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Autore: Rosmary    13/01/2021    4 recensioni
Raccolta disomogenea di poesie e racconti dedicati a James e Rose.
1. Apnea
2. Sospesi
3. Infinito
4. Tra granelli di sabbia
5. Vuoti pieni
6. Foschia
7. Siete riva di un fiume in piena
8. Without you (never)
9. Senza fiato
10. Abbattendo i vuoti
11. Sei onde, sono riva
12. Siamo, e lo sai
13. Tremori
14. Irripetibile
15. Senza più dighe
16. Un giorno qualunque
Genere: Drammatico, Introspettivo, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Sirius Potter, Rose Weasley | Coppie: James Sirius/Rose
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Visionari'
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Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Tredici della longfic.


 


Tra granelli di sabbia
 
 
Agosto 2022
 
Esistono momenti in cui isolarsi, correre via da tutto e tutti, è un’esigenza che bussa sottopelle e insiste insiste insiste sino a quando non le viene prestato orecchio.
James l’ha sentita bussare non appena è stata emessa la sentenza – espulso – e ha ricacciato indietro il venefico senso di colpa originatosi a sua insaputa, pronto a divorarlo se non scacciato in tempo.
Tuttavia l’ha ignorata per giorni, sino a quando le labbra di Rose non gli hanno sussurrato «ti porto via» abbattendo ogni resistenza.
Non hanno salutato nessuno, sono fuggiti lasciandosi alle spalle poche righe per avvisare che avrebbero trascorso la giornata fuori – lontani.
Scegliere di guidare la motocicletta incantata sino a una spiaggia solitaria della costa occidentale non è stato un desiderio, ma espressione di quell’esigenza che li ha indotti a chiudere il mondo fuori da loro – solo per poco.
Sono atterrati col sole ancora alto nel cielo, i pneumatici a graffiare i granelli di sabbia e Rose a saltar giù prima che James riuscisse a spegnere il motore.
A lui è stato sufficiente vederla correre scalza verso il mare, le braccia divaricate pronte ad abbracciare il vento, per avvertire i macigni abbandonarlo e la leggerezza farsi avanti – s’è lanciato al suo inseguimento senza indugi ed è correndo che s’è sbarazzato di scarpe e indumenti.
Riesce ad acciuffarla solo quando i piedi di entrambi sono già a contatto con l’acqua salata e i raggi del sole non riescono a vincere i piccoli brividi di freddo che li sorprendono.
Rose abbandona la schiena sul petto di James e la nuca sulla spalla, orientando gli occhi chiari al suo viso mentre le labbra gli solleticano il mento – e sorride nel vederlo sorridere, carezzarle le braccia già bagnate e poi stringere all’altezza dei gomiti per impedirle di allontanarsi.
“Ti sei già messo nudo?”
“Ho il costume.”
“No che non hai il costume, quelli sono boxer.”
James ghigna e si cala a sfiorarle il collo teso con le labbra, attento a non schiuderle né a lasciarsi sfuggire quegli impulsi che alle volte gli suggeriscono di oltrepassare ulteriori confini, perché tra loro due è concesso, naturale, senza malizia.
“Ultimamente ti imbarazzi un po’ troppo,” riprende. “Non è che hai anche tu una cotta per me?!”
Anche,” nota seccata. “E chi sarebbero le altre?”
“Mezza Hogwarts,” ironizza. “L’altra metà la lascio agli altri.”
Rose gli afferra d’istinto i capelli per obbligarlo a riportare il viso a un palmo dal proprio e gli morde la guancia prima ancora che James possa capire che intenzioni abbia.
E mentre lui ride, lei replica il gesto, affondando i denti un po’ di più per il solo gusto di fargli sfuggire un gemito e indurlo a divincolarsi e cercare rifugio sott’acqua.
È lei a ridere quando lo vede riemergere tutto bagnato, una mano a tirare via i capelli dalla fronte e l’altra a indirizzare schizzi salati verso di lei, che ancora asciutta per metà si ritrova a zompettare sino a lui con l’aria di chi vorrebbe bagnarsi ma non troppo.
“Dovresti toglierti questa roba, ti appesantisce,” dice James non appena Rose s’avvinghia a lui – le braccia allacciate al collo e le gambe ai fianchi. “E mi dà fastidio.”
“Non ho il costume.”
“E capirai, già ti ho vista mezza nuda.”
Rose strofina il naso sul suo collo e James non capisce se sia quel gesto o siano quei pochi indumenti a infondergli uno strano disagio che s’appiccica alla pelle assieme alla salsedine e lo induce a non stringerla subito, come se la frizione tra il cotone e il proprio corpo possa essere rovente – e bruciare.
Eppure scaccia tutto, come gli accade di frequente negli ultimi tempi, e chiude le braccia attorno a lei mentre si cala un altro po’ in acqua, costringendo entrambi a immergersi sino al collo e lei a sollevare di scatto la testa e poggiare la fronte contro la sua.
Attorno a loro solo l’eco delle onde che carezzano la riva, in lontananza il suono di gabbiani sereni, il sole che freme per annegare nel mare – è una serenità insperata che li culla per dei minuti che svelti si tramutano in ore.
E non sanno come si ritrovano a rincorrersi ai piedi del mare, lì dove la sabbia è umida e un po’ s’appiccica ai piedi e un po’ scivola via.
Rose ride mentre si volta a guardarlo per incitarlo a raggiungerla, James sogghigna tra sé e sé prima di portarsi avanti con uno scatto repentino che frana contro la schiena di lei, gambe tra gambe e mani che corrono a stringerle i fianchi per impedire a entrambi di cascare.
Raggiungono la motocicletta ferma nella sabbia mano nella mano, i raggi ormai offuscati dalla sera e una leggera brezza a farli rabbrividire – James si infila i jeans senza neanche asciugarsi, mentre Rose infila la sua maglia sulla propria zuppa in cerca di calore.
“Ti asciugo i vestiti?”
Lei scuote il capo e si sdraia supina sulla sabbia, infischiandosene dei granelli che assaltano pelle, pantaloncini, capelli – anzi lascia che il proprio corpo s’imprima in quel manto morbido e sorride quando James la imita, sdraiandosi così vicino da sfiorarle il braccio con il proprio.
“Va meglio?”
Lui si apre in un sorriso a questa domanda e si volta per incrociarne gli occhi chiari impegnati a sondargli il viso. Le sposta allora qualche ciocca ribelle e delicato percorre i contorni del suo volto con le dita, calandosi un istante dopo a baciarle la punta del naso, che s’arriccia solleticata come ogni volta inducendolo a ridacchiare.
Rose ingoia a vuoto senza un perché – la vicinanza di James ha sempre un sapore particolare, sa di buono e al tempo stesso di tensione, e lei a volte fatica a capire le proprie sensazioni. Affonda la mano nei suoi rovi neri d’istinto quando lo vede sistemarsi sul fianco pur di protendersi verso di lei, e gli bacia la guancia e il mento e sfiora appena il collo prima di ritrarsi e sbirciare quelle iridi blu concentrate su di lei.
“Sai di mare.”
“So di mare?”
Lei annuisce e lui sogghigna, acciuffandole il viso tra le dita per avvicinarlo alle proprie labbra e replicare i gesti di lei, ingoiando sprazzi di risa alle risate di Rose.
“Anche tu sai di mare,” conclude James. “Sei tutta salata.”
“A te piace il salato.”
“Lo preferisco a tutto, in effetti.”
Rose curva la bocca in un’espressione sghemba e James la imita incrociandone lo sguardo. L’attimo dopo sono entrambi di nuovo supini, con gli occhi rivolti al cielo che imbrunisce.
James cerca e trova svelto la mano di Rose, la stringe e la conduce sul proprio addome, mentre le altre dita ne carezzano il dorso.
“Ho avuto paura che espellessero anche te,” dice d’un tratto lei. “Sentivo mamma e papà parlare di espulsione e ho temuto il peggio.”
“Il peggio sarebbe stato Azkaban,” sospira lui. “È tutto così insensato, se tornassi indietro io...”
“Non fare quest’errore,” interviene svelta. “Non è stata colpa tua.”
“Ero lì, avrei potuto fermarli, avrei dovuto farlo.”
“Così avrebbero ferito anche te,” sbotta. “Louis deve essere impazzito in quel momento e ha fatto impazzire anche Lorcan, non avresti potuto fermarli senza farti male.”
“Magari non sarebbe successo niente di tutto questo se avessero ferito me.”
Rose gli graffia irata l’addome nudo e James sobbalza voltandosi a guardarla – non dovrebbe sorridere, eppure è ciò che fa quando la vede tesa al solo pensiero.
“Ho la pelle dura, Rosie.”
“Sei un cretino, certe cose non dovresti neanche pensarle. Quella è magia oscura, ma che ti dice la testa? La cosa migliore sarebbe stata non farli duellare, ma ormai è fatta.”
“Ora mi terrai il muso?”
“Sì.”
“Rosie.”
“Sei più imbecille di un Troll.”
James scoppia a ridere e ruba alcuni istanti per osservarla in quella posa tutta corrucciata, con le braccia conserte al petto – rotolare sul fianco una seconda volta, abbracciarla e baciarle più volte la guancia sono gesti istintivi, e sorride sulla sua pelle quando vede sorridere lei e sente di nuovo le sue mani tra i propri capelli.
“Facciamo sempre gli stessi discorsi,” mormora lui. “Hai ragione tu, ormai è fatta e io sono un Troll.”
“Un Troll bello, però,” scherza in risposta.
“Non sai solo di mare, sai anche di me,” dice improvviso, sfiorando la maglia troppo grande che Rose ha indossato. “E quindi sai di te.”
Lei scoppia a ridere e lui la segue a ruota, rimettendosi sdraiato.
“Lorcan non vuole dormire da me quando i suoi saranno a New York,” riprende lei. “A te cos’ha detto?”
“No,” risponde mesto. “Non vuole saperne, si sente una merda per colpa di Lysander.”
“Non capisco perché immolarsi.”
“Per fare il martire del cazzo,” sbotta James. “Come al solito, lui ha la verità in tasca e noi siamo gli stronzi.”
“Gli piace fare la morale,” concorda Rose. “Ma arrivare a farsi espellere...”
“È un coglione, avremmo potuto lasciarci questo schifo alle spalle, invece no. Siamo finiti anche sulla Gazzetta.
Rose tace di un silenzio consapevole che abbraccia anche James e lo spinge a rilassarsi, a dirsi che in fondo sono abituati, le luci e gli sguardi e il vociare li segue dal primo giorno di vita, ed entrambi sono ormai consapevoli che non riusciranno mai a scacciarli, perché la vita non è una spiaggia solitaria in cui svanire per aggirare i fardelli legati alle caviglie – di quelli pesanti, che tirano giù.
“Quest’anno potrà anche essere diverso, difficile,” riprende Rose, pensando ai pochi giorni che li separano da settembre, “ma non mi lascio intimidire.”
“Neanch’io,” s’accoda James. “E neanche Lorcan.”
Rose sorride e annuisce, avvicinandosi poi un po’ di più a lui per poggiare la guancia contro la sua spalla.
“Hai freddo?”
“No.”
“Hai la pelle d’oca,” insiste lei. “Ti restituisco la maglia?”
James, i brividi a fior di pelle e la certezza di non aver reagito al freddo, scuote il capo confuso, incapace di spiegare a lei e a se stesso le reazioni del proprio corpo non appena il respiro di Rose s’è fatto più vicino.
“È un modo per non ammettere che ti imbarazzi anche se sono nudo a metà?” scherza allora.
Rose alza gli occhi al cielo e gli morde dispettosa la spalla.
“Non mi imbarazzi per niente,” ribatte. “E poi chi ti dice che ho visto solo te mezzo nudo?”
James, pur cogliendo la nota provocatoria, assottiglia lo sguardo e irrigidisce la mascella – e lo stomaco si contrae in una strana morsa.
“Con Lorcan oltre al letto hai condiviso anche la doccia?” rilancia.
“Quando digerirai questa cosa?”
“Mai.”
Rose sospira, ma non riesce a guardarlo. Mentirgli è complicato, innaturale, ma ogni volta che soppesa la possibilità di confidargli quanto accaduto il respiro si mozza improvviso, il battito accelera e le dita tremano – non sa perché le accada, sa solo che sono sensazioni spiacevoli che desidera allontanare da sé.
“Anche tu hai dormito con altre ragazze.”
“Non è vero.”
Rose inarca le sopracciglia e si scosta un po’ per guardarlo bene in viso.
“Guarda che lo so, con chi vai a letto, anche se non me ne parli.”
È James ora a inarcare le sopracciglia, curvando le labbra in un ghigno.
“Ma non ci dormo,” sottolinea. “Dormire insieme è una cosa nostra.”
Lei non riesce a ribattere subito, colta da una sensazione di smarrimento che la induce a chiedersi quale tipo di discorso abbiano intavolato – è normale parlarsi così? Non lo sa, ma con James tutto è sempre stato normale, istintivo, naturale, una sintonia senza vincoli né confini, ma nata e cresciuta assieme a loro.
Tuttavia, da quando ha oltrepassato quel confine con Lorcan, ha l’impressione che ogni cosa sia uguale e diversa al contempo – e non solo con Lorcan, ma anche con James, verso cui ha iniziato a nutrire imbarazzi più marcati in alcune circostanze o su cui ha iniziato a porsi domande tutte nuove, come quali esperienze intime abbia avuto, cosa abbia provato, se qualcuna gli manchi.
“Com’è stata la tua prima volta?” chiede. “Non me ne hai mai parlato.”
James s’acciglia e rotola di nuovo sul fianco per osservarla senza ostacoli, il gomito nella sabbia e il viso poggiato sul palmo aperto.
“Non lo trovo granché come argomento.”
“Voglio solo sapere cos’hai provato.”
Suo malgrado, James si ritrova ad arrossire un po’ al ricordo di quella prima esperienza rievocato sotto lo sguardo chiaro di Rose – ha delle parole premute sulla punta della lingua, le avverte, ma non sa decifrarle e allora le ingoia.
“Niente di particolare,” confessa a distanza di alcuni minuti. “Mi è piaciuto abbastanza, ma l’ho fatto più per la scommessa che per altro.”
“Quale scommessa?”
James abbozza un sorriso mesto, specchio di imbarazzo, e Rose gli sfiora i capelli per indurlo a rilassarsi.
“La storia di Bathilda,” dice. “Una scommessa idiota tra Lorcan e Louis che ha coinvolto anche me, abbiamo scommesso su chi facesse sesso per primo.”
“È una cosa stupidissima,” commenta lei, strappando un assenso a James. “Hai vinto tu.”
“Lorcan,” corregge. “Louis è stato l’ultimo.”
“L’ultimo,” ripete Rose ghignando. “Avresti dovuto rinfacciarglielo!”
“Sempre stronza,” scherza. “Perché me l’hai chiesto?”
“Ero solo curiosa,” mente.
“Ci pensi?” chiede istintivo lui. “A farlo, dico. Ti capita di pensarci? Ti piace qualcuno?”
Ora è Rose a colorarsi di un rosa più intenso, scossa da domande tanto dirette e da quegli occhi blu che non bevono nessuna bugia.
Dentro di lei il senso di colpa si risveglia, l’assilla perché parli, e inizia a danzare maligno con una neonata agitazione: da un lato il sapore amaro della menzogna, dall’altro lo scomodo parallelo tra le reazioni gemelle di James e Lorcan a un suo possibile interesse romantico – così furiosi da costringerla ad accantonare con forza domande su cosa sia protezione e cosa gelosia.
A volte ha la sensazione di essere immersa in una nebbia così fitta da fagocitare la nebbia stessa, rendersi invisibile, a tratti persino impercepibile.
“Rosie,” chiama James. “È così, c’è qualcuno?”
“No, certo che no,” risponde svelta. “Però,” aggiunge, “un giorno... potrebbe esserci.”
E se lei brancola a disagio immersa nella nebbia, James incassa queste parole con un tremore che gli strizza la voce e il corpo e la pelle – un velo opaco cala anche dinanzi ai suoi occhi, mentre dei canini ingordi gli strappano qualcosa all’altezza del petto causandogli un dolore sordo e sconosciuto.
Un giorno.
Si chiede quale sia questo giorno, se sia già arrivato, se lei gli stia nascondendo qualcosa come l’istinto suggerisce spietato, se lui possa avere voce in capitolo e urlarle no, non mi piace questo giorno.
Eppure, è solo quando inizia a interrogarsi sul perché faccia così male la sola idea che scaccia tutto, in fretta, e mettendo a tacere la ragione si cala a baciarle la punta del naso mentre le dita affondano nei suoi capelli umidicci – accantona accantona gli urla qualcosa che identifica come istinto di sopravvivenza.
“Sei solo curiosa,” acconsente, e a nulla vale altro che gli urla invece di essere un idiota a inscenare questa farsa.
Rose, sorpresa e sollevata, si lascia sfuggire una risata maschera di imbarazzo, inducendo James a pizzicarle giocoso la guancia e ridere assieme a lei – ed è meraviglioso e spaventoso insieme come il solo ritrovarsi annienti qualsiasi voce nella testa, tutto ha senso solo se incastrato tra loro.
“Vuoi sapere qualcosa in particolare?”
Lei lo osserva e riflette svelta che almeno in questo può essere sincera – e la leggerezza l’abbraccia istantanea, mentre il velo che ha rischiato di strizzarli s’allontana.
“Volevo solo sapere di te.”
Lui sogghigna e Rose morde le labbra per non ridere, già consapevole di quale strada abbia imboccato la conversazione.
“Mi vuoi come maestro, ammettilo,” ironizza infatti lui. “Devi solo chiedere.”
“Come sei gentile,” scherza in risposta. “Ma non so se fidarmi.”
“Sono bravo, sai.”
“Così dicono?”
“Sfacciata,” ghigna James. “Prova e giudica da te.”
“Chi è lo sfacciato adesso?”
Scoppiano a ridere insieme – e se gli stomaci si contraggono è per le risate, si dicono, perché quelle possono diventare dolorose se eccessive.
“Non devi farlo con qualche coglione,” riprende lui a distanza di alcuni attimi. “Deve volerti bene.”
Rose scaccia repentina la voglia di dirgli che non ha sprecato nulla, che da Lorcan in quei momenti s’è sentita persino amata e che il suo migliore amico non può che volerle un bene immenso – di questo, almeno di questo, ne è sicura.
E scaccia anche un altro pensiero, più insinuante e istintivo, che l’ha indotta a riflettere su quanto bene le voglia James – non capisce perché la sua testa impazzisca con folli accostamenti.
“Sarà così,” si limita a dire. “Avrei voluto la stessa cosa anche per te.”
James abbozza un sorriso amaro e si tira su improvviso, mettendosi seduto, tutto sporco di sabbia, con le mani a strofinarsi tra loro.
Rose lo raggiunge un istante dopo, sedendosi sulle sue gambe come ha fatto tante volte – le ginocchia ai lati dei suoi fianchi, le dita che carezzano il petto e le spalle, gli occhi che cercano e trovano quelli di James.
“Che hai?”
“Penso cose strane, a volte.”
“Cosa?”
James respira a labbra serrate, la guarda, le mani le massaggiano le gambe e pensieri confusi fuggono e si rincorrono.
“Nessuno ti vuole più bene di me,” mormora. “E nessuno mi vuole più bene di te.”
Rose non ha idea di dove conducano quelle parole, ha però la certezza che anche la testa di James sia impazzita come la sua e sia in balia di grovigli confusi.
Gli bacia la punta del naso come non accade spesso e lo vede aprirsi subito in un sorriso e stringerle le gambe per indurla a farlo ancora, ma Rose sposta le labbra sulla guancia e dispettosa mordicchia facendolo ridere.
“Ho capito dove vuoi arrivare,” dice a un tratto. “Vuoi disperatamente essere il mio maestro!”
“Sei tu, semmai, a voler essere disperatamente una mia allieva,” rilancia lui. “Iniziamo ora.”
“Lezione numero uno?”
“Esatto,” sogghigna. “La lezione numero uno è spogliati.
Rose, un sorriso furbo in viso, annuisce e sfila lenta la maglia troppo grande che indossa – peccato che il tentativo di serietà di entrambi vada in fumo quando sbuca un’altra maglia, quella tutta bagnata, che li induce a ridere all’unisono e a cascare nella sabbia.
La luna è ormai alta nel cielo quando James ripulisce entrambi dai granelli fastidiosi e asciuga i loro abiti per poter fare ritorno a casa.
Rose infila le scarpe con la nostalgia già premuta addosso, conscia che per mesi e mesi non le sarà possibile trascorrere altre ore tanto libere, lontane, tutte loro.
James la chiude in un abbraccio quando sono in piedi e pronti a salire a bordo della motocicletta, stringendola con la voglia di dirle grazie, forse resta, forse non lo sa neanche lui, ma sa che il calore con cui Rose lo abbraccia a sua volta è invasivo e capace di lenire ogni crepa.
“Mangiamo fuori, ti va?”
“Sì,” risponde lei. “E passiamo da Lor prima di tornare a casa mia.”
Tua, hai già deciso che dormo da te, la solita prepotente,” scherza lui.
“Se vuoi c’è la camera degli ospiti.”
James le dà un buffetto sulla testa e lei finge di spintonarlo.
Quando sono in volo, invisibili al mondo intero, la leggerezza ancora resiste agli attacchi della pressione – c’è ancora tempo, possono ancora ignorare che attorno a loro stiano germogliando rovine.
 
 
 
 
 
 

Note dell’autrice: pur essendo un missing moments della long, questo racconto è molto visionario e ho voluto includerlo in questa raccolta, spero sia piaciuto a chiunque l’abbia letto. Come sempre, grazie del tempo dedicato alle mie parole.
Un abbraccio.
   
 
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