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Autore: _SbuffodiNuvola_    15/01/2021    4 recensioni
“ Però Kōshi amava il lavoro alla scuola materna anche per un altro motivo.
Da quasi un anno, quando portava i bambini a fare una passeggiata, incrociava un agente di polizia in servizio. Sembrava avere la sua età e lo trovava dannatamente attraente, con quei capelli scuri e le braccia muscolose lasciate scoperte dalla camicia blu della divisa da poliziotto...
Sawamura, questo era il suo cognome. ”
In una dimensione dove Sugawara fa il maestro dell’asilo, Daichi è un agente di polizia e i componenti del club di pallavolo sono bambini di quattro anni.
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Karasuno Volleyball Club, Koushi Sugawara
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Kōshi amava il suo lavoro. 

Essere circondato dai bambini lo divertiva. Lo faceva sentire bene. Fin dalle elementari gli era piaciuto avere a che fare con i più piccoli, ecco perché, dopo aver studiato con dedizione e interesse, aveva fatto domanda nella scuola materna di Miyagi. 

Le altre maestre lo avevano accolto con piacere e i bambini si erano subito affezionati a lui. Li amava tutti allo stesso modo, eppure, dopo cinque anni di lavoro alla scuola materna Karasuno, si era ritrovato a gestire una classe di cinque bambini a cui si sentiva particolarmente legato.

Miyagi non era molto grande e ogni anno il numero di iscritti era modesto. Anche nella classe di Kiyoko c’erano solo cinque bambini, per esempio. 

Però questo a Kōshi non importava. Anzi, in questo modo aveva l’opportunità di occuparsi di quei bambini senza trascurarne nessuno.

Il primo giorno di quel nuovo anno di asilo, il primo bambino che era arrivato sembrava molto timido. Aveva i capelli biondi e, già alla sua età, indossava un paio di occhiali. In mano teneva un peluche a forma di dinosauro che si era rifiutato categoricamente di lasciar andare per tutto il giorno. Kei Tsukishima, come capì Kōshi in poco più di un paio di giorni, adorava i dinosauri. 

Dopo di lui aveva fatto il suo ingresso una bambina dai capelli a caschetto e del medesimo colore di quelli di Kei. Hitoka Yachi era veramente dolce, ma sembrava sempre ansiosa per chissà quale motivo. Kōshi le faceva spesso il codino che le teneva lontani i capelli dagli occhi e piano piano era diventato un esperto.

Per terzo, era arrivato uno scricciolo dai capelli rossi, quasi arancioni. Il piccolino aveva quattro anni come gli altri, eppure ne dimostrava di meno. Shoyo Hinata si era distinto subito per la sua parlantina e il suo modo di fare amicizia. 

Dietro di lui c’era Tadashi Yamaguchi. All’inizio si era nascosto dietro le gambe della madre per qualche minuto, ma Kōshi gli aveva fatto un sorriso e gli aveva parlato dolcemente per metterlo a suo agio. I tre arrivati prima avevano osservato la scena, curiosi. 

Per ultimo era toccato a Tobio Kageyama, un bambino con capelli neri e occhi blu che non parlava molto. Lo aveva accompagnato il nonno che, per quanto aveva potuto dedurre Kōshi dalla tuta sportiva che indossava, doveva allenare una squadra di pallavolo. 

Era stato un po’ difficile far fare amicizia a quei cinque, ma dopo un bel gioco insieme Kōshi aveva notato come i piccoli avessero iniziato a parlare insieme un po’ di più. Da quel giorno giocavano insieme spesso, anche se Tadashi era l’unico che riusciva a convincere Kei a unirsi agli altri e a volte Tobio se ne stava in un angolo a giocare con una palla, cercando di farla rimbalzare contro il muro come per allenarsi nei fondamentali della pallavolo. 

Però Kōshi amava il lavoro alla scuola materna anche per un altro motivo.

Da quasi un anno, quando portava i bambini a fare una passeggiata, incrociava un agente di polizia in servizio. Sembrava avere la sua età e lo trovava dannatamente attraente, con quei capelli scuri e le braccia muscolose lasciate scoperte dalla camicia blu della divisa da poliziotto...

Sawamura, questo era il suo cognome. Gliel’aveva detto il primo giorno in cui lo aveva visto, quando lo aveva fermato per fargli qualche domanda su un sospettato di omicidio. 

Kōshi non aveva visto nessuno di sospetto, gli disse. Non era di quelle parti e quel giorno era andato lì solo per portare i bambini al parco. 

Da quella volta si erano incontrati praticamente tutti i giorni e avevano chiacchierato. A volte l’agente Sawamura non era in servizio e si recava in quel parco perché sapeva che ci avrebbe trovato Kōshi e i bambini. 

Quell’uomo aveva una voce profonda che faceva impazzire il giovane maestro. Quest’ultimo ne aveva parlato con Kiyoko mentre i bambini giocavano nel giardinetto dell’asilo, alias l’unico momento in cui potevano scatenarsi insieme a tutti i componenti delle altre classi. Kiyoko gli aveva detto che la ragione per la quale non faceva che pensare a lui era perché probabilmente se ne era innamorato. La maestra sapeva che il suo amico aveva sempre preferito i ragazzi alle ragazze e che la sua ultima relazione non era finita nel migliore dei modi, perciò lo aiutava più che volentieri.

Da quella conversazione era passato un mese. 

-Oggi lo hai incontrato? -chiese Kiyoko mentre osservava i bambini rincorrersi per il prato.

-No, oggi no. -rispose Kōshi. Si sentì strattonare il grembiule e, abbassando lo sguardo, vide Hitoka porgergli un mazzo di margherite. 

-Per te, Kōshi-san. -disse la piccola. -Perché mi leghi sempre i capelli.

Kōshi si inginocchiò e le sorrise: -Grazie, Hitoka-chan. 

La bambina arrossì e tornò a giocare con Tadashi.

-Forse oggi aveva qualcosa da fare alla centrale. -ipotizzò Sugawara infilando i fiori nella tasca del grembiule per fare in modo che si vedessero.

-Perché non vi scambiate il numero? -domandò Kiyoko. Kōshi si sentì arrossire.

-Non penso che lui provi qualcosa per me. -disse poi.

-Kōshi-san! -lo chiamò Shoyo correndogli incontro. -Guarda!

Il piccolino gli indicò il cancello: al di là delle sbarre c’era l’agente Sawamura in divisa che lo salutava con la mano. 

-L’agente Sawamura può giocare con noi? -chiese Shoyo tirando il maestro per la mano. 

-Non lo so, Shoyo-kun.

-Possiamo chiederglielo? 

Kōshi sospirò e guardò Kiyoko, che gli sorrise. Allora si lasciò guidare da Shoyo fino al gruppo di bambini che si era radunato vicino al poliziotto.

-Buon pomeriggio, agente Sawamura. -salutò l’uomo mentre apriva il cancello per farlo entrare nel cortile.

-Ti ho già detto che puoi chiamarmi Daichi. -gli rispose l’altro facendogli un sorriso.

-Agente Sawamura! Oggi ha usato la pistola? -domandò Tadashi indicando la fondina legata alla cintura di Daichi, che si abbassò al suo capo e gli scompigliò i capelli.

-No, oggi no, piccolo. -rispose. 

-E ha catturato qualche criminale? -fece Shoyo.

-Non può catturare i criminali senza usare la pistola, stupidino! -disse Tobio. Quei due avevano instaurato uno strano legame: litigavano spesso, ma subito dopo era come se non fosse successo niente.

-Non è vero! Se il criminale non scappa, la pistola non serve. -lo corresse Kei.

Kōshi ridacchiò senza farsi vedere dai bambini e intanto richiuse il cancello.

-Che bambino sveglio. -osservò Daichi rialzandosi. Kei e gli altri non lo sentirono, impegnati com’erano a discutere.

-Come mai da queste parti? -domandò Kōshi mentre i piccoli ritornavano a giocare.

-Ho finito il turno e ho pensato di venirvi a trovare. -rispose Daichi grattandosi la nuca imbarazzato.

Dietro di lui, Kōshi scorse Kiyoko che gli mimava la cornetta di un telefono con la mano. Prima che potesse dire qualcosa, Daichi si schiarì la voce.

-E poi... -continuò. -Mi chiedevo a che ora finissi il lavoro... Un amico mi ha dato dei biglietti per una partita di pallavolo maschile e so che ti piace come sport, quindi ho pensato di chiedere a te di venire con me...

Kōshi sperò di non essere diventato dello stesso colore dei capelli di Shoyo. Daichi gli stava veramente chiedendo di uscire?

-Io... beh, i genitori vengono alle quattro... poi devo pulire la classe... cambiarmi... fare... io ehm.... -balbettò il maestro. Erano passati due anni dalla sua ultima relazione seria e che era per giunta finita male. Non voleva soffrire di nuovo. Aveva paura.

-I genitori vengono a prendere i bambini alle quattro. Poi sistemiamo le aule fino alle cinque. -disse Kiyoko venendo in suo aiuto.

-Oh, perfetto. La partita è alle otto. -fece Daichi sorridendo. 

-Facciamo per le sette? -propose Kōshi con un coraggio che non gli apparteneva. Poi, abbassando gli occhi sulle sue mani che continuava a tormentare, aggiunse: -Da-Davanti al parco dove porto i bambini di solito?

-Va benissimo. -il poliziotto gli rispose praticamente subito. -Conosco un posto dove fanno un ramen divino. 

Kōshi annuì: -Allora ci vediamo lì. -disse sorridendo timidamente. Daichi fece sì con la testa, poi salutò Kōshi, Kiyoko e i bambini e se ne andò.

-Ora puoi respirare. -fece Kiyoko sorridendo. Kōshi guardò la sua collega e fece un bel respiro.

 

***

 

Kōshi arrivò al parco con cinque minuti di anticipo e Daichi non era ancora arrivato, perciò ne approfittò per cercare di calmarsi. Il suo primo appuntamento dopo due anni. Doveva ammettere che un po’ di emozione ce l’aveva. Daichi sembrava un uomo serio. Per qualche ragione era convinto che non lo avrebbe deluso.

Si strinse nella giacca che si era messo. L’aria fresca di fine settembre si faceva sentire, eppure Kōshi era felice che ci fosse. Sicuramente la vicinanza con Daichi lo avrebbe fatto sudare.

-Ehi! -esclamò la voce del poliziotto. Il maestro si voltò verso destra e vide l’uomo camminare verso di lui salutandolo con il braccio. 

Daichi indossava un paio di jeans, un maglione blu scuro e una giacca nera, che teneva aperta. Era ancora più attraente di quando indossava la divisa...

-Ciao. -riuscì a dire Kōshi appena gli fu vicino.

-Aspetti da molto? -domandò l’altro.

-No, sono appena arrivato.

-Perfetto. -disse Daichi facendo un sorriso. -Il locale di cui ti parlavo è in centro. Dobbiamo prendere l’autobus. 

Iniziarono a camminare verso la fermata più vicina, entrambi con le mani in tasca.

-Sai, mi fa strano vederti senza il grembiule con i corvi. -fece il moro.

Kōshi rise: -E senza i bambini.

-E senza i bambini. -ripeté Daichi annuendo. -Quelli della tua nuova classe sembrano più scatenati di quelli dell’anno scorso. 

-In realtà i più scatenati sono nella classe di Kiyoko, ma quei due sembrano avere una sorta di ammirazione per lei perciò non causano molti problemi.

Sawamura sospirò: -Le cotte infantili... all’asilo avevo la fidanzatina. Ora non ricordo neppure che faccia avesse.

Kōshi rise di nuovo.

 

 

Fu una bella serata.

Kōshi non ricordava quando era stata l’ultima volta in cui si era divertito così tanto in vita sua. 

Avevano mangiato il ramen nel locale del signor Ukai, un uomo biondo con i piercing che aveva ereditato la “baracca” dal nonno paterno. Poi Daichi aveva fatto strada verso il palazzetto dove si sarebbe tenuta la partita di pallavolo. Le due squadre, secondo quanto aveva detto Daichi, erano tra le più forti della prefettura, perciò non fu una sorpresa quando arrivarono al quinto set. 

Erano appena scesi dall’autobus e commentavano le azioni migliori, camminando con le mani in tasca. 

-È stato divertente. -commentò Kōshi dopo un po’. Daichi annuì: -Domani Asahi mi chiederà la cronaca completa della partita. 

Da quanto aveva capito Kōshi, questo Asahi era colui che aveva dato i biglietti per la partita a Daichi e non era potuto andare con loro per un contrattempo. 

-Allora è una fortuna che tu abbia ripetuto le parti migliori con me. -commentò Kōshi.

L’altro rise, poi tra loro calò il silenzio. Era la prima volta che capitava quella sera e Kōshi non poté fare a meno di notarlo, mentre si fermavano a prendere delle bibite ad un distributore automatico.

-Io... non te l’ho mai chiesto, ma... -iniziò Daichi mentre gli porgeva una lattina. -Hai detto che la tua precedente relazione è finita male. Posso chiederti cos’è successo?

Kōshi deglutì. Non aveva parlato del suo ex con nessuno oltre a Kiyoko e forse parlarne con l’uomo con cui si aveva appena avuto un appuntamento (se così si poteva chiamare) non era la cosa migliore. 

-Se non vuoi dirmelo non importa. -continuò il poliziotto come per paura di aver parlato troppo. 

-Per riuscire a riassumertela, Hiroshi non era esattamente l’uomo ideale. -Kōshi buttò fuori le parole tutte d’un fiato. -All’inizio no, anzi, era dolcissimo. Ma poi... praticamente stava con me solo per il sesso. Però non m’importava, lo amavo... 

Il maestro strinse la presa sulla lattina e abbassò lo sguardo, cercando di trattenere le lacrime: -Poi un giorno lo vidi in giro con il suo amante e quando gliene parlai... mi ritrovai in ospedale. 

-Quel tizio ti ha picchiato? -domandò Daichi stupito.

Il maestro annuì. Sentiva le lacrime agli occhi e un groppo alla gola che gli impediva di parlare.

-L’ho denunciato e ora sto bene, ma è stata dura uscire da quella relazione. -continuò. -Quando si ama una persona, è difficile dire addio.

-Posso solo immaginare. -commentò l’altro. Rimasero in silenzio e Kōshi ne approfittò per ricacciare indietro le lacrime.

-E tu? Da quel che so di te, sembri un rubacuori. -Sugawara si scoprì a sorridere come non gli capitava da molto. Per qualche ragione, parlare del suo ex con Daichi era stata una liberazione. Come se un pezzo della sua vita, un pezzo che lui non voleva più ricordare, si fosse cancellato dalla storia.

Daichi sorrise: -Non mi definirei tale. Ho avuto una fidanzata dal liceo fino a un anno fa. Ci siamo lasciati perché... il mio vero orientamento sessuale è venuto a galla. -disse. Sembrava imbarazzato.

-E lei come ha reagito? 

-Non ci è rimasta troppo male. Anzi, ha riso e mi ha detto una cosa come “congratulazioni, mister Ovvietà”. Praticamente aveva capito prima di me che i miei gusti erano diversi da quelli che credevo. -poi prese il cellulare. -Siamo in buoni rapporti. Anzi, mi ha aiutato molto in questi mesi. 

Gli mostrò una chat di whatsapp, in cui Yui Michimiya (così doveva chiamarsi la sua ex) gli consigliava cosa mettere quella sera. La conversazione terminava con un “Buon divertimento ;)”.

-Sembra proprio di sì. -osservò Kōshi alzando gli occhi su Daichi. Arrossì fino alla punta dei capelli argentati quando si rese conto che lui lo stava guardando. 

-Ehm... se vuoi ti posso riaccompagnare a casa. -si offrì Daichi alzandosi dal muro su cui si erano seduti per buttare la lattina nel cestino poco distante.

-Se per te non è un problema... -disse Kōshi imitandolo.

Si misero a camminare, fianco a fianco, in un silenzio che valeva più di mille parole. Kōshi sorrideva. Non gli era mai successo dopo aver parlato di Hiroshi e ne fu felice. Stava facendo grossi progressi ed era sicuro che Kiyoko ne sarebbe stata fiera!

Sentì la mano di Daichi sfiorare la sua e rabbrividì. Sperò che l’altro non lo avesse notato e, in un impeto di coraggio, intrecciò il mignolo con il suo.

Eh sì, Daichi Sawamura lo stava inconsapevolmente aiutando a uscire da un baratro buio e spaventoso che lo aveva imprigionato per mesi.

 

***

 

Kōshi ringraziò l’infermiera al banco informazioni e corse velocemente su per le scale per raggiungere il piano giusto. Non prese l’ascensore, ci avrebbe messo troppo e lui di tempo da perdere non ne aveva.

“Ti prego, ti prego. Non lasciarmi” pensò pregando tutti gli dei possibili. “Ho bisogno di te...”.

Quando aveva ricevuto la chiamata, aveva appena messo a dormire i bambini per il riposino del pomeriggio. Mentre rispondeva, il sorriso che gli aveva illuminato il viso era sparito. Era Asahi, amico di Daichi, che lo chiamava con il cellulare del poliziotto per dirgli che questo era stato ferito da un colpo di arma da fuoco mentre era in servizio. 

Kōshi aveva spiegato a Kiyoko l’accaduto e lei gli aveva intimato di andare. Ci avrebbe pensato lei ai bambini. 

Così ora era lì a camminare a passo di marcia lungo il corridoio del reparto per cercare la stanza di Daichi. 

Appena la trovò, spalancò la porta e si fiondò all’interno. 

-Oh, ciao Kōshi. -lo salutò un Daichi sorridente. Indossava il camice tipico da paziente d’ospedale e aveva un cerotto sulla guancia. Sembrava quello di sempre, così seduto sul letto.

Kōshi rimase immobile. Era vivo. Daichi era vivo e gli sorrideva.

-T-T-T-Tu! -esclamò indicandolo. 

Seduto accanto al letto c’era Asahi, che sorrideva a sua volta. 

-Suga-san! Scusa se ti ho fatto preoccupare. Era una ferita non troppo grave, ma quando mi agito... -disse prima di venire interrotto da Kōshi che marciò verso Daichi emanando un’aura scura.

-HAI IDEA DI COME MI SIA SPAVENTATO? -urlò, più che arrabbiato. Si sorprese del suo tono, considerando che quando era terrorizzato non riusciva a mettere insieme frasi di senso compiuto.

-Scusa... -fece Daichi abbassando la testa come facevano i bambini della sua classe quando li sgridava.

-“Scusa” un corno! La prossima volta chiama direttamente tu, non far chiamare qualcun altro!

-Mi dispiace, i medici...

-Niente scuse!

-Ragazzi...

-Ho pensato subito al peggio! 

-Non è stata colpa mia...

-Ragazzi...

-Sono corso qui appena ho spento la chiamata, lasciando i bambini a Kiyoko. Sto rischiando il posto di lavoro!

-Io...

-Ragazzi...

-ZITTO, ASAHI! -esclamarono in coro. Il povero diretto interessato ammutolì, spaventato.

-Scusami davvero, Kōshi. Io stavo bene, ero cosciente e avrei voluto chiamarti. -riuscì a dire Daichi dopo aver preso un bel respiro. -Ma i medici dell’ambulanza mi hanno tolto di mano il cellulare e lo hanno dato ad Asahi appena arrivati qui...

Asahi annuì energicamente, come a dire “è tutto vero. Ti prego, non uccidermi!”.

-Quindi accetta le mie scuse, ti prego. -continuò Sawamura.

Kōshi osservò l’altro assottigliando gli occhi. Non era veramente arrabbiato con lui, anzi, era sollevato che non fosse niente di grave e che Daichi fosse lì a parlargli. 

-Mh, va bene. Ma solo per questa volta, agente Sawamura. -disse il maestro incrociando le braccia. Daichi gli sorrise (e Asahi tirò un sospiro di sollievo).

 

***

 

-Bambini, oggi abbiamo un ospite. -annunciò Kōshi ai piccoli, che si erano seduti obbedienti davanti a lui.

-È All Might? -domandò Shoyo con gli occhi che brillavano.

-All Might è un supereroe dei fumetti, stupidino! -esclamò Tobio. 

-Un unicorno? -chiese Hitoka.

-Ma gli unicorni vivono sulle nuvole! -disse Kei. -È un dinosauro!

-I dinosauri sono troppo grandi per entrare qui, Tsukki... -gli fece notare Tadashi.

Kōshi trattenne una risatina: -No, piccoli corvi. Il nostro ospite è una persona.

I bambini aprirono le bocche in una “o”. 

-Chi è, Kōshi-san? -chiese Tadashi con gli occhi che brillavano. Per tutta risposta, Kōshi si voltò verso la porta della classe, lasciata volutamente aperta. Da lì spuntò Daichi, che, sapendo quanto i bambini adorassero i poliziotti, indossava la divisa anche se non era in servizio, dato che era appena stato dimesso dall’ospedale.

-Agente Sawamura! -esclamò Hitoka scattando in piedi per corrergli incontro. L’uomo si inginocchiò e le accarezzò la testa.

-Ciao, Hitoka-chan. -la salutò. Gli altri quattro bambini si avvicinarono con dei grandi sorrisi sui loro visetti paffuti (tranne Kei, lui aveva solo un’espressione curiosa come suo solito). 

-Come sta? -chiese Shoyo. 

-Benissimo, grazie Shoyo-chan. -Daichi gli fece l’occhiolino.

Kōshi, che aveva osservato la scena rimanendo in disparte, si fece avanti: -Piccoli corvi, vi va di fare vedere all’agente Sawamura i vostri disegni?

-Disegni? -chiese il poliziotto.

-Sì! Il maestro ci ha detto che stava male e noi abbiamo fatto dei biglietti per lei. -spiegò Kei con tono solenne.

-Ah, ho capito. -disse l’uomo. -Allora fatemeli vedere.

-Sì! -esclamarono i cinque bambini in coro, poi corsero verso il mobile dove mettevano gli zainetti con le loro cose. 

Daichi si rialzò, sorridendo. 

-Non dovevi farli preoccupare. -disse a Kōshi, che alzò le spalle.

-Si sono divertiti. E io ho potuto avere un attimo di pausa. -rispose guardando Shoyo che si alzava sulle punte per aprire il suo armadietto. Riportò la sua attenzione su Daichi, che lo prese per il fianco e poggiò delicatamente le labbra sulle sue.

Il maestro rimase immobile. Decisamente quella era l’ultima cosa che si aspettava in quel momento.

-Daichi! Ci sono i bambini! -fu l’unica cosa che riuscì a dire.

-Non essere così pignolo. Era solo un bacino. -protestò il poliziotto. Poi quest’ultimo si avvicinò ai bambini, sotto lo sguardo stupefatto di Kōshi.

Era il primo bacio che Daichi gli dava... e aveva scelto di darglielo lì, dove la sua vita era diventata,  e stava ancora continuando a diventare, sempre più bella.




*angolo autrice*
Non chiedetemi da dove abbia avuto l'idea perché non saprei rispondere😂 
Daichi e Suga sono una coppia che adoro di Haikyuu e so che esistono fanart con Suga maestro d'asilo e Daichi poliziotto, perciò... perché no? 
Spero che vi sia piaciuta! Alla prossima!

   
 
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