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Autore: Lolimik    13/01/2021    5 recensioni
• Ma fra tutte le distinzioni più o meno condivise sulle cose che si possono fare o non fare da soli, mi sono sempre chiesto perché non si parlasse mai di quelle altre cose.
Di quelle senza senso, tipo.
Eh sì, cose senza senso.
Come quelle cose che non dovrebbero accadere da sole ma che purtroppo accadono.
Innamorarsi, per esempio.
Perché mica è giusto che uno s’innamora e soffre e l’altro non lo sa e vive?•
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cose

Cose

 

 

 

 

 

 

Ci sono cose.

Cose che si fanno da soli e cose che si fanno in tanti.

Di tutte queste cose, comunque, sono molto più bravo nelle prime.

E poi ce ne sono altre, di cose.

Cose che non si possono fare da soli, cose in cui bisogna essere almeno in due, cose in cui più si è e meglio è.

In qualche modo, di tutte queste cose, anche se non mi fanno impazzire, ne riconosco l’utilità.

Ma fra tutte le distinzioni più o meno condivise sulle cose che si possono fare o non fare da soli, mi sono sempre chiesto perché non si parlasse mai di quelle altre cose.

Di quelle senza senso, tipo.

Eh sì, cose senza senso.

Come quelle cose che non dovrebbero accadere da sole ma che purtroppo accadono.

Innamorarsi, per esempio.

Perché mica è giusto che uno s’innamora e soffre e l’altro non lo sa e vive?

Doveva esserci una sorta di obbligo di simultaneità in quelle cose e invece no.

Possibile che una se ne stava così, sulla terra, tranquilla e beata, ignorando totalmente di essere la causa principale della sofferenza di un altro individuo, colpevole solo di aver avvertito per lei dei sentimenti non corrisposti e che quindi, alla fine, poteva solo restarsene amareggiato, incazzato, solo e infelice per una cosa che lo aveva sorpreso così, di punto in bianco, mentre neanche se la stava cercando?

Come diavolo funzionava?

C’era dell’ingiustizia in quella cosa senza senso chiamata innamoramento.

Io l’avevo sempre pensato.

Lo avevo pensato anche quando mi hai lasciato.

E poi lo avevo pensato anche quel giorno, quando mi avevi dato appuntamento in quel caffè.

Ti avevo visto ancor prima di entrare, da fuori, dai vetri un po’ appannati del locale.

Te ne stavi lì seduta davanti a un caffè pieno di cose che non avrebbero voluto stare lì insieme, quello sì, lo avevo pensato subito.

Ma tu eri distratta, mica te ne accorgevi?

Avevi semplicemente deciso che dovevano essere lì tutte insieme quelle cose, amalgamate e ammassate proprio a quel modo, solo per soddisfare un tuo capriccio.

Mica lo sapevi che tutte quelle cose mescolate così insieme non ci volevano stare?

O forse sì, lo sapevi ma te ne fregavi, non ci badavi.

Perché sì, forse eri solo egoista, si.

Eccome se lo eri.

E poi c’erano dei dolci, tre, tutti diversi, tutti assaggiati e abbandonati.

Perché tu eri anche curiosa, volubile, incostante.

Dovevi capire, scegliere, cambiare.

Unire le cose per poi disfarle.

Disfare.

Ecco, quello era il tuo verbo.

Ma anche confondere, non so.

O forse innamorare, anche se, davvero avevi innamorato solo me?

Ma comunque il tuo verbo certo non era pensare.

«Che diavolo fai?»

Io te lo avevo chiesto lì in piedi, a un passo da te.

Te che non sentivi, te che te ne stavi lì seduta scomposta con le auricolari alle orecchie, la testa china su un copione colorato e le matite sparse e i pennarelli fluorescenti, stappati e disparsi senza cura.

“Sei un tale casino, Kurata.”

Mi ricordo che, frustrato, avevo pensato proprio quello prima di avvicinare le dita al tuo orecchio e toglierti via l’auricolare.

«Hayama! Mi hai spaventato!» Lo avevi urlato sorpresa, come se fossi io, quella cosa che non t’aspettavi.

In realtà quello sorpreso dovevo essere io, perché eri tu, decisamente tu, quella cosa che non mi aspettavo.

La sorpresa poi… Anche quella doveva essere mia, ma anche quella ti eri presa.

Voglio dire, in fondo eri tu quella che mi aveva invitato.

«Tu mangi, tu bevi, tu giochi con dei colori, tu leggi, tu ascolti musica… Ne fai sul serio almeno una di tutte queste cose, Kurata?»

Mi ero lasciato andare sulla sedia, difronte a te che sorridendo ti eri già cambiata quella espressione sulla faccia.

«Lo sai come si dice, no? Se si usano insieme tutti e cinque i segni diventa tutto più facile!»

«Immagino tu stia parlando dei sensi…»

«Sì… Esatto! I sensi!»

«E funziona?»

«Ancora non lo so…»

Di sicuro avresti voluto aggiungere altro, ma poi una cameriera ci si era avvicinata e aveva sciorinato al volo tante cose che neanche avevo ascoltato.

Io più che altro pensavo. Ma di certo non a tutte quelle cose.

Ad esempio al fatto che quella tipa fosse carina. Aveva un caschetto castano, degli occhietti neri vispi ed esuberanti e tutto il resto delle cose al posto giusto.

Sì, mi piaceva.

Eppure non mi piaceva, o forse non ci riusciva.

E allora mi ero chiesto perché.

Perché non poteva essere una come lei?

Perché invece doveva essere una come te?

Che stupido che ero, che stupida che eri.

Alla fine avevo ordinato una birra chiara alla spina e tu avevi cominciato a mettere ordine fra le tue cianfrusaglie.

«Un altro lavoro, Kurata?» Te lo avevo chiesto mentre guardavo le tue dita riorganizzare lente le pagine sparse di quel copione.

«Già… Un'altra commedia…»

«Bella?»

«Beh… Bello è il fatto che almeno questa è un commedia che non si trascinerà dietro una tragedia.» Così mi avevi detto, ma non mi avevi guardato.

Alludevi. Lo sapevo a cosa ma certo non avevo voluto raccogliere.

Raccogliere cosa, poi?

Che senso avrebbe avuto?

Eri tu quella che due anni prima mi aveva lasciato.

E poi quante volte ne avevamo parlato di quella vecchia storia? Ci eravamo detti è tutto passato, è tutto archiviato, ma tu, in verità, non appena potevi me lo ricordavi.

Sadica, Kurata.

O forse eri solo stronza.

Perché era vero, tu eri brava, davvero molto brava a raccontarti le stronzate, meno brava a darmele a bere.

«Ieri sera hai bevuto molto…» Poi così mi avevi detto, mentre con lo sguardo avevi studiato attenta ogni mio movimento.

«Era il senso del gioco, Kurata.»

«No… Mica era quello?» E a quella domanda avevi arricciato le labbra.

Era così che facevi quando qualcosa ti deludeva, lo avevo scoperto in quel periodo che mi avevi detto stiamo insieme.

Anche se, in realtà, non avevo scoperto solo quello.

«No?»

«No! Gomi ha detto che dovevamo bere solo per ogni risposta affermativa!»

«Oh…» Dissi e avevo scrollato le spalle.

«Ecco! E’ così che fai. Prima fai danni e poi scrolli le spalle!»

«Nessun danno, Kurata, è che mi piacciono i giochi alcolici di Gomi.»

«Dunque?»

«Chissà… Forse volevo solo bere, o forse no… Forse tu eri bugiarda e ho pensato di dover bere per te.»

Poi caschetto castano era tornata, mi aveva sorriso lasciandomi la birra sotto al naso, tu l’avevi guardata un po’ di traverso, almeno così mi era sembrato o forse così avevo sperato.

«Io sarei bugiarda?»

«Beh… Hai bevuto una sola volta.»

«E qual era la domanda?»

«E lo chiedi a me? Sei tu che hai bevuto, mica io?»

«Mi ascoltavi o non mi ascoltavi?»

«Ti guardavo.»

Così avevi abbassato lo sguardo e c’era stata un’altra cosa che mi ero ricordato.

«Dio! Da quando t’imbarazza sapere che ti guardo, Kurata?»

«Non sono imbarazzata…»

«Ah no?»

«No!»

Che bugiarda che eri, Kurata.

«Vabbè… Quindi anche sta volta devi partire?»

«No… Giriamo qui… A Tokyo.»

«Menomale… Almeno lui non lo devi lasciare.»

«Non so cosa tu stia tentando d’insinuare… Ma certo, quella volta non avrei voluto lasciare te… Se è per questo.»

«Ma l’hai fatto.»

Poi, a quel punto, mi avevi tirato via la birra dalla mano. «Giochiamo.» Così mi avevi detto e finalmente mi avevi guardato.

«È per questo che mi hai invitato qui, Kurata? Per giocare di nuovo a quello stupido gioco?»

«Forse.»

«Bene… Allora io me ne vado.»

Ero stanco di lasciarti giocare con me, soprattutto di capirne il perchè, così mi ero alzato e sì, l’avevo fatto, me n’ero andato.

Ma tu, no. Non l’avevi accettato.

E mi avevi rincorso.

Così, alla rinfusa, come i fogli che sbucavano dal tuo zaino, come i capelli che ti volavano ai lati della faccia e i pensieri sparsi che ti si agitavano nella testa.

«Che vuoi, Kurata?»

«Capire…»

«Sei in ritardo per quello.»

«E’ vero, io ho bevuto solo una volta ieri sera… Quando Gomi ha detto “Io non ho mai avuto paura.”»

«E di che cosa avresti avuto paura tu, Kurata? Sentiamo.»

«Di te! Ho sempre avuto paura di te… Per questo ti ho mollato…»

Eri sempre la solita vigliacca, Kurata.

«No, tu mi hai mollato perché dovevi girare un film all’estero e volevi farti i cazzi tuoi!»

«Veramente hai pensato una cosa del genere?»

Eri arrabbiata, anche un po’ imbarazzata e io non ne avevo capito neanche il perché, in fondo era quello che volevi.

E così, mentre ti guardavo, passo dopo passo, mi avevi spinto contro un muro.

E io avevo pensato che in fondo era ciò che avevi sempre fatto.

Ma quella volta proprio no, spalle al muro non ci sarei rimasto.

«Cos’altro avrei dovuto pensare? Guarda che sei tu che mi hai detto “Non me la sento di continuare Hayama, lasciamo stare…”»

«Io… Stavo per partire… Cosa mai potevo chiederti?»

«Non ti leggo nella testa, Kurata, ho dovuto trarre da me le conclusioni, come al solito...»

«Te lo ricordi cosa volevi da me quella sera?»

«Cristo, Kurata! Certo che me lo ricordo! Volevo te! Te, come in tutti gli altri dannati giorni della mia vita!»

«Potevo ancora chiederti di aspettare?»

«Beh sarebbe stata un’idea…»

Che stupida che eri, Kurata, tanto che stupido avevi fatto sentire anche me.

Perché ancora ti avevo dato tutto quel potere?

«Quindi… Anche tu mi hai aspettato, Hayama?»

No che non l’avevo fatto, ma quell’anche… Quella parola mi era piaciuta proprio tanto, ma non te lo avevo detto.

E allora un po’ mi era venuto da ridere, perché per quella volta, quella posizione, a me non era sembrata affatto male.

«Tu le hai ascoltate le mie risposte ieri sera?»

«Purtroppo…»

«Addirittura?»

«Mi spieghi cos’hai da ridere, Hayama?»

«Niente… Solo… Cos’hai capito, sentiamo?»

«Beh… Che hai saltato una lezione perché eri in hangover, che hai fatto sesso con una sconosciuta, che l’hai fatto anche con una matricola, che…»

Mi eri sembrata così buffa mentre, rossa e impettita, sciorinavi tutte quelle cose che pensavi di aver capito, tanto che per un po’ me ne rimasi in silenzio a lasciarti fare.

E tu parlavi, eccome se parlavi, tanto che neanche ti eri accorta che a quel punto mi ero spostato, che mi ero avvicinato e che, passo passo, ti avevo spinto proprio su quel muro.

«Come al solito sei tarda, Kurata.»

Allora a quel punto mi avevi guardato, avevi stretto gli occhi a fessura e arricciato il naso in una specie di punta. «Ma certo… Giusto… Ormai avrai un'altra, in fondo sei innamorato…»

«Non ho nessun altra, Kurata.»

«Ma allora… Mi hai aspettato?»

«Beh… Non ho detto questo...»

«E allora che intendi, Hayama?»

E sì, le mani a quel punto ti si erano spostate all’indietro ed era stato proprio in quel momento che te n’eri accorta che per quella volta incastrata a quel muro ci eri finita tu.

Che incastrata a quel muro ti ci avevo spinto io.

Ma forse, prima delle tue mani, erano stati i tuoi occhi a capirlo. Perché si erano mossi frenetici per bloccarsi impauriti e al contempo sorpresi sui miei.

E allora, come sempre, ti avevo baciato.

Perché quello che volevo farti capire non lo sapevo dire, ma a mio modo, sapevo fartelo arrivare.

E poi, perchè, in fondo, usare i sensi rendeva tutto più facile, questo lo avevi detto tu, ma te l'avevo insegnato io.

 
Lo sai, Kurata, c’erano delle cose che avevo sempre pensato quando ti baciavo, anzi, a dirla tutta, era sempre stata solo una la cosa a cui pensavo, ma ecco, quando anche tu ricambiavi, quando le tue labbra si aprivano sulle mie e le tua mani incerte volavano a bloccare le mie più esperte, io avevo sempre avvertito una cosa.

Che c’erano certe cose che io avrei voluto fare solo con te.

E tu che eri sempre così tarda, lo avevi mai capito?

 

 

Ciao Ragazze!

Non so cosa sia… Direi un calo notturno di serotonina ;)

Spero possa piacervi!

A presto <3

Lolimik

  
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