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Autore: moganoix    14/01/2021    0 recensioni
Kim Jongin, idol pentito in vetta alla sua carriera, in preda ai deliri causati dalla febbre alta, incontra Kyungsoo, senzatetto che bazzica nel piccolo quartiere di Seoul in cui abitano i suoi genitori, e decide di aiutarlo a cambiare vita a patto che il maggiore faccia lo stesso per lui.
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!!! Ho iniziato a scrivere questa storiella nel lontano 2016, quindi quello è l'anno a cui in essa si fa riferimento, tutti i personaggi inoltre hanno la loro età reale ^^
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Kaisoo + brevi accenni di Sulay
Enjoy ~
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: D.O., D.O., Kai, Kai, Lay, Lay, Suho, Suho
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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SIXTH – domenica, lunedìun anno dopo

parte 2

"Voglio andarmene."

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Quella che seguì alla confessione di Kyungsoo fu la più lunga ed estenuante discussione a cui quest’ultimo avesse mai preso parte. Questa volta era stato lui a mandare Yixing in crisi, si ripromise di non farlo mai più. Occhi strabuzzati, letteralmente fuori dalle orbite, bocca semichiusa, labbra tremolanti, pelle livida, fossette spaventosamente assenti, Yixing sembrava aver visto un orribile spettro. Senza che nemmeno avesse bisogno di farselo domandare, Kyungsoo iniziò allora a narrare, la voce impastata di timido e tremulo turbamento, la propria storia all’amico ancora pietrificato sul posto dallo sgomento.
“Non ho sempre vissuto in strada” Kyungsoo aveva pronunciato questa frase con un tremolio tale nella voce da renderla incomprensibile. Yixing si fece avanti e lo avvolse nella propria coperta, pensando che sentirlo più vicino, forse, lo avrebbe aiutato ad aprirsi. Con Jongin non ce l’aveva ancora fatta, il ballerino ignorava i segreti del passato di Kyungsoo, e il cinese non era sicuro che soffiargli l’occasione di essere il primo ad apprendere quella storia fosse giusto.
“Non ho sempre vissuto in strada, dicevo… Fino a quando avevo cinque anni, a quanto mi raccontava mia madre, avevamo in affitto un qualsiasi appartamento nella bassa Seoul, nulla di strabiliante, ma a noi bastava eccome. Ho pochissimi ricordi di quel periodo, qualche particolare della camera da letto, la disposizione dei pochi mobili della cucina, nulla di più” il vagabondo aveva preso a gesticolare animatamente, come se far roteare in aria le proprie mani potesse aiutarlo a spiegarsi meglio o, soprattutto, a sfogare con più calma tutto ciò che aveva bisogno di lavare via dalla nera anima cresciuta dentro di lui “Eravamo io, mia madre e mio padre, poi un giorno arrivò anche mia sorella.”
Kyungsoo parve allora spegnersi nel nominare la sorella. La ricordava ancora piccola, minuta, le braccia magre che si intonavano con orribile gusto alle caviglie sottili, agli zigomi sporgenti e ai giganteschi occhi color cioccolato che condivideva con il fratello maggiore.
“Non… Non è davvero mia sorella. O, almeno, è mia sorella solo da parte materna. Quando mio padre ha scoperto che mia madre era andata con un altro uomo l’ha cacciata di casa subito dopo aver partorito, e con lei me e mia sorella appena nata. Nessun divorzio, nessuna carta ufficiale. Per diversi anni per lo Stato abbiamo continuato ad abitare tutti e tre con lui, ed in fondo a mamma andava bene così. Faceva la casalinga, non riuscì a trovare lavoro in tempo e in niente ci siamo ritrovati in strada. Per un po’ ha continuato a tentare di farsi assumere da qualche bar o ristorante come cameriera, ma da dopo la gravidanza la depressione l’aveva assalita. Aveva un rapporto strano con mia sorella, la riconosceva come figlia, le voleva bene, ma la considerava anche il motivo della sua rovina. Nonostante ciò, comunque, fece sempre tutto ciò che era in suo potere per non farci portare via da lei. Cambiavamo spesso zona, sgattaiolavamo nei vicoli, ci perdevamo nei parcheggi pieni di auto parcheggiate, erano tutti dei giochi per noi, eravamo ancora bambini piccoli e non ci rendevamo nemmeno conto di quanto fosse orribile non avere una casa. Quanto a me, l’ho scoperto poco più tardi, comunque. I servizi sociali sono riusciti a prendere mia sorella e l’hanno probabilmente assegnata a qualche coppia quando avevo poco più di dieci anni, è stato a questo punto che ho visto mia madre iniziare a collassare inesorabilmente. Fumava, ogni tanto beveva già qualche bicchiere di troppo, ma cercava, per quanto possibile, di curarsi comunque un minimo nell’aspetto. Dopo che mia sorella le fu strappata via invecchiò di quindici anni in un colpo ed io non sono stato capace di fare nulla per lei. Mi sono allontanato da lei che non ero nemmeno maggiorenne e ho scoperto solo anni dopo che si è suicidata in carcere.”
Yixing osservava Kyungsoo con un’ombra in viso, tentando di nascondere a tutti i costi la pena che provava per lui ed il grossolano dispiacere che, lo sapeva, il vagabondo avrebbe solamente trovato fastidiosamente volgare. A Kyungsoo non interessava ricevere una qualche forma di pietà, nonostante fosse consapevole che i sentimenti che il cinese provava in quel momento nei suoi confronti non fossero semplici, volute, reazioni di convenienza. Yixing era un empatico nato, ma in quel momento il minore avrebbe dato qualsiasi cosa per ricevere in risposta da lui una brutale, limpida, trasparente quanto ineguagliabilmente misteriosa, poker face. Provò a chiedere a Yixing di smettere di guardarlo in modo tanto deprimente, in tutta risposta il maggiore aggrottò le sopracciglia e scagliò un irriverente: “Non ci penso nemmeno”, invitandolo poi a continuare il suo racconto. Il vagabondo proseguì allora narrandogli tutti i suoi disperati tentativi di chiudere le proprie emozioni in un barattolo per riuscire a sopravvivere il più a lungo possibile con il minimo sforzo, e di come questi si fossero rivelati, uno dopo l’altro, fallimentari in seguito all’arrivo, un anno prima, di Jongin.
“Avevo cinque regole, sai Yixing?”
Kyungsoo elencò le prime quattro e con euforia tangibile spiegò come Jongin fosse riuscito in una sola settimana a dimostrare la loro fatale erroneità. Anche in quel caso era iniziato tutto quasi per gioco, ma alla fine Jongin aveva davvero vinto, riuscendo a fargli finalmente ritrovare se stesso. Il minore rise con una certa dolcezza quando rivelò all’amico il significato del loro ‘nascondino’, ma si interruppe immediatamente quando lo hyung, perplesso e disorientato, gli fece notare che mancava l’ultima delle cinque regole.
Il vagabondo deglutì, perse dunque il sorriso ed iniziò a sudare fretto per inventare su due piedi una scusa credibile: “Non è mai stato necessario farla conoscere a Jongin, dopo la quarta regola avevo già capito che--”
“--Qual è?” lo interruppe Yixing, terrorizzato e, al contempo, incredibilmente determinato “Qual è la quinta regola, Kyungsoo?”
Kyungsoo tremolò come una foglia accartocciata obbligata a subire le angherie delle fredde brezze autunnali, implorò Yixing con gli occhi di ritirare la domanda, scosse il capo e tentò di fargli capire che non poteva avere la forza di rispondere anche a quella domanda dopo aver spillato fuori tutta la storia della sua vita. Yixing fu irremovibile, Kyungsoo fece per insultarlo, ma tutto ciò che fuoriuscì dalle sue labbra spente fu un mesto: “L’ho sempre infranta… Quella regola, non l’ho mai rispettata.”
“Che cosa diceva?” in quelle situazioni Yixing faceva davvero molta più paura di Joonmyeon. Kyungsoo realizzò solo in quel momento che le sue fossette potevano contenere, oltre che alla gioia e all’energia, anche rabbia, delusione, rammarico e pena. Se nel primo caso sollevavano gli angoli delle sue labbra in un etereo sorriso, nel secondo pesavano quanto macigni e facevano capitombolare ognuna delle piccole, delicate, rughe che comparivano sul suo viso. Ci mise un po’ prima di rispondere a quella domanda. Colto da un primordiale imbarazzo, si alzò di scatto in piedi, chiese all’amico se volesse qualcosa di caldo da bere e corse, prima di sentire qualsiasi replica, in cucina a preparare della cioccolata calda. Accese poco il gas, tenne il fuoco estremamente basso in modo da ritardare il più possibile il momento della verità e versò la propria tazza quando arrivò l’ora di tornare in salotto. Porse comunque la tazza restante a Yixing, che, stufo delle reticenze del minore, lo obbligo però a restare lì con lui nonostante Kyungsoo desiderasse solamente volare verso lo sgabuzzino e scegliere un panno per pulire i resti del liquido che campeggiava sul pavimento di mattonelle lattee al centro del salotto.
“Che cosa diceva, quindi?”
Non fermarti, non attaccarti. L’ho sempre infranta.”
Fino a quel momento Yixing aveva pensato di poter convincere Kyungsoo dell’errore che aveva tutta l’intenzione di compiere. Considerava il minore una persona forte, reattiva, indipendente, ma, anche dopo un anno, non aveva idea di come si facesse ad avere a che fare davvero con una di esse. Aveva lasciato a Kyungsoo tutte le sue libertà, forte del fatto che il vagabondo non gli avrebbe mai remato contro continuando a vivere in casa sua, di certo non si sarebbe aspettato come ringraziamento un improvviso ed insensato ‘Voglio andarmene’. Non era pronto ad essere di nuovo da solo, la verità era che tutto l’entusiasmo che aveva mostrato a Kyungsoo era solo un contentino in più per invogliarlo a rimanere il più possibile. Yixing celava dentro di sé un infuriato spirito malinconico, tendente alla noia ed all’inquietudine, faceva fatica a fare amicizia, ma quando gli capitava di trovare un vero amico soffriva per settimane la sua mancanza. Così gli era capitato con Jongin e, soprattutto, a maggior ragione, con Joonmyeon. Si chiese se fargli presente il proprio stato d’animo avrebbe distolto Kyungsoo dall’idea di partire, ma non lo fece mai. Ciò per cui si odiava di più, in fondo, era il fatto di non riuscire davvero a biasimarlo per quella decisione. Le prime quattro regole erano una semplice difesa, scudi di vetro e carta di cui probabilmente il minore non vedeva l’ora di disfarsi, ma la quinta aveva senso, era una proiezione dell’unico desiderio che Kyungsoo, inconsciamente, aveva continuato a custodire da quando aveva dieci anni: ritrovare la sorella. Poteva illuderlo del fatto che lui, Joonmyeon e Jongin fossero ormai la sua vera famiglia, il vagabondo avrebbe asserito con gioia, forse sarebbe stata una di quelle rarissime volte in cui si sarebbe lasciato abbracciare da tutti loro, ma non avrebbe mai smesso di rincorrere il sogno di rincontrare quella persona che a lui era tanto cara.
Subito dopo Kyungsoo aveva infatti scandito con tono traballante: “Voglio andare a cercare mia sorella.”
Sapeva anche lui che il rischio che lei non lo riconoscesse o si fosse dimenticata di lui era alto, ma non gli importava, e Yixing sapeva che era compito suo lasciarlo andare. Gli chiese se sarebbe tornato, Kyungsoo gli aveva risposto che voleva bene a tutti loro ma non aveva pronunciato alcun ‘Sì’ o alcun ‘No’.
“Devi dirlo a Jongin, Kyungsoo.”
“Non mi lascerebbe andare. E comunque non ho intenzione di partire immediatamente, prima voglio fare delle ricerche.”
Quelle ricerche le aveva già fatte, ovviamente non ne fece parola con l’amico, e aveva scoperto che la sorella abitava in una cittadina molto a sud nella penisola coreana, distante chilometri e chilometri da Seoul. Aveva intenzione di trasferirsi lì, trovarla e recuperare il tempo che avevano perduto, ed era consapevole che ci sarebbero voluti mesi, forse anni, prima di poter ritornare alla capitale e potersi ricongiungere con i suoi amici.
“Kyungsoo…” aveva allora sospirato il cinese, infossandosi nei cuscini morbidi del divano, come se potessero proteggerlo da qualsiasi sarebbe stata la reazione dell’altro dopo la sua domanda “… Ma quindi, che cosa siete tu e Jongin?”
Il vagabondo si era morso il labbro inferiore e, ormai senza paura, pensando che non aveva, in fondo, nient’altro da perdere, mormorò: “Nulla”
Il silenzio che ne seguì atterrì non solo Kyungsoo, ma anche Yixing. Era amico di Kyungsoo, ma prima ancora era amico di Jongin, e sapeva quanto quest’ultimo avesse cercato in quegli ultimi anni una persona come lui a cui dare tutto se stesso. Quella volta il vagabondo si affrettò però a dare spiegazioni, Yixing gli fu grato per non aver lasciato che la spessa tensione che si respirava nell’atmosfera avesse la meglio su di loro.
“Hai presente quando vai dallo psicanalista e finisci per aprirti talmente tanto con lui da pensare di essertene innamorato?”
Kyungsoo aveva un buon professore, spesso e volentieri, cosciente delle reali capacità dei suoi alunni, finiva per esulare dalla Letteratura, sua materia competente, e sfociare nella filosofia, in particolar modo amava quella occidentale.
Yixing, comunque, quella volta dovette rispondere di no. Non avrebbe mai compreso, o meglio, non avrebbe mai accettato che il vagabondo potesse tradire la fiducia di Jongin in quel modo. Pensò di ricominciare a fargli la predica, di urlargli contro fino a perdere la voce e anche di dargli una botta in testa e di chiuderlo in un armadio fino al ritorno dell’amico in Corea. Odiava ammetterlo, ma se c’era qualcuno in grado di far rimanere Kyungsoo quello era solo Kim Jongin, l’idol che in quel momento stava attraversando l’Europa insieme a Joonmyeon per uno dei tanti tour che aveva in programma per quell’anno. Si alzò dal divano offeso, con sguardo truce lapidò il minore, andandosene in camera sibilando parole di cui si sarebbe pentito per tutta la vita: “Tu e Jongin dovete smetterla di parlare per metafore.”
Yixing non avvertì nemmeno la flebile, lacrimosa, risposta di Kyungsoo: “Non posso rimanere qui mentre lui gira il mondo. Sono rimasto immobile per troppo tempo, adesso ho bisogno di muovermi.”
 
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Quando Jongin, poco meno di un mese dopo, tornò dal suo tour europeo, quasi non subì un vero e proprio tracollo emotivo apprendendo la notizia della partenza di Kyungsoo. Yixing finse di non sapergli dare spiegazioni, ne aveva parlato con Joonmyeon al telefono ed aveva concordato con lui di non dire nulla all’idol fino al suo ritorno a Seoul in modo da non compromettere la buona riuscita dei concerti e degli spettacoli. Yixing ammise solamente di essersi svegliato una mattina e di aver trovato il letto del vagabondo rifatto alla perfezione e il suo armadio completamente vuoto, mentre sul comodino era stata lasciata solamente la scheda sim del cellulare che Kyungsoo era riuscito ad acquistare con i suoi risparmi appena un paio di mesi prima.
Il primo giorno Jongin, ancora totalmente distrutto dalle ore di volo e dal ritmo tartassante del tour, non diede cenni di vita. Si chiuse a casa dei propri genitori e non ne uscì fino al giorno seguente, quando Joonmyeon e Yixing andarono a trovarlo e in tutta risposta il minore fece una cosa che mai aveva fatto in tutta la sua vita, urlò. Nello specifico, li implorò con una certa rudezza di tono e di linguaggio di alzare i tacchi e tornarsene a casa, per poi uscire anche lui subito dopo e prendere l’autobus che fermava davanti alla propria agenzia. Il manager si disse stupito di vederlo lì per gli allenamenti quotidiani (aveva diritto ad un po’ di riposo dopo il viaggio nel vicino continente), Jongin lo ignorò e si chiuse in sala da ballo, accese la musica a tutto volume e stette lì a riflettere per l’intera mattinata, guadagnandosi anche un severo ammonimento da parte del CEO dell’agenzia. Ci volle una settimana prima che Jongin riuscisse a convogliare tutta la rabbia che provava in un discorso di senso (circa, quasi) compiuto, e ovviamente i due spettatori prescelti furono i suoi fedeli hyung. Joonmyeon, in un azzardatissimo moto di spirito, preparò anche i popcorn, a cui Jongin comunque non fece nemmeno caso. Si catapultò semplicemente con la grazia di un elefante nel loro appartamento sbraitando, non faceva altro da una settimana, Joonmyeon gli tirò un paio popcorn in testa e gli intimò di calmarsi o gli avrebbe iniettato un sedativo con la gigantesca siringa per dolci di Yixing. Fece sedere Jongin in salotto, gli sarebbe davvero bastato tanto così per mettergli una camicia di forza, e lo lasciò sfogare in pace. Più lo ascoltava e più lo compativa. Tutto ciò che rimaneva a Jongin dopo i turni massacranti previsti dal suo lavoro erano quei pochi minuti appena prima di cena che Jongin rubava a Kyungsoo prima che prendesse l’autobus per raggiungere la scuola serale; non aspettava altro che tornare dal tour per poter dedicare totalmente a lui il breve periodo di vacanza che gli era stato concesso. Joonmyeon rabbrividiva ogni volta che Jongin gli nominava Kyungsoo e gli raccontava tutti i programmi che aveva in serbo per loro in quei giorni. Era chiaro che il ballerino fosse ancora nella fase ‘Kyungsoo è perfetto’, nonostante si frequentassero da un anno, apprendere della sua fuga lo aveva portato ad odiare se stesso ed il proprio lavoro che aveva sempre impedito loro di vedersi con regolarità e fondare la loro relazione sui solidi capisaldi di cui avrebbero avuto bisogno. Yixing soprattutto soffriva nel sentire quell’ammissione di colpa da parte del minore, che invece sapeva perfettamente essere l’unico innocente tra di loro. La colpa era tutta della codardia di Kyungsoo, ma tutto ciò che fu in grado di dirgli fu un ermetico: “Avrebbe dovuto lasciarti qualcosa di scritto.”
Jongin scoppiò in lacrime, si lasciò consolare, si scusò per essere stato tanto pensante e scontroso nonostante loro non c’entrassero nulla. Senza che il minore li sentisse, quella sera Joonmyeon impose al fidanzato di rivelare al ballerino il motivo della scomparsa di Kyungsoo. Yixing esitò appena, per poi mormorare con tale astio da spaventare Joonmyeon: “Tanto non tornerà qui, se gli rivelassi che se n’è andato per la sorella Jongin si ficcherebbe in testa di volerlo cercare, e Kyungsoo non se lo merita. Non si è fidato di lui, Jongin invece ha sempre fatto di tutto per cercare di dargli il meglio.”
Yixing non sapeva però che il gioco che Kyungsoo e Jongin avevano iniziato più di un anno prima non era ancora finito, l’idol non smise affatto di pensare al vagabondo. Jongin, nonostante quella sera avesse la febbre alta e tremasse di freddo, ricordava perfettamente quando aveva promesso a Kyungsoo di continuare a cercarlo. Così come gli accadeva spesso e volentieri da piccolo, eccolo giunto al triste momento degli sbeffeggiamenti; aprite il sipario, Kim Jongin è di nuovo riuscito a farsi fregare a nascondino, avrebbero detto i suoi vecchi compagni di scuola, avanti, un bell’inchino di fronte al re degli scemi. Trascorse settimane infernali ad arrovellarsi sul proprio atteggiamento nei confronti di quello che lui considerava a tutti gli effetti un fidanzato, domandandosi fino allo sfinimento che cosa avrebbe potuto fare per migliorare la loro relazione. Iniziò a sognarlo, a sognare le loro notti insieme, i sorrisi che il vagabondo gli donava trasformarsi in dolorosi scenari di amore deluso. Chiedeva sempre a Joonmyeon di ascoltarli, Yixing diceva di non farcela. Jongin pensava che ce l’avesse con lui per via della sua rapida scomparsa, la verità era che Yixing odiava il vagabondo per averlo reso partecipe e sporco complice della sua partenza. Solo dopo alcuni giorni si era reso conto che Kyungsoo gli aveva chiesto di scegliere tra lui e Jongin, e lui, con la decisione di non rivelargli nulla, aveva parteggiato per il primo senza pensare alle conseguenze.
Solo uno di quei sogni Jongin non ebbe mai il coraggio di raccontare al maggiore.
Erano trascorsi pochi giorni dal suo ritorno in Corea dopo il tour e, per un motivo che non riusciva a ricordare, camminava a passo spedito verso il vicolo in cui l’anno precedente lui e Kyungsoo avevano l’abitudine di incontrarsi. La scena era distorta, a tratti pioveva, a tratti nevicava, a tratti il sole gli cuoceva la pelle e scioglieva i suoi occhi. Vagava alla cieca, fumante di rabbia, gli abiti stropicciati, smessi, il cappotto chiuso solo a metà che ancora doveva portare in lavanderia da quando, dopo un concerto a Parigi, un membro dello staff vi aveva versato sopra per sbaglio un cocktail che gli stava portando per festeggiare. Per non parlare dei capelli, nuvole di cioccolato che denunciavano catastrofi atomiche. Nel sogno, comunque, non gli importava del suo aspetto. Consumava le scarpe ad ogni passo, infuocava il marciapiede ad ogni metro che lasciava dietro di sé. Prese a correre, sempre più veloce, era diventato più grande, più imponente, credeva di trovare davvero Kyungsoo ancora gracile come l’anno prima e di poterlo abbattere con una palla infuocata. Stringeva i pugni, creava attrito ed ecco che nelle sue mani ribolliva lava scrosciante. Saltò in aria, lanciò un grido, scagliò la sua rabbia contro un muro fetido e vide la sua mano contorcersi, snodarsi, cadere tutta accartocciata a terra mentre sprizzava sangue. D’un tratto non era più sicuro di essere ancora in un sogno, si chiedeva se non fosse una visione, una premonizione… forse un semplice, scandaloso, ricordo. D’un tratto il vicolo compariva di fronte a lui, Kyungsoo ovviamente non c’era. Al suo posto, invece, un messaggio.
 
“Non smettere mai di cercarmi.”
 
Era la tavoletta di Kyungsoo, l’aveva incisa con il suo coltellino e l’aveva lasciata nel vicolo nella speranza che l’amico la trovasse prima che andasse distrutta.
Jongin si sedette a terra, nel medesimo punto in cui ricordava trovasse Kyungsoo seduto ogni volta, strinse a sé la tavoletta e la lesse almeno un altro centinaio di volte. Accanto al messaggio Kyungsoo aveva abbozzato i disegni del viso di Mario e Peach, Jongin sorrise amaramente e scoppiò in lacrime. Impedimento e conquista, erano entrambi l’uno per l’altro, ma in questo caso era venuta prima la conquista dell’impedimento, e Jongin non avrebbe mai potuto perdonarselo.
Un’altra cosa, però, non riusciva a perdonarsi. Il vagabondo gli aveva chiesto di cercarlo, ma Jongin sapeva di essere davvero una frana nel cercare ciò che aveva perso, mentre Kyungsoo, invece, era così bravo a nascondersi.
 
Chiuse gli occhi, si abbandonò al pianto e si rannicchiò su di sé in posizione fetale, le ginocchia strette al petto, il viso rosso di vergogna schiacciato contro di esse. Tutti i passanti che lo videro, così raggomitolato, lo scambiavano per il solito giovane barbone che viveva un anno prima in quel vicolo. Ora stava vedendo il mondo dal basso.








 
Heloooooooo
Niente, volevo solo dirvi che la storia è finita, spero che vi sia piaciuta ^^

Credo sia un finale parecchio discutibile, ma la relazione tra i due protagonisti per me era già fin troppo tossica per lasciare pure l'happy ending D:
 
- moganoix
   
 
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