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Autore: Merry brandybuck    12/01/2021    0 recensioni
È il venti ottobre 1917 e la terza compagnia di alpini è ferma per la notte. Breve storia in onore degli alpini e dei Feanorians
Genere: Guerra, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fëanor, Figli di Fëanor, Figli di Finarfin, Figli di Fingolfin, Finarfin, Fingolfin
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sul cappello che noi portiamo 

 

Maglor sentì una lacrima che gli rotolava su una guancia; quella maledettissima uniforme si era infradiciata e lo stava congelando ( pensava che sarebbe morto assiderato di questo passo), però si consolava col pensiero che a Celegorm era andata peggio: le suole degli scarponi si erano logorate talmente tanto che si erano staccate e il fratello aveva dovuto fasciarsi i piedi col filo spinato di una trincea, ma ad ogni passo gli aghi gli laceravano la pelle e quindi il sergente ha comandato a Maedhros di portarselo in spalla. Tutti e sette i figli di Fëanor erano partiti per il servizio militare nel gennaio del 1916, dopo che il loro genitore era tornato in patria per via di una ferita da scheggia di un proiettile di mortaio; sia loro che gli altri otto cugini erano decisi ad arruolarsi il prima possibile per difendere il Piemonte dall’invasore unno e, quando l’occasione si era presentata, erano stati ben lieti di partire alla volta della caserma per il loro addestramento: loro erano divenuti tutti quanti degli alpini, mentre gli eredi di Fingolfin erano diventati lancieri e quelli di Finarfin erano fucilieri. Galadriel aveva seguito i fratelli al fronte fingendosi un uomo, nel frattempo che Aredhel si trasferiva a lavorare nelle fabbriche per la produzione di armi che si erano installate a Sesto San Giovanni, vicino a Milano; i loro padri e madri erano rimasti ai campi, scrivendogli di frequente per sapere come stavano e sempre il primogenito gli rispondeva bene, anche se la realtà era ben diversa: il tempo faceva schifo quasi quanto il rancio, i pidocchi ti torturavano, il tuo linguaggio era andato sempre più peggiorando, le vesciche non erano più un problema visto che erano esplose, i proiettili che ti passavano in fianco generavano paura, gli urli dei moribondi ti facevano contorcere le viscere e adesso riuscivi pure a dormire col sottofondo delle granate. Di tanto in tanto venivano a svegliarti durante la notte, urlando: “ Quei bastardi hanno lanciato del gas !” e allora vedevi tutti che si affannavano a cercare i tascapani, a indossare quei cosi plasticosi che i superiori gli avevano propinato come maschere, a cercare di salvarsi; poi c’era chi non ce la faceva: li vedevi lì, stesi in terra, col volto azzurrastro, le labbra nere, a contorcersi e a vomitare sangue mentre il cloro gli bruciava i polmoni e in quel momento dentro di te si accendeva qualcosa che ti faceva capire per cosa combattevi. “ Li vendicherò” ti dicevi, ancora accecato dal furore, ma poi ti rendevi conto che non potevi fare niente: tutto era contro di te, i nemici, le valanghe, le frane, il tempo, molto probabilmente anche Dio voleva vederti morto. In alcuni momenti di lucidità ti ricordavi anche delle buone maniere e dell’età che avevi; spesso quando si ritrovavano nelle cittadine andavano a fare un giretto nelle case chiuse per placare la fame di donne: l’ultima volta lui e altri cinque fratelli erano in fila per entrare, quando il maggiore è passato e gli ha fatto un rimbrotto “ Che ci fate qui balordi ? Amrod, Amras voi avete solo quindici anni e tu Curufin eri in procinto di sposarti quando eravamo a casa ! Maglor se sei stato tu a portarceli, giuro che ti sgozzo con una baionetta…” e se ne era andato via borbottando, tirando i suoi ostaggi per i capelli. 

Eccolo lì Maedhros; era seduto su un sasso a godersi la pausa che era stata concessa durante la marcia verso il fronte Austro-Ungarico, con in mano un pezzetto di carbone e un angolino di carta di stracci che si portava sempre appresso: stava disegnando un piccolo ritratto di Fingon. Il secondogenito si ricordava ancora come gli rilucevano gli occhi grigi quando aveva visto per la prima volta il cugino in uniforme: sembrava quasi un innamorato che fissava la sua bella e lo aveva abbracciato come se fosse l'ultima cosa esistente nell'universo mondo. Il maggiore si sentiva responsabile per tutti loro e continuava ad esortarli a lottare: ogni tanto sembrava un povero idiota attaccato a ideali bigotti e che voleva solamente mandarti in confusione più di prima. Curufin invece si era fatto più rude così come Caranthir, e adesso stavano smontando e pulendo i moschetti a ripetizione mentre parlottavano; Celegorm stava mangiucchiandosi con parsimonia un po' di pane di segatura che aveva fregato in una razione K di qualche caduto. Entrambi gli Ambarussa erano diventati molto bravi a maneggiare le armi nonostante la loro giovane età; la parte peggiore era che avevano iniziato a fumare e a parlare come scaricatori di porto: in ultima analisi erano diventati degli avanzi di galera che si atteggiavano da eroi e che davano false speranze a quella famiglia che li aveva amati e curati per molto tempo. Ebbene sì era dura accettare la realtà nuda e cruda, ma era essenziale per evitare di perdere i contatti con la terra in cui vivevano; ma quale terra avrebbe perdonato le scempiaggini che avevano fatto ?  Chi li avrebbe accolti ? Come sarebbero riusciti a convivere con il senso di colpa ? Forse dopo la guerra si sarebbero dovuti suicidare, essendo loro inutili per altri scopi se non uccidere altri esseri viventi, ma chi riusciva a essere tanto sicuro su una scelta simile ! 

Comunque adesso erano lì, in mezzo ai loro commilitoni alpini, con le uniformi grigioverdi bagnate dalla pioggia, gli scarponi semidistrutti, il feltro dei cappelli andato fuori forma; l’umidità penetrava nelle ossa, il fango inzaccherava i vestiti, il vento era in grado di farli tremare come foglie, i fucili tenuti sulle ginocchia, l’incertezza li divorava da dentro, il fiato che si condensava, le voci diffidenti, singulti e mormorii che si perdevano a mezza’aria, la tensione palpabile, l’oscurità che avvolgeva ogni cosa rendendola sconosciuta e fonte di attacchi d’ansia, i rumori del Piave li cullavano e la prima linea era come una visione agghiacciante che li accompagnava. Erano fermi da ore per poter avanzare con la luce, senza il rischio di essere sterminati dai cecchini tedeschi appostati tra le fronde dei pini e il tempo sembrava essersi fermato; tutt’a un tratto la speranza si fece strada tra di loro: un raggio di sole si insinuò in mezzo alle nuvole, rimbalzando con improvviso calore sulle rocce calcaree bagnate e illuminando le cime montuose che circondavano la boscaglia. I giovani si alzarono di scatto e accorsero a guardare il cielo che iniziava a farsi terso attraverso dei buchi tra le foglie sugli alberi; un giovane bolognese che stava in fianco a Maglor tirò un’esclamazione meravigliata: “ Sóccia che bell’alba !” disse, riferendosi alle nubi tinte di rosa e oro; tutti gli diedero ragione. Non ci fu molto tempo per restare ad ammirare quello spettacolo perché il sergente aveva detto che dovevano partire: in molti arrancarono nella palta per prendere le proprie cose e poi si misero in marcia. I soldati si ricordarono la loro destinazione e iniziarono a camminare lenti e strascicati; erano stanchi di vedere i soprusi causati dalla guerra ( dopo un anno sul fronte occidentale era comprensibile), ma spostarsi in quel modo era un’agonia: ci voleva qualcosa per risollevarli. I giovani in prima fila si misero a fare un canto cupo e ombroso: “ Sul cappello, sul cappello che noi portiamo…” il tono non era affatto sicuro e non esprimeva quello che la canzone voleva significare; dopo un po’ di tempo, Maedhros si stufò e prese a cantare con nuova vita che scorreva nelle vene: “ … C’è una lunga, c’è una lunga penna nera…” “ … La useremo, la userem come bandiera…” proseguirono Celegorm, Curufin e Caranthir “ … Su pei monti, su pei monti a guerreggiar…” aggiunsero Maglor e i due Ambarussa “ … Ohilalà !” risposero i compagni, ridendo. Con uno stupefacente vigore si inerpicavano tra i massi e nelle valli si udiva il loro vociare: “ Su pei monti, su pei monti che noi saremo coglieremo, coglieremo le stelle alpine per portarle, per portarle alle bambine farle pianger, farle pianger e sospirar, ohilalà ! Su pei monti, su pei monti che noi saremo pianteremo, pianteremo l'accampamento brinderemo, brinderemo al reggimento Viva il sesto, viva il sesto degli Alpin, ohilalà !

Evviva evviva il reggimento, Evviva evviva il sesto degli Alpin ! Evviva evviva il reggimento Evviva evviva il sesto degli Alpin !”* 

***

E così li descrissero i loro commilitoni: euforici, contenti, vivi. Ma non era durato più di due anni: essi, infatti, erano caduti l’otto, il nove e il dieci di novembre nella dodicesima battaglia dell’Isonzo ed erano già stati messi nelle casse da morto. I compagni avevano trovato molte cose che andavano ridate alla famiglia: occhiali, fotografie, braccialetti, portafortuna e, per ultimo ma non meno importante, un blocchetto pieno di disegni; quest’ultimo non era stato mandato a casa col resto della roba che non poteva essere spartita, ma bensì era stato spedito alla compagnia dei lancieri di Novara, dove il defunto lo aveva indirizzato in caso di incidenti. I disegni ritraevano i parenti, i cugini, i fratelli e vi erano anche degli animali; i suoi occhi osservavano piangenti un bacio appassionato tra lui e una figura molto simile al primogenito, quando Fingon sentì il suono della campana che segnava l’ora del riposo: prese il foglio, lo piegò delicatamente, lo ripose nel portafoglio di tela cerata e si buttò sulla branda, avviluppandosi nella coperta. Il suo cervello formulò un’ultima idea prima di spegnersi: per quale fottutissimo motivo erano andati a Caporetto ?

 

La tana dell’autore 

Hi ! Come state ? Spero bene: in questa song-fiction ho voluto mostrare il dolore della guerra e in particolare del casino che è successo a Caporetto ( sarà perché ho appena finito di leggere “ A cercar la bella morte” e “ Niente di nuovo sul fronte occidentale”) e i figli di Fëanor mi sono parsi dei soldati perfetti. L’unico asterisco si riferisce al famoso canto alpino “Sul cappello” che vi consiglio di ascoltare. Detto ciò, saluti e baci hobbit 

Sempre vostro 

 

Merry

   
 
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