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Autore: Tenar80    15/01/2021    2 recensioni
Ardal è nato con piume nere a ricoprigli la schiena. Questo fa di lui un impuro, né angelo né uomo, condannato a una vita da schiavo. Ma Ardal è riuscito a fuggire al suo destino. Con una nuova identità ora è un giornalista che sogna di cambiare il mondo. Fino a che non viene riaperto il caso della morte del suo vecchio proprietario e proprio a lui viene chiesto di indagare sull'omicidio che ha commesso.
Questa fic è indipendente, ma fa parte della serie steampunk "L'assedio degli angeli – Preludi"
Genere: Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'assedio degli angeli – preludi'
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Nonostante il tempo trascorso, casa Griwald era cupa e imponente come la ricordava. 

    Un enorme edificio grigio, con tanto di torrette neogotiche, che si stagliava tra gli alberi quasi neri della foresta. Fosse stato un castello vero, sarebbe stato sulla cima della montagna, ma dato che il tesoro a cui faceva la guardia si trovava nelle viscere della terra, aveva alle spalle la parete rocciosa. Incombeva sul villaggio, ma la montagna incombeva sulla casa.

    Ardal si chiese se qualcuno dei nipoti del vecchio ci si fosse trasferito o se si fossero già diffuse le leggende sull’edificio macchiato di sangue su cui incombeva chissà quale maledizione. Quella casa sembrava costruita apposta per essere infestata. Quando a lui, non aveva nessuna intenzione di avvicinarcisi ulteriormente. L’essere tornato era già abbastanza folle, ma alla fine, l’unico modo per non destare sospetti era comportarsi come avrebbe fatto normalmente e lui non era tipo da mollare una notizia.

    Fiammetta al momento non risultava indagata, anche se il giovane sospettava che sarebbe diventata di colpo un’assassina nel momento in cui non si fosse trovato nessun candidato più adatto. L’indagine si era pertanto spostata nel ridente borgo minerario di Terra Nera, a tre ore di treno dalla capitale, per cercare di ricostruire le ultime ore di vita del vecchiaccio. Se non altro, a Terra Nera c’era un solo pub degno di questo nome, con tanto di camere a disposizione dei malcapitati viaggiatori e considerato che a Brumaio il clima lì era persino peggiore di quello della capitale, Ardal non aveva dovuto far altro che attendere. 

    Come aveva detto Fiammetta, il titolare del caso non poteva essere molto più che alla prima esperienza. Il detective Ian Graham, di buona famiglia dell’Ovest, era un giovane alto dai capelli biondicci che, dopo aver consumato da solo la zuppa del giorno, un brodo che diventava buono solo dopo dieci ore di lavoro in miniera, si era spostato nella zona più illuminata della sala comune per leggere il giornale. Ardal non sapeva se il fatto che avesse scelto proprio Il flusso fosse di buono o di cattivo auspicio. Gli piaceva pensare che i suoi lettori fossero intelligenti e non era sicuro di volerlo per quel caso, un detective intelligente. 

    – Posso disturbarla per due domande? – chiese, avvicinandosi.

    Gli approcci soft non erano parte del suo carattere.

    Il detective alzò il viso, rivelando uno sguardo blu cobalto sotto gli occhialetti tondi.

    – Con chi ho l’onore di parlare?

    – L’autore dell’articolo che sta leggendo sull’attacco angelico di tre giorni fa – rispose Adral, indicando il proprio pezzo.

    Graham gli indicò la poltrona a fianco alla sua.

    – Mi pareva di aver visto la stessa firma per lo più a pezzi di nera, mi sembra di capire che ha scritto dell’attacco solo perché ci si è trovato dentro.

    Ardal si sedette scuotendo il capo.

    – In realtà sto dietro a un reportage sulle Ali Nere da tempo. Stavo cercando di trovare e intervistare Soilbeir, ma la sua indagine mi ha distratto.

    Il detective sorrise.

    – Mi spiace. Anch’io avrei preferito evitare che fosse riesumato un vecchio col cranio sfondato. Mi chiedo che cosa sia passato per la testa ai miei colleghi, cinque anni fa.

    – Ha chiesto in giro? Nessuno sopportava Griwald – disse Ardal.

    La stessa Terra Nera gli era sembrata quel pomeriggio, nonostante tutto, un po’ meno cupa. Cercando di non farsi notare, aveva fatto qualche domanda. Le cose procedevano come sempre, tutto girava intorno alle miniere di carbone. Nei due anni in cui Ardal era vissuto nella grande casa, tuttavia, erano morte non meno di quindici persone, tra schiavi e operai. A quanto pareva, invece, in cinque anni non c’era stato neppure un incidente mortale. Certo, gli eredi non vivevano più lì e quindi non vi erano più gli ospiti di riguardo che comunque portavano un poco di ossigeno all’economia locale, ma nessuno sembrava rimpiangere i vecchi tempi.

    – Il mondo è pieno di gente insopportabile che muore di vecchiaia – grugnì Graham, poi ripiegò il giornale e sospirò. – Lei vuole tornare al suo reportage, io nella capitale. Vediamo di venirci incontro e accorciare la nostra permanenza qui.    

    Ardal annuì.

    Odiava dover elemosinare le informazioni come un mendicante, anche se in quel caso specifico forse la cosa migliore sarebbe stata stare il più lontano possibile dal detective. 

    – Non so molto, in realtà – si schermì. – Ho capito solo che non ci sono state grandi lacrime al funerale di Griwal. Violentava, a volte uccideva, le giovani schiave impure. Aveva un debole per corna e zoccoli.

    – Sì, i miei superiori vorrebbero incriminare la schiava che era in casa al momento del delitto. La cuoca ne ha confermato la presenza nella villa e aveva sicuramente i suoi motivi per odiarlo. Due anni prima una schiava sedicenne era morta cadendo dalle scale. Qualche anno prima ancora un’altra era finita accidentalmente in fondo a un pozzo… Le schiave di casa avevano la tendenza a sciuparsi entro i sedici anni.

    – Se lo avesse fatto ora sarebbe al caldo a casa sua, invece che il questo pub pieno di spifferi – disse Ardal.

    Era una cosa a cui ci si abituava lentamente, che il mondo non fosse diviso in modo netto in buoni e cattivi. Quando era fuggito odiava tutti gli umani. Avesse potuto, avrebbe dato fuoco a tutta Terra Nera. Era salito di nascosto su uno dei treni che portava il carbone verso la capitale. Per caso, arrivato in stazione, nel tentativo di non dare nell’occhio, aveva raccolto una copia de Il flusso. Dove degli esseri umani scrivevano a favore degli impuri. Pian piano aveva accettato che alcuni umani non fossero da odiare. Ma le forze dell’ordine, in linea generale, per lui rientravano ancora alla voce «cattivi» e il seguire la cronaca nera non aveva giovato molto a fargli cambiare idea. La smorfia che si disegnò sulla bocca del detective, tuttavia, raccontava un’altra storia.

    – Forse. Non mi piace mandare in cella un innocente. Che per altro, in quanto impura, finirebbe impiccata in tempi brevissimi – disse Graham. – Una ragazzina di tredici o quattordici anni non ha la forza di spaccare il cranio a un uomo. Quindi cerco altri colpevoli. C’è un altro schiavo, quattordici anni all’epoca, che è uscito dalla villa nel tardo pomeriggio e non è più rientrato. Lo hanno visto in serata giocare con altri ragazzi impuri delle miniere, ma dopo cinque anni nessuno ricorda più l’ora precisa.

    Ardal spostò il giornale, appoggiato sul tavolino tra le poltrone, per controllare la fermezza delle proprie mani.

    – Che cosa sappiamo di lui?

    – Provenienza incerta, forse l’acquisizione illegale di un primario. Quando Griwald lo ha comprato, però, lo ha registrato con cura. Piume solo su schiena e spalle, istruito per fungere da segretario. Potrebbe essere entrato in casa senza essere visto, aver ucciso il padrone ed essere fuggito per vivere in clandestinità. Nessuno l’ha più ritrovato.

    – Ma?

    – Avesse avuto vent’anni sarebbe stato il mio primo sospettato. Ma a quattordici? È più probabile che abbia visto le fiamme quando stava tornando e si sia spaventato. Se è scappato verso le montagne è probabile che sia scivolato in qualche burrone… Quindi devo ricostruire gli ultimi movimenti, capire se qualcuno sia potuto entrare nella villa. È isolata e quella sera c’erano solo la cuoca, dall’altra parte dell’edificio, e la schiava.

    Questa era un’aperta richiesta di collaborazione. Qualcosa di ghiotto, in condizioni normali.

    – Considerando l’età e l’indole del soggetto non avrà frequentato molti paesani – finse di ragionare. – Se fosse arrivato qualcuno da fuori lo si saprebbe. Suppongo che facendo qualche domanda domani potrei avere le idee più chiare.

    Questo, pensò Ardal, era il nodo scorsoio che lui stesso si stava sistemando intorno al collo.

    Graham, ignaro, annuì.

    – Mi sembra una proposta ragionevole. 

 

    – Sono sicura di averti già visto – disse la donna della bancarella, porgendogli un piatto di polenta di castagne.

    – Forse assomiglio a qualcuno – rispose Ardal.

    Aveva bighellonato tutta la mattina, cercando conferme di quanto già sapeva e cercando di non dare nell’occhio. 

    – Con quegli occhi così particolari… – mormorò la donna.

    Appunto.

    Ogni ora di permanenza era un rischio. Col suo aspetto era difficile non essere notato, non per niente gli uomini della famiglia di suo padre erano soprannominati «gli stranieri», anche se erano contadini del nord da generazioni, poveri mangiapatate come tutti gli altri. L’errore era stato andare dall’anziana venditrice ambulante di polenta che serviva generose porzioni agli operai che non erano di turno. Con le sue mani piumate era sicuramente una patentata e quando doveva spendere, se poteva, Ardal preferiva pagare la propria gente. Da ragazzo lui non aveva mai fatto caso a lei, ma forse la cosa non era stata reciproca

    – C’era un ragazzo, una volta, anni fa, che aveva i tuoi stessi occhi, ogni tanto giocava con quelli della miniera, anche se non sembrava un impuro ed era vestito meglio…

    Ecco, appunto.

    – Novità? – gli si affiancò in quel momento il detective Graham, giunto con pessimo tempismo all’appuntamento.

    – Polenta anche per lei? – chiese la vecchia.

    Il tempo quel giorno era più clemente, una rara giornata tiepida, e poco dopo i due uomini, ciascuno con la propria ciotola in mano, si sistemarono in un angolo della piazza a guardare via vai del misero mercato di Terra Nera. 

    – Pensavo che fosse troppo damerino di città per abbassarvi a questo cibo impuro – commentò Ardal, osservando il detective attaccare di gusto il proprio piatto.

    L’altro si strinse nelle spalle.

    – Il problema è che voi intellettuali sovversivi fate di tutto un pretesto per la lotta di classe. A volte una polenta è solo una polenta e qui in montagna le castagne sono buone.

    Ardal scosse il capo. Un altro punto per il detective.

    – Il giorno della morte, Griwald ha visto il medico al mattino e il notaio il pomeriggio, entrambi residenti in paese – disse, non aveva dovuto fare domande per quello. – Il medico è deceduto tre anni fa, ma era già sulla settantina abbondante all’epoca del delitto.

    Fosse stato possibile attribuire al morto l’omicidio sarebbe stato un colpaccio, ma Graham non si sarebbe mai bevuto quel vecchietto scheletrico come spaccatore di teste.

    – Il notaio invece ha cinquant’anni ed è ancora in attività – concluse.

    Era un uomo sgradevole che cinque anni prima lo aveva guardato con lascivia.

    – L’impuro scomparso era un ragazzo taciturno e mingherlino, vestito non sembrava un impuro – disse invece Graham. – Difficile valutarne la forza senza averlo visto e i silenzi possono nascondere tante cose. Aveva capelli neri, lunghi e la carnagione scura. Ho mandato un telegramma in città per capire se un ragazzo simile abbia avuto guai con la legge. Un’indole violenta deve pur trovare uno sfogo.

    Ardal si mise un cucchiaio di polenta in bocca, sentendone il dolciastro delle castagne sotto il sale. Si chiese se fosse ancora in grado di uccidere. Probabilmente sì. Aveva trovato uno scopo e gli piaceva essere bravo nel proprio lavoro, ma non se la sentiva di dare torto al detective. Questo lo rendeva un mostro, in un mondo in cui lo era già per le piume che gli ricoprivano la schiena?

    – Andrò a parlare con il notaio – sospirò Graham, poi, colto da un’idea improvvisa, si girò verso Ardal. – Vorrebbe venire con me? I miei superiori mi hanno mandato da solo, ma quando si ascolta un sospetto è sempre meglio essere in due.

    Ardal si prese un istante, bevendo un sorso di birra.

    Quel giorno aveva assistito all’incontro tra Griwald e il notaio. Erano gli appunti della conversazione il documento che si era dimenticato di trascrivere in bella calligrafia e che lo aveva portato a rientrare prima. Questo andava oltre al giocare con fuoco. Ma quale scusa poteva addurre? Un impegno? A Terra Nera?

    – Il mio giornale sarà interessato agli aspetti più scabrosi della vicenda, come le violenze sulle ragazze impure. Se dovesse uscire qualcosa anche sul notaio lo scriverò, deve saperlo.

    Graham sostenne con i suoi occhi chiari lo sguardo di Ardal. 

    – Se dovesse uscire qualcosa sul notaio al momento possiamo sbatterlo solo in prima pagina, ma un domani mi piacerebbe chiuderlo in cella.

    Proprio il quel frangente doveva incontrarlo un detective così?

 

    Il notaio Askin di motivi per essere sbattuto in prima pagina su Il flusso ne aveva parecchi, a partire da quella carezza lasciva che, oltre cinque anni prima, aveva lasciato ad Ardal la sensazione di essere stato leccato da un animale immondo. Il problema stava proprio nel fatto che quel pomeriggio l’uomo grasso che ora, con i capelli più radi e più bianchi, li attendeva nel proprio studio aveva dedicato al giovane segretario impuro più di uno sguardo attento. Se c’era qualcuno che lì a Terra Nera poteva riconoscerlo con una sola occhiata era lui.

    Quando il notaio fece cenno ai due di accomodarsi, Ardal cercò di stare sempre indietro rispetto a Graham, curando di sistemare la propria sedia nella zona più ombrosa dello studio. Poi si sistemò con le gambe incrociate e la schiena leggermente incurvata in avanti. Da ragazzo doveva assistere agli incontri di lavoro del proprio padrone in piedi, senza dimenticare di annotare una parola scrivendo su un blocco note dal fondo rigido che teneva nel palmo della mano sinistra. Se non rimaneva fermo con la schiena perfettamente dritta, alla sera erano frustate assicurate. Ora doveva nascondersi con i movimenti del corpo, in modo che nulla potesse ricordare l’adolescente di un tempo.

    – Mi può confermare che lei e Archibald Griwald eravate in buoni rapporti? – stava chiedendo Graham.

    La tentazione di prendere appunti nel modo abituale, ormai radicata dentro di lui e inaspettatamente utile per un giornalista che spesso si trovava a scrivere per strada, era quasi insostenibile, ma Ardal si obbligò a piegarsi ancora, appoggiando un quadernetto alle gambe.

    – Più che buoni. Era l’unico uomo raffinato nel raggio di cento chilometri – disse Askin. Poi schioccò le dita. – Da bere?

    All’istante un ragazzino di forse tredici anni, con piccole ali atrofiche dalle piume nere, entrò nella stanza reggendo un vassoio con tre bicchierini e una bottiglia di distillato. Aveva l’ombra scura di un livido che stava guarendo su uno zigomo e occhi grigi talmente spenti che sembravano scolpiti nella pietra. Graham aveva ragione, un’indole violenta doveva trovare uno sfogo. Ardal avrebbe sfondato con estremo gusto il cranio di Askin.

    – La raffinatezza include il malmenare le giovani, o i giovani, impuri? – chiese Graham, con tono casuale.

    Anche lui doveva aver notato il livido.

    – Il paese è piccolo, ci si diverte come si può – rispose Askin, serafico.

    Ardal dovette obbligarsi a rilassare la mano destra prima di spezzare il lapis.

    Avere rapporti non consenzienti con un impuro era solo sconveniente. Poteva essere causa di annullamento di matrimonio. Ma non era reato. L’omicidio era reato, ma non le percosse.

    – Vi divertivate insieme? – domandò ancora Graham, accettando un bicchiere.

    – Chiacchieravamo, fumavamo un sigaro e bevevamo armagnac. Qualche volta puntavamo sulle corse dei cani di Violetville. Per il resto avevamo gusti diversi.

    Graham lanciò uno sguardo allo schiavo in diligente attesa accanto alla porta.

    – Immagino. Qualche dissapore? Invidie?

    – Invidia, negli ultimi tempi. Aveva preso come segretario un delizioso schiavo, Scriba mi pare si chiamasse. Lo aveva fatto solo perché gli si stava indebolendo la vista e non voleva che un dipendente mettesse il naso tra le sue carte, non ne apprezzava altri pregi… Ma me lo sarei fatto prestare. Ero quasi riuscito a convincerlo.

    Il lapis scivolò dalle mani di Ardal.

    – Scusate – mormorò, raccogliendolo.

    Non lo sapeva. Pensò alle mani grasse e all’alito alcolico di Askin. Al se stesso di cinque anni e mezzo prima, un ragazzo che non aveva ancora davvero idea di cosa potesse essere il sesso. Avrebbe dato nell’occhio, se si fosse messo a vomitare?

    – Lei che idea si è fatto dell’omicidio, la schiavetta? – chiese Graham.

    Askin fece un gesto vago con le mani.

    – Era un fuscello. Ma, si sa con gli impuri non si può mai dire. Lui governava solo con la paura. Il mio Biondo, qui, sa che se mi servirà bene avrà la sua patente come regalo per i suoi vent’anni. Un buon motivo per essermi fedele.

    Lo era davvero. Con quelle ali, il ragazzo non sarebbe mai potuto passare inosservato. E se fosse stata promessa ad Ardal, la patente, quante cose avrebbe ingoiato? La cosa peggiore del sistema dell’Impero, pensò il giovane, era che si diventava schiavi di se stessi, convincendosi che valesse la pena di subire i soprusi.

    – Lo schiavetto, invece? – domandò Graham.

    Askin si strinse nelle spalle.

    – Scriba era fortunato. Qualche frustata ogni tanto. I suoi coetanei, in miniera, morivano tutti per incidente o silicosi. Lui doveva solo leggere e scrivere.

    Senza neanche impegni serali extra, pensò Ardal, amaro.

    Dividere, dividere sempre, schiavi contro schiavi. Patentati contro schiavi. Operai e proletari contro patentati e schiavi. Donne contro uomini. Era quello il sistema si cui si reggeva l’Impero. Si chiese, non per la prima volta, se anche l’eterno conflitto contro gli angeli non facesse parte dello stesso disegno, costruito ad arte.

    – Bene, direi che abbiamo finito. Grazie per la collaborazione – disse Graham, alzandosi.

    Forse anche lui trovava intollerabile la permanenza in quello studio.

    – Figuratevi, è sempre un piacere avere un diversivo, in questo buco di paese – sorrise Askin, alzandosi a propria volta.

    Anche Ardal dovette farlo. Il movimento lo portò nella macchia di sole che illuminava lo studio.

    – Noi ci siamo già visti – gli disse Askin.

    Ardal scosse il capo.

    – Nella capitale, forse? Non ricordo.

    – Non di recente. Quando era più giovane?

    – Vengo da un villaggio del nord famoso solo per le pecore – si schermì Ardal.

    Il notaio scosse il capo.

    – Forse mi sbaglio – mormorò, poco convinto.

 

    – Cosa ne pensa? – chiese Ardal a Graham, quando furono fuori dalla casa di Askin.

    Il detective si sistemò gli occhiali.

    – Non vorrei essere il suo schiavo, ma non lo vedo a uccidere Griwald. Penso però che questo Scriba possa aver avuto un movente. Per evitare di essere «prestato» ad Askin, io avrei ucciso.

    – Anch’io – disse Ardal, sincero.

    I loro sguardi si incrociarono. Ardal non abbassò gli occhi. Il disagio, però, era qualcosa che gli si muoveva dentro, come un serpente rinchiuso in sacco.

    Ignaro, Graham, si passò una mano tra i capelli.

    – Con l’atto d’acquisto del ragazzo doveva esserci anche una foto o un ritratto, oltre alla descrizione delle caratteristiche – disse. – Mi chiedo se sia andata in fumo con lo studio, o se sia ancora da qualche parte nella casa. Ho una mezza idea di andare a controllare. Mi accompagna?

    Non era nello studio. Ardal l’aveva cercata, prima di dare fuoco a tutto. Sapeva dov’erano i principali documenti del vecchio, perché doveva lavorarci. Ma il suo atto di proprietà non lo aveva mai visto. Sospettava che Griwald lo tenesse in camera da letto. Fiammetta gli aveva raccontato di una cassetta blindata che stava sotto il letto. Quella sera non aveva avuto il tempo di controllare. Avrebbe dovuto andare con lui. Sviarlo? Oppure ucciderlo, nella grande villa orami disabitata, dal parco che conosceva così bene, così pieno di luoghi in cui nascondere un cadavere…

    – Se non le dispiace, preferisco tornare al pub e iniziare a scrivere qualcosa – disse.

    – Un po’ mi dispiace – sorrise Graham. – Scriverà degli abusi agli impuri?

    – Certamente.

    Il detective scosse il capo.

    – Nessuno penserà alle vittime. Solo a quanto sia orribile farlo con chi ha piume o zoccoli.

    – Lei lo fa, pensare alle vittime.

    Graham guardò la villa, alta e incombente sopra di loro, e il cielo che si andava rannuvolando. 

    – Forse un giorno le consiglierò di scrivere un articolo – disse.    

 

    Per il resto del pomeriggio Ardal cercò di tener fede a quanto dichiarato, mettendosi a scrivere quello che aveva buon probabilità di diventare il suo ultimo articolo. Se Graham lo avesse individuato, valutò, tra la fuga e l’omicidio non ci avrebbero messo più di quattro o cinque giorni a condannarlo a morte. Un patibolo in un qualche cortile interno di una prigione, sempre che non si divertissero ad ammazzarlo di botte prima, e poi una tomba senza nome nelle squallide aree dei cimiteri dedicate agli impuri. 

    Fu disturbato dal ticchettare della pioggia sul vetro della della stanza. Si alzò per guardare fuori. Che il tempo su quelle montagne cambiasse in fretta era una cosa nota, ma neppure lui che ci aveva vissuto due anni si aspettava un peggioramento tanto repentino. Della giornata che gli aveva permesso  di pranzare all’aperto non c’era più traccia. Folate di vento percuotevano la pioggia gelida in un’oscurità che si andava facendo sempre più fitta.

    Ardal scese nella sala comune.

    Graham non era ancora rientrato. Probabilmente si era rintanato nella villa in attesa che il tempo migliorasse. La pioggia non poteva andare avanti ancora per molto con quell’intensità. 

    Per l’ora di cena, infatti, il diluvio si era tramutato in una pioggerella fine e fastidiosa, ma del detective, ancora, non c’era traccia.

   
 
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