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Autore: Imperfectworld01    13/01/2021    0 recensioni
Megan è ormai fuori pericolo, non è più indagata per l'omicidio di Emily Walsh, ha ripreso in mano la sua vita e ha ritrovato se stessa, sebbene tutti la vedano diversa e la accusino di essere cambiata. Ciò che non vedono, è che quella è la vera lei: forte, sicura, determinata.
Ma i suoi problemi non sono finiti.
Si era posta un obiettivo: scovare il vero colpevole e ottenere giustizia per la sua amica, ed è ciò che ha intenzione di fare. Non si fermerà finché non ci sarà riuscita, costi quel che costi.
Ma desiderare una cosa con tutta se stessi e combattere per averla, è sempre la cosa giusta da fare?
//SEQUEL DI CAUSE IT'S RIGHT. PER CAPIRE QUESTA STORIA È NECESSARIO AVER LETTO IL PREQUEL//
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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25. Perché è giusto (2)

Era passata almeno mezz'ora, nessuna delle due si era mossa, né aveva proferito parola.

Così come Herman, ovviamente.

In tutto quel tempo non si era mosso. Non avevo modo di dire se fosse solo svenuto per via di tutto quel sangue che aveva perso oppure se fosse... se fosse...

«Perché l'hai fatto?» chiesi, trovando finalmente il coraggio di affrontare Tracey.

«Perché lo amo» rispose lei.

Era chiaro che fosse sotto shock, come me d'altronde, ecco perché farneticava cose senza senso.

Così mi avvicinai a lei e le afferrai il viso fra le mie mani. «Guardami. Che cazzo vuol dire, Trace?»

I suoi occhi erano così vacui. Così persi. «Li ho letti i giornali, Meg. So cosa hanno fatto a Dylan. E, visto che lo amo, non vorrei mai che le stesse cose capitassero a Herman. Non potrei mai fargli trascorrere la sua vita in prigione.»

«E io non posso permettere che la trascorra tu» risposi, alzandomi in piedi.

«Non puoi. Ormai il danno è fatto.»

Scossi la testa, rifiutandomi di darle ragione. «No. No. Mi hai sentita? No. Non lo permetterò, Trace, sistemerò tutto. Adesso chiamerò David, va bene? Lui saprà come aiutarci, come aiutare te. Non ti succederà niente, fidati di me e di lui. Tu rimani qui, va bene?» dissi con tono pacato e affabile.

Lei non rispose, ma io mi allontanai comunque e andai in un'altra stanza per poter fare la telefonata in tranquillità.

Un paio di minuti dopo ritornai in cucina. Tracey era ancora nella medesima posizione in cui l'avevo lasciata.

«Mi ha ingannata, per tutto questo tempo mi ha ingannata» disse a un tratto. «Mi aveva detto che... che era stata Emily, che era ubriaca e che aveva afferrato un coltello, che aveva cercato di colpirlo e che lui, nel tentativo di fermarla, l'aveva ferita per sbaglio... Io gli ho creduto. E poi ho pensato che, se avessi protetto lui, avrei protetto automaticamente anche te, così la verità non sarebbe mai venuta a galla.»

«Dopo hai cambiato idea, però. Hai contribuito solo a sabotarmi, altro che proteggermi» le ricordai.

Deglutì. «Mi ha fatto credere che fossi stata tu. Proprio come poco fa ha cercato di farlo credere a te. E mi sono fidata, perché era più facile credere alle sue parole piuttosto che rendermi conto che la persona che amo è un assassino. Ha ucciso la mia migliore amica, mi ha tradita, mi ha mentito ed è riuscito ad allontanarmi da te. Ogni volta che avevo l'intenzione di correre da te a raccontarti la verità, affinché trovassimo una soluzione insieme, lui mi metteva la pulce nell'orecchio, mi entrava nella mente, ricordandomi che anche se fossi andata dalla polizia non l'avrei fatta franca, che ormai ci eravamo dentro tutti e due, insieme. Mi ha fatto perdere me stessa e... e mi ha trasformata in... in un'assassina, proprio come lui.»

«Stavo per diventarlo anch'io. Lo volevo, lo volevo davvero, da un sacco di tempo...»

Mi scese un'altra lacrima.

Per tutto quel tempo ero stata convinta di star facendo la cosa giusta e poi, arrivata finalmente alla resa dei conti, ecco che stavo per commettere l'errore più grande della mia vita.

Era stato grazie a David se mi ero ripresa in tempo. Grazie alle parole che mi aveva rivolto qualche tempo prima. «Fallo per Emily. Non puoi rimediare alla sua morte, ma puoi darle la giustizia che merita, dimostrando la tua innocenza e dando la possibilità a chi è di competenza di scovare il vero colpevole, l'unico che dovrebbe pagare per tutta questa storia.»

E mai prima di adesso ero stata in grado di comprendere quanto avesse ragione. Non era un compito che spettava a me. Spettava allo sceriffo e al procuratore distrettuale.

La vendetta non sarebbe servita a niente. La giustizia privata non era giustizia.

Dal momento che non ce la facevo più a stare in piedi, mi lasciai cadere a terra, appoggiandomi con la schiena al mobile della cucina, in attesa.

All'incirca un quarto d'ora dopo da quando avevo fatto la chiamata, ecco che sentimmo suonare alla porta. Mi alzai di scatto, intimando a Tracey di rimanere lì e non muoversi: «Non preoccuparti, penso a tutto io».

«Non so come ringraziarti, Megan» disse simulando un sorriso.

«Non farlo.» Ed ero seria. Aveva ben poco per cui essere grata.

Uscii dalla cucina tentando di nascondere l'eccitazione sempre più crescente dentro di me. Mi diressi verso la porta d'ingresso e, dopo aver girato la chiave nella serratura, la aprii. 
Sospirai di sollievo. «Grazie per essere qui» dissi, prima di farmi seguire in cucina, dove si trovavano Herman e Tracey.

Quest'ultima sollevò lo sguardo e sbiancò, nel vedere davanti a lei le figure dello sceriffo Kowalski e il procuratore Goldberg.

Tracey era inginocchiata a terra davanti al corpo privo di sensi di Herman, il manico del coltello ancora saldo nel pugno della sua mano. Stava tremando incessantemente. Le lacrime sul suo viso si erano ormai asciugate e depositate sulle guance. Il suo sguardo, fino a quel momento vacuo, ora era colmo di terrore e continuava a passare alternativamente dai due uomini delle forze dell'ordine a me. A giudicare da come mi fissava, sembrava lei quella con un pugnale trafitto nella pelle.

Fu come se si fosse fermato il tempo. Era come se stessi continuando a rivedere la medesima scena in loop, come se fossi all'interno di un disco rotto. Andò avanti così per non saprei dire quanto tempo.

Lo sceriffo Kowalski a un certo punto si schiarì la gola. «Tracey Gomez?» chiese.

Tracey schiuse le labbra, come a voler rispondere, ma non emise alcun suono.

«Dovrebbe seguirmi alla stazione di polizia, avrei delle domande da farle» continuò lo sceriffo. Poi puntò lo sguardo su di me. «Sarebbe così gentile da chiamare un'ambulanza?» chiese e io annuii, prendendo il cellulare per comporre il numero del pronto soccorso. Prima di premere sulla cornetta verde, tuttavia, mi arrestai. «Potreste lasciarci un minuto, per piacere?» domandai. 

Mi sembrava doveroso almeno dare una spiegazione a Tracey.

Lo sceriffo sembrava restio, ma alla fine acconsentì e andò in salotto insieme al procuratore per chiamare i rinforzi, lasciando me e Tracey da sole.

«Non hai chiamato David» disse, con tono ferito.

«No, non l'ho fatto» risposi. «Fin da quando Lucy ci ha illustrato il suo piano, sentivo come... avevo il presentimento che qualcosa sarebbe andato storto. Così ho chiesto a Olivia il numero di suo padre. Quando mi sono allontanata l'ho chiamato e l'ho messo al corrente di quanto era successo, pregandolo di arrivare qui il prima possibile insieme allo sceriffo ma di non dare nell'occhio, evitando di usare la sirena della polizia, così da non farti sapere che erano loro che stavano arrivando» spiegai.

Tracey sgranò gli occhi e corrugò la fronte. «Megan, cosa... perché l'hai fatto?»

L'unico modo che trovai per risponderle fu attraverso le sue stesse parole di qualche mese prima. «Perché è giusto così! Chi dice che il male si sconfigge con il bene, allora non ha capito niente di come funziona realmente il mondo. A volte bisogna tirare fuori gli artigli. Mi dispiace Tracey, davvero, ma andava fatto e lo rifarei.» Tracey era a dir poco sconvolta, anche se non ne comprendevo appieno le ragioni: «D'altronde, l'ho imparato da te» dissi.

«Ho sbagliato, ma pensavo che tu fossi pronta a perdonarmi.»

«Perdonarti? No, non potrei mai perdonarti. E non importa quanto fossi innamorata, quanto la tua mente fosse offuscata e quanto fossi spaventata. Anch'io per molto tempo ho avuto paura della verità, ma questo non mi ha impedito di scegliere Emily. Tu hai scelto Herman, fino all'ultimo l'hai protetto. Nonostante avessi scelto di redimerti, così facendo l'hai comunque protetto da una sorte peggiore, la sorte che gli spettava. E hai rovinato tutto... Non meritava di morire, meritava di finire in prigione!» esclamai.

Poi decisi di concludere il discorso con un'altra delle sue citazioni che mi era rimasta ben impressa in mente e che era più che adeguata a quella situazione: «Per quanto mi riguarda, ho la coscienza pulita. In fondo una brutta azione, se fatta per le persone a cui teniamo, non è poi così brutta, no?»

E la persona a cui tenevo in quel caso non era lei. Era Emily. Fin dall'inizio, fin da quella sera di settembre, si era sempre trattato di Emily.

Tracey abbassò lo sguardo, evitando di rispondere. Io riaprii la porta della cucina, consentendo allo sceriffo di entrare. Iniziò ad avvicinarsi a Tracey, la quale indietreggiò di qualche metro. «Tracey Gomez, lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio.»

Il procuratore Goldberg si avvicinò invece a me, studiandomi a lungo. Vedendolo finalmente da vicino, mi accorsi della terribile somiglianza con Olivia. Avevano lo stesso sguardo agghiacciante e inquisitorio. Mi fissò con gli occhi ridotti a due fessure e infine parlò. «Perché ogni volta che un adolescente viene ucciso, si tratta sempre di qualcuno di tua profonda conoscenza e tu, in qualche modo, c'entri sempre qualcosa?»

«Mi sembra che sia sua figlia a c'entrare con la morte di Emily più di quanto c'entri io» risposi acida, facendo cenno a Herman. «Comunque sarò ben più che felice di poter contribuire a chiarire qualsiasi dubbio in merito a quanto è successo questo pomeriggio. Ah, e grazie a me, magari finalmente potrà chiudere il caso Walsh.» Senza nemmeno attendere una sua risposta, mi diressi fuori da casa di Tracey per prendere un po' d'aria.

Sospirai e poi ripensai a tutto ciò che era appena successo. Non sapevo come sentirmi in merito a quella situazione.

Sentivo solo che... che mi veniva da vomitare.

Mi accasciai a terra e mi liberai sul prato di casa di Tracey.

Dopo aver visto in diretta Tracey che accoltellava Herman, era prevedibile che avrei avuto bisogno di prenotare numerose altre sedute dalla dottoressa Blackburn.

«Eliminato un trauma, ecco che se ne aggiunge un altro» dissi fra me e me.

Mi passai un braccio sulla bocca per ripulirmi le labbra e poi mi rialzai in piedi, ancora un po' intontita.

Vidi delle luci rosse e blu davanti a me, ma non riuscivo a metterle bene a fuoco e di conseguenza a capire di che cosa si trattasse.

Tutto intorno a me divenne sempre più confusionario. 
Era quasi come se fossi in grado di percepire il movimento della rotazione terrestre, come quando da piccola facevo dei continui giri su me stessa solo per poter percepire, una volta ferma, la terra che ruotava sotto i miei piedi.

Mi parve di vedere delle sagome davanti a me, tuttavia non ero in grado di distinguerle nettamente né di sentire i suoni che stavano emettendo.

Infine, mi sentii immensamente pesante. Era come se ci fosse un peso caricato sulle mie spalle che non ero in grado di reggere. 
Sentii solo l'impatto con il cemento quando caddi a terra, poi non mi accorsi più di nulla.

Solo il vuoto.

Il nulla.

•••

«Megan... Megan... Maggie...»

Sbarrai gli occhi e sollevai il busto. Mi guardai attorno confusa, non avendo idea di dove mi trovassi. Era una stanza bianca e vuota, così come il letto sul quale ero sdraiata. Mi girai verso la direzione dalla quale avevo sentito provenire quel richiamo, e vidi David in piedi alla mia destra.

«Dove... dove mi trovo?» chiesi, sebbene stessi già facendo delle ipotesi per conto mio.

«Ehi, torna giù, sdraiata. Siamo al Teche Regional Medical Center» rispose. «Non ti ricordi come sei finita qui?» domandò e io scossi la testa. «Ieri pomeriggio sei svenuta davanti a casa di Tracey, per fortuna l'ambulanza era già sul posto e ti ha portato immediatamente qui.»

«Ieri pomeriggio?» domandai stupita.

Stando a quanto era scritto sull'orologio appoggiato sul tavolino alla sinistra del letto, erano le 17:36.

Ero stata incosciente per quasi un giorno intero?

David sembrò leggermi nel pensiero, infatti disse: «Ti hanno fatto degli esami e non hanno rivelato nulla di anomalo. Sembra che tu sia svenuta a causa di un forte shock emotivo e che, inoltre, avevi davvero tanto bisogno di dormire, perciò in accordo con i tuoi genitori hanno deciso di tenerti qui anche la notte e di sedarti».

Aprii la bocca per chiedere di Tracey e di Herman, ma fui interrotta da David. «Parliamo dopo, ora che ti sei finalmente svegliata, i tuoi vorranno sicuramente parlarti.» Avrei voluto protestare, mi importava solo di rimanere con lui, ma alla fine rimasi zitta e acconsentii. Uscì dalla stanza e una dozzina di secondi dopo entrarono mio padre e mia madre.

«Oh, Megan!» esclamò mia madre, gettandomi le braccia al collo. «Sono così felice di vedere che stai bene!»

Mio padre mi appoggiò una mano sul ginocchio. «Eravamo molto preoccupati. Appena ci hanno chiamato dicendo che ti avevano ricoverata...» Lasciò la frase in sospeso.

Poi mia madre lanciò un'occhiata alla porta della mia stanza d'ospedale, prima di distogliere lo sguardo e tornare a guardarmi. «Prima che il sedativo facesse effetto e ti addormentassi, non facevi che nominare David» disse e io sentii le guance andarmi a fuoco. «Quindi abbiamo pensato di chiamarlo. Si è precipitato subito qui ed è rimasto tutta la notte.»

Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Da quelle parole dedussi che mia madre aveva capito tutto. Sapeva di ciò che c'era fra me e David.

«Tiene molto a te» disse solamente, sorprendendomi. Pensavo si sarebbe sbilanciata come suo solito, sottolineando innanzitutto la grande differenza d'età fra noi due, invece si limitò solo a quelle parole.

Mio padre mi lasciò un bacio sulla fronte e poi uscì dalla stanza insieme a mia madre.

Chiusi gli occhi, solo per riaprirli non appena sentii nuovamente la presenza di David al mio fianco. Si sedette sul bordo del letto e mi strinse la mano.

«Herman è...»

«È vivo» mi interruppe e io sgranai gli occhi.

«C-come sarebbe a dire?» chiesi, sollevando nuovamente il busto.

«Sh, torna giù» disse, facendomi rimettere sdraiata. «Non agitarti.»

«Se è vivo... se è vivo allora vuol dire che...»

«Al momento è ricoverato anche lui in ospedale - tranquilla, non in questo. Comunque, consultando i referti dell'autopsia di Emily con il coltello usato da Tracey, il procuratore ha appurato che i due corpi del reato combaciano. Sono state rinvenute sia le tue impronte, sia quelle di Tracey, sia quelle di Herman. Mettendo poi a confronto la ferita inferta da Tracey a Herman con quella trovata sul corpo di Emily, il dottore incaricato della sua autopsia, il dottor Kane, ha stabilito che non poteva trattarsi di Tracey. Il modo in cui ha reciso i tessuti addominali di Herman era troppo impreciso e casuale per poter essere considerato opera di una persona esperta. Tu sei già stata assolta per l'omicidio di Emily, pertanto l'unica persona che rimaneva come possibile indiziato era Herman. Il procuratore Goldberg stava comunque già indagando su di lui da un paio di giorni, e aveva scoperto che suo nonno possiede una licenza da cacciatore.»

«Ciò significa che è tutto finito?» domandai, con gli occhi che riempivano a riempirsi di lacrime.

David increspò le labbra e io me ne accorsi prontamente. C'era dell'altro.

«Che c'è?» assunsi un tono preoccupato e staccai la mia mano dalla sua.

«È che... che non ti piacerà ciò che sto per dirti.» Sentii il cuore morirmi in gola. «Herman ha confessato, per questo ha ottenuto uno sconto di pena.»

Ero già pronta a montare su tutte le furie. «Uno sconto? Di quanto?» chiesi adirata.

«Un terzo della pena.»

Sembrava non volesse scendere nei dettagli e dirmi esattamente quanto tempo avrebbe trascorso Herman in prigione. «Qual è il capo di accusa? Manslaughter volontario?»

Avevo già escluso l'omicidio di secondo grado, dal momento che prevedeva la condanna all'ergastolo senza beneficio di libertà condizionale, di libertà vigilata né di sospensione della pena.

David esitò un attimo, poi annuì.

Nel caso di manslaughter volontario, la pena andava fino a un massimo di quarant'anni di reclusione, ma dubitavo avessero optato per una condanna al massimo della pena, specie perché Herman era un minore ed era il primo crimine di cui si macchiava.

E, considerando che David sapeva che non avrei reagito bene, provai a fare le mie ipotesi. «Gli hanno dato solo dieci anni, non è così?»

«Dodici» rispose e io strinsi fra i miei pugni le lenzuola del letto d'ospedale.

«La giurisdizione americana fa schifo» dissi.

«Lo so. Ma almeno ce l'hai fatta, Megan, è tutto finito.» Mi scostò i capelli dietro le orecchie e mi diede una carezza sulla guancia.

«E invece Tracey?»

«Per favoreggiamento le spetterebbero fino a un massimo di cinque anni di reclusione; per spergiuro non meno di un anno e non più di venti di reclusione; per tentato omicidio di secondo grado fino a un massimo di quindici. Senza contare ovviamente le multe, ma essendo a conoscenza della situazione economica della sua famiglia e considerando che Tracey ha confessato, il procuratore Goldberg ha deciso di assegnarle solo nove anni, senza pagamento di alcuna multa.»

Oh, Tracey...

Avrebbe avuto un futuro luminoso davanti a lei, se solo avesse fatto le scelte giuste. Invece ormai era tutto sfumato. Una piccola parte di me si sentiva in colpa, ma in fondo le avevo dato anche molte occasioni per redimersi.

Comunque finalmente era tutto finito e, in un modo o nell'altro, i responsabili avevano avuto ciò che si meritavano. Avrei dovuto essere felice. Invece mi sentivo così vuota.

Avevo perso tutte le persone che in quegli anni mi erano state amiche. Emily era morta, Herman sarebbe andato in prigione e Tracey pure.

Poi però pensai che quelle perdite erano state compensate da nuove conquiste: avevo pur sempre George, avevo Lucy, avevo David. E più avanti, forse, anche Dylan sarebbe tornato a far parte della mia vita.

Era come se tutto stesse trovando un nuovo equilibrio.

Poi ripensai alla questione in sospeso che avevamo lasciato io e David ben tre giorni prima. «Perché sei qui, David? Non mi hai nemmeno più risposto» dissi, riferendomi al messaggio che gli avevo inviato domenica mattina e che lui aveva visualizzato senza degnarmi di alcuna risposta.

Sbuffò e poi distolse lo sguardo, come fosse alla ricerca delle parole giuste. Avevo un brutto presentimento. Come se stesse per iniziare uno di quei discorsi in cui finiva per spezzarmi il cuore.

«Megan, io... non lo so, mi è uscito così e, credimi, non vorrei rimangiarmelo, ma ecco...»

«Non mi ami» lo interruppi e lui tornò immediatamente a guardarmi: «Perché lo dici con quel tono?».

«Quale tono?»

«Come se me ne facessi una colpa. Non è forse normale che sia così? Insomma, obiettivamente da quanto ci conosciamo? E, a parte che in qualche rara occasione, abbiamo condiviso davvero pochi momenti importanti insieme.»

Per me ogni momento passato in sua compagnia era stato importante. Ma era anche vero che, tralasciando quegli ultimi giorni, il resto del nostro rapporto era stato come un insieme di momenti in cui ci avvicinavamo e momenti in cui ci allontanavamo, per sua ma anche per mia scelta, momenti (molti) in cui ero io a rincorrerlo mentre lui continuava a sfuggire e momenti (pochi) in cui era lui a inseguirmi.

«Io ho... ho bisogno di tempo per capirlo.»

«E io cosa dovrei fare, aspettare e aspettare che tu ti renda conto se mi ami o no?» sbottai. Era semplice: o sì o no. Non volevo al mio fianco qualcuno che non sapeva che cosa provava, né volevo sentirmi dire "ti amo" da qualcuno che non sapeva se lo sentiva realmente. Non ne avevo bisogno e non me lo meritavo.

Non me lo meritavo, specie perché anche se lui aveva dubbi, io non ne avevo. Anche se lui al momento non provava lo stesso, io lo amavo.

L'amore si prova a prescindere da quelli che sono i sentimenti dell'altra persona nei nostri confronti, ed è questa la cosa bella, mi aveva detto una volta Dylan. Non potevo dargli torto, se non forse sull'ultima parte: era sì la cosa bella dell'amore, ma era anche ciò che metteva paura e a volte lo rendeva ingiusto.

«Non ti ho mai chiesto di aspettarmi e mai lo farò, lo sai» disse, prima di fare un respiro profondo e riprendere a parlare: «Sei stata la prima persona dopo Kylie per cui ho iniziato a provare qualcosa di serio. Pensavo che lei fosse l'amore della mia vita, lo capisci? E da oltre un anno lei non c'è più, se n'è andata. Pensavo che non avrei mai amato nessuna al di là di lei, e poi inaspettatamente sei arrivata tu. Ciò che ho provato per sette anni per lei è totalmente scemato, e per me è una cosa difficile da elaborare».

Era la prima volta che mi parlava di Kylie in maniera così concreta. Non si era mai aperto troppo sull'argomento in mia presenza.

«Non voglio sbagliarmi di nuovo. Non voglio, o meglio, non so se sarò in grado di darti ciò che hai bisogno per vivere la storia d'amore che ti meriti. Perché ho dato tutto me stesso a Kylie e lei mi ha spezzato il cuore. Si è presa un pezzo di me, un grosso pezzo di me. E quando è successo io sono cambiato. Non sono più la stessa persona di prima, e non so se sarò capace di amare come prima.»

«Non mi interessa chi eri prima, a me interessa chi sei adesso.»

«Lo dici solo perché non hai idea di come fossi» ribatté e io alzai gli occhi al soffitto.

Sembrava quasi che cercasse delle inutili scuse. Se prima il problema era la differenza d'età, poi il processo di Dylan, ora era il fatto che aveva paura di lasciarsi andare, eppure negli ultimi giorni l'aveva fatto benissimo.

E, in più, c'era un'altra cosa che mi tormentava da un po' e di cui forse era il caso di parlargli.

«Lo sai, David, quando ti ho parlato dell'effetto trigger che Dylan ha innescato in me... ecco, una parte di me ha iniziato a pensare che forse l'unico motivo per cui... l'unico motivo per cui hai iniziato a interessarti a me è perché anch'io ho innescato un effetto trigger in te.» Sgranò gli occhi, come se avessi appena detto una cosa fuori dal mondo. Così proseguii a spiegarmi meglio. «Il giorno del funerale di Emily mi hai fermata mentre ero in procinto di farmi tirare sotto da un'auto, ricordi? Quindi ho pensato che una parte di te possa aver associato quest'episodio a ciò che è successo a tua madre. Lei era malata e... e anch'io lo sono, ancora adesso.»

«Quindi pensi che mi sia messo in testa a tutti i costi di volerti salvare, solo perché mi ricordi mia madre, per la quale non ho invece potuto fare niente?» chiese e io annuii.

Doveva aver captato qualcosa di simile fra me e sua madre, qualcosa in me e nella mia situazione che gliela ricordava.

David sorrise e mi afferrò entrambe le mani. «Forse in parte è così. Forse il motivo per cui ho iniziato a vederti in maniera diversa inizialmente, a preoccuparmi così tanto per te, a trattarti distintamente da tutti gli altri clienti di mio padre, è dovuto a questo. Ma poi la cosa si è evoluta ed è nato un sentimento. Non credere mai che non sia così, ok? Mai. E sì, forse mi hai fatto perdere un po' la testa, ma tu per me non sei un trigger, Megan, sei la mia ragazza.»

Mi asciugai le guance bagnate e poi mi gettai letteralmente in braccio a David, avvolgendo le gambe attorno al suo busto. Ci guardammo a lungo negli occhi, prima di protenderci l'uno verso l'altra e baciarci.

A un certo punto si separò dalle mie labbra, pur rimanendo vicino al mio viso. «Lo sai, quando ci siamo rivisti a dicembre, dopo quei trentasei giorni...»

«Ancora tieni il conto?» sbraitai, interrompendolo. Quanto me l'aveva fatto pesare per quei maledetti giorni in cui avevo provato, seppur invano, ad andare avanti e dimenticarlo, per poi averlo ricontattato quando avevo bisogno che mi aiutasse con Dylan.

«Fammi parlare. Quando ci siamo rivisti, tu mi hai elencato una serie di motivi per cui ti piaccio. Io non ho mai ricambiato. E penso che adesso sia il momento giusto per rimediare» disse, attirando la mia attenzione e curiosità. «Prima di tutto mi piaci perché sei coraggiosa. Tu hai quel coraggio... quel coraggio tipico dei bambini - no, non guardarmi così, non ti sto offendendo, lasciami finire. È quel coraggio che porta a compiere azioni sconsiderate, senza avere alcun timore per le conseguenze, solo perché si sente di dover esprimere ad alta voce ciò che si prova. Quel coraggio che io, come molte altre persone, ho perso crescendo. I bambini non sanno mentire, gli viene insegnato fin da piccoli che dire la verità è loro dovere, che è giusto farlo sempre. Man mano che si diventa adulti, però, si perde il coraggio di essere sinceri, di parlare a cuore aperto, perché la paura di fallire è più grande di tutto il resto. Tu però mi hai ricordato che il vero fallimento sta nel non avere il coraggio di ammettere a voce alta i propri sentimenti e nel cercare continuamente scuse per negare l'evidenza.»

«E poi?» chiesi. Non bastava solo quello per fare meglio di me, specie dopo la gaffe che aveva fatto giorni prima.

«E poi mi piace la tua intraprendenza e la tua determinazione. Sebbene io avessi fatto il possibile per non lanciarti alcun segnale, tu avevi già capito tutto comunque e, pur non avendone l'assoluta certezza, hai deciso di fare il primo passo. E il secondo. E il terzo. E anche il quarto, e così via. So di non averti reso le cose semplici, ma tu non ti sei mai arresa, e alla fine sei riuscita a far lasciar andare un testardo e ostinato come me.»

«E poi?»

«E poi mi piace la tua insopportabile indole a immischiarti in cose che non ti riguardano pensando di saperne più di me, perché adoro ancora di più vedere quel broncio che metti ogni volta che ti dimostro di avere ragione io.»

«Non proprio ogni volta.»

«E infine mi piace anche il tuo impegno costante nel contraddirmi in tutto e per tutto.»

Sorrisi e tornai a baciarlo. Poi mi tornò in mente una cosa che mi aveva detto mia madre. «Mia madre ha detto che sei rimasto qui tutta la notte. Quindi mi hai fissata mentre dormivo» gli feci notare. «Pensavo lo trovassi inquietante.»

«Ho atteso che ti svegliassi, è diverso» rispose e gli tirai una sberla sul braccio: «Oh, ma piantala!» esclamai, prima che ridessimo entrambi.

«A proposito di questo... Non avendo il mio numero, tua madre ha chiamato mio padre, dicendo che non facevi che chiedere di me, così che lui mi riferisse cosa era successo e ti raggiungessi qui» disse David, mordendosi il labbro inferiore.

«Anche tuo padre ha capito tutto?» chiesi e lui sospirò, annuendo. «A dire il vero aveva il dubbio già da molto. Perciò mi ha ufficialmente estromesso da qualsiasi futuro caso di cui si occuperà, dal momento che il mio comportamento non si potrebbe definire totalmente... qual è la parola giusta? Ah, sì, etico.»

«Mi dispiace, David» dissi. Sapevo quanto ci tenesse ad aiutare il padre nel suo lavoro.

Scrollò le spalle. «Non importa. Tanto già dal prossimo semestre, a settembre, andrò a fare il tirocinio» spiegò. «E sai, stavo cominciando a valutare i luoghi dove inviare il curriculum già da qualche tempo, e inizialmente pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto andare in un grande studio legale, pieno di uffici, ma poi ho pensato che forse dovrei svolgere il mio tirocinio in una clinica legale.»

«Tu? In una clinica legale? Saresti sprecato. Sei così in gamba che scommetto che dopo che ti sarai laureato, gli uffici più grandi si faranno la guerra per riuscire ad assumerti!» esclamai.

«Lo so, ma ho capito che è questo quello che voglio nel mio futuro. Voglio aprire una mia clinica legale un giorno. Si accettano molti casi pro bono, a patrocinio gratuito, per aiutare quelle persone che non possono permettersi di pagare un buon avvocato. Non ho mai voluto diventare un avvocato per fare soldi, non mi è mai interessato. Io voglio aiutare le persone. Specie quelle che rischiano grosso magari pur essendo innocenti, solo perché non hanno i fondi necessari per assicurarsi una buona difesa. Chissà come ci si sente a ridare speranza a chi già in partenza sembrava non averne... Penso che possa essere una delle sensazioni più belle del mondo.»

«È molto nobile, David» constatai. Ero orgogliosa di quella sua decisione in merito al futuro.

Mi prese la mano e intrecciò le sue dita alle mie.

«E pensi che, un giorno, quando riuscirai ad aprire la tua clinica, potresti aver bisogno del mio aiuto?» domandai e lui mi fissò con le sopracciglia aggrottate, prima di distenderle. «Un attimo, vorresti dire che...»

Ci pensavo già da un po'. La mia scarsa fiducia nei confronti dell'amministrazione della giustizia statunitense aveva sempre innescato in me qualcosa, come una sorta di desiderio di raggiungimento del bene comune. Non volevo stare a guardare, volevo cambiare le cose, per me ma soprattutto per gli altri. E forse c'era un modo per farlo, affrontando in maniera diretta il sistema americano.

Non lasciai quindi a David il tempo di finire la frase. Sorrisi annuendo: «Voglio diventare un avvocato».

 

   
 
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