con due bicchieri d’acqua tra le mani, si sorprese nel vedere Jake addormentato sul proprio divano. Si era allontanato solo per un minuto scarso, eppure nel frattempo il maggiore aveva preso sonno immediatamente. Rise appena e scosse la testa e, visto che si era fatta mattina, non seppe se svegliarlo per riaccompagnarlo da Veronica o lasciarlo dormire in casa sua. Inizialmente optò per la prima.
Gli si inginocchiò di fronte e gli scosse una spalla dolcemente. – Jake.
Lo chiamò un’altra volta, ma quando alla terza non gli rispose scrollò le spalle, decidendo di lasciarlo dormire. Dopotutto, anche lui stava morendo di sonno e voleva tornare immediatamente a letto dopo quel brusco, ma alla fine piacevole risveglio.
E sapendo quanto scomodo fosse il suo divano, non voleva che il maggiore si risvegliasse col torcicollo. Lo prese tra le braccia con tutta la delicatezza possibile, facendo scivolare un braccio sulla schiena e l’altro sotto le ginocchia di Jake. Fece in modo che la sua testa non penzolasse dalle sue braccia e se la posò contro una spalla, sentendolo muoversi appena e facendo ancora più attenzione. Lo sistemò nel proprio letto coprendolo con la trapunta.
Ancora una volta, dimostrava a se stesso di tenere molto di più a qualcun altro piuttosto che a se stesso. Avrebbe permesso a Jake di dormire comodamente sul suo letto a costo di rompersi la schiena su quello scomodo divano, ma gli andava bene così.
Sentì una vibrazione provenire dalla tasca del jeans del maggiore e si affrettò a prenderlo per non svegliarlo, allontanandosi dalla stanza e chiudendo la porta.
Nello schermo del display c’era scritto semplicemente “Ronnie”, il nome seguito solo dall’emoji di uno scoiattolo. Rispose alla chiamata avvicinandosi il cellulare all’orecchio. – Ronnie, sono Danny.
Seguirono dieci secondi di silenzio. Poi sentì distintamente un sospiro. – Il tuo amico mi farà impazzire, Daniel.
Il batterista sorrise. – Tranquilla, è qui con me. Sta dormendo.
- Sta bene?
Danny sentì il cuore sciogliersi. La sorella di Jake – che era anche un po’ la sua, di sorella – era sempre così apprensiva nei suoi confronti e questa cosa faceva sorridere Danny. Sapeva che anche Josie, sua sorella, si sarebbe comportata così se lui fosse stato nella situazione di Jake. Ronnie si occupava di lui, in un senso certo lo accudiva. Era ciò che una sorella avrebbe dovuto fare.
- Sì, sta bene. E’ venuto a suonare un po’ da me. – si sentiva uno schifo per starle mentendo, ma non voleva farla preoccupare ancora di più dicendole che suo fratello era arrivato in casa sua completamente ubriaco.
- Ha suonato? – la voce della ragazza era sorpresa, in modo positivo. E Danny si sentì ancora peggio.
- Diciamo che ha fatto pace con la chitarra.
- Danny, sei un angelo. Grazie, davvero. Non ho assolutamente idea di come dovrei fare se non ci fossi tu. Ha avuto qualche incubo? Si è agitato?
- Dorme come un bambino, tutto sotto controllo.
- Ti ha detto quando tornerà?
- No, ancora no. Ma appena si sveglia te lo riporto a casa, giuro.
- Non ti scomodare. L’importante è che stia bene. E che non sia andato a bere da qualche parte.
Anche dopo quella frase, Danny non disse nulla.
- A dopo, Ronnie.
- Ciao, Dan.
Quando Danny chiuse la chiamata, tirò un sospiro di sollievo, guardando il suo scomodo divano come se fosse un letto a baldacchino. Sorrise e ci si sedette sopra.
Ma non ebbe nemmeno il tempo di sdraiarsi che il cellulare di Jake vibrò di nuovo.
Il contatto prendeva il nome di “Ziegler T”.
 

 
- Pronto?
La voce che Tracy sentì era assonnata e confusa – aveva anche un che di esasperato -, ma non era quella di Jake. No, se fosse stata la sua l’avrebbe riconosciuta. Era una voce maschile, ma era molto più profonda e grave. Non sapeva dire di chi fosse.
- Sì, buongiorno. Mi scuso per l’orario, ma… Per caso c’è Jake?
- Sì, sta dormendo. E’ urgente? - era una voce gentile e soffice, sembrava appartenere a un ragazzo della sua età, o poco più grande.
- No, io… Avevo solo bisogno di parlargli.
- Se permetti alla tua identità di uscire allo scoperto posso fare qualcosa in merito.
Tracy si fermò per un attimo. Non sapeva cosa dirgli, Avrebbe dovuto dire di essere la sua psicologa? Ma non lo era nemmeno più. Deglutì la saliva e sospirò. – Tracy, mi chiamo Tracy.
Il suo interlocutore restò in silenzio per interminabili secondi. – Sei tu.
Il cuore le salì in gola. La conosceva?
- I-Io…
- Sveglio Jake.
- No, no, davvero, non…
- Aspetta in linea.
La chiamata era stata messa in attesa. Il cuore di Tracy batteva fortissimo, si stava sforzando di respirare profondamente per darsi una calmata. Sembrava essere tornata ai suoi diciassette anni, quando perdeva totalmente la testa davanti alla persona che permetteva ai suoi occhi di brillare e alla sua bocca di balbettare facendola diventare una completa cretina.
Si ricordò del bacio che si erano dati il giorno prima e le venne quasi da piangere. Non sapeva cosa fare, non aveva nemmeno idea di ciò che avrebbe detto a Jake. Voleva solo sentirlo parlare.
- Tracy.
Tracy pensò di star avendo un infarto. Il tono di voce di Jake era così diverso dal solito, le parole erano leggermente impastate, forse si era appena svegliato. Però sembrava stupito, c’era una traccia di emozione nella sua voce.
- Jake, ciao. Io… Scusami se ti ho svegliato. – si sorprese della calma che era riuscita ad avere nel rispondergli. Almeno in questo era leggermente migliorata.
- Non fa niente. Volevi dirmi qualcosa?
La giovane psicologa si morse il labbro inferiore. – Sì, solo... Mi dispiace aver lasciato il discorso di ieri in sospeso.
- E come vorresti concluderlo?
La ragazza trasse un respiro tremolante. – Be’, vedi…
- E’ inutile parlarne attraverso un telefono. Dovresti saperlo meglio di me.
- Allora…
- Allora dimmi dove sei che ti raggiungo.
 
 
Tracy passò quella notte tra le braccia della sua migliore amica, che era rimasta affianco a lei fino ad addormentarsi. Ma lei non dormì per niente.
Aveva in testa solo una cosa, e quella cosa la stava crogiolando. Non sapeva assolutamente cosa fare, si trovava davanti a una scelta difficilissima. Si era sudata quel lavoro che aveva ottenuto, e lo stava facendo bene. Ma allora perché aveva dovuto innamorarsi proprio del suo primo paziente? Si girò e rigirò nel letto. Baciare Jake era stato come trovarsi davanti ad una baita dopo aver scalato una montagna. In quel momento aveva sentito un moto di affetto crescerle nel petto e nello stomaco, in quel bacio aveva sentito il bisogno di Jake di essere amato.
Anche se lo desiderava, non poteva essere lei ad amarlo. Farlo avrebbe voluto dire mettere in pericolo il proprio lavoro e peggiorare ancora di più la salute di Jake, perché anche se avesse trovato un altro terapista non si sarebbe fidato di lui.
Si chiese perché per Jake fosse così difficile riuscire a fidarsi di qualcuno. Si chiese perché si fosse fidato di lei, anche se dopo mesi e mesi. Avrebbe voluto capirlo, parlarci, trovare quell’intesa che non c’era solo tra psicologa e paziente, ma anche tra due anime. Due anime che si erano innamorate e che volevano incontrarsi di nuovo.
E come le aveva detto Maggie, non sarebbe stato facile amare quel ragazzo che non riusciva a stare bene nemmeno con se stesso. Non sapeva cosa fare.
Si erano fatte le sei del mattino e lei in tutto quel tempo non era riuscita a raggiungere una soluzione. L’unica cosa che trovò fu l’impeto di sentire di nuovo la sua voce.
 
 
Quando Jake la raggiunse, Tracy si trovava nel cortile di casa sua. La ragazza l’aveva visto sedersi accanto a lei e abbracciare le proprie ginocchia, mentre guardava un punto indistinto in lontananza. Tracy strinse i pungi e trovò il coraggio di guardarlo, vedendolo poi voltarsi per ricambiare lo sguardo.
- Posso sapere come stai?
La domanda di Jake stupì la ragazza. Di solito era lei a chiederglielo, in modo molto più formale. E si disse di essere sincera, perché la sua decisione pensava di averla presa.
- Non… Non lo so. Non ho dormito, non capisco nulla. Ma tanto non dormo quasi mai. – respirò profondamente, ricacciando le lacrime che stava per buttare fuori. – Sento di aver fallito.
- Fallito in che?
- In tutto. Ho fallito con te, ho fallito nel mio lavoro. Ti ho creato solo più problemi.
- Ascolta. – Tracy si sentì prendere per mano. E quella sensazione era così calda, così bella, nonostante le dita di Jake fossero freddissime. – Tu ti rendi conto di essere riuscita a farmi sentire qualcosa? – il ragazzo si appoggiò la sua mano sul cuore e Tracy lo sentì scalpitare sotto il palmo. – Ho sentito il mio cuore battere così forte tante volte in quasi due anni, ma non certo per qualcosa che mi rendesse felice. L’ho sentito così solo per l’ansia e per la rabbia. E adesso è diverso. Perché ora batte così forte per la paura che ho di perderti e per la voglia di restare con te.
- Jake…
- Tu mi hai fatto capire che il mondo non è così brutto come pensavo. Che non è vero che non riesco a innamorarmi, che provo altre emozioni oltre la tristezza e la rabbia. Non so se ti rendi conto di ciò che questo significa per me.
Tracy vide delle lacrime bagnare le guance ossute di Jake. Ma quel pianto era diverso da tutti gli altri che aveva visto cadere dagli occhi del ragazzo. Era un pianto che la implorava di non andarsene.
- Io non voglio che tu rinunci ai tuoi sogni, perché ci sai fare. E credo che se ci fossero più persone come Tracy Ziegler al mondo capaci di fare il proprio lavoro, probabilmente nessuno perderebbe più le speranze. Tu non hai fallito, né con me, né come psicologa. Tu mi hai permesso di fidarmi di qualcuno, di aprirmi, di sfogarmi. E io ne sto passando davvero tante, ora come ora, ma se non ci fossi stata tu forse non avrei avuto nemmeno il coraggio di uscire di casa. – la ragazza si sentì accarezzare una guancia con dolcezza. – Non sono nessuno per dirti di rinunciare al tuo lavoro, ai tuoi sogni e a te stessa. E vorrei solo farti capire che sei umana e che non hai sbagliato, che in quanto persona puoi innamorarti, al di là di tutto. Non capisco come tu abbia fatto a innamorarti di me, ma questo è un altro discorso. – Jake rise appena, facendo sorridere anche Tracy. Lei lo sapeva eccome, sapeva come aveva fatto ad innamorarsi di quel ragazzo. E anche se avrebbe preferito non provare niente, era qualcosa di impossibile.
- Qualsiasi strada deciderai di intraprendere, però, deve farti sentire bene. E non sarò io a impedirti di essere felice, per quanto male io ci possa stare. E sono stato un coglione, ieri, a dirti quelle cose. Solo, volevo…
La ragazza trovò la forza di spingersi in avanti e posare le labbra su quelle di Jake, per la seconda volta. Era un bacio diverso da quello della sera prima. Era sofferto, sì, ma più consapevole. Ed entrambi sapevano che quel bacio non era spensierato come avrebbe dovuto essere. Sapevano che quello non era un inizio, ma una fine. Un addio. Lo avevano capito da subito.
Jake portò una mano tra i ricci della psicologa, accarezzandoli lentamente mentre le loro labbra si scontravano. Le loro mani destre erano ancora intrecciate.
Quando si allontanarono fecero scontrare le loro fronti, ad occhi chiusi, restando solo ad ascoltare i loro respiri uniti come le loro dita.
- Credo di amarti. – sospirò finalmente Tracy. Si sentiva libera, completamente privata di un peso. Vide Jake sorriderle, lasciandole un altro bacio sulle labbra.
- Io ne sono già convinto.
La ragazza scoppiò immediatamente in lacrime. Passò le dita sulla guancia del chitarrista e deglutì. – Mi dispiace così tanto.
Si sentì stringere forte. Per una volta non era lei a dare conforto a Jake, ma era lui ad asciugarle le lacrime. – Non importa. – il ragazzo la guardò e le sorrise. – Suppongo che ci siamo solo conosciuti nella vita sbagliata.
- Voglio solo che tu mi prometta una cosa. Ne ho bisogno. – tremolò Tracy tra un singhiozzo e l’altro. Jake annuì, continuando a sorriderle.
- Cerca di riprendere in mano la tua vita. Cerca di stare bene e di non abbatterti mai, nonostante tu stia soffrendo in un modo che neanche voglio immaginare. Promettimi che ti innamorerai di nuovo, anche se non sarò io a farti provare queste emozioni.
Vide Jake respirare a fondo e guardare in basso. Poi però lo vide puntare di nuovo gli occhi nei suoi. – Solo se tu mi prometti che non ti dimenticherai di me.
La ragazza rise, scuotendo la testa e stringendogli più forte la mano. – Non ci riuscirei nemmeno se lo volessi.
Quello che si diedero dopo fu l’ultimo bacio. L’ultimo prima che Tracy vedesse il ragazzo alzarsi e sorriderle, ancora piangendo mentre si allontanava. - Spero di rivederti, un giorno. Magari, dopo aver ritrovato la strada che mi riporterà a casa.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Greta Van Fleet / Vai alla pagina dell'autore: _Lisbeth_