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Autore: Pat9015    16/01/2021    2 recensioni
Circa otto mesi dopo il devastante tornado che ha spazzato via Arcadia Bay, Max e Chloe hanno cercato di andare avanti, ricostruendosi una vita quasi normale a Seattle, nonostante i traumi e i sensi di colpa che si portano dentro. Le indagini sui crimini di Jefferson, però, si stanno rivelando più complicate del previsto e vedono la bilancia della colpevolezza pendere sempre più verso Nathan Prescott, ancora dato per disperso e il cui corpo non è mai stato trovato e la famiglia finita in disgrazia a livello nazionale. Questo, unito a una serie di fatti ravvicinati tra loro, costringerà le due ragazze a tornare nel luogo da cui erano fuggite, costringendole ad affrontare, e questa volta senza poteri, i propri demoni interiori e questioni lasciate in sospeso sotto le macerie di Arcadia Bay.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Chloe Price, David Madsen, Mark Jefferson, Max Caulfield, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Life is Strange:

Kairos
 



 
 
 
A fan fiction by Patrick Bianchi
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTA DELL’AUTORE
 
Essendo scritta interamente in italiano, la seguente fan fiction ha dovuto, per cause di forza maggiore dovute all’impossibilità di un adattamento linguistico dello slang della costa ovest statunitense, riformularsi in un contesto più possibile similare e, soprattutto, vicino al parlata e alle esclamazioni tipiche dei personaggi che siamo abituati a conoscere. Perciò, il tanto adorato ‘Hella’  di Chloe Price, non comparirà, ma si è cercato di darne ‘forma’ a livello di dialogo. ‘Hella’ è, molto vagamente, traducibile come ‘stra-‘ oppure ’dannatamente’  e cosi via, quindi ci saranno tipiche esclamazioni di esagerazione in questa direzione, per sostituire quel termine.
Similarmente, l’espressione ‘Are you cereal??’ di Max, storpiatura della frase inglese ‘Are you serious??’ che significa banalmente ‘ Ma sei serio?/Ma dici sul serio?’ e altre esclamazioni di sorpresa sia positiva che negativa, verranno lasciate con un banale ‘Cereali!’ o addirittura non tradotte, oppure servirà semplicemente per accentuare una disapprovazione forte, magari in sostituzione di una parolaccia. L’obiettivo, perciò, è cercare di lasciare le personalità di Max e Chloe, quanto più simili a quelle che conosciamo, soprattutto nella forma del dialogo, non dissacrando ne dissociandosi troppo dalla loro psiche e ,soprattutto, dalla loro unicità caratteriale. Le canzoni, i testi e gli autori citati sono reali, lasciando quindi una sorta di colonna sonora da accompagnamento, nel caso vogliate ricercarli e ascoltarli.
I luoghi menzionati sono quasi tutti reali, quelli  inventati verranno segnalate con note a piè pagina. Eventuali errori o differenze a livello geografico e/o descrittivo  di alcune aree, luoghi pubblici e strade sono voluti per via di un adattamento a fine narrativo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Kairos

Dal  greco καιρός

Traducibile come  Tempo cariologico .
Nella Antica Grecia significava “momento giusto, opportuno, supremo”
 
 
 
 
 


 
Prologo
 
After The Storm
 

 
 
Bentornati su “WakeUp Oregon!” il programma del mattino più seguito nello stato più bello della West Coast statunitense!
In diretta dagli studi di Salem, sempre con voi fino alle 10:30, il vostro Robert Harvey!
Come promessoVi, adorabili telespettatori, stiamo per fornirvi, anche quest’oggi, altre importantissime informazioni sulla clamorosa e non prevista calamità che ha colpito una ben nota cittadina sulla nostra costa, pochissimi giorni fa. Ma ad aggiornarvi, come ogni mattina, il nostro inviato sul posto! Direttamente dai confini giurisdizionali di Arcadia Bay, David Merkin! David, ci sei?
Assolutamente, Bob! Buongiorno a te e a tutto l’Oregon!
Grazie David. Che aggiornamenti hai per noi? Mi è giunta voce che stamane hai delle grosse novità, e che i media nazionali abbiano annusato che stia per succedere qualcosa di grosso laggiù..
Confermo tutto Bob! Nella tarda serata di ieri ci sono giunte numerose conferme su diverse piccole notizie che filtravano dalle autorità locali e dell’intero distretto di Tillmook. Un nutrito gruppo di sopravvissuti di Arcadia Bay è in procinto di organizzarsi per formare un comitato, una sorta di movimento unito per la ricostruzione della città. La richiesta verrà vagliata, non appena sarà stilata e resa ufficiale, direttamente al governatore dello Stato. Ma già si parla di una possibile riunione di emergenza al Congresso per questo Venerdì, a una settimana esatta dalla tragedia che ha colpito la piccola comunità di Arcadia Bay. Nessuno può dimenticare che qui,  quattro giorni fa, un tornado di mostruose dimensioni e di ancora ignota provenienza, a falciato la cittadina, lasciando la desolazione che si vede alle mie spalle.
Benché le operazioni di salvataggio e soccorso siano state pressoché immediate, ci giunge voce che solo nella tarda serata di ieri sera si siano definitivamente liberate le arterie principali della cittadina, consentendo quindi uno snellimento delle operazioni di ricerca di eventuali feriti e dispersi. Il conteggio delle vittime supera ormai le trecento unità, ma sembra ormai certo che si supererà facilmente il migliaio, ora che stanno arrivando rinforzi anche dallo stato di Washington e dal Colorado. Ieri sera sono giunte sei squadre speciali dalla California e si parla anche di un arrivo di ulteriori soldati dell’Esercito e Marina per cercare di salvare più persone possibili o, quantomeno, fornire una degna sepoltura a coloro che giacciono sotto le macerie. Ancora nessuna novità dal team di meteorologi convocato d’urgenza e riunitosi presso l’Università di Portland, per determinare le cause di questa tremenda tempesta che sì è abbattuta, oltre alla neve che aveva interessato l’area il lunedì precedente al disastro.
Ma, come vi ho annunciato, trapelano interessanti novità! Pare che il gruppo di sopravvissuti di Arcadia Bay si sia riunito grazie a un passaparola nato nella tarda serata di giovedì, da un messaggio mandato da una studentessa della Blackwell Academy. Fonti non confermate, sosterrebbero che tale studentessa avesse chiesto ad alcuni suoi compagni di lasciare Arcadia Bay e di avvisare quanta più gente possibile. Sfortunatamente, molti dei suoi compagni la sera precedente, Giovedì 10 Ottobre, erano alla festa tenutasi nella piscina dell’Accademia e hanno ignorato l’avviso o ritenuto, molto probabilmente, che fosse uno scherzo. Chi ha creduto a questa voce non ancora confermata si è ritrovato nel gruppo di sopravvissuti. Quella ragazza, di cui si è chiesto espressamente l’anonimato, pare avesse notato delle avvisaglie la sera precedente, dato che si trovava sulla riva a osservare le balene spiaggiate in compagnia di una sua amica, ex studentessa della medesima Accademia e figliastra del Capo della sicurezza proprio della Blackwell.
Quanto ci sia vero dietro a questa storia, resta ancora un gigantesco punto di domanda ma, amici miei, sembra che l’incredibile non sia solo qui.
La medesima studentessa, quella stessa sera, prima di poter accorgersi dell’imminente disastro meteorologico, pare avesse avvisato il signor David Madsen, ovvero il Capo della Sicurezza della Blackwell citato precedentemente, della sospetta condotta di Mark Jefferson. Pare sia stata lei a fornire la conferma al signor Madsen del luogo in cui il criminale Jefferson avesse trovato rifugio con per rapire, drogare e seviziare giovani donne e studentesse, con la complicità di Nathan Prescott, studente della Blackwell Academy e  figlio di Sean Prescott, personaggio molto influente qui ad Arcadia Bay. Non ancora confermato il grado di complicità del giovane Prescott, anche se le informazioni a riguardo sembrano confermare lo scenario peggiore. Mark Jefferson non si è pronunciato e sembra che rimarrà in silenzio ancora per molto. La data della sua udienza preliminare è attualmente incerta, dati i disordini di Arcadia. Resta ignota la posizione di Nathan Prescott, anche se il biglietto per Los Angeles non ha convinto gli inquirenti. La polizia di L.A. ha comunque annunciato che collaborerà e cercherà il giovane scomparso.
Va anche confermato che il corpo ritrovato ieri pomeriggio, presso quello che resta della ‘American Rust’, la discarica di Arcadia Bay, è della giovane Rachel Amber, scomparsa lo scorso 22 Aprile.
Confermate anche le voci che vogliano la giovane vittima delle sevizie di Jefferson, che ora dovrà rispondere anche dell’accusa di omicidio di primo grado della giovane.
Il ritrovamento rientrerebbe sempre nella segnalazione delle due giovani ragazze, che avrebbero indicato sia il luogo dei misfatti di Jefferson che il posto in cui avrebbe seppellito la giovane Amber.
Il procuratore di Arcadia Bay e padre di Rachel, James Amber, si è per ora rifiutato di rispondere ad ogni domanda dei media ma si presume che si costituirà parte civile nel processo a Mark Jefferson e alla famiglia Prescott se verranno trovate prove che colleghino anche loro alle malefatte del figlio.
Gli inquirenti sostengono che non sia possibile che la famiglia non sapesse delle attività del figlio. Attualmente, anche i Prescott si chiudono nel silenzio.
Direi che qui ad Arcadia Bay la tempesta non sia finita. A te, Bob!
Beh, che dire David! Ci hai davvero sganciato una bomba bella grossa. Pare che lo “scandalo Blackwell” non passerà in secondo piano rispetto alla tempesta di Arcadia. Questa storia ha ancora molto da raccontare. Ma queste due giovani donne, due piccole eroine che vengono rese anonime, sono ancora ad Arcadia Bay? Riusciresti a scovarle per noi? Sicuramente gli inquirenti avranno molte domande da porre loro, ma chissà se un giorno potremmo averle qui con noi in studio per un dettagliato resoconto su come si siano rivelate decisive in entrambe le catastrofi accaduti alla loro modesta cittadina. Sai dove sono e soprattutto, nonostante l’anonimato, chi siano?
No Bob, purtroppo i loro nomi sono stati occultati per motivi di privacy. Anche i pochi sopravvissuti della Accademia Blackwell, per rispetto, tacciano su queste due improbabili eroine. Ciò che vi ho detto è tutto quello che si sa sulle due, anche se gira insistentemente che la figliastra di David Madsen, sposato con Joyce Price, attualmente dispersa, sia Chloe Elizabeth Price. Attualmente, la ragazza rientra tra i dispersi, quindi va ancora verificato che sia lei l’amica della studentessa della Balckwell che ha scoperchiato questi vasi di Pandora. Ma anche se si trattasse di lei, gli inquirenti hanno la precedenza e rimarrebbero nell’anonimato ancora per qualche settimana.
Bene David. Speriamo che la signorina Price sia in salvo da qualche parte. Da ciò che ci hai detto, sembra che sia lei una delle due eroine di Arcadia. Ma, giustamente, le indagini hanno la precedenza. A proposito di indagini, ci hai riferito che i tempi sull’udienza preliminare di Jefferson sono ancora incerti. Novità su quel fronte quindi non ne abbiamo?
Dunque sappiamo solo che, attualmente, Mark Jefferson si trova ancora nel carcere di South Fork Forest Camp, a Tillamook ma sembra che verrà trasferito a giorni presso il Columbia River Correctional Institute di Portland, ritenuto più idoneo. Non si esclude anche il carcere federale di Sheridan, dato che sembra che la natura dei suoi crimini coinvolga almeno due stati e l’FBI potrebbe avanzare richieste a riguardo.
Altre novità in merito sono, attualmente, non ancora rese note. Sembra che la situazione, ostacolata dalla condizione di Arcadia, stia causando non pochi problemi gestionali alle autorità. La buona notizia è che sembrerebbe, non appena verrà ricostruito il corpo di polizia locale di Arcadia Bay, che lo sceriffo della contea abbia intenzione di assumere David Madsen come merito per le indagini svolte. Se mai Arcadia Bay dovesse tornare a vivere, potrà contare sulla protezione sicura e comprovata del suo più diligente concittadino, il signor Madsen !
Beh David almeno chiudiamo con una buona notizia. Che sia un piccolo spiraglio di luce per una nuova Arcadia Bay? Noi ce lo auguriamo di certo!
Assolutamente Bob!
Bene, se questo è tutto, ci aggiorneremo domani mattina, alla stessa ora David!
Non mancherò Bob! Dalla devastata ma ancora viva cittadina di Arcadia Bay, per stamane è tutto dal vostro David Merkin!
Gentili telespettatori, prima di lasciarci di nuovo per una pausa pubblicitaria, andiamo ad assistere alle previsioni del tempo per oggi sul nostro adorato Oregon. Anche se forse , visto gli ultimi giorni, si fatica a credere alle previsioni!
Ma prima un personalissimo messaggio rivolto alle due eroine di Arcadia Bay, che spero con tutto me stesso che siano ancora vive e là fuori, al sicuro: non siete sole. L’Oregon, i vostri concittadini sopravvissuti e tutti i bravi e onesti americani sono con voi. A voi, giovani e fiere eroine, auguriamo ogni bene e che Dio sia con voi, nella speranza di ospitarvi presto qui, a “WakeUp Oregon!”, per condividere la vostra importantissima testimonianza.
E ora, le previsioni per oggi!
A te Lawrence!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PARTE PRIMA
 
UROBOROS
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1.
 

Il vento gelido e umido le frustava il viso con una ferocia inaudita.
Sferzava sulla pelle nuda del suo viso e delle mani come  artigli di un rapace furioso, affamato, inarrestabile. Bruciava, come lame gelide, tra le sue guance, mentre gli occhi faticavano a restare aperti, lacrimando per il fastidio e la potenza dell’aria che la colpiva.
Si sentiva pesante, sfinita, con braccia e gambe indolenzite dallo sforzo per restare in piedi e non diventare un minuscolo puntino in balia del vento, gettata tra le cime dei pini che popolavano la scogliera.
I suoi capelli castano ramati, pregni di acqua, sembravano più pesanti e la infastidivano mentre rimanevano aderenti alla fronte, finendo per impedirle ulteriormente la vista. Cosi come gli abiti, resi pesanti dalla pioggia, che cadeva in grosse gocce imprecise e in balia dei venti.
Era quasi in cima, mancava poco. Ma si sentiva cosi stanca, cosi svuotata.
E aveva paura. Una tremenda, immonda paura
“Non dovrei essere qui. Non dovrei essere PIU’ qui!” continuava a ripensare.
Il terreno sembrava sempre meno in salita, aprendosi e divenendo pianeggiante. L’odore di erba bagnata, di fango, uniti a quello di umido, le riempivano le narici. Le orecchie, rese sorde dagli ululati del vento, erano divenute inutili e senza scopo. Restava solo la vista su cui affidarsi, se solo avesse potuto aprire di pi gli occhi!
Il terreno sembrò definitivamente più agile, l’impervia scalata sembrava terminata. Alzò ancora un poco le braccia per proteggere i suoi occhi. Gli occhi che avevano visto tanto orrore in pochi giorni, gli occhi che le avevano mostrato le cose più belle. La persona più bella.
Per quanto non avesse autostima, amava i suoi occhi. Di un tenue azzurro macchiato di grigio, come un ‘cielo primaverile, di marzo, quando c’è il sole e un cielo bellissimo macchiato da nuvole di pioggia’ come amava ripeterle sua madre quando era bambina.
Pioggia nei suoi occhi, ora, ve ne era davvero.
“Che cazzo ci faccio qui?”
Con uno sforzo a cui non era abituata, aprì più che poté gli occhi, usando gli avambracci per proteggersi. Sebbene offuscata, la sua vista non poteva tradirla nel riconoscere dove si trovasse: lo spiazzo di fronte al faro di Arcadia Bay.
“Che cazzo ci faccio qui? Non dovrei essere qui!” pensò terrorizzata. Conosceva quel luogo, quel momento. Lo aveva in testa da tanto, troppo tempo.
Si mosse verso la panchina, anche se non la vedeva bene. Ormai si muoveva con naturalezza in quel luogo, come se lo conoscesse meglio della sua casa natale. Tutto ciò le procurava un sentimento di angoscia tale a spezzargli il fiato. Sentiva un peso sullo stomaco che non aveva nulla a che fare con il tempo burrascoso e violento che la flagellava. Non poteva essere reale, eppure sembrava COSI maledettamente reale da crearle panico e confusione.
Avanzò di qualche passo. La  panchina in cui tante volte si era seduta da ragazza e adolescente era ancora li, intatta, resa lucida dalla pioggia, noncurante della devastazione attorno. In mezzo a quel caos, l’unica cosa stabile sembrava proprio quella vecchissima panca in legno massiccio. Un presagio?
Forse, ma non ci pensò in quel momento. Si preoccupò di vincere la sua paura e alzare lo sguardo. Verso l’orizzonte. Verso il cielo.
Maestoso e terrificante, la configurazione perfetta del tornado sovrastava qualsiasi cosa. Il rumore agghiacciante dei venti era il suo ruggito, rabbioso e soverchiante. Immobile, fissò quel feroce mostro di venti a spirale che si apprestava a travolgere qualsiasi cosa. Ma cosa? Lei?
Lo aveva visto più volte, in sogno, in trance e dal vivo. E ora di nuovo era davanti a lui, ma non poteva essere possibile.
Cercò di capire, ma l’unica cosa che realizzò è che …
“Arcadia Bay non esiste più…” pensò amaramente, notando un cumulo di macerie nell’angolo più estremo alla sua sinistra. Piccoli focolai si ergevano tra le macerie di quella che, un tempo, era la sua città natale. Odiava quel posto, lo odiava tanto quanto odiava le persone che l’avevano corrotta. Eppure le faceva male vederla cosi, ridotta a niente, solo pietra e legno, pezzi di lamiera e automobili scagliate come palline di carta…
 
(palline di carta…palline di carta….scagliate come sfregio….scagliate contro Kate Marsh…. La giovane e innocente Kate….drogata, umiliata, bullizzata….Kate, la devota….Kate la cui sola colpa era quella di voler bene a tutti….di volersi far accettare…..Kate che prendeva il tè con me….Kate, umiliata….Kate che si getta dal tetto…)
 
…senza valore, tra gli alberi e i tetti di quello che si era salvato dalla furia dei venti.
Ma se la città era già stata spazzata via, perché lei era ancora li? Non era fuggita? Il tornado dovrebbe rivolgersi verso l’entroterra e non verso…
“di me…vuole me!” strillò
Il tornado puntava verso il faro. La braccava, come un predatore scontento. I venti sembravano ora un lamento lugubre e minaccioso. Sembravano volerle dire…
 
(ci sei scappata una volta. Hai ucciso tutti…ma è te che vogliamo….e stavolta non scapperai…)
 
…che la sua ora era giunta.
L’aveva evitata. Aveva sacrificato centinaia, forse migliaia di vite per non affrontare il suo dolore, le sue paure. Si sentiva cosi…
(egoista! Stronza! Insensibile! Immatura! VIGLIACCA!)
… confusa e spaventata.  Forse meritava quella fine… forse era cosi che doveva andare… la soluzione non era mai stata tornare indietro o andare avanti, ma andare LEI stessa verso quel tornado. Come una vergine in sacrificio. Ecco la giovane e stupida fotografa dilettante che si offre in pasto al King Kong dei venti. Alla vendetta della natura, del tempo, verso colei che li aveva ingannati.
Sentì, per davvero una frazione di secondo, giustizia e pace a quella idea. Poi fu di nuovo panico.
No!
Non doveva finire cosi! Aveva scelto e sapeva di averlo fatto a discapito di molte vite, ma era felice. Finalmente lo era.
Era
Lo è ancora
“IO SONO FELICE ORA!” gridò.
Il vento rispose sradicando la panchina, spezzando le rocce e facendo crollare una parte del promontorio. La terra sotto i piedi le venne a mancare. Vide l’oceano aprirsi sotto di sé per un brevissimo istante, prima di scivolare indietro e cadere e sollevare gli occhi al cielo, mentre il tornado avanzava inesorabile.
Ormai era vicinissimo. Era resa sorda dal vento, dalla rabbia di migliaia di vite spezzate dal suo egoismo. Vide la panchina riemergere e vorticare nel cielo, pronta a colpirla come un proiettile mortale. Le restò solo una cosa da fare: gridare.
E con tutta l’aria che aveva in corpo, lo fece. Di rabbia, di disperazione, urlò…
 
“Max? MAX! MAX SVEGLIATI!”
 
 
Aprì gli occhi d scatto.
Le lenzuola blu del suo letto l’avvolgevano quasi fino al viso, nonostante fosse quasi fine Giugno e le temperature fossero leggermente più alte della media.
Dalla finestra aperta entrava una brezza inesistente, ma poteva vedere il cielo buio e puntellato da poche stelle, cancellate quasi tutte dalle luci della zona centrale di Seattle che, benché  fosse lontana da casa sua, esigeva di inghiottirle. Vivere ai margini della parte pulsante di  una grande città non sempre rende il cielo più terso.
Grilli. Gli ululati feroci erano svaniti e ora solo dei grilli popolavano il vento, che non aveva nemmeno la forza necessaria a smuovere le tende in poliestere rosa che sua madre aveva comprato per arredare la camera, anni orsono, quando si erano trasferiti da Arcadia Bay. Il resto della stanza vigilava nella penombra della notte che anticipava l’estate. Che ore erano? Tardi sicuramente…ma quanto tardi?
“Hey Max…tutto ok?”
La voce di Chloe era poco più che un sussurro, ma la mano di lei che le accarezzava il braccio nudo era tangibile e vivo. E cosi confortante e caldo.
“Cazzo, ma stai tremando Max!” disse, e stavolta non era un sussurro, ma quasi esclamato a tono normale.
Max Caulfield si rigirò nel letto, per guardare negli occhi chi le stava parlando, ma lei si era già sporta verso il suo comodino e accese la luce della sua piccola lampada blu in stile ‘Pixar’.
Una tenue luce giallastra inondò una porzione della sua camera da letto. Anzi, sarebbe più corretto dire la LORO camera da letto, da qualche mese oramai.
Benché debole, quella luce rivelò quello che i suoi occhi avevano cercato quando si era voltata.
Chloe Price era li, viva e tangibile, adagiata con la schiena alla tastiera del letto. Indossava una vecchia maglietta nera con un bizzarro disegno di un cane che andava sullo skateboard. L’aveva trovata in un negozio dell’usato un paio di settimane prima e, senza una logica spiegazione, l’aveva acquistata senza indugio. A Max piaceva quella maglietta, e fu contenta che Chloe l’avesse scelta come pigiama: ne rispecchiava di più l’identità rispetto a quelle magliette punk che indossava quasi sempre, ma questa considerazione preferì tenerla per se stessa. Guai a dirle che, in fondo, era una tenera.
Il resto del suo particolare pigiama erano dei pantaloncini sbiaditi da basket, ma questi erano stati dichiaratamente presi per essere usati per dormire o ‘ qualsiasi altra cazzata debba fare in casa’. In effetti, non aveva molti vestiti con se, quando scapparono da Arcadia Bay. La casa dei Price non era conciata male, ma non avevano voluto indugiare troppo al suo interno quando vi si infilarono per riempire velocemente due borsoni di vestiti, oggetti personali di Chloe e qualcosa da mangiare per sicurezza, anche se Seattle distava circa cinque ore di auto da Arcadia.
Osservò la linea delle sue gambe nude, una distesa e una piegata verso il petto, le sue mani, adagiate sul ginocchio, il collo e il viso, con i suoi zigomi definiti, le labbra sottili e gli occhi di quel blu inteso che tanto le aveva sempre invidiato.
I capelli erano ancora corti e bluastri, ma leggermente più lunghi dato che non era più andata da un parrucchiere in quei mesi.
Chloe voltò la testa e la fissò
“Come va? Un altro incubo?”
“Già” replicò con un filo di voce
“Di nuovo il tornado?”
Max annuì debolmente
“Cazzo.” esclamò Chloe in risposta, a denti stretti “Siamo a tre volte in meno di dieci giorni. Mi potrei preoccupare, Max.”
“E tu? Ancora insonne?” chiese, sviando il discorso
Chloe spostò lo sguardo davanti a sé
“No” rispose “Stavolta no. Ma avevo il sonno leggero e ti ho sentita lamentarti e agitarti parecchio.”
“Merda. Mi dispiace, non volevo.”
Max si sentì in colpa. Chloe soffriva di insonnia da quando si erano lasciate alle spalle la tragedia. ‘Effetto collaterale dell’esperienza traumatica’ dicevano ‘passerà con il tempo’ ripetevano. Fatto sta che Chloe, le prime settimane, aveva dormito un terzo di quello che una persona normale dovrebbe dormire.
Non che fosse la prima volta. Aveva già sofferto di insonnia, in passato, ma era migliorata con il tempo, poco più di un anno prima che Max tornasse ad Arcadia Bay. Si poteva dire che, anche in quel caso, la sua insonnia era dovuta a due motivi ben precisi, ben noti ad entrambe, poiché le riguardavano da vicino anche in quel caso.
Ovviamente, Max non poté fare a meno che sentirsi doppiamente in colpa dato che, direttamente o no, si sentiva artefice dei problemi di sonno di Chloe.
Quest’ultima si sporse leggermente in avanti e con la mano sinistra indugiò sulla testa della sua compagna, accarezzandola dolcemente
“Non è colpa tua, ti pare? Non farti paranoie inutili.”
“Sarà, ma domani devi lavorare…”
“Non faccio io l’apertura stavolta. Inizio presto ma non cosi presto. Dovresti averli imparati oramai, i miei bizzarri orari di lavoro”
Chloe aveva trovato lavoro presso una specie di bar per studenti, chiamato “Bake ‘n’ Take” non molto distante dall’accademia in cui Max si era iscritta per completare gli studi.
Dopo la “Tragedia” di Arcadia, la solidarietà si era fatta strada tra i sopravvissuti e anche verso i (pochi) studenti della Blackwell rimasti. Perciò la Fine Art Academy[1], affiliata della Seattle Pacific University,  si era presa in carico ( e la sua borsa di studi) Max e il suo completamento accademico. Una nota estremamente positiva dato che non doveva sborsare nulla, se non ricomprare i libri, non necessitava di dormitorio dato che era a mezz’ora da casa e, cosa più importante, era abbastanza certa che il suo insegnate di fotografia attuale non la volesse segregare in qualche ambiente sotterraneo per drogarla e farle delle foto.
“Si ma ti ho svegliata. Scusa.”
Chloe sbuffò, fintamente spazientita, e spense la luce. Si infilò di nuovo sotto le coperte, diede un buffetto a Max, che si rigirò dandole le spalle poiché sapeva che intenzioni avesse lei, e si rilassò, avvolgendole le braccia attorno all’addome e infilando il suo viso tra i suoi capelli a caschetto.  Era la loro ‘mossa’ collaudata per essere sicure di poter dormire senza incubi e senza insonnia. Max si sentiva al sicuro, rilassata.
E stupida. Ormai era una adulta eppure possibile che potesse calmarsi solo cosi? Si sentiva cosi debole e patetica, ma adorava quei momenti. Adorava che Chloe la abbracciasse dopo ogni incubo.
“Senti, cerca di focalizzarti su una cosa fondamentale: tra due mesi saremo in spiaggia, in qualche fottuta zona della California, a non fare uno stracazzo di niente se non prendere il sole, bere fino a vomitare e dimenticarci le buone maniere. Ok?” sussurrò Chloe al suo orecchio destro.
Max si sciolse in un largo sorriso. Non vedeva l’ora di quella vacanza. Stavano risparmiando solo per quel momento. Loro due da sole, in California, per due settimane. Non avevano ne cercato ne prenotato nulla. Sarebbero partite e avrebbero improvvisato, fine della cosa.
“Cazzo, si. Inizierò a contare i giorni!” replicò Max.
E chiuse gli occhi, scivolando di nuovo nel sonno, avvertendo a malapena il bacio sulla guancia di Chloe.
Niente più tornado stavolta.
Niente di niente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
2.
 
 
Max odiava una sola cosa di camera sua.
Una sola cosa. In tutta la camera, pregna di memorie della sua giovane vita.
La sveglia.
Si era rifiutata di portarla alla Blackwell proprio perché era troppo, troppo irritante ma efficace. La cosa ironica è che l’aveva acquistata lei, con la sua paghetta, quando aveva dieci anni.
La sveglia in questione era a forma di ranocchio, un po’ in stile cartoon, che reggeva una tazza di caffè, mentre sedeva sopra una sfera verdastra che avrebbe dovuto essere una specie di foglia, in cui all’interno vi era l’orologio. La tazza, invece, recitava la scritta ‘Is too late for you, but not for the coffee!” come se volesse ricordargli che, per quanto si impegnasse, sarebbe stata sempre una ritardataria cronica. Ma il caffè mai. Al massimo eri tu in ritardo per lui, ma mai il contrario.
La parte irritante era l’allarme: un gracido, continuo e potente, che strillava ‘wake up! wake up!’  finché non lo avessi disattivato. Sempre ammesso che avessi premuto la testa della rana, spegnendola, anziché scagliarla contro un muro.
Forse il motivo per cui non lo aveva mai fatto era, oltre che essere stato uno dei suoi primi e personalissimi investimenti da bambina, che a modo suo era decisamente efficace. Non potevi non svegliarti. Certo lo facevi malamente, ma dannazione se eri vigile e scattante!
Dopo qualche tempo, imparò a non usarla le mattine che Chloe si svegliava dopo di lei. Le è bastata udirla una sola volta per sentirla usare epiteti che, per quanto fosse volgare, avevano raggiunto vette comiche e blasfeme che mai si sarebbe immaginata di sentire in vita sua. Ogni tanto Max ripensava e rideva di ciò. Un po’ meno per quello che disse Chloe, dato che rimbalzò per tutta la casa. Comunque sia, quando Chloe non doveva alzarsi prima di lei o aveva il turno più tardi, mai usare la rana-sveglia.
Si sporse verso il confine estremo del suo comodino per premere la famigerata sveglia indemoniata,trovandosi cosi magicamente sveglia e operativa. Scostò il lenzuolo blu, che faceva a pugni con il copriletto rosa confetto, e si mise a sedere.
Con la luce del giorno, camera sua prendeva decisamente una piega più vitale e rassicurante. Le pareti, tinte in occasione del trasloco, erano di un rosa pallidissimo, a tal punto che, a una prima occhiata, si sarebbe potuto pensare che la stanza fosse tinta di un anonimo bianco. Aveva scelto lei che fosse cosi: non voleva stufarsene con il tempo e, soprattutto, aveva circa tredici anni quando vi si insediò. L’arredo era pressoché immutato dal giorno in cui vi arrivò, benché prima della sua (breve) avventura alla Blackwell, lei e sua madre avevano chiuso tutto in scatoloni che, escluso ciò che aveva portato con se all’accademia, erano finiti in soffitta. I suoi genitori, saggiamente, volevano riutilizzare la stanza. Non seppe dire se avevano intenzione di usarla come magazzino o studio di riserva o se, addirittura, metterla in affitto per qualche studente squattrinato. I suoi le ripetevano spesso che sarebbe potuta tornare da loro quando voleva, perciò l’ipotesi dell’affitto o non aveva riscosso successo o, molto più probabilmente, non avevano mai seriamente messo impegno in quella direzione. Dopotutto, economicamente, la famiglia Caulfield non aveva nulla di cui lamentarsi.  La sola cosa che era cambiata, per ovvie ragioni, il letto che fu sostituito con un matrimoniale. Lei e Chloe non avrebbero potuto dormire assieme nel vecchio letto singolo. Non che ci avessero provato (Max non voleva mettere fretta ai suoi) ma risultò impossibile e per le prime tre notti, con enorme insistenza e lotte amichevoli, convinse Chloe a dormire nella sua stanza mentre lei si accomodò del divano al piano di sotto.
Entrando nella stanza, si trovava sulla parete sinistra il letto nuovo e comodissimo (sua madre aveva scelto un materasso da sogno) con la tastiera verso la parete e il resto che si imponeva verso il centro. All’estrema sinistra, quasi a ridosso della porta, vi era un vecchio cassettone bianco di Max, preso a Tillamook quando lei aveva circa otto anni, e ancora adornato di adesivi di Spongebob. Quel cassettone ora era equamente diviso tra lei e Chloe, benché quest’ultima non avesse granché di biancheria e magliette. Cercava di non essere troppo di peso e badava ad acquistare il suo vestiario da sola ma ogni tanto capitava che, aprendo i cassetti, Chloe emettesse un mugugno che era simile a un sorriso soffocato e il commosso nel vedere un capo nuovo accuratamente riposto al suo interno. Max sapeva che sua madre comprava di nascosto cose per Chloe e, senza avvisarla, le lavava, stirava e riponeva nel cassetto, assieme al resto, come se nulla fosse.
La prima volta, Chloe era scesa in cucina con una maglietta che sapeva non essere sua. Aveva dapprima pensato che si fosse sbagliata e avesse messo nel suo cassetto un capo di Max ma, constatato che era nuova e di misura troppo diversa da quelle della giovane Caulfield, era scesa di sotto, con un piglio infuriato.
La madre di Max fece finta di non sapere (era una pessima bugiarda e Max aveva ereditato pienamente questa caratteristica da lei) e negando espressamente tutto. Benché Chloe fosse partita come un toro infuriato, si addolcì immediatamente. Abbracciò la signora Caulfield e tornò di sopra a rimettere in ordine quella nuova maglietta e, anche se lo negò con decisione, a nascondersi perché si era commossa come non le capitava da mesi.
Da quel giorno vi era una sorta di patto silenzioso tra i Caulfield e Chloe, rotto solo in occasione nel giorno del  suo  ventesimo compleanno, ma da Max stessa e non Chloe. Il motivo era abbastanza imbarazzante: finita la cena insieme, a base di junk food e una torta fatta a mano dalla signora Caulfield, con bibite e uno spumante da troppi (troppissimi ) dollari preso apposta per l’occasione dal signor Caulfield,  con tanto di regalo a fine pasto ( una compilation di dischi degli artisti preferiti di Chloe, su suggerimento di Max, per sostituire degnamente quelli abbandonati nella sua casa di Arcadia Bay) e un portatile nuovo per lei, le ragazze erano andate in camera per buttarsi a letto (Chloe, l’indomani, avrebbe iniziato a lavorare al primo turno, quindi doveva recarsi presto al Bake ‘n’ Take per aprire il locale e iniziare a sistemare tutto) e li, aprendo la sua parte del cassettone per prendere un pigiama nuovo, aveva trovato una busta di Victoria’Secret  con un biglietto da parte della madre di Max che recitava
 
Questo regalo è, da donna a donna, qualcosa che era meglio non mostrare a cena. Spero tu possa gradirlo. E pure Max ;)
 
Ancora oggi, a distanza di mesi, Max arrossiva al ricordo. Aveva preso la porta della camera e scesa in cucina a gridare ai suoi se fossero impazziti, lasciando Chloe piegata in due dalle risate. Non aveva voluto scoprire il contenuto, nonostante le insistenze di Chloe che, in un misto di minaccia e promessa, le ricordò che prima o poi lo avrebbe dovuto scoprire. I suoi, invece, non si scomposero e la presero in giro da quella sera per una settimana buona.
Alla fine del cassettone vi era un portabiti esclusivo di Chloe, una pila di libri a terra e il comodino di Chloe, con relativa lampada e svariati oggetti sparsi malamente, tra cui uno scontrino del benzinaio, un accendino (forse scarico) che raffigurava l’adorato Hawt Dwag Man, qualche centesimo.
A destra, invece, dietro la porta vi era il porta abiti di Max e , su tutta la parete opposta al letto, un mobile occupava quasi tutto lo spazio. C’era uno spazio in centro, occupato da una vecchia tv con lettore dvd, film e cd riposti al lato. Due cassetti giganti sotto la tv, mentre sopra e ai lati ante che ospitavano un mix di vestiti, pantaloni, cappotti e tutto quanto le era rimasto (aveva perso un discreto numero di capi nella sua stanza alla Blackwell), oltre che tanti ricordi di quando era bimba, vecchi album che contenevano i suoi primi scatti, qualche giocattolo a cui era particolarmente affezionata e ultimo, ma non per importanza, il suo primo peluches, ricordo di una vincita a una fiera di Arcadia Bay quando aveva sette anni. Lo aveva vinto con Chloe e ne era particolarmente legata. Già si sentiva in colpa costantemente per aver abbandonato il suo orsacchiotto nella sua stanza del dormitorio.
Il resto della stanza si componeva, alla parete opposta alla porta, con il ‘lato di Max’, ovvero nell’angolo a sinistra il suo comodino, decisamente più ordinato di quello della sua coinquilina,  una scrivania molto piccola sotto la finestra, con il suo nuovo portatile, una pila di libri scolastici, un ricambio per le pellicole e, tra la scrivania e il mobile, uno specchio alto quasi quanto lei.  Ed era li che era diretta, appena sveglia.
Senza trucco e con gli occhi appesantiti, con la notte tutt’altro che tranquilla, pensò che le sarebbero servite due docce e un miracolo per non apparire una tossicodipendente oggi, al suo ultimo giorno di lezioni. Il pigiama, in contrapposizione a quello di Chloe, si componeva con una maglietta bianca con sopra un sole sorridente e stilizzato, pantaloncini estremamente corti e aderenti di colore giallo canarino.
“Beh, buongiorno a te, zombie nello specchio.”mormorò.
Prese un ricambio di vestiti, andò in bagno e cercò di rendersi presentabile.
Dopo essersi data una sonora lavata al viso, si ammirò per vedere se poteva essere più ‘normale’. Le sue lentiggini risaltavano particolarmente quella mattina, quasi si fossero scurite e moltiplicate nella notte, mentre i suoi occhi apparivano ancora bisognosi di una sana dormita.
Il bagno era estremamente pulito e le piaceva particolarmente l’alternanza di bianco, blu, verde acqua che popolava quella stanza. Sua madre lo aveva arredato e scelto i colori in modo eccelso. Dopotutto, aveva un talento come arredatrice non indifferente.
Si cambiò di abito, uscì e ripercorse il corridoio fino alla sua stanza.
‘Nostra!’ si ripeté, e abbozzò un sorriso.
Lanciò malamente il suo pigiama verso il letto e richiuse la porta. Il piano superiore della villetta dei Caulfield, in Rockwell Avenue[2] a Seattle, si componeva in maniera semplice ma accogliente. Salita la rampa di scale, a sinistra, si trovava la stanza di Max e Chloe. In fondo al corridoio di sinistra, un piccolo sgabuzzino ospitava alcuni scatoloni, un asse da stiro con relativo ferro, un piccolo aspirapolvere (avevano la moquette su tutto il piano di sopra, eccetto nel bagno, ovviamente. Perciò la madre di Max aveva voluto acquistare quest’altro modello meno potente per pulire efficacemente anche di sopra senza portarsi quello grande e pesante su per le scale ogni volta), e un kit di pulizia estremamente efficace per il bagno.
A destra del corridoio si trovavano la camera dei genitori di Max, lo studiolo/biblioteca e , in fondo al centro, il bagno. 
Max scese velocemente le scale, attratta dal profumo di pancake e dal chiacchiericcio che era udibile ma non comprensibile. Distingueva limpidamente la voce di Chloe che, già di prima mattina, si stagliava sonora e vivace come sempre.
Il piano di sotto era più semplice ma più familiare: appena scese la scale ci si trovava in salotto, composto da due poltrone di velluto e un ampio divano in pelle, con un televisore gigante nell’angolo, tra una credenza con l’argenteria di mamma a destra e una finestra che dava sulla parte frontale del giardino, a sinistra. In centro vi stava un tavolino in legno e vetro trasparente e sotto di esso un bellissimo tappeto orientale (ma non costoso) cremisi con rifiniti disegni e ghirigori in rosso, nero e giallo. Alle spalle di tutto, concludendo il salotto, vi era il tavolo da pranzo e un’altra credenza con piatti, bicchieri e posate. Non avendo la moquette, vi era una porzione di parquet per il salotto e classiche piastrelle nel resto. A sinistra delle scale vi era un anticamera e la porta d’ingresso, che ospitava un piccolo armadio a muro che conteneva i cappotti (in inverno), una scarpiera e un portaombrelli. La porta d’ingresso era di un bianco lucido, contornata di specchi opachi cosicché era impossibile vedere chi si trovasse all’esterno e viceversa. A destra della base delle scale, vi era un piccolo bagno per il piano inferiore e la porta che ava sul retro, collegandosi a un bel giardino che sperava di sfruttare pienamente nelle settimane successive, magari acquistando una piscina gonfiabile dove rilassarsi.  Il ripostiglio del piano inferiore stava nel sottoscala che era anche parte della parete. Voltandosi verso ovest si entrava in cucina. Non vi erano muri o porte che impedissero al salotto d collegarsi alla cucina, se si escludono le uniche due pareti che fungevano da piccola anticamera all’ingresso, cosicché si apriva una specie di arco dall’ingresso fino  metà dello spazio occupato dalla cucina, che era ampia e luminosa. I ripiani di cottura e il forno erano all’angolo, sovrastati dalla cappa, uniti in un mobile unico che prendeva la parete che dava verso il giardino e l’ingresso, fino alla parete estrema a ovest, interrompendosi poco prima della porta che dava sul garage. La parete ovest era anche occupata da vari mobiletti, mentre il resto, escluse le tende per la finestra, era lasciato libero e senza mobilio, esclusi un paio di quadretti e una piccola mensola per le spezie. Vicino al muro che univa con l’ingresso vi era un ripiano dedicato a un paio di volumi di ricette che Max non aveva mai visto venire adoperati.
Al centro vi era la penisola, usata al mattino come ripiano colazione, con tanto di sei sgabelli per accomodarsi. Li vi erano, già operativi e impegnati a parlottare, i suoi genitori, Vanessa e Ryan Caulfield, con Chloe.
Max era più simile alla madre nei lineamenti del viso e nel taglio e colore degli occhi. Inoltre, Vanessa era minuta, graziosa e non molto alta. Da suo padre Ryan, invece, non aveva preso quasi nulla: suo padre era imponente, un po’ corpulento, con barba e corti capelli rosso/castani, occhi limpidi e azzurrini e un viso tondo. Forse solo le lentiggini erano un lascito genetico prettamente paterno (Ryan rimarcava delle lontane origini irlandesi mai confermate), mentre per i capelli era ancora un dubbio, poiché Ryan Caulfield aveva una colorazione più chiara rispetto alla figlia che, nella sua chioma castano rossastra, spiccava decisamente una tonalità più scura, rendendola ancora più simile a sua madre.
“…e quindi gli ho risposto ‘senti testa di cazzo, se quello non lo paghi non è un problema mio, ma di sicuro sarà un problema tuo se mi verrà detratto dallo stipendio perché ti metto sotto con il mio pick-up scassato!’” stava raccontando Chloe, evidentemente la conclusione di un aneddoto accaduto ieri al lavoro e, probabilmente, divertente dato che i coniugi Caulfield cominciarono a ridacchiare.
“Buongiorno a tutti.” annunciò Max entrando in cucina.
“Hey tesoro, ben alzata. Pronta per il tuo ultimo giorno di studi?” l’accolse sua madre, con il solito tono caloroso e sereno “Guarda! Chloe ci ha fatto i pancake.”
Chloe si voltò verso di Max e l’accolse con un sorriso e un occhiolino
“Beh volevo che avessi le migliori energie per affrontare il tuo ultimo, momentaneo, giorno di gabbio per artisti in erba.”
Appoggiò un piatto al posto di Max e poi si voltò, pronta a lavare i piatti.
“Oh no cara! Lascia  subito tutto cosi com’è ! Ci penserò io a lavare prima di andare al lavoro. Tu ci hai preparato la colazione e rischi di fare tardi!”esclamò Vanessa.
“No problem Vanessa. Sono in preciso orario per una volta e poi ci tengo a sistemare almeno le pentole. I piatti ve li lascio volentieri, invece.”
Max sapeva del perché Chloe si rendeva così disponibile: gli pesava vivere con loro. Non in maniera eccessiva o negativa ma le dispiaceva essere di peso per la famiglia Caulfield e voleva poter essere utile il più possibile. Aveva perso il conto delle volte in cui i suoi genitori, alla sera, la tranquillizzassero in merito, poiché se erano resi conto. Per loro era come essere di nuovo ad Arcadia Bay, quando lei e Max si alternavano le ospitalità presso le rispettive famiglie. Per loro, Chloe era di famiglia e le avevano ripetuto che il suo arrivo non aveva impattato minimamente le loro finanze e che erano solo felici di poterla avere li e più sereni sapendola sotto il loro tetto che in qualche squallida stanza di affitto in periferia. Max sapeva, anche se tutti lo negavano in casa, che Chloe lasciava parte della sua paga ai Caulfield. Vi fu una discussione (amichevole ovviamente) in merito e alla fine la spuntarono entrambe le parti, lasciando a Chloe la possibilità di versare dei contanti in casa ma  a una cifra pattuita dai Caulfield che era, praticamente, irrisoria. I suoi volevano che Chloe potesse mettere via da parte il più possibile e non perché si sistemasse il prima possibile ma perché avesse avuto una solida base per ricominciare in un futuro. Per quanto riguardava i Caulfield, Vanessa e Ryan si sarebbero tenuti Chloe sotto il loro tetto anche per altri vent’anni con opzione di rinnovo per altri venti. La adoravano e non mostravano eccessiva pietà verso di lei per ciò che aveva passato, cosa che Chloe adorava moltissimo. Si sentiva amata e accettata e non l’aveva mai vista così felice e serena in famiglia da secoli. Pensando questo, Max si sentì in colpa verso Joyce…
“Chloe sei favolosa. E questi pancake… dio mio” commento Ryan, ingurgitando il suo ennesimo pancake della mattinata, non curandosi del rivolo di sciroppo d’acero che pendeva sulla barba. Max ridacchiò: suo padre era sempre cosi inconsapevolmente buffo e maldestro da renderlo tenero. Ecco un’altra cosa in comune!
Chloe arrossì lievemente ma se ne accorse nessun, dato che era di spalle a lavare. Max si accomodò di fronte a sua madre e si versò del succo d’arancia, prima di arpionare i suoi pancake.
“Dormito bene tesoro?” chiese sua madre
“Si.”
“Non si direbbe. Hai una faccia…”
“No, è tutto ok. “replicò con finta nonchalance. Non se la sentiva di parlarle del suo incubo “Dopo farò finta di truccarmi come mio solito e vedrete che sarà tutto nella norma.”
“Ok.”rispose sua madre, sorseggiando il caffè “Eppure stanotte mi è sembrato di sentirti mugugnare e lamentarti e mi ero preoccupata ma non ho voluto disturbarvi.”
Chloe si voltò di scatto, portandosi una mano alla bocca ed esclamò
“Oh no che imbarazzo! Chiedo scusa Vanessa, colpa mia. Ho detto a Max di trattenersi ma stanotte non voleva proprio darmi retta e..”
“CHLOE!” strillò Max, arrossendo visibilmente
Ryan e Vanessa, invece, risero di gusto.
“Tranquilla tesorino, si scherzava. Max ha avuto un incubo.”
Vanessa smise di ridere fissò preoccupata la figlia
“Davvero? Di nuovo?”
“Si ma… mamma non preoccuparti, ok? E’ tutto sotto controllo. Sto bene.”
“Domani andate dal dottor Rogers, giusto? Glielo dirai, vero?”
“Si mamma. Ma tanto sappiamo già cosa dirà, no?” mormorò Max
Il dottor Edmund Rogers era il loro psicoterapeuta. Aerano riusciti a convincerlo a ricevere lei e Chloe assieme, anche se la prassi non lo prevedeva. Ma, vista la situazione, si era convinto e le aveva accettate come pazienti. Sapeva già degli incubi ricorrenti e tranquillizzava sempre molto le ragazze, anche Chloe che di base non era una fan degli strizzacervelli.
Aveva diagnosticato loro un disturbo da stress post – traumatico e, nel complesso, erano comunque felici del trattamento e del dottor Rogers. Quello che Max non gradiva è che non poteva dire la verità  sui fatti di Arcadia. O almeno, non tutta la verità.
Ma anche se gli avesse confessato tutto, gli avrebbe creduto? No di certo. Al massimo avrebbe cambiato la diagnosi e l’avrebbe fatta internare in qualche ospedale psichiatrico.
 
Ma certo signorina Caulfield. Alzi pure la sua mano destra e riavvolga il tempo mentre la sediamo e le infiliamo una camicia di forza!
 
“Beh tu comunque vedi parlargli  lo stesso di questo incubo ricorrente” affermò Vanessa “Sappiamo che non è facile e non sarà un percorso breve, ma teniamo alla vostra salute e sono certa che ne uscirete prima di quanto crediate.”
“Sicuro Vanessa!”affermò Chloe, con un inaspettato ottimismo “Anche se non mi sarebbe dispiaciuto prendere dei bei pilloloni di tranquillante. Ma mi farò bastare l’erba.”
“Basta che la fumi in giardino, tesoro.”rispose Vanessa. Max ancora faticava a credere quanto i suoi fossero mentalmente aperti.
Chloe prese il suo zainetto, si avvicinò a Max e le diede un bacio sulla fronte
“Ci si vede dopo, allora? Torni a casa con me quando stacco?” chiese
“Woo ragazze, troppa dolcezza qui. Mi basta lo sciroppo d’acero per condire i pancake!”disse Ryan, assistendo alla scena. Chloe sorrise divertita.
“Certo, stupida.” rispose Max con un mezzo sorriso anche lei, ma ignorando suo padre “Basta che non ti metti a fare battute idiote anche davanti al tuo capo e i clienti”
Chloe ridacchiò e le diede un buffetto sulla guancia, come se fosse una bambina
“Hey io sono professionale al lavoro!”
“Ma certo… come no!”rispose Max, ma Chloe riteneva chiusa la cosa e prese le chiavi del suo pick-up dalla ciotola portachiavi e si mise le scarpe, preparandosi a uscire
“Ah dimenticavo Chloe!” strillò Vanessa “Alle diciotto verranno i vostri avvocati. Hanno bisogno di parlare ancora con voi!”
“Che paaaallllleeeeee!!”esclamò “Che vogliono ancora da noi?””
“E’ la prassi tesoro.” disse Ryan
“Ok, ok. Ma io non so se arriverò in tempo. E dovrò farmi una doccia!”
“Vorrà dire che aspetteranno.”rispose Ryan “Tanto hanno meno fretta di voi in questa storia. Anche se temo che ci siano novità, ma non vogliono dirmele per telefono.”
Choe alzò un pollice verso l’alto
“Bueno. A dopo famiglia Cauflield!”
E uscì di casa, senza attendere risposta.
Max si premurò di addentare un paio di pancake (complimenti davvero Chloe!) prima di rivolgersi ai suoi genitori
“Quindi normale routine,  giusto? Altre domande sulle stesse cose?”
Ryan, che aveva iniziato la lettura del giornale, l’abbandonò e fissò la figlia negli occhi
“Temo di si, Max. So che non vi piace ma avete già fatto molto. Si tratta solo di noiose procedure burocratiche.”
“E perché pensi ci siano delle novità?”
“Questo non so dirtelo, tesoro. Diciamo che è una mia impressione. Forte, forte impressione. Ma hanno già accettato di venirvi incontro lasciando che sia io il vostro ‘segretario’ a cui debbano rivolgersi, per lasciarvi serene visto il vostro status. Ormai siete delle donne adulte e, in teoria, io non dovrei nemmeno essere tirato in mezzo. Perciò apprezziamo che almeno si rivolgano a me per fissare gli appuntamenti e siano disponibili a venire addirittura qui, senza che ci dobbiamo scomodare per andare fino in centro. Se hanno delle novità sul caso, voi ascoltateli e poi ne parleremo.”
Max annuì.
Era vero, dopotutto. Lei e Chloe avrebbero dovuto parlare personalmente con gli avvocati ogni volta, ma suo padre si era messo in mezzo, chiedendo un po’ di respiro per loro, offrendosi di fare da ‘segretario’ per le ragazze. Inoltre, tra le enormi concessioni, vi fu quella di non presentarsi fisicamente all’udienza preliminare nel processo a Mark Jefferson (cosa che Max vide come un enorme peso di cui si era liberata, togliendosi un bel carico di ansia dal petto). L’dea di rivedere il suo ex insegnante, seppure in una aula di tribunale, la terrorizzava. Anche se, in teoria, solo Chloe sapeva del perché: lei, ufficialmente, non era MAI stata una vittima. Peccato che il peso dei ricordi, talvolta, riaffiorasse. Potente come il tornado, ugualmente devastane e psicologicamente più viscido. Il vantaggio del suo potere era, adesso, il suo più atroce dei difetti.
Gli avvocati si erano accontentati di vedersi consegnare il messaggio vocale lasciatole da Nathan Prescott poco prima di morire (ufficialmente non era stato dichiarato morto, dato che non era mai stato rivenuto un corpo e, per ora, la tesi della fuga a Los Angeles, sostenuta da un biglietto d’autobus pagato e intestato a Nathan, reggeva ancora nell’impianto difensivo dei legali di Jefferson), un video in cui sia lei  che Chloe rilasciavano una piena testimonianza degli eventi, registrato presso la stazione di polizia di Seattle, in presenza degli avvocati di ambedue, e una copia firmata della trascrizione delle loro dichiarazioni.
Dopodiché, Max si rifiutò categoricamente di seguire il processo al suo ex insegnante, definito dai media, con una certa mancanza di tatto, il ‘Processo al fotografo delle studentesse’. Lo trovava cosi strumentale e di poco gusto. Processo Jefferson sarebbe stato più razionale e moralmente accettabile.
Quindi si, doveva ammettere che i suoi legali erano stati straordinariamente umani verso di loro e le avevano promesso che, se fosse stato possibile, non le avrebbero mai coinvolte fisicamente nell’impianto accusatorio e avrebbero sfruttato le loro testimonianze videoregistrate fintantoché fosse possibile farlo.
“Beh io vado a lavarmi i denti e prendere la giacca. Max, se ti sbrighi ti accompagno io a scuola.”disse Ryan
“Non preoccuparti. Prenderò il bus.”
“Insisto. Devo andare in quella direzione, oggi, per lavoro. Non ho nessun problema a portatrici. E almeno passo da solo con la mia donna preferita.” Insisté il padre che, con un finto tono sommesso aggiunse “Ma non dirlo a tua madre! E’ gelosa!”
Max ridacchio e acconsentì ad andare con lui.
Finì la colazione, lavò il suo piatto, mentre sua madre finiva di lavare gli altri e andò a lavarsi i denti e si truccò sbrigativamente almeno attorno agli occhi. Prese la sua borsa a tracolla, una delle poche cose sopravvissute da Arcadia e si avvicinò all’ingresso, dove suo padre l’attendeva, già in giacca e cravatta, con dei bellissimi mocassini in pelle.
“Buona giornata a entrambi!”strillò Vanessa, che fece capolino dalla cucina “E se vi comportate bene, stasera per festeggiare la fine delle lezioni prendo due chili di gelato di ritorno dal lavoro  e vi faccio i Cheeseburger alla Vanessa!”
“Ecco perché ti amo.”rispose Ryan, leccandosi i baffi “A stasera”
“Ciao Ma’!”
Il sole e la calura di Giugno le colpirono il viso appena fu fuori. Il giardino, almeno davanti, era ben curato ma abbastanza spoglio, se si escludono le due siepi accanto al vialetto di accesso principale e quelle che accostavano lo steccato dal lato est, con i vicini. Max attraversò, camminando sull’erba, la distanza che separava il vialetto in ciottoli bianchi che portava all’ingresso, fino a quello del garage. Senza la macchina di Chloe, suo padre poteva tirare fuori il suo suv, un Ford Edge del 2013,  bianco perla, completamente accessoriato, acquistato solamente otto mesi fa. Era con quello che l’aveva accompagnata alla Blackwell, sostenendo l’acquisto mirato proprio per quella occasione.
“La bambina deve portare giù molti scatoloni, Vanessa!” si era giustificato Ryan, quando era tornato a casa con il suv, notando lo sguardo stupido e furibondo di sua moglie.
“Avevi detto che volevi cambiare auto, non prendere un furgone! E che lo avresti fatto il prossimo anno!” aveva tuonato lei in risposta.
“Beh mancano pochi mesi alla fine dell’anno. Ho solo anticipato un pochino. E poi vedessi che sconto mi ha fatto!”
Vanessa si era vendicata cucinando insalata per una settimana. Max era finita in mezzo a quella guerra e aveva iniziato a odiare anche lei quel suv. Ora, però, lo adorava. Specie il suo impianto di climatizzazione.
Montò sul sedile del passeggero e suo padre mise in moto, imboccando Rockwell Avenue e dirigendosi a sud.
Nonostante l’imponente auto, la musica al suo interno cozzava totalmente.
Suo padre aveva messo a tutto volume l’ennesima compilation di musiche country. Al momento risuonava nell’abitacolo Callin’ Baton Rouge  di Garth Brooks. L’aveva sentita almeno un centinaio di volte.
La passione per la musica country era, tra le altre cose, uno dei motivi che cementò la storica amicizia tra i Price e i Caulfield , ai tempi di Arcadia Bay. Il padre di Chloe, William, era un fanatico della musica country, molto più di suo padre. Max ricordava ancora un Quattro Luglio passato dai Price, in giardino, con griglia e birra (non per lei e Chloe ovviamente) in cui i due padri di famiglia discussero fino a sera degli album di Alan Jackoson, Willie Nelson, Faith Hill, Sono Williams e Dolly Parton.
A un certo punto, William Price si impose di far ascoltare a tutti l’album We Only Make Belive di Conway Twitty e Loretta Lynn, facendo nascere in Joyce l’esigenza di chiudere i festeggiamenti,  dichiarando che era l’ora dei fuochi d’artificio e sussurrando a Vanessa “Appena terminano i fuochi, prendi Max e Ryan e fuggite!”.
Sua madre, divertita, annuì e il piano andò come previsto, risparmiando a tutti l’ascolto di Twitty&Lynn.
“Ancora non capisco come non faccia a piacerti uno come Brooks” disse suo padre “E si che sei tu l’ artista di casa.”
“Mi avvalgo della facoltà di non rispondere, papà.”replicò lei
Ryan ridacchiò
“Pensavo non volessi andare in tribunale. Eppure ti alleni a rispondere come si deve.”
“Lasciamo perdere. Non oso immaginare come starei se dovessi andare. Cosa pensi che vogliano dirci? Che ora dobbiamo per forza essere presenti al prossimo processo?”
“Non so davvero, tesoro.”disse Ryan, abbastanza scoraggiato “Ma posso intuire.”
“E come mai?”
“Beh vedi Max io….. io sto seguendo un po’ la faccenda. Non quando tu e Chloe siete in giro, ovviamente, ma preferisco tenermi informato sugli sviluppi. Non so se ti farebbe piacere sapere.”
Max si sentì un po’ meno felice, ora. Ma comunque non demorse
“Dimmi pure.”
Ryan si schiarì la gola, poi disse
“Stanno avendo complicazioni. Parecchie. Sicuramente, Jefferson si vedrà una accusa per occultamento di cadavere e intralcio alla giustizia. Non si sa se sia stato lui fisicamente a seppellire la ragazza degli Amber, ma era li, ha scattato una foto e il giovane Prescott non sembra apparire lucido abbastanza da averlo fatto. O perlomeno non da solo. Quindi la foto che aveva fatto per tenere per le palle i Prescott, nel caso Nathan gli cominciasse a fare domande, gli si è ritorta contro. Ora sono sicuri che abbia seppellito lui la ragazza. Era in discarica con Nathan, ha fatto la foto e forse l’ha seppellita lui, senza mai denunciare nulla, pur avendo la scuola tappezzata di volantini da Chloe. Che freddo bastardo.”fece una piccola pausa mentre svoltava con l’auto, poi riprese “Ma le buone notizie potrebbero essere finite qui. Benché in quella prigione sotterranea abbiano trovato un sostanzioso numero di raccoglitori con foto, non riescono a determinare quante, ed eventualmente quali, delle ragazze fossero vittime e quante e quali fossero consenzienti. Il raccoglitore di Victoria Chase era vuoto e, essendo la ragazza deceduta a causa del tornado…”
“Quindi Victoria è morta?” esclamò Max. Non aveva più avuto notizie di lei
“Già. Un pezzo della recinzione della recinzione del campo da football si è staccato a causa del vento. La ragazza era, per qualche strana ragione, fuori dal dormitorio nonostante gli avvisi di non abbandonare le stanze. Pare volesse recuperare i suoi lavori dal laboratorio di fotografia, o cosi dicono. Beh, è stata colpita in pieno alla nuca, poco fuori la rampa delle scale che portava dai dormitori allo spiazzo centrale antistante l’ingresso della scuola. Non so se sia morta sul colpo, ma non credo. Mi spiace dirtelo Eravate amiche?”
Max scosse la testa
“No, per niente. Anche se ci stavamo avvicinando. Era una ragazza un po’ complicata ma non era cattiva. Ammetto che mi dispiace e che…
 
(l’ho assassinata io. Sono stata io. L’ho uccisa io. Non mi bastava averle macchiato il maglioncino con la vernice per vendicarmi? Ma non volevo vendicarmi, o forse si? Mi ha tartassato cosi tanto che non ne potevo più. Sono un mostro? No…. Stavamo facendo pace….ci stavamo avvicinando… la stimavo, la stimavo davvero tanto…. Ma allora perché non l’ho avvertita del tornado? L’ho avvertita la sera prima al party, per salvarla dalla oscena trappola di Nathan e Jefferson, ma non l’ho salvata dal tornado? Che cazzo di mostro sono?”)
 
…non era cattiva anche se era si pavoneggiava tantissimo. Meritava di diventare una buona fotografa.”concluse.
Ryan appoggiò una mano sul ginocchio della figlia
“Non potevi fare nulla Max. Hai fatto tantissimo, e quando te ne accorgerai lo ammetterai anche a te stessa.”cercò di consolarla “Comunque, il raccoglitore della Chase era vuoto e, essendo morta, nessuno può smentire ne confermare che sarebbe stato un set volontario. Lo stesso vale per Kate Marsh, per la quale rischia grosso anche verso di lei. Le foto trovate nel raccoglitore che, secondo i media, non sembrano consenzienti, se non addirittura con la ragazzina che appare sotto l’effetto di stupefacenti,  sembrano cambiare le carte in tavola. Se si pensa al video presente sul web durante la festa svoltasi pochi giorni prima che quella povera anima decidesse di gettarsi dal tetto e di cui, ancora una volta, voglio dire quanto io sia fiero di te per aver tentato di fermarla, la cosa sembra combaciare. Beh questi elementi potrebbero far apparire Kate Marsh come una vittima di Jefferson e Nathan Prescott. Inoltre la condotta di Jefferson, pochi minuti prima del suicidio della ragazza, come tu stessa hai riferito “essere fredda” nella tua deposizione. La famiglia, molto credente, ha affermato che la loro bambina non avrebbe mai fatto una cosa simile e che nel video presente sul web non poteva essere in sé. Perciò, se si pensa alla morte per overdose della Amber, direi che Kate Marsh potrebbe essere aggiunta alle vittime di Jefferson e lui dovrà vedersi aggiunta una nuova accusa.”
“Beh ma sembrano notizie positive queste, non allarmanti. Altri capi d’accusa!”
Ryan fece una smorfia
“Fammi finire tesoro. Purtroppo queste non sono avvalorate. Non si capisce, come ti ho detto, se tutte le ragazze trovate in quei raccoglitori siano consenzienti o no. Le prove vertono solo su Rachel Amber e Kate Marsh ed entrambe, purtroppo per loro, hanno incrociato la loro strada con Nathan Prescott, e su questo non si può discutere. Jefferson sta cercando di fare la parte del ‘mentore tradito’. Sapeva che il ragazzo aveva dei problemi, degli impulsi, e voleva tenerlo a freno ma il giovane Prescott voleva fare di tutto per essere amato da lui. E sulla base delle due vittime della Blackwell, la storia non sembra assurda.”
“Ma le altre! Ci sono altre!”
“Si ma non sono state rintracciate ancora. L’FBI è scesa in campo, poiché Jefferson operava anche qui, a Seattle, negli anni 90 e per qualche mese nei primi anni duemila. Prima di Arcadia Bay è stato in Utah e Colorado. Sanno che ha studiato a Chicago. Non ci sono prove sufficienti per incriminarlo per tutte le ragazze, ne abbastanza indicazioni precise su tutte quelle trovate. Attualmente, rischia solo per le due di Arcadia, ma il giudizio maggiore di colpevolezza sembra pendere su Nathan Prescott.”
“Che è morto!” esclamò Max
“Non c’è un corpo. Se Jefferson si trova in quel limbo è grazie a te e al messaggio che il giovane Prescott ti ha lasciato in segreteria, ma bilanciano perfettamente gli indizi che vogliono che lui sia il vero autore dei misfatti della Blackwell e Jefferson come complice, mentre la famiglia Prescott ancora non si pronuncia. Se saltasse fuori Nathan, vivo o morto, la bilancia prenderebbe finalmente una piega decisiva.”
Ora Max si sentiva furiosa come non mai.
“Ma dal messaggio che mi ha lasciato è ovvio che sia stato ucciso. Ucciso da Jefferson, ovviamente. Che poi ha inscenato tutto!”
Ryan rallentò in prossimità di un semaforo rosso. Erano quasi arrivati. A breve avrebbero preso Fremont Avenue e poi il ponte e infine svoltato a destra, su Nickelson Street.
“Amore, fidati: io ti credo. Non perché sia tuo padre, ma perché so benissimo che sei sincera e so che non ti sbagli, oltretutto perché hai vissuto tutto questo sulla tua pelle, hai vissuto a contatto con Nathan e hai conosciuto da vicino Mark Jefferson e se tu pensi che sia andata come dici tu, io ti credo ciecamente. Se ti può consolare, moltissimi la pensano come te. L’opinione pubblica è convinta che sia cosi. Jefferson è la mente manipolatrice e Nathan un pericoloso ma malleabile ragazzo di buona famiglia con una cartella clinica e precedenti non da poco. I Prescott hanno insabbiato tanto, ma non potevano più farlo dopo il disastro e lo scandalo combinato dal figlio, oltre ai dottori di Nathan che pare stiano iniziando a parlare. Io ti credo totalmente, Maxine. Ma giuridicamente servono prove. E purtroppo mancano dei tasselli.”
Max fissò suo padre, in silenzio, sconsolata.
Poco prima che scattò il verde disse
“Grazie papà.” e gli strinse la mano.
Rimasero in silenzio, con la compilation country in sottofondo.
A pochi passi dall’ingresso della Fine Art Academy,  Ryan Caulfield accostò per far scendere la figlia. Prima però, si sporse per farsi dare un bacio sulla guancia e disse
“Goditi il tuo ultimo giorno di scuola! E domani sera porto fuori a cena mamma. Sarà un secolo che non usciamo un sabato sera da soli. Cosi tu e Chloe avete casa libera e un po’ di privacy per voi se..”
“OH CEREALI! PAPA’ TI PREGO!”
Ryan ridacchio di gusto
“Hey lo faccio per voi. Non occorre arrossire cosi violentemente”
“Smettila!”
“Ok, ok. Beh io e tua madre andremo fuori. Non tornate tardi oggi, almeno vi levate il pensiero.”
Max aprì la portiera, prese la sua tracolla, che aveva sistemato ai piedi, e fissò il padre
“Tranquillo.” Rispose “Saremo puntuali e ti prometto che saremo partecipi e collaborative come al solito. Voglio che quel maniaco marcisca in prigione.”
Ryan alzò il pollice in segno di approvazione e si sciolse in un largo sorriso.
Max fece per chiudere la portiera ma si fermò e si rivolse nuovamente a suo padre
“Hey papà quasi dimenticavo: Max, mai Maxine.”
Chiuse la portiera e si incamminò verso il suo ultimo giorno del suo primo, bizzarro, tormentato anno scolastico come studentessa di fotografia.
 
 
 

3.
 

 
Il cielo era limpidissimo e il sole del pomeriggio regalava una perfetta giornata per rilassarsi all’aria aperta. Le lezioni erano finalmente terminate e Max uscì dall’edificio scolastico con un lieve sentore di dispiacere: dopotutto la fotografia restava la sua passione e non frequentare più le lezioni per quasi tre mesi la faceva sentire come se non sarebbe cresciuta ulteriormente come fotografa. Ma era solo una leggera puntina nel retro della sua testa. Il resto delle emozioni era un susseguirsi di rilassamento, gioia e spensieratezza. Avrebbe passato le giornate a staccare definitivamente la spina, cosa di cui aveva un bisogno estremo. Avrebbe potuto passare molto più tempo con Chloe e i pochi amici che avevano.
Finalmente avrebbe potuto leggere tutti quei libri che le avevano regalato a Natale, riordinare le sue cose che, in fretta e furia, erano state ritirate fuori dagli scatoloni e messi in camera, riordinare i suoi album fotografici e, soprattutto, migliorare, migliorare e ancora migliorare la sua tecnica. Seattle offriva centinaia di spunti per delle ottime fotografie e voleva collezionarne il più possibile.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e rispose al messaggio che le era arrivato una oretta prima. Era di Fernando e recitava:
 
‘Ýo Max! Come stai? Da oggi quindi sei ufficialmente una elfa libera, vero? Stasera io e Kristen ci andiamo a bere una cosa al Targy’s Tavern. Sei dei nostri? Viene anche Chloe se non lavora? Fammi sapere appena puoi, intanto sento anche Owen e Melissa!’
 
Sorrise e rispose affermativamente all’invito, dicendo che si sarebbe presentata anche Chloe. Voleva bene a Fernando e Kristen, gli unici due amici che si era fatta a Seattle durante i suoi primi cinque anni di permanenza. Era così contenta di sapere che erano ancora li e le volevano ancora bene, nonostante avesse deciso di tornare ad Arcadia Bay, seppure per poco. Loro stavano aiutando lei e Chloe a rifarsi una vita sociale e a distrarsi notevolmente dai pensieri negativi che popolavano, specie nelle prime settimane, i loro pensieri.
Prese le cuffiette del telefono e le indossò. Poi scorse la sua playlist in cerca di qualcosa di rilassante che l’accompagnasse durante la sua breve passeggiata fino al Bake ‘n’ Take .
La scelta ricadde su Torn on the Platform di Jack Penate. Schiacciò play e si diresse a sud, lungo la 3rd Avenue, seguendo il marciapiede.
 
Once more just before I'm leaving
Torn on the platform
Once more just before I'm leaving
Torn on the platform

 
Il sole le colpiva il viso e le braccia nude mentre camminava senza fretta.
Si sentiva bene, il ricordo della notte sembrava dissoltosi totalmente dalla sua mente, lasciando ampi spazi di luce, pensieri su come avrebbe impiegato le sue giornate e la fantastica prospettiva del viaggio in California.
 
'Cause I miss you and I love you
And I know this is over for now
'Cause I miss you, oh, how I miss you
You're not my girl you're my town

A weekend away, leave the city today
Don't want the big smoke to leave me behind
The train leaves at 2, Platform 3 Waterloo
50 p to the tramp makes me feel kind

 
Era arrivata all’incrocio con Fulton Street e li, con la sua solita aria semplice ma graziosa, si trovava il Bake ‘n’ take. Le vetrine trasparenti del negozio erano spoglie, eccetto per il nome del locale dipinto in verde e con una forma che faceva pensare che fossero fatte con dei palloncini, disposta al centro esatto. L’aggiunta più recente era ad opera di Chloe, che aveva dato prova del su lato artistico: aveva dipinto una fetta di cheesecake umanizzata che portava in trionfo un donut al cioccolato.
L’esterno si completava  con dei pochi tavolini e sedie, dipinte anch’esse in verde, e delle tende da sole, sempre verdi, con il nome del locale però in bianco.
Mentre si avvicinò al locale, intravide Chloe. Era indaffarata e stava servendo una coppietta giovane, forse coetanei o poco più grandi di lei, con il vassoio ben carico nonostante fossero solo due clienti.
La adorava nella divisa da lavoro. Maglietta a maniche corte e bianca da cui faceva bella mostra il suo tatuaggio sul braccio destro, camice lungo verde e una targhetta in cui, anche se non la vedeva lo sapeva, non aveva ancora messo la sua foto. Si rifiutava categoricamente di metterla per motivi noti solo a lei. I pantaloni neri e strappati sulle ginocchia erano la sola  testimonianza ( se si escludono i capelli bluastri) della sua anima punk, anche se oramai pareva meno esuberante. Sorrise nel vederla indaffarata e decise di fare una piccola deviazione, prima di andare a trovarla.
Attraversò la strada e si infilò nel David Rogers Park. Cercò un angolo abbastanza riparato per potersi sedere all’ombra, tolse le cuffiette e prese la sua macchina fotografica. Da quella distanza non poteva fotografare di nascosto Chloe, ma poteva comunque trovare degli interessantissimi soggetti ignari da ritrarre.
Mentre cercava con occhio accorto qualcosa di interessante da immortalare, si ricordò della promessa di Leonard, capo di Chloe e proprietario del  Bake,  ovvero una fetta di cheesecake alla fragola per festeggiare la fine dell’anno scolastico. Gli venne subito l’acquolina in bocca  al pensiero: e pensare che contava di prendersi un donut e un caffè e basta!
I dolci, quasi tutti, erano preparati da Marla, la moglie di Leonard e co-fondatrice del locale, assieme a due ragazze giovani che la seguivano passo passo, per non far calare la qualità della cucina. La storia del Bake ‘n’ take  era così dolce e semplice da meritarsi almeno una menzione su Wikipedia, se solo avessero permesso di crearle una pagina.
Nel 1988, Leonard Foster e sua moglie Marla inaugurarono un carretto di panini e dolci chiamato Bake on the road, e si posizionavano di fronte a scuole, università e anche uffici, girando per tutta Seattle, alternando quartieri differenti ogni giorno, dalla mattina presto fino a dopo pranzo. Poi rientravano e preparavano tutto per il giorno dopo. E cosi via, per tre anni. Poi risparmiarono abbastanza da permettersi un piccolo negozietto che chiamarono ‘Bake ‘n’ Cake’ , in cui fornivano solo cibo, bevande ma niente spazio per accomodarsi, in Boston Street. Nonostante il piccolo spazio, il loro successo non calò e a metà degli anni Novanta rilevarono l’attuale negozio, ampliandolo e rinnovandolo continuamente. Erano una garanzia della zona e la loro clientela variava dagli studenti agli impiegati, dai turisti ai locali. Inoltre, Leonard e Marla offrivano sempre lavoro agli studenti locali, con  contratti vantaggiosi e che si sposavano con le esigenze degli studi. Sostenevano che preferivano tutelare il futuro dei ragazzi, che sapevano essere di passaggio, piuttosto che ostacolarli. L’essenziale era, secondo loro, che chiamassero i loro amici a fare sempre colazione al locale.
Per Chloe avevano fatto uno strappo alla regola. Avevano già del personale regolare e di studenti per occupare le altre ore erano più che a posto ma, nonostante lei non si presentasse come una profuga disperata di Arcadia Bay, ne apprezzarono la buona volontà e , dopo solo due settimane di prova, l’assunsero. Chloe si trovava benissimo, benché non fosse quello il lavoro della sua vita e, ricordato una frase di sua madre, non aveva intenzione di fare la cameriera a vita. Voleva riprendere gli studi, in scienze per la quale era portata oppure, su consiglio di Max, seguire anche lei una chiamata artistica e cimentarsi nel disegno. Ora però diceva, preferiva risparmiare e sistemarsi il prima possibile. Era ancora convinta che i Caulfield l’avrebbero lasciata andare, ma si sarebbero opposti e lei sarebbe rimasta finché anche Max non avrebbe scelto di abbandonare il nido familiare e cercarsi una sistemazione.
Dopo una mezz’ora abbondante, Max aveva scattato un paio di foto che riteneva interessanti. La prima ritraeva un anziano signore ben vestito che dava da mangiare agli uccelli. Il sole filtrava tra gli alberi macchiando il terreno come fosse una pelle di leopardo. Aveva colto il momento esatto in cui le briciole abbandonavano il palmo della mano e le aveva congelate a mezz’aria, con gli uccelli in trepidante attesa.
L’altra era più rozza, ma le era sembrata adeguata al suo stato d’animo: il sole filtrava tra i palazzi e rifletteva sulle finestra, dando un effetto quasi caleidoscopico. Ecco come si sentiva: un riflesso costante di migliaia di ricordi, decine di emozioni, vive, calde, forti e vitali, anche quelle più dolorose.
Era tornata all’ombra per ammirare meglio le foto, quando le parve che qualcosa non andasse. Il sole si era fatto più debole…
 
(forse una nuvola passeggera?)
 
…e sentiva un brivido sulla pelle nuda delle braccia. Non era previsto nessun cambio di clima per oggi! Nessun temporale, che lei ricordasse.
D’improvviso, un vento gelido e fortissimo si alzò alle sue spalle, scombinandole i capelli e quasi sbattendola a terra.
Colta di sorpresa, si voltò di scatto e lo vide
 
IL TORNADO
 
No
Cazzo no
Non è possibile
 
 Il vortice gigantesco e mortale si stagliava tra i palazzi, fischiando e strappando dal suolo tutto quello che poteva. Sentì paura, rabbia e confusione montarle nel petto.  Non poteva essere vero. Lei era al sicuro….
 
(…lo ero? Da cosa sarei al sicuro? Hai incasinato tutto, ed è giusto che tu debba pagare! Egoista, schifosa e bugiarda! Non hai le palle di ammettere al mondo che sei stata tu… SEI STATA TU A DISTRUGGERE ARCADIA BAY, MAX!)
 
… a Seattle. E sveglia. Non era un incubo perché era sveglia!
Fece per scappare ma il vento la spinse al suolo e cadde rovinosamente a terra.
“Signorina, tutto bene?”
Si voltò di scatto verso la voce. Un signore gentile, in tenuta da jogging, era chino su di lei. Max sentiva il terreno caldo scottarle la pelle. Era davvero caduta ma….
“Si. Si tutto bene. Devo essermi distratta.”rispose Max con voce tremante.
“Aspetti che la aiuti.”rispose il runner, che le offrì una mano e la sorresse mentre si rialzava “L’ho vista bloccarsi e cadere. Si sente bene? Ha un colorito pallido…”
“Si. Che imbarazzo… devo aver avuto un calo di zuccheri. Mi capita.”mentì Max, sorridendo all’uomo, come per tranquillizzarlo.
Lui annuì e se ne andò, raggiungendo una donna bionda, anch’ella in tenuta sportiva, che lo aspettava. Moglie o collega? Non importava.
Max rimase un secondo a riflettere. Lo aveva visto. Era certa che fosse reale quel tornado, cosi simile a quello delle sue visioni e che distrusse Arcadia.
“Calmati Max. Sei solo un po’ troppo stressata. L’incubo di stanotte non deve averti aiutata. Andrà tutto bene”  pensò, tentando di convincersi. Ma aveva un grosso dubbio ora in testa e voleva parlarne con Chloe.
Si guardò ancora intorno. Il cielo azzurro e limpido, con un sole magnifico, illuminava tutta Seattle.
Mise vie le foto, la  macchina fotografica , si mise in spalla la sua tracolla e s’avviò verso la sua promessa fetta di cheesecake.
Ancora tremante, decise di sedersi all’interno. Lo trovava più bello e, dopo la visione, più sicuro.
L’interno del Bake era  quasi interamente in legno,  con un bancone ampio e ad angolo, in cui si divideva tra il lato caffetteria e quello delle cibarie. La  cassa stava al centro mentre nel lato opposto, dietro il bancone dedicato al cibo, vi era la porta che portava in cucina e alla parte riservata allo staff.  I tavoli erano quasi tutti circolari e piccoli, mentre sulla parete a destra vi erano tavoli più lunghi, da quattro persone circa. Si sarebbe potuto benissimo spacciare per un pub irlandese o bavarese per come appariva.
Alle colonne che si trovavano in mezzo e nelle pareti, escluse quelle in vetro, vi erano appesi ritratti di gente famosa che era passata di li, anche ex studenti che avevano avuto in seguito una carriera brillante. C’era uno spazio vuoto, in un angolo buio in fondo, vicino alla teca delle torte. Chloe aveva indagato e confermato i sospetti di Max: quello era lo spazio riservato alla foto che ritraeva Mark Jefferson. Leonard e Marla l’avevano fatta sparire prima che Chloe diventasse loro dipendente e Max cliente fidata.
“Un giorno ci troverete la mia Max appesa qui!” sentenziò una volta Chloe rivolta ad alcuni clienti “Vero Leonard?”
“Non vedo l’ora! Le riserverò il posto d’onore!” aveva risposto lui.
Max ricordava quella volta. Molti si erano voltati a guardarla e, nello stesso momento, Chloe le aveva stampato un fragoroso bacio sulla guancia. Sapeva e adorava metterla in imbarazzo. E riusciva sempre.
Appena entrata, Max si diresse al suo tavolino, esattamente al centro del quadrato che era il Bake  e vicino a una delle colonne che intervallavano lo spazio. Non aveva fatto nemmeno metà strada quando
“Attenzione! E’ arrivata la signorina Caulfield!”
La vociona tonante di Leonard aveva riempito la sala.
Leonard Foster era un omone sulla cinquantina. Baffi sale e pepe, qualche capello bianco nascosto sotto un berretto da baseball bianco e personalizzato del locale, t-shirt bianca sempre del locale, jeans e grembiule verde piegato a metà, mostrando orgoglioso il suo pancione. Poteva essere il fratello sbarbato di Babbo Natale. I suoi guizzi occhietti azzurri la fissavano e un sorriso gli si aprì sotto i baffi, mentre abbandonava il bancone per venirle incontro.
“Hey.. ciao Leonard…tutto bene?”rispose Max, un po’ balbettante. Non era ancora abituata a tutta la gioia che Leonard gli dava. Lo adorava.
“Come sempre, piccola mia, come sempre! Allora, felice di aver concluso?”
“Decisamente si, ma un po’ mi mancherà non parlare di fotografia con qualcuno.”
“Beh se ti mancano i tuoi insegnanti, credimi che li troverai qui due volte a settimana, almeno fino a metà luglio. Poi puoi sempre organizzare un bel tavolo con i tuoi compagni di scuola e far uscire di testa Chloe con le ordinazioni” rispose, concludendo con un occhiolino.
Max sorrise ma non aggiunse altro. Non voleva dire che non era riuscita a farsi molti amici tra i suoi nuovi compagni, perlomeno nessuno con cui uscire e passare le giornate. Forse era in parte colpa del fatto che si era inserita ad anno iniziato, forse perché aveva addosso troppe ansie e problemi dalla sua fuga. Stava replicando la Max della Blackwell, ma in peggio.
“Solito tavolino, tesoro?”
“Se possibile si, grazie.”
“Per te qui è sempre possibile!”
Leonard l’accompagnò al tavolo e le scostò galantemente la sedia per farla accomodare.
“Ti lascerei la lista ma so che qualcuno ti ha tenuto via una fetta di cheesecake. E so anche che vuoi un bel cappuccino, ma non posso permettermi di prendere ordinazioni altrimenti…”
“Leonard? Non ci starai provando con la mia ragazza, spero!”
 
La voce di Chloe sbucò dalla cucina. Sorrideva e fissava Leonard con un finto cipiglio arrabbiato
“Parli del diavolo…”disse Max, ridacchiando.
“Non mi permetterei mai! Nemmeno l’ordinazione ho preso. E’ tutta tua. E si, puoi andare in pausa dopo che hai servito Max. Ma non troppo!”sentenziò Leonard, che tornò verso il bancone.
Leonard si congedò, mentre Chloe corse verso Max e l’abbracciò
“Allora? Sei libera ora! Dio che figata! Possiamo spassarcela un sacco da domani!”
“Ma tu lavorerai comunque, Chloe.”
Lei rispose con una smorfia
“Si però ci saranno più occasioni di vedersi, no? Almeno quando non sono di turno, non devo gironzolare da sola. Possiamo esplorare Seattle assieme!”
“Già la conosci meglio di me, piratessa.”
Chloe le scombinò i capelli
“Vado a prenderti la tua stramaledetta cheesecake, ok? E si, anche il cappuccino.”
L’abbandonò al tavolo e Max ne approfittò per tirare fuori le foto che aveva appena fatto e valutarle con calma e al fresco. Dopo pochi minuti, Chloe era di ritorno. Piazzò la fetta di cheesecake davanti a Max, accompagnata dal cappuccino, mentre lei si era presa un donut al cioccolato e un americano.
“Sono nuove? Fa vedere dai.” E gliele tolse dalla mano. Rimase un paio di minuti buoni ad osservarle, poi sentenziò
“Questa del vecchio mi piace, ma mi mette malinconia.”
“Davvero? Non l’ho scattata con quel proposito.”
“Beh ognuno vede trasmessa una emozione differente, no? Io ci sento malinconia. Un povero anziano tutto solo che ha per compagnia dei volatili che se ne stanno li solo per il cibo. Poverino.”
“Da quando Chloe Price ha tanto cuore?”
Chloe rispose con una smorfia
“Spiritosa. Comunque sono belle. Come sempre.”
Max addentò il suo dolce. Era ottimo, ma non se ne stupì più. Mangiare li era una garanzia.
“Prego eh.”disse Chloe “Te l’ho prenotata un mese fa per questa giornata. Marla è davvero una santa se non mi ha ucciso per tutte le volte che gliel’ho ricordato.”
Max si sporse in avanti e prese la mano di Chloe, che stava per prendersi il suo donut.
“Sei tenera, ma volevo mangiare anche io. Ok, ok si sono la tua preferita e mi ringrazi. Ora ho fame anche io!”
“Senti Chloe, Fernando e Kristen ci hanno invitato a bere qualcosa stasera”
“Magnifico. Andiamo.”
“ma domani tu inizi presto. Alle cinque ti devi alzare e..”
“Beh torneremo presto. Che problemi ti fai, Max! Devi festeggiare la fine dei tuoi studi!”
“E’ solo un anno… mica sono finiti.”
“Non importa. Si va a fare un fottuto giro. Cazzo sembriamo delle vecchie: sempre in casa.”sbuffò Chloe.
Max però sapeva che non le dispiaceva stare a casa quattro sere alla settimana. Era diventata una specie di pigrona, ora che lavorava.
“Allora dopo gli mando un messaggio di conferma. Ma usciamo presto e torniamo presto. Intesi?”
“Sissignora!”
Finirono di mangiare e, prima di terminare le bevande, Chloe tornò seria e disse
“Max, stai bene? Sembri pallidina sai?”
Max si rabbuiò. Doveva dirglielo? Certo che si. Non le nascondeva mai nulla
“Vedi Chloe…. È successa una cosa poco fa…”
E le raccontò tutto.
Chloe divenne pallida.  Si avvicinò con la faccia a Max, prendendole entrambe le mani e, abbassando il capo e la voce, chiese
“Come la prima volta? Quando poi è iniziato… tutto?”
“No, no. Sembra diverso. Non ero in un altro luogo, ma esattamente dove mi trovavo. E non è successo nulla, niente di niente, che mi mettesse in allarme o un evento che si ripetesse, facendomi indurre al dubbio che forse potessi aver…”
“Non hai rimandato indietro vero?”
“No, Chloe. Ho giurato che non avrei mai e poi mai più usato i miei poteri. Solo se necessario e solo dopo averne parlato con te. Non ho fatto nulla. Anzi sono attentissima. Non ti dico che fatica e ansia ogni volta che devo muovere la mano. Fossi nata mancina come te, ora non avrei problemi.”
“Ma tu stai bene? Intendo….sai prima l’incubo e ora questo… in pieno giorno.”
“Fisicamente si. Non ti nascondo che mi sono spaventata. Non so che pensare. Forse sto avendo un piccolo crollo nervoso. Forse sto impazzendo del tutto o forse…”
“Forse…?”
Max trattenne il fiato. Doveva dirle del suo dubbio? Certo che si. E sperava di non ottenere una brutta reazione
“… forse, stavolta, non è una premonizione. Ma un modo per dirmi che devo tornare ad Arcadia Bay…”
Chloe spalancò gli occhi.
“NO. Che si congeli l’Inferno prima che ti lasci tornare laggiù. Tu ed io, per il nostro bene, dobbiamo stare lontane da Arcadia. Almeno per po’. Spero per sempre, a dire il vero. Perché pensi questo?”
“Non so Chloe. Sento di aver lasciato in sospeso qualcosa. Sento che ci sia molto altro che non abbiamo fatto. O forse, più semplicemente, li è dove dovrei essere. Li è dove dovrei morire.”
Ora Chloe sembrava decisamente arrabbiata
“Tu non morirai, Max Caulfield. Non ti azzardare nemmeno a pensarlo. Tu devi sopportare me, ok? E non esiste nemmeno che torni ad Arcadia Bay. Se porti il tuo culo ossuto fuori da Seattle, sarà solo per andare a ustionare la tua delicata epidermide nel sud degli USA, chiaro? E magari farci un bagno nude al chiaro di luna, ma non ho ancora deciso esattamente il piano.”
Max sorrise. La capacità di Chloe di rimetterla di buon umore era strabiliante.
“D’accordo. Ma domattina ne parliamo con il dottor Rogers. Si anche di questo.“aggiunse davanti alla faccia contrita di Chloe “Non mi importa se mi prescriverà dei psicofarmaci. Voglio star meglio, Chloe.”
“Anche io lo voglio. Per te e per me. Possiamo superare tutta la merda che abbiamo in testa da sole, senza aiutini psicotropi. Beh forse un po’ di erba ogni tanto, ma niente trattamenti medici. Sono stufa di quella merda.”
“Prima sentiamo quanto sono pazza, d’accordo? Forse è solo il trauma.”
Si strinsero di nuovo le mani e si fissarono negli occhi. Voleva baciarla, ma si trattenne. Doveva dirle ancora molto
“Chloe non è tutto. Ho parlato con mio padre stamane. Ho chiesto aggiornamenti sulle indagini..”
“Ecco perché fai pensieri masochistici.”rispose Chloe “Che ha detto?”
“Che non vanno bene. Non trovano Nathan e…beh Jefferson rischia di uscirne meno malconcio di quanto si prospettava.”
“Merda!” tuonò “Quello lo voglio prendere a calci nelle palle. Se penso a cosa ti ha…”
Max gli strinse la mano, ma non teneramente. Doveva contenersi
“Si giusto… ti avrebbe potuto fare….”si corresse. Anche se nessuno le ascoltava, avevano deciso che la copertura andava mantenuta sempre. Perciò, ogni viaggio temporale di Max non era accaduto. Tutto era posto in ipotesi o al condizionale. E questo creava un certo scompiglio a volte.
“Forse è per questo che gli avvocati vogliono vederci, più tardi.”
“Già. Sara per..”si bloccò e spalancò gli occhi “CAZZO! LEONARD!”
Chloe saltò in piedi urlando il nome di Leonard
“Mi ero scordata di dirglielo!”spiegò a Max “Leonard! Cazzo!”
E corse in cucina.
Max la trovò buffa e sorrise.
Si, solo Chloe Price aveva tale potere sul suo umore. Un potere decisamente migliore del suo.
 
 
Dopo un paio di minuti, Chloe era di ritorno. Si accomodò nuovamente sulla sua sedia e spiegò a Max che aveva sistemato tutto: sarebbe potuta uscire cinque minuti prima dal lavoro, ma che in cambio tagliava la sua pausa e avrebbe aiutato Marla a pulire in cucina.
“Non c’è problema.”rispose sorridendo “Anzi, non voglio esserti di intralcio. Tornerò con il bus, tanto passa a breve. Cosi posso farmi una doccia con calma e, se ce ne fosse bisogno, inizierò io a parlare con i legali. Cosi tu avrai il tempo per tornare e darti una sistemata.”
“Non che mi importi granché se mi vedono in tenuta da lavoro e sudata.”rispose Chloe “Ma visto che devo comportarmi bene e dobbiamo tenerceli buoni, farò il possibile per essere in orario, pulita e più bella che mai. Sicura che non vuoi restare qui e tornare con me?”
“Rilassati Chloe. Non mi pesa prendere il bus. La fermata è qui e mi lascia a mezzo isolato da casa. E poi conviene a entrambe no? “
Fece per prendere il portafogli ma Chloe le prese la mano e la fermò “Sei a posto. Ho pagato io.”
“Ma perché?” protestò Max
“Piantala. Vivo praticamente a sbafo a casa tua. Almeno questo lascia che me ne occupi io. Ora scappo e Max….”Chloe la fissò intensamente negli occhi “Se ricapita di nuovo….beh mandami un messaggio, promesso?”
Max annuì. Si alzò e le diete un rapido bacio sulla guancia “Salutami Marla. Mi è mancata oggi.”
“Come tu desideri, mia signora.”rispose Chloe, mimando un inchino.
“Piantala. Ciao Leonard!” strillò in direzione del proprietario, che stava prendendo due croissant dal bancone, pronti per essere serviti.
“Ciao tesoro! E ricorda che quando vorrai…”
“…venire a trovarvi a casa vostra sono la benvenuta! La cosa è reciproca per te e Marla, Leo!”
“Hey, sbaglio o ti avevo detto di smetterla di provarci con Max, eh?” disse Chloe, mentre si avviava in cucina “Fa il bravo o lo dico a Marla.”
Leonard ridacchiò sotto i baffi
“Mi spiace Max. Il nostro sogno di amore deve finire qui. Tra Chloe e mia moglie non so di chi avere più paura.”
Max lo salutò con un cenno della mano e si avviò alla fermata.
Il bus arrivò pochissimi istanti dopo. Si sentì fortunata a non averlo perso. Obliterò il biglietto e si sedette a metà del veicolo. Prese le sue fidate cuffiette bianche e, per il viaggio verso casa, scelse il brano  Road to Joy  dei Bright Eyes
 
The sun came up with no conclusions
Flowers sleeping in their beds
The city's cemetery's humming
I'm wide awake it's morning
I have my drugs, I have my woman
They keep away my loneliness
My parents they have their religion
But sleep in separate houses

 
Si rilassò, chiuse gli occhi e accolse nella sua testa la musica, le vibrazioni dell’autobus e il calore del sole che filtrava dal finestrino sulla sua pelle, gli odori misti e poco invitanti del mezzo pubblico e il sapore della pelle di Chloe sulle sue labbra.
 
 
 
A casa non era ancora rientrato nessuno. Suo padre sarebbe arrivato verso le cinque e mezzo mentre sua madre avrebbe sicuramente fatto tardi, visto che si sarebbe fermata a prendere l’occorrente per la cena e il tanto promesso gelato. Scommesse con se stessa che si sarebbe fermata a prenderlo a Molly Moon’s Homemade Ice cream dato che amava alla follia il gelato fatto li, fin da quando si erano trasferiti a Seattle. Una delle poche gioie che le aveva dato quella città. Salì al piano di sopra ed entrò in camera. Appoggiò la sua tracolla sulla sedia della scrivania, chiuse le tende e si tolse la maglietta e i jeans. Preso un ricambio e andò a farsi una doccia.
Finito di lavarsi, tornò in camera per vestirsi in maniera meno ‘formale’: voleva comunque apparire bene per gli avvocati. Sentì un rumore al piano di sotto e per un breve istante le si gelò il sangue
“Papà?”
“Si tesoro?”
“Nulla. Volevo solo essere sicura fossi tu.”
Max aveva sviluppato una sorta di ‘ansia’ quando era a casa da sola. L’unica che capiva quello stato era Chloe perché, semplicemente, era l’unica che sapesse cosa aveva passato nella Dark Room, prima di cancellare quelle ore riavvolgendo.
 
….La dark room…
 
Ancora la terrorizzava . Solo pronunciare quelle due parole le facevano venire la pelle d’oca e un senso di nausea pesante. Non aveva mai potuto
 
(O voluto)
 
affrontare la questione con il suo terapeuta. Come poteva dirglielo, in fondo? Aveva cercato di mischiare le sensazioni e le emozioni che provava in altri ricordi più o meno veri. Ma pensava che non sarebbe potuto funzionare e la dannazione di quei ricordi, di quelle torture, le sarebbe rimasta addosso come un marchio.
“Non volevo spaventarti Max. Ho sentito che eri in doccia e non ti ho avvertita. Chloe è con te ? Non vedo il suo magnifico pick up!”
Non era ironico: Ryan Culfield AMAVA ALLA FOLLIA il pick up di Chloe. Come lo aveva sistemato lei, prendendolo dalla discarica, i continui lavoretti che faceva ancora ora per mantenerlo in vita. Ryan ne era estasiato. Era convinto che fosse un vero gioiello. Sarebbe stato capace di metterci lui stesso dei soldi per salvarlo, se si fosse reso necessario.
“No sono tornata da sola. Ora scendo.”
S’infilò in camera e scelse un paio di pantaloni neri leggeri, una maglietta semplice di colore granata, senza disegni particolari se non uno smile bianco all’altezza del petto.
Si rifece il trucco agli occhi, ma senza esagerare, poi scese al piano di sotto.
Suo padre era in cucina, intento a preparare il caffè per se ed eventualmente i legali. Stava anche sgranocchiando qualcosa che Max non riuscì a scoprire.
“Come è andata oggi, pà?”
“Una noia, come sempre. E tu? Felice di aver concluso?”
“Mmmh si dai. Mi mancheranno le lezioni di fotografia. Ma posso sempre mandarvi in rosso comprando pellicole e manuali per scattare ogni angolo di Seattle.”
Suo padre ridacchiò
“Se ti impegni, forse puoi farlo sul serio. Ma spero di non vederti in casa tutta estate. Sei uscita molto poco da quando sei tornata da….” Si fermò un attimo, leggermente imbarazzato “Beh, vorrei vederti in giro, ma non solo a Seattle. Facciamo che prendi la patente cosi fai una gita da qualche parte, no?”
“Beh io Chloe pensavamo di andarcene via ad Agosto. Nulla di organizzato, per ora, ma ci piacerebbe molto la California.”
“Oh ma è magnifico, ragazze. La California del nord non ve la consiglio per una escursione vacanziera a vent’anni. Andate al mare, andate a divertirvi. Senza esagerare, s’intende.”
“Il piano è quello.”ripose Max, sorridendo a suo padre.
Si sedette su uno sgabello della penisola e rimase a fissarlo
“Pà..”
“Si?”
“Non voglio tornare ad Arcadia Bay. Non voglio rivedere Jefferson se si dovrà fare un processo. Non posso reggere questo. Non so se riuscirò mai a reggerlo.”
Suo padre si avvicinò e la cinse in un abbraccio “Lo capisco tesoro. Farò tutto il possibile per tenerti il più lontano e al sicuro da questa storia. Tu e Chloe avete vissuto sulla vostra pelle cose che alla vostra età non si dovrebbe nemmeno immaginare. Avete dato grande prova della vostra maturità come donne e ne sono fiero. Ne siamo fieri. Ed è giusto che ora vi godiate la vostra età, la vostra vita e tutto quello che ne consegue. Faremo in modo che non vi possano più rubare tutto questo.”
A Max venne una stretta al cuore e abbracciò più forte che poté suo padre. Non poteva chiedere di meglio. Nonostante la sua vita le abbia dato ben poche motivazioni per sorridere, aveva dei solidi pilastri nei suoi genitori. E in Chloe.
“Grazie pà. Per tutto. Per il conforto, il sostegno, questa terribile rottura di palle giudiziaria e, soprattutto, per Chloe. Per averla accolta con noi, per trattarla come se fosse di famiglia. Davvero, non so come possa ringraziarvi.”
“Non devi. Ti amiamo e vogliamo che tu sia felice. Ci sentiamo male ogni giorno al pensiero di quello che hai passato ad Arcadia. Assistere a una amica che si getta dal tetto, ad un insegnate che vi voleva rinchiudere in un bubker… e scampare a quel tornado… Max, non sai che gioia averti qui, per noi. Sei la nostra bambina, Chloe lo è stata fin da quando l’abbiamo conosciuta, come tu lo eri per i Price. Non esiste che la lasciassimo sola. Specie ora che tra voi due.. beh insomma la cosa sembra aver preso una piega migliore. Forse Arcadia non vi ha lasciato solo orrore.”
Max sciolse l’abbraccio e annuì. Si era quasi commossa, ma aveva ricacciato le lacrime: non voleva truccarsi di nuovo. Odiava farlo, anche se poco.
“Beh stasera gelato!” esultò “E questo penso sia più che sufficiente per scacciare qualsiasi pessima notizia i nostri avvocati stiano per portarmi, no?”
“Maxine….scusa, Max….il tuo amore per il gelato è pari quasi quanto a quello che tuo padre ha verso il gelato. Speravi dicessi te, ma mi spiace che tu abbia scoperto ora le mie priorità.”
La porta si spalancò ed entrò una Chloe trafilata e sudata
“Caaaaazzzo ho poco tempo. Salve Ryan, ciao Max. Io scappo di sopra a lavarmi. Cazzo se sono di corsa oggi.”
Scappò a grandi falcate al piano di sopra, dove la sentirono trafficare in camera e correre in bagno nel giro di pochissimo.
“Ammetto però che ancora non sono abituato a quei capelli.”aggiunse suo padre “Non dico che siano brutti eh, mi piacciono. Ma sono abituato alla Chloe bimba, con capelli biondo sporco e lunghi lunghi. Ma penso che sia un problema di ogni genitore.”
“Ah non saprei dirtelo. Fortunatamente non è una esperienza che mi tocca al momento.”
 
 
Lo studio Goldman & Inslee (non il celebre Jay  Inslee, ma un certo Frederik Inslee, non imparentato con il più noto collega) aveva preso a cuore la causa delle due ‘sventurate dell’Oregon’ come le definivano a volte dei media, quando non le chiamavano ‘le sopravvissute di Arcadia’  o ‘Le eroine di Arcadia Bay’ (tutti soprannomi che facevano vomitare Chloe e imbarazzavano Max), e si erano presentati alla porta dei Caulfield non appena era trapelata la notizia che le due erano vive e fuggite in tempo a Seattle, mentre montava lo scandalo ‘Insegnantertomano’  (Chloe amava definire tutto in Teachergate) in Oregon prima, a livello nazionale poi, a pari passo con gli aggiornamenti sulla tragedia del disastro ‘naturale’.
Lo studio aveva fornito due dei suoi giovani e ben promettenti avvocati, Erika Bowman e Luke Irvin.
Benché avessero poca esperienza, si erano preparati bene e (cosa da non sottovalutare) offrivano un compenso decisamente alla mano. I Caulfield avrebbero pagato ma speravano di ricevere indietro una cifra modesta se fossero arrivate le condanne definitive, anche se i soldi erano per Max che, appena si era paventata l’ipotesi, aveva preteso che andassero ai genitori. Lo stesso voleva Chloe, anche se  Vanessa e Ryan miravano a farle tenere ogni centesimo nelle sue tasche.
Max aveva anche valutato l’ipotesi di vendere la sua storia a un giornale o a qualche trasmissione pur di ripagare i suoi ma, avendolo intuito, proibissero categoricamente alla figlia di mettersi in mostra, più per una azione protettiva da genitori che per una salvaguardia legale. Max apprezzò e non insistette minimamente: mettersi alla gogna pubblica e raccontare al mondo non era esattamente in cima ai suoi desideri.
I due giovani e rampanti avvocati si erano subito dimostrati molto gentili e disponibili con loro, chiarendo ogni dubbio e andando loro incontro il più possibile.
Speravano di far evitare a entrambe di essere fisicamente presenti in aula, ma non potevano garantirlo al cento percento. Sicuramente, la loro non era una facciata opportunista: intuirono della reale solidarietà verso di loro. Forse perche la differenza di età non era cosi abissale e, soprattutto, perché non erano ancora stati resi cinici da anni e anni di cause e tribunali.
Quel pomeriggio però non portarono buone nuove. Come confermato da suo padre,  Erika le avvertì che Jefferson stava facendo una partita a scacchi con l’accusa. E la stava portando in una situazione di stallo, formalmente comoda per lui.
La famiglia Prescott si era affidata allo studio Eriksen di Portland, uno dei migliori di tutto l’Oregon, anche se parevano essersi rintanati nella loro villa in Florida. Nonostante la discesa in campo di Oswald Eriksen in persona, celebre avvocato sessantaseienne, con una marea di cause vinte brillantemente come dote, la situazione non volgeva affatto a loro favore. I danni che stavano ricevendo, di immagine e di credibilità, erano enormi. Lo scandalo del coinvolgimento di Nathan aveva scoperchiato un vaso di Pandora trasparente: il controllo dei Prescott su Arcadia Bay, l’illecito dietro il progetto Pan Estates, l’eccessivo controllo sulla Blackwell (alcuni degli insegnanti sopravvissuti stavano iniziando a parlare, incluso quello che riguardava l’eccessivo riguardo verso Nathan Prescott a cui erano obbligati a sorvolare) e la conseguente messa alla gogna del preside Wells che, al momento, manteneva ancora la poltrona di una scuola a pezzi. Ma lo scandalo più grosso era quello che riguardava la polizia locale: i Prescott avevano un eccessivo servizio di ‘favore’ da parte delle volanti di Arcadia Bay. Il corpo di polizia della città, decimato dalla tempesta, doveva ora rispondere di diverse scomode verità che venivano a galla piano piano, facendo mobilitare lo sceriffo di Tillamook con il supporto del procuratore di Salem e dell’Fbi, dato che si trovava in zona per le indagini sui crimini di Jefferson, voleva chiarire che l’influenza dei Prescott sulle forze dell’ordine fosse solo limitato ad Arcadia Bay e non vi fosse nulla di illecito anche in Florida, a Tallahassee, ove risiedevano ora.
Max e Chloe gioivano di ciò, ma questo significava di riflesso una cosa: le indagini sembravano stringersi attorno a Nathan Prescott, di cui ancora si cercava di capire se fosse vivo o morto e, in entrambi i casi, dove fosse.
Luke era stato abbastanza onesto nel dire che ‘senza Nathan, il puzzle non si compone’ poiché questo faceva rinvigorire la tesi difensiva di Jefferson che ammetteva la complicità, ma indicava in Nathan il principale colpevole. Dopotutto il bunker era suo. Le spese erano intestate a lui e la droga, seppure in contanti, era pagata da lui.
Altro tassello, un po’ meno importante ma comunque rilevante: Frank Bowers.
Era ancora nella lista dei dispersi, ormai era dato per morto, ma se fosse stato possibile rinvenire il principale spacciatore di Arcadia Bay, forse si sarebbe potuto ricostruire ulteriormente il traffico di droga che coinvolgeva il Vortex Club e, di riflesso,  Nathan Prescott e il suicidio di Kate Marsh.
“Ma è morto! Lo ha ucciso Jefferson!” aveva protestato Max.
Gli avvocati, come suo padre quella mattina, sposavano la sua idea in pieno. Non dubitavano che non fosse cosi e non solo perché era la loro cliente a dirlo, ma perché era logico che lo fosse. Ormai erano passati nove mesi e di Nathan non vi era traccia. Ne in Oregon, ne in Florida e nemmeno  Los Angeles. Un ragazzo che soffriva di schizofrenia non poteva svanire nel nulla senza lasciare tracce.
Avevano fermato due sospettati, uno in una piccola cittadina dell’Arkansas e uno a Phoenix, in Arizona, ma si era trattato solo di un caso di somiglianza fisica. Nathan, in effetti, aveva un aspetto molto comune: capelli biondo scuro, magro, alto nella media, niente barba. Il classico liceale con la puzza sotto il naso come ve ne erano migliaia e migliaia in quel momento in tutti gli Stati Uniti.
Perciò, nonostante fosse opinione comune che fosse deceduto, non vi era nulla per provarlo, mentre le prove a sostegno che fosse la mente criminale dietro tutto e che fosse fuggito, benché circostanziali e facilmente falsificabili (come il biglietto per L.A. intestato a lui, che poteva aver benissimo acquistato Jefferson intestandolo a Nathan, anche se era stata usata la carta di credito della famiglia Prescott), erano comunque più numerose e depositate in un fascicolo.
Niente cadavere di Nathan, niente ribaltamento processuale. Persino i tabulati telefonici e le indagini di David Madsen non avevano dimostrato nulla. Nathan era svanito nella notte del Dieci di Ottobre.
Ma la parte peggiore poteva essere questa? A quanto pare no.
“Le ragazze dei raccoglitori….ecco loro…. Purtroppo non sono ancora state identificate tutte. Le poche che abbiamo scovato o non hanno parlato, o non si sono riconosciute nelle foto. Fatto poco probabile ma credo che se ne vergognano. La tesi difensiva degli avvocati di Jefferson si basa sul fatto che erano tutte consenzienti, pagate in contanti, per posare volontariamente per lui in pose estreme. Le uniche non sue sarebbero quelle di Nathan che, mosso da pietà, le avrebbe nascoste assieme alle sue, cosi da spacciarle per sue e lasciare il ragazzo libero in caso le cose fossero andate male. Logico che non ci crediamo. Ma se fossero state drogate all’epoca dei fatti, ora non è più dimostrabile. Sospetto che se ne vergognino profondamente, come nei casi di stupro.”disse Erika
“Temiamo anche” continuò Luke “Che alcune di loro fossero state realmente pagate da Jefferson. Non sceglieva mai a caso le vittime: sono tutte belle e particolarmente giovani ma, come nel caso di Kate e Rachel, adulte. Perciò se seguiamo questo schema, e presumiamo che lo abbia fatto, lui avrebbe scelto sempre giovani studentesse ma già in età adulta, con un passato difficile e facilmente manovrabili. Sospettiamo che, visto la linea, senza la complicità di Nathan si fosse servito di altre cose oltre alla droga, come il denaro. Pensateci: se una di loro, delle ragazze dei raccoglitori, fosse stata come la vostra amica Kate, ma da una famiglia non benestante? A distanza di anni, ammettereste di aver posato per lui in quelle condizioni, o magari consapevolmente drogate durante il servizio fotografico?”
Chloe chinò il capo
“No. Credo di no.”mormorò
Max intuì cosa c’era nella sua testa: la sera in cui Nathan l’aveva drogata e fotografata. Lei aveva bisogno di soldi e voleva raggirare Nathan che, invece, era stato più avanti di lei e l’aveva raggirata e umiliata. A Chloe bruciava moltissimo e non se lo era mai perdonato. Quindi si, comprendeva benissimo perché delle ragazze potessero finire in certe situazioni. Lei ci era finita involontariamente e ne soffriva, chissà quelle che potevano averlo fatto con consenso cosa provavano.
Annunciarono che, in ogni caso, le acque si sarebbero mosse ma forse Jefferson ne sarebbe uscito non come si auguravano. Complice di un ragazzo disturbato che ha provato a coprire e salvare. Un eroe in carcere. Appena sarebbe uscito di prigione, poteva sparire e ricominciare da capo, a seviziare altre ragazzine, in chissà quale parte del mondo.
Max sentì montare una gigantesca rabbia dentro di sé. Non poteva andare cosi. Non poteva finire cosi!
Ma cosa poteva fare? Riavvolgere fino a scoprire dove aveva nascosto il corpo di Nathan? Certo e poi? Avrebbe sputtanato anche questa realtà? E che garanzie aveva che sarebbe servito? Poi non aveva strumenti che la riportassero a quel momento.
Ma soprattutto, nonostante la rabbia e l’indignazione e il dispiacere per le altre vittime, lei  non voleva.
 Non voleva più usare il suo potere, Chloe non lo avrebbe permesso in ogni caso ma, anche se fosse accaduto, non voleva lei.
Perché, nonostante tutto, si sentiva felice.
D’impulso, strinse la mano di Chloe. Aveva il bisogno fisico di sentirla, come per giustificare quel tarlo nella testa che era l’egoismo, nato da quei pensieri.
Per Chloe aveva distrutto una città. Per Chloe avrebbe fatto di tutto…
 
..anche sputtanare l’innocenza, la vita e la mente di quelle giovani ragazze? Tu dalla dark room sei fuggita, anche se ti ha scattato le foto….ma loro? Tu, Max, puoi vivere con questo pensiero? Farai come Kate e le classificherai come danno collaterale per la tua patetica indagine da detective?
Massi che ti frega, stronzetta egoista! Kate, Rachel, Victoria erano andate!
Le altre si erano rifatte una vita, no? Avevano negato alle autorità di essere vittime o continuavano ad essere nascoste per non dirlo… che cazzo te ne deve importare allora? Non sei egoista, ma solo una stronza. Ma comunque non puoi salvare tutti, vero?
 
…e avrebbe continuato a farlo. A costo di rimettere la sua salute mentale.
 
“Non demordiamo, ragazze!”esclamò Erika “Noi andiamo avanti e sono sicura che qualcosa accadrà. I lavori di ricostruzione di Arcadia Bay potrebbero portare alla scoperta di qualcosa a nostro favore.”
“A nostro favore ci sarebbe solo il corpo di Prescott.”disse Chloe “E dopo nove mesi  dubito che… Aspetta un momento: la ricostruzione di Arcadia??”
“Si.”affermò Luke “Stanno ricostruendo, e anche molto velocemente. Pensavo lo sapeste.”
Le ragazze negarono con la testa.
“Non siamo molto informate su cosa accade in Oregon, anche è il nostro stato di origine.”disse Max
“Detto brutalmente: vogliamo lasciarci alle spalle quel buco di disperazione personale quanto più possibile.”ribatté Chloe
Erika sorrise comprensiva
“Vi capisco ragazze. Probabilmente lo farei anche io nella vostra situazione. E non parlo per solidarietà femminile: quello che avete vissuto farebbe venire voglia di non sentire nemmeno pronunciare il nome di Arcadia.”
“Quindi che si fa?”chiese Max
“Nulla.”rispose Luke “Ora è la parte più dura per voi: si aspetta.”
Il morale delle due, fino all’ora di cena, rimase decisamente molto basso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
4.
 
 
L’ora di cena riportò il buonumore in casa Caulfield, o perlomeno in Max e Chloe.
Mangiarono tutto di gusto e, come previsto, il gelato arrivava direttamente da Molly Moon’s Homemade Ice cream  con immensa gioia di Max.
Verso le otto di sera, le ragazze salirono in camera a cambiarsi e lavarsi i denti, pronte per uscire in direzione Targy’s Tavern.
“Non fate tardi, ragazze! Domani avete appuntamento con il dottor Rogers!”
“Lo sappiamo mà!”rispose Max, mentre usciva.
“Vanessa adoro il fatto che tu ci ricordi dello strizzacervelli, ma dovresti sapere che sono un caso perso, oramai.”aggiunse Chloe, scherzosamente, mentre prendeva le chiavi del pick-up dalla ciotola.
Mentre si incamminava verso il veicolo, indugiò sull’outfit di Max
“Hey quei calzoncini corti ti fanno davvero un bel culo, SuperMax.”commentò.
Questi, d’istinto, si porto entrambe le mani sul sedere, come a coprirsi, e inarcò la schiena come se le fosse scivolato un cubetto di ghiaccio lungo la spina dorsale.
“Sei una idiota!”
“E tu cosi carina quando diventi rossa.” Replicò divertita, mentre la superava per avviarsi alla macchina.
Una volta entrata, Max si giustificò dicendo che erano pantaloncini vecchi. Che li aveva lasciati a casa e messi in uno scatolone. Essendo a corto di vestiario, li aveva riciclati e probabilmente era cresciuta troppo.
“Tu cresciuta? Ma se sei sempre la solita nanetta magrolina! Rilassati, stai benissimo. Specie per la maglietta e la collana che porti.”
Chloe si riferiva a una maglietta rosa con un girasole sopra, con una faccina accaldata che si lamentava del fatto che ‘avesse preso troppo sole’.
La collana era, una piccola clessidra d’argento. Scelta, ovviamente, non casuale. Chloe dichiarò che, appena l’aveva vista, doveva regalarla alla sua ‘signora del tempo’.
Il look di Chloe era più simile del solito: jeans corti, sandali bassi, canotta da uomo con disegnato un gallo incazzato che brandiva un’ascia, reggiseno bianco in evidenza, collana con i tre proiettili e vistosi bracciali. Stranamente, niente cappellino perché ‘cazzo è comunque Giugno anche per me!’
Salite in auto, Chloe mise in moto e accese subito la radio, prima di ingranare la marcia e partire.
Subito si diffusero le note di Burning de The War On Drugs, e sfrecciarono verso i loro amici.
 
On a drive I'm taking backroads
High against where the rivers are flowing
I didn't think that our love had grown
You had me dead to rights
Hey, I'm trying to get some rest
To keep on moving

 
“Seeeenti un po’, Max” cominciò Chloe “Prima Ryan mi ha detto che domani porta Vanessa fuori a cena.”
“Mh-mh.”
“Beh io domani faccio il turno con chiusura. E Domenica sono di riposo a sto giro…”
“Mh-mh”
“Quiiiindi, Mh-Mh-Max, che ne dici se mi aspetti alzata, in pigiama, e anche se arrivo alle dieci passate di sera, ti porto un paio di pizze calde e un milkshake al cioccolato e ci piazziamo in camera a guardare un film fino ad addormentarci come quando eravamo bimbe?”
“Allora vorrai dire fino a quando TU ti addormenterai.”
“Come sei simpatica, Maxine.”
“Hey! Lo sai che…”
“Si, lo faccio apposta. Comunque ci stai, vero?”
 
So if you look, you'll find yourself
You're not the demon in the dark
That you and I, yea we'd been through that
Can you rectify all the time it took you
Away from choosing?

 
“Mi fai stare senza cena fino alle dieci? Contando che dovrai lavarti e sei una lumaca a farlo….”
“Si ma ti porto il milkshake!”
Max rispose scivolando con la testa sulla spalla di Chloe e chiudendo gli occhi.
“Come sei facile da corrompere.”mormorò Chloe
“Sai benissimo che ti direi di si anche se arrivassi il giorno dopo e senza milkshake. Ma con la pizza, però.”
“Altrimenti? Mi cacci di casa?”chiese, sorridendo
“Nah.”replicò Max “Ma ti farei dormire sul divano. Cosi mi godrei il letto tutto per me.”
“Ma se sei cosi minuscola che rischi di non trovare più la strada per uscirne, poi! Almeno con me non rischi di rimanere intrappolata!”
“Ti piacerebbe, vero?”
“Oh no, al contrario. Poi mi annoierei troppo senza nessuna da sfottere.” E concluse dandole una amorevole pacca sulla coscia nuda.
Ripercorsero la strada che Max aveva fatto quel mattino con suo padre. Arrivate sul ponte, Chloe chiese
“Ma come ti senti? Riguardo a quello che han detto gli avvocati.”
“Sto bene. Non ne sono felice, ma sto bene. E tu?”
“Bene. Mi secca davvero sapere che le cose potrebbero non andare come sarebbe giusto che sia ma…hey, ho una casa, un lavoro, il mio pick-up scassato e la mia supereorina preferita nel mio letto. La vita fa schifo, ma non posso certo dire che ora mi vada male.”
“La sai prendere con filosofia tu, eh?”
“No. E’ che sono stanca di essere sempre arrabbiata. Cosa mi ha portato la mia rabbia? Guai e, in qualche parte dell’universo, la morte. Mi hai salvato, Max. Non intendo sprecare il dono che mi hai dato.”
“Vedi che sei un cuore d’oro, in fondo?”
“Piantala, o prosegui a piedi.”
“Eddai….dovresti parlarne con il dottor Rogers, domani. Intendo, questo problema di negazione della tua indole romantica.”
“Max, smettila. Piuttosto, tu domani hai intenzione di dirgli tutto, vero?”
“Assolutamente. Lo sai che lo farò. E tu? Non sei d’accordo?”
“No, mi sta bene che tu voglia chiedergli degli incubi. Voglio che tu stia bene. Te lo meriti.”
“Perché tu no? Lo meriti tanto quanto me.”
“Si ma non sono più spaventata. Siamo incasinate, disturbate e dobbiamo risolverci prima di avere uno stramaledetto sclero. Ma sono ok.”
“Come mai? Erba?”
“No, culo rinsecchito. Sono serena perché siamo insieme.”
 
 
 
Parcheggiarono ed percorsero a piedi l’ultimo tratto che le separava dall’ingresso del Targy’s Tavern.
Appena varcarono la soglia dell’ingresso, furono accolti da un fragoroso urlo di benvenuto da parte di Fernando.
Appena entrati al Targy’s Tavern si viene accolti da una luce soffusa rossastra, con un ampio bancone sulla destra e qualche primo tavolino sulla sinistra con divanetti neri in finta pelle. Il resto del locale si trovava in una stanza dall’altra parte ma Fernando aveva preso un tavolo a metà della sala, poco distante all’ingresso.
“Maaaaaaax” tuonò, raggiungendole all’ingresso e abbracciando allegramente Max.
“E’ un secolo che non ci si vede. Ora però non potrai più scappare eh? Chloe, aiutaci a farla uscire ogni tanto!”
“Auguri!”rispose Chloe “Questa è una ciabattona.”
Le accompagnò al tavolo dove già vi erano seduti Kristen, Owen e Melissa. Mentre i ragazzi stavano seduti da una parte e le ragazze dall’altra, Max e Chloe si divisero, sedendosi l’una di fronte all’altra, Max accanto a Fernando, Chloe Accanto a Kristen.
Loro erano gli unici amici che si era fatta in cinque anni di permanenza a Seattle prima di tornare ad Arcadia. La sua scarsa autostima e poca intraprendenza sociale che l’aveva accompagnata in adolescenza, si era sciolta solo con loro due, gli unici compagni di classe che avevano fatto il primo (e anche secondo e terzo) passo nella sua direzione, in modo da poter farla uscire dal guscio. Senza Chloe, in Seattle, si sentiva tremendamente sola. Non che ad Arcadia Bay sia stata una campionessa di socialità.
Quando decise di tornare alla sua città natale grazie alla borsa di studio, Fernando e Kristen ci rimasero sinceramente male. Le volevano bene e si erano molto affezionati a lei ma, consci del suo sogno, avevano brindato fino a tardi e l’avevano aiutata con i bagagli i giorno della partenza, una buona scusa per dirle addio.
Quando tornò a Seattle, non riuscì a scrivere subito ai suoi unici due amici. Fu Chloe, dopo quasi due settimane che era chiusa in casa, a sollecitare di farsi sentire. Non ne poteva più di restare dentro i confini della casa, aveva bisogno di uscire, staccare la spina e, soprattutto, bere. E iniziare a cercarsi un lavoro per non sentirsi un ospite non pagante.
Sia Fernando che Kristen le avevano scritto molte volte, e tentato di chiamarla a più riprese, non appena ebbero saputo del tornado di Arcadia Bay. Inconsapevoli che la loro amica era sana e salva, nella loro stessa città, avevano disperatamente cercato di contattarla per sapere come stesse. Quando Max, finalmente e per merito di Chloe, decise di chiamarli, Fernando all’iniziò la ricoprì di insulti, poi si sciolse in lacrime di gioia. Kristen, al contrario, pianse subito e tutto il tempo della telefonata. Si erano visti poche ore dopo, perdendosi in smielati abbracci e senza mai chiedere cosa fosse accaduto.
“Ne parleremo quando te lo sentirai.”sentenziò Kristen.
Non lo avevano ancora fatto.
Chloe, d’altro canto, ci mise pochissimo a farsi benvolere da tutti e due, nonostante non fosse una campionessa di socialità ad Arcadia.
Seattle l’aveva cambiata, almeno sotto quel lato. O meglio, quella furiosa e tragica settimana, sembrava averlo fatto. Lentamente, forse anche con l’aiuto del dottor Rogers, stava mettendo via la rabbia e provava ad aprirsi di più con gli altri. Nonostante con Max fosse sempre stata più che aperta e sincera, anche verso di lei sentì un cambiamento: sembrava più responsabile nei suoi confronti e premeva tutelarla maggiormente. Forse un senso di colpa per averla sfruttata per i suoi poteri (non che lo avesse mai fatto con cattiveria o eccessiva volontà) o forse semplicemente per il cambio di rapporto che si era creato tra loro. La loro ‘evoluzione’ come amava chiamarla Chloe.
Owen e Melissa erano diventati amici di Fernando da circa due anni. Stavano insieme però da meno di sei mesi, nonostante si conoscessero da anni. Pare, secondo Kristen, che Owen amasse Melissa da sempre, ma non aveva il coraggio di farsi avanti per timore di finire nella friend zone.
“Sono stata un’abile burattinaia”amava ripetere, quando vedeva i due in atteggiamenti intimi e da coppia.
Owen era un ragazzo non molto alto, in forma ma anche con  qualche chilo di troppo, barba a chiazze e capelli castano chiaro, con due occhi castani scuro mentre Melissa era il suo opposto: una perfetta cheerleader. Snella,alta, curve al posto giusto, capelli di un biondo platino e occhi verdi. Anche caratterialmente erano opposti: lui era permaloso e suscettibile, ma sempre disponibile, lei era più gioviale, energica e dolcissima, per niente altezzosa. Ma entrambi avevano un buon cuore.
Appena si furono accomodate, arrivò Ludmilla, la cameriera del locale con la quale avevano stretto un rapporto amichevole. Ogni tanto usciva con loro, ma molto di rado. Aveva un fidanzato, ma si era trasferito per studiare a Austin. Probabilmente, la loro relazione era già finita, ma nessuno dei due voleva ufficializzare la cosa.
“Hey le mie ragazze preferite: Price e Caulfield. Che vi porto? I vostri soci sono stati cosi gentili da non aspettare e hanno già ordinato.”
“Ma che carini.”sibilò Chloe, mandano una occhiataccia scherzosa a Kristen
“Io prendo un coca e malibù”disse Max
“Woah ferma tutto!”esclamò Chloe, fermando la mano di Ludmilla, prima che annotasse “Coca e malibù? Scherzi? Com’è che io e te stiamo insieme?”
“Moooolto spiritosa.”
“No no no. Ascolta me Lud: portale un Tequila Sunrise. A me una birra media. Fai tu.”
“Scusa? Perché tu una birra?”
“Perché io guido! Vedi? Penso sempre al tuo benessere, anche su come farti sbronzare. Sono responsabile io. “
I loro drink, assieme a quelli degli altri quattro, arrivarono tutti assieme. Brindarono a Max per la fine del suo primo anno da studentessa di fotografia, a Chloe per essere una nuova cittadina di Seattle e poi si persero in chiacchiere.
Chloe riuscì a pagare da bere a tutti, senza farsi notare. Max, dopo un’ora, andò in bagno. Il cocktail e l’alcool in generale, non le dispiaceva ma i suoi reni lo filtravano sempre troppo rapidamente.
Appena terminò, uscì dal suo cubicolo per lavarsi le mani. Chloe l’aspettava, appoggiata al muro, tra i due lavandini.
“Non scappo mica. E non sono ubriaca.”
“Lo so.”
“Allora perché mi pedini, Watson?” replicò “Non ti fidi più del tuo Sherlock?”
Si lavò le mani, senza ricevere risposta. Poi, mentre si allungava per prendere un pezzo di carta per asciugarsi, Chloe le afferrò le mani e la tirò a se, stringendola in un abbraccio.
“Dimmi che stai bene. Ho bisogno di sentirtelo dire.”
“Sto benissimo.”
“Non ho più avuto modo di starti accanto come si deve oggi. Dopo quella faccenda del parco…”
“Stavi lavorando. Poi ci sono stati gli avvocati, al cena e ora siamo qui. So che mi sei vicina, non temere.”rispose, ma comunque la strinse.
“Buffo.”disse Max dopo qualche secondo di silenzio
Chloe sciolse l’abbraccio e la fissò con fare interrogativo
“Che?”
“Siamo in un bagno. Di nuovo.”
“Già ma senza maniaci schizzati con la pistola. Direi che è un enorme passo avanti.”rispose sorridendo.
“Tu pensi mai a come eri un anno fa, a quest’ora?”chiese Max
“Di continuo. Un anno fa sarò stata in camera mai… anzi no, di sera sarò stata alla discarica o a gironzolare per i boschi intorno ad Arcadia. Il giorno passavo il tempo ad attaccare volantini, mentre la sera riflettevo su dove fosse finita Rachel. Sentivo la delusione e la rabbia montare verso di lei, ma anche il sospetto che non fosse tutto archiviabile come una semplice fuga. Vero, lei non mi diceva più tutto, da come abbiamo scoperto ma…..scusa sto divagando…. Comunque un anno fa mi sentivo sola, arrabbiata, senza speranze. Chiedendomi perché non potessi morire invece di continuare a vedere la gente che amavo svanire dalla mia vita.” Rispose Chloe, un po’ emozionandosi
“Se ti consola, io a quest’ora stavo valutando cosa fare del mio futuro. Attendevo di scoprire dove sarei andata a studiare. Pensavo di continuare qui, ma l’idea non mi piaceva per niente. Volevo tanto cambiare. Nonostante Fernando e Kristen mi sentivo sola. Mi sentivo una goffa, stupida e inutile ragazzina che voleva fare la fotografa. Beh è ancora cosi, ma non mi sento più sola almeno.”
“Piantala di denigrarti sempre. Sai che sei migliore di come ti descrivi. Non avevi già fatto domanda alla Blackwell?”
“In realtà si. Sognavo davvero di studiare con Mark Jefferson. Che ironia eh! Ma non ci speravo per niente, a dirla tutta. Era finito in un angolo della mia testa l’ipotesi che sarei tornata ad Arcadia. Non ci ho mai davvero creduto.”
“Per questo non mi hai mai scritto?”
“No. Sono solo stata una schifosa stronza che non aveva le palle di rimediare.”
“Ma lo hai fatto. E ora torniamo di là prima che pensino che ci stiamo dando da fare come delle tredicenni allupate.”
Il loro ritorno fu accolto, ovviamente, con battutine abbastanza inequivocabili. Chloe disse che Max stava già vomitando il cocktail, suscitando proteste da parte della giovane Caulfield. Che non migliorò la situazione ordinando una coca cola.
Verso le dieci e mezzo li dovettero abbandonare per fare ritorno a casa. Non spiegarono molto, non volevano dire che dovevano andare da un terapeuta. Non che ci fosse qualcosa di male e, molto probabilmente, gli altri lo sospettavano ma non dicevano nulla.
Poco dopo le undici erano entrambe in pigiama, a letto, a fissare il soffitto al buio.
“Sai Chloe…”cominciò Max “Forse, se avessi saputo quello che so ora, un anno fa ti avrei scritto subito. Ti avrei chiesto scusa, ti avrei implorato di non odiarmi e di volermi ancora come amica. Ma forse mi avresti sbattuto il telefono in faccia e avresti avuto ragione. Forse quella dinamica assurda di eventi iniziati a lunedì era il modo migliore per riavvicinarci senza incomprensioni. L’avermi quasi investita nel parcheggio era il modo migliore per rincontrarsi.”
“Mh, forse è cosi. Ma su una cosa sono abbastanza certa: non ti avrei mai e poi mai sbattuto il telefono in faccia, ne evitato di vederti. Ero arrabbiata con te ma, ironicamente, una delle poche certezze di quei cinque anni era che, in qualsiasi momento e modalità tu fossi rientrata nella mia vita, ti avrei accolto a braccia aperte. Il resto sarebbe venuto da sé. Ma ora dormi, secchiona. Son stanca dei tuoi sensi di colpa.” Concluse. Poi la baciò sulla guancia, si rilassò e i addormentò quasi subito, mentre Ma rimase a fissare il soffitto ancora un po’, pensando a come sarebbe stata la sua vita se fosse stata capace di uscire dal suo guscio da sola.
 
 
 
Lo studio del dottor Rogers sembrava una piccola sala di lettura. Aveva due poltrone comodissime, dove stavano sedute le ragazze, una più grande che era occupata da Rogers in persona, un tappeto multicolor al centro, una piccola scrivania con un pc acceso, dove probabilmente veniva archiviato ogni incontro con ogni paziente, con eventuali considerazioni personali, una libreria ben fornita e una ampia finestra sul lato nord.
Erano arrivate da poco e avevano cominciato a parlare normalmente, cosa che facevano sempre prima di iniziare a parlare dei problemi veri e propri. Chloe parlava del suo lavoro e del fatto che si trovava bene, che il senso di disagio di essere un peso per la famiglia Caulfield si stava attenuando e che voleva tantissimo poter ricambiare la generosità ricevuta, in qualche modo.
Max, invece, parlò della fine del suo anno scolastico e di come pensava di impiegare il suo eccessivo tempo libero in estate.
“Beh diciamo che hai concluso un anno scolastico decisamente più travagliato della norma.”commentò il dottor Rogers con un sorrisetto complice. Il dottor Rogers era un piccolo uomo sulla sessantina, con pesanti occhiali neri, vestito di tutto punto. Era quasi un nonno per loro, molto dolce, che sapeva farle sentire rilassate e serene. Beh, dopotutto era anche parte del suo lavoro.
“A tal proposito…”disse Max “Gli incubi non stanno migliorando. Ne ho avuti ancora. Due solo ieri. Uno però ero sveglia, al parco, in pieno giorno. Ho un po’ di paura, ad essere onesta.”
Il dottor Rogers abbassò la sua cartelletta, congiunse le mani all’altezza degli occhi e fissò Max per qualche istante.
“In pieno giorno. Da sveglia. Mh. Non posso certo dire che questa notizia mi renda sereno.”
“Ma sta bene, vero? Non ha bisogno di farmaci, vero?”s’agitò Chloe sulla sua sedia
“Oh no, no signorina Price. Vedete, al vostra situazione è complessa. Parliamo di un forte disturbo da stress post traumatico con sindrome del sopravvissuto che si manifesta in maniera similare su entrambe, per alcuni aspetti, e molto differenti in altri. La signorina Caulfield potrebbe aver avuto un momento di ‘sfogo’: finito il suo anno scolastico, inconsciamente potrebbe essersi rilassata mentalmente e aver scatenato dei ricordi repressi. La manifestazione del tornado, nonostante fosse vigile, potrebbe essere una manifestazione dello stress accumulato che trova uno spiraglio di fuga. Non ha bisogno di pastiglie, ma di sfogare maggiormente tutte le ansie e le preoccupazioni quotidiane, facendo uscire poco alla volta il trauma di quello che avete passato. Anche il vostro rapporto, benché benefico, vi consiglio caldamente di non viverlo troppo strettamente. Mantenete le vostre passioni, le vostre differenze e le distanze e i momenti di solitudine l’una dall’altra. Se vivete troppo in simbiosi, dopo questi momenti decisamente orribili, potrebbe fare male a voi stesse, alla vostra socialità e nuocerebbe anche alla vostra relazione, sul lungo periodo.”
Chloe strinse istintivamente la mano di Max
 “Non voglio.”disse
“Lo so, signorina Price. Ma vi state comportando bene. Vero, vivete assieme per cause di forza maggiore e, a parte ciò, non vedo segnali preoccupanti da voi su quel fronte. Dico solo di fare attenzione, ora che la signorina Caulfield potrebbe avere più tempo libero e, soprattutto, più momenti come quello di ieri pomeriggio. Non siate troppo il rifugio dell’altra. Abbiate la necessità di affrontarvi da sole, intimamente. Per il resto, non posso che essere più soddisfatto dei vostri progressi. Ma lei, signorina Price, non ha più avuto problemi di insonnia?”
“No. Cioè solo un paio di notti, a volte fatico a prendere sonno o mi sveglio eccessivamente presto. Ma direi che va meglio. A parte gli incubi anche io.”
“Ah si?”chiese il dottor Rogers
“Ah si?”chiese Max fissandola. Possibile che non gliene avesse mai parlato.
“Si. Sono iniziati un mese fa. So che non ne ho mai parlato, con lei e nemmeno Max. Con nessuno. Pensavo fossero normali. Ma si sono intensificati. Anni fa, due anni dopo la morte di mio padre, feci incubi ricorrenti su di lui, che moriva. Quasi sempre ero in auto con lui, parlavamo e poi arrivava il camion e lo uccideva. Oppure lo vedevo sfregiato. A volte mi sembrava di parlare con lui come in sogno, ma in pieno giorno.”
“Chloe….”mormorò Max, prendendole la mano
“Proprio come Max ieri, forse avevo solo bisogno di sfogare tanta rabbia e frustrazione che avevo verso la morte assurda di mio padre. Forse, in concomitanza con l’arrivo di una nuova persona importante nella mia vita, avevo bisogno di mollare quel peso. Beh ho fallito. Ho smesso di sognarlo, ma ho avuto rabbia e rimpianto verso mio padre fino al tornado. Ora no. Ora i miei incubi sono diversi. Sogno Rachel Amber che mi incolpa di non averla mai cercata davvero. Stava li, sepolta sotto i miei piedi, nel posto in cui andavamo a nasconderci da Arcadia Fottuta Bay, e non l’ho mai capito. A volte la sogno che piange, che mi dice che le spiace non essere stata onesta con me, di essersi allontanata per non ferirmi. Lo so che non mi amava, o meglio, non mi amava nel modo in cui l’amavo io. Ma mi voleva bene con tutta se stessa e se non ha voluto dirmi della sua storia con Frank è perche so che non voleva ferirmi. Ma non riesco a non essere arrabbiata in quegli incubi, non riesco a non urlargli contro di avermi sempre mentito. Se fosse stata onesta, se avesse corso il rischio di ferire i miei sentimenti ma di dirmi le cose come stavano, quasi certamente non sarebbe morta. E mi dispiace perché vorrei non essere arrabbiata con lei, penso e mi convinco di non esserlo, ma se continuo ad avere incubi del genere è perché, nel profondo, lo sono ancora. E sto deludendo tutti, me stessa e soprattutto Max.”
Chinò il capo e Max intravide delle lacrime solcargli il viso. Voleva consolarla, ma non sapeva cosa fare. Poi Chloe riprese
“Ma l’incubo peggiore è proprio questo: deludere Max. La sogno, arrabbiata, che mi urla cose terribili. Che non la amo, che l’ho solo usata come cerotto per tamponare la ferita lasciata aperta da Rachel, che non le dimostro mai quanto devo. Io provo a rispondere, ma mi sento soffocare e Max si arrabbia sempre di più con me, finché lei stessa  evoca un tornado  alle sue spalle dicendo che sarei dovuta morire io.”
Ora Chloe pinageva
“E la cosa che più mi ferisce è che urlo a Max che non è vero. Sono felice di non essere morta. L’ho desiderato tanto, ma ora sono fottutamente felice di essere viva. Di essere qui, di avere lei. E mi sento una merda per questo. Ma nell’incubo Max non si placa. Altre volte, Max piange e prende fuoco, dicendo che l’avevo delusa. In un altro, Max è tra le braccia di qualcun altro e io…” si bloccò, prese un fazzoletto e si ricompose “Cazzo, chiedo scusa. Ho rubato la scena a tutti.”
Max sentì le lacrime anche sulle sue guance. Davvero? Davvero aveva tutte quelle paure, quelle colpe? Davvero si sentiva cosi? Eppure non lo dava a vedere. Si sentì mostruosamente egocentrica a non averlo notato.
Il dottor Rogers si alzò e mise una mano sulla spalla di Chloe
“Sono felice che tu ti sia aperta ulteriormente con noi, Chloe. Le tue paure sono normali, giustificate e umane. Non riesci a darti pace per la morte della giovane Rachel, ma non potevi avere nessuna colpa. Non so se l’essere onesta con te l’avrebbe salvata. Forse si ma probabilmente no. Non potevi immaginare che la trappola fosse nel luogo più sicuro per una ragazza della sua età: la sua scuola. Rachel era finita tra le grinfie di mostri che non lasciano altro che questo: sensi di colpa in chi ama le loro vittime. Seppellirla lì è stato un atto vile, di sfregio e disgustoso. Una innocente gettata in una discarica che è anche il posto in cui si sente al sicuro. Distruggere tutto in lei, la bellezza e la serenità, con un solo gesto. E qui ci sei solo tu, a pagarne le conseguenze. Fa pace con te stessa, signorina Price: sei uno straordinario essere umano, con più emozioni di quante ne possa immaginare la media della gente che passeggia per le vie di Seattle. Per quanto riguarda i suoi incubi e le sue relative ansie verso la signorina Caulfield.. beh non occorre che le dica altro io: basta che volti la testa a sinistra e veda tu stessa la risposta.”
Chloe obbedì e incrociò lo sguardo di Max, ancora commossa.
“Scusami se non te ne ho mai parlato.”mormorò
“Scusami tu per non essermi mai resa conto di quello che hai dentro. Perdonami, di nuovo, Chloe.”
Chloe sorrise e si pulì le lacrime con il dorso della mano
“Woo Max! Tu sottovaluti le mie doti di attrice. Non sei tu che sei una scarsa osservatrice, sono io che sono fantastica.”
Il dottor Rogers sorrise e si rimise a sedere. Parlarono ancora per una ventina di minuti, anche del processo e delle ansie e tensioni che potrebbe comportare quella vicenda. Prima di congedarsi, le ragazze si alzarono, strinsero la mano al dottore ma, all’improvviso, Max dovette esporre un dubbio
“Dottor Rogers e se… e se dovessimo tornare ad Arcadia? Se gli incubi e la continua visione del tornado fosse un modo del mio subconscio per dirmi di tornare là, vedere che effetto mi potrebbe fare?”
Il dottor Rogers incrociò le braccia e rifletté un attimo
“Sarebbe una fortissima terapia d’urto, signorina Caulfield.” cominciò “Non mi sento di consigliarle di tornare laggiù. Non ora. Potrebbe causarle uno shock o una crisi non facilmente gestibile, specie per un soggetto che soffriva di ansia già prima di tutto questo. Tornare nel luogo che tanto vi da dispiacere, sapendo che portate con voi sensi di colpa cosi pesanti, mi sembra troppo rischioso. Forse, quando starete meglio, se lo desiderate in futuro potreste tentare di andare. Ma non mi sento di consigliarvi di rimettere piede laggiù.”
Max annuì. Ringraziò, prese Chloe e uscì, sentendosi meno timorosa per il futuro.
 
 
In auto, le due ragazze non parlarono molto. Chloe, a un certo punto, disse che si meritavano una colazione extra e si fermarono da Starbucks. Li, si sciolsero totalmente e passarono una mezz’ora tranquilla a ridere.
Poi, non volendo tornare subito a casa, fecero una tappa presso l’International Fountain nei rettangoli di verde che vi si trovavano attorno. Li, Max chiese
“Davvero hai cosi tanta paura di deludermi?”
“Costantemente, Max. Ho paura che tu un giorno possa svegliarti e stancarti di me, di pentirti di avermi salvata anziché tornare indietro e farmi morire in quel bagno, che io possa fare una immensa cazzata per la quale tu..”
“La sola cazzata è quella che stai facendo ora, Chloe. Come puoi anche solo pensarle certe cose? Non tornerei Mai indietro, non cambierei mai e poi mai le scelte che ho fatto. Non osare minimamente pensarlo: io posso avere sensi di colpa per tutte quelle persone, per tua madre e per Frank, ma mai e poi mai mi pentirei di non aver fatto cambio, quel promontorio. Getterei quella foto in mare miliardi e miliardi di altre volte.”
“Scusami. Sono un po’… sai…. So che sono cose irreali… cioè è ovvio che tu non potrai stancarti mai di me. In fondo, meglio di me chi pensi di trovare?”
“Rieccola la Chloe che conosco. Dai, andiamo a casa, che alle due devi servire quelle fantastiche cheesecake ma, sfortunatamente , non a me.”
“Ruberò i segreti di Marla e te ne preparerò una favolosa, tutta per te, a casa. Lo giuro!”
Le cinse le spalle con un braccio, poi tornarono in auto, decisero di prendere il pranzo per tutti da McDonald’s (con disapprovazione di Vanessa ma giubilo di Ryan) e si diressero a casa.
Verso le due del pomeriggio, Chloe era già scappata al Bake (“Salutami Leonard e Marla!” si raccomandò) e Max si trovò in camera, a farsi una pennichella.
Verso le quattro del pomeriggio si risvegliò, complice il caldo e il sole che ora filtrava prepotentemente dalla finestra.
Anche se in pigiama, scese di sotto, dove suo padre vedeva la partita dei Seattle Seahawks di cui, per la cronaca, non era tifoso ma li aveva adottati come squadra da quando si erano trasferiti. Sua madre, invece, leggeva un libro sulla poltrona. Una perfetta immagine di quiete familiare. Avrebbe voluto scattare una foto, ma ormai era di sotto. Si sdraiò sul divano, con la testa in grembo a suo padre, che le accarezzò i capelli.
“Tutto bene stamane?”
“Tutto ok.”
“Anche Chloe?”
“Anche Chloe.”
“Meraviglioso. Senti, vuoi che ti lasciamo dei soldi e ti ordini qualcosa d’asporto? C’è un locale che fa cucina thailandese ottima e lo consegnano in maniera precisa e veloce.”
“No, grazie pà. Aspetto Chloe. Ha deciso che prende delle pizze e ci guardiamo un film.”
“Ma sarà stanca e arriverà tardissimo.”osservò sua madre, distraendosi dalla lettura.
“Si ma ci tiene. Sapete com’è fatta: non lo dice espressamente, non è quel tipo di persona. Preferisce fartelo capire a modo suo. E ci tiene molto, a modo suo, passare del tempo con me per dimostrarmi la sua contentezza della fine del mio anno scolastico.”
“E’ sempre stata cosi.”ricordò sua madre, chiudendo il libro “Lei era quella esuberante, un po’ sfacciata e capetta. Tu quella più accondiscendente e mite. Ma quanto teneva a te, era fuori discussione. Joyce, mi ricordo, che diceva sempre che non vi era in classe nessuno con cui Chloe riuscisse a legare quanto con te. Pensava sempre a cosa avrete fatto, a come intrattenerti quando andavi da lei. E’ sempre stata nella sua natura fare, piuttosto che dire. Specialmente con te.”
“Certe cose non cambiano mai. Soprattutto io, eh?”
“Non ne sarei cosi sicuro.”disse suo padre “Da quando siete tornate… beh vedo in te una scintilla diversa negli occhi. Mi sembri, a tuo modo, più decisa e matura. Spero non sia per quello che avete passato.”
“Temo di si, pà. Anche se io mi vedo solo più incerta di prima.”
Cambiarono argomento, ma Max finì per appisolarsi un poco, sempre tenendo la testa in grembo al padre, che cercò di non disturbarla troppo. Si sveglio dopo circa un’ora. Suo padre le aveva messo un cuscino sotto la testa ed era intento a preparare del caffè in cucina. Sua madre non era nei paraggi.
“Buongiorno. Ne vuoi un po’?”
“Decisamente si. Ne ho bisogno. Sto dormendo troppo oggi.”
“Sarà tutto lo stress accumulato, cara. Tutta stanchezza che si fa sentire. Oppure vuoi dormire ora per rimanere vigile per il ritorno di Chloe.”
Max concluse che erano tutte e due ottime motivazioni, ma non sapeva decidere quale fossa la più corretta.
Si avviò in cucina, prese la sua tazza di caffè, dello zucchero e una puntina di latte.
“Mamma dove sta?”
“Di sopra. Si sta facendo un bagno. Come Chloe, non lo vuole ammettere ma è eccitatissima al pensiero di uscire a cena. Sono mesi che non la porto fuori.”
“Per colpa mia.”concluse Max, sconsolata.
Da quando si erano presentate sulla porta di casa dei suoi, più di otto mesi fa, i suoi si erano premuniti di stare accanto a loro due, di non lasciarle sole e di assisterle nel caso avessero avuto bisogno per qualsiasi cosa. Sentiva di averli privati della loro intimità: l’occasione che aveva presentato la Blackwell sarebbe stata utile anche per i suoi, si diceva. Dopotutto erano ancora giovani e potevano fare molte più cose senza un figlia a cui badare.
“Ma che stai dicendo? Ma non dirlo nemmeno.”protestò suo padre “Sei nostra figlia e sei la nostra priorità dal giorno che abbiamo deciso di averti. Non c’entra il tuo ritorno improvviso o quello che avete passato: è il nostro dovere. Inoltre, non pensare che io e tua madre senza di te ci dessimo alla pazza gioia tutti i giorni. Abbiamo comunque un lavoro e una casa da mantenere e, cosa non da poco, iniziamo ad avere la nostra età. A volte, ronfare alle dieci e mezzo della sera è una pacchia! Si anche di sabato sera!”
Max fece una smorfia che avrebbe dovuto essere un sorriso. Voleva credergli ma si sentiva in colpa.
 
Molto bene, Max Caulfield! Aggiungiamo anche questa alla lista di sensi di colpa della tua breve e patetica lista! Non fai altro che rovinare tutto a tutti, eh? Beh almeno i tuoi non sono morti per causa tua. Per ora.
 
Ryan intuì che la figlia non si era comunque risollevata. Era straziato nel vederla cosi, dopo tutti quei mesi. Cercava di essere ottimista e sorridente, come lo era sempre stato nella sua vita, ancora di più quando era nata Maxine. Ma ora doveva tenere ancora più duro. Per lei.
Non riusciva a immaginare cosa avesse dovuto passare ad Arcadia, ma aveva la sensazione che vi fosse molto altro che non riusciva a cogliere. Per esempio: tutto quell’odio per Mark Jefferson….
Ok, uno dei suoi idoli l’aveva tradita, rivelandosi un pervertito figlio di puttana. Ma quello che percepiva in lei era più profondo di una delusione. Sembrava sconvolta, rabbiosa e imbarazzata. Sembrava che avesse seviziato anche lei. Ma nelle indagini, fortunatamente, non risultava che avesse mai circuito sua figlia. Anche se, in estrema confidenza, gli avvocati gli avevano confessato che Jefferson ambiva a Max. Se lo era fatto sfuggire in uno dei pochi appunti salvati dal suo ufficio. Il portatile, il cellulare e altri effetti personali importanti erano svaniti, forse con la complicità della tempesta, forse anticipatamente distrutti prima da Jefferson stesso.
Ma avevano trovato il registro di classe e delle annotazioni. E il nome di Max Caulfield era uno dei pochi a ripetersi. La considerava ‘l’unica degna di attenzione’ , ‘possiede un dono, mi sento affine a lei. Devo avvicinarla. L’unica vera pura artista in una classe di mediocrità borghese.’.
Troppo inquietanti per essere semplici considerazioni di un insegnante, specie dopo tutto quello che avevano scoperto. Chiesero a Jefferson del perché di queste note e lui le liquidò come ‘semplici riflessioni da insegnante verso una studentessa brillante’.
Pezzo di merda.
Ryan si sedette accanto a sua figlia e riprese
“Quando sei comparsa sul vialetto quella sera…la sera stessa del disastro, il mio cuore e scommetto anche quello di tua madre, si è fermato. Sai cosa significhi per un genitore svegliarsi al mattino e sentire un’edizione speciale riguardo a un tornado nell’Oregon? Io e tua madre non siamo persone da accendere la tv al mattino, quindi puoi immaginare quando sono arrivato al lavoro, le telefonate da amici e parenti. Tutti che mi chiedevano come stavi, tutti a dirmi che Arcadia Bay non esisteva più. I miei colleghi mi imposero di tornarmene a casa, fare le valigie e venirti a prendere. Tua madre che mi chiama in lacrime dicendo che non poteva essere vero, che tu eri in salvo, che dovevamo partire subito per venirti a prendere perché chissà come sarà spaventata.
La frustrazione di non poter partire. Le autorità che ci contattano ci dicono che non è sicuro. Partiamo lo stesso, ma ci fermano poco dopo. Ci intimano di non andare in Oregon, che l’area è in via di evacuazione, che non sanno nulla di nulla se non che, essendo stato un fenomeno improvviso, non vogliono che nessuno vada ad Arcadia nel caso ne capitasse un secondo.
‘Signor Caulfield, mi duole dirglielo, ma sua figlia risulta dispersa.’ Cazzo se ha fatto male. Tua madre per poco non ci restava secca.”
Ryan fece una pausa e accarezzò la schiena di sua figlia, che lo fissava mortificata.
“E mentre pensavamo a un modo per aggirare i controlli e infilarci in Oregon di nascosto, ecco che sentiamo il campanello e tu eri li. Tu e Chloe. Vive, turbate ma vive. Davanti a noi! Cazzo è stato come quando sei nata, stessa emozione. Ero padre, sono ancora un padre. Siamo ancora un famiglia. E hai portato Chloe! Ci hai dato la gioia di rivedere la figlia dei Price, viva anche lei. Max, come puoi pensare che per noi tu sia stata un intralcio, quando rivederti sulla soglia di casa è stato il regalo più bello che potessi farci?”
Max si sciolse in un largo sorriso.
“Scusami pà. A volte non so…. A volte non sono cosi sveglia.”
“Cosa? Tu sei fin troppo sveglia Max! Non sei madre, tutto qui. Ma credimi: uscire a cena una volta all’anno è un prezzo più che ragionevole per averti qui, viva.”
Abbracciò sua figlia, poi si alzò e dichiarò
“Direi che ci siamo meritati una merendina al cioccolato! Ora: dove le nasconde tua madre? Non vuole che le trovi io.”
“Mmmh… scopriamolo!”
Passarono dieci minuti a rovistare nella cucina, poi trovarono le merendine e ne mangiarono due a testa. Ryan sperò di non essersi rovinato l’appetito, senno sua moglie lo avrebbe linciato sul serio. Per Max fu una gioia quel momento padre – figlia. Cazzo, era felice. Doveva smetterla di pensare, andare in ansia o non godersi tutti questi attimi.
Sua madre scese, già quasi pronta per uscire. Fecero sparire le prove e riordinarono la cucina in tempo.
Ryan riempì di complimenti la moglie e poi sparì di sopra, per lavarsi lui.
“Che ha combinato? Quando fa cosi è perché ha combinato qualcosa.”
“Nulla, che io sappia.”
“Ok. Che AVETE combinato? E' ovvio che sei sua complice...”
“Nulla. Solo un caffè”
“Max…”
“Meglio che vada di sopra a… a….. beh devo andare di sopra!”
 
 
Verso le sette e mezzo di sera, nonostante il sole fosse ancora alto, i coniugi Caulfield si congedarono dalla figlia e andarono a cena.
“Bene Max: ora sei sola.” rifletté a voce alta, guardando il piano inferiore deserto.
Andò verso la tv e l’accese. Non aveva un motivo preciso, semplicemente non voleva silenzio in casa.
Sentì punzecchiare l’ansia alla base del cervello, decise che doveva calmarsi a tutti i costi. Forse era la prima volta che restava sola in casa, da quando era rientrata a Seattle.
Andò al piano di sopra e decise di farsi un bagno rilassante. Doveva spegnere la tv? No.
Anzi, più rumore: prese il telefono e mise la musica mentre si lavava.
S’immerse totalmente in acqua mentre il suo telefono riproduceva Parties di Elizabeth, un brano che la rilassava particolarmente. Ottimo per quel momento.
 
I would lay with you while the flood rushed in
I would lay with you for all time
Show me where you break
I could show you my mistakes
I could keep your hurt with mine
But how quickly things can change
In an instant there is pain
There are clouds where there was always sun
Tell me, when you’re out
Don’t you miss me? Do you doubt
Saying goodbye?
Or do you only feel your high

 
 
Che film poteva scegliere per stasera? Chloe non aveva dato indicazioni. Non Blade Runner. Qualcosa di diverso.
Si disse che ci avrebbe pensato più tardi.
Senza che se ne rendesse conto, era passata più di una ora. Uscì, senza troppa fretta, e con l’accappatoio si diresse in camera, per vestirsi. Ovviamente indossò di nuovo il suo pigiama: tanto il programma era comunque un film a letto!
Sistemò le lenzuola,  prese una coperta nuova per coprire il letto cosi, se avessero sporcato di sugo, non sarebbe incappata nelle ire di sua madre.
Non avendo altro da fare, scese al piano di sotto.
Erano quasi le nove e si stava concludendo il notiziario.
Nulla di grave, a quanto pareva. Ondata di caldo in arrivo, l’economia, la politica…
“Prima di chiudere, un aggiornamento dall’Oregon…!
Max si congelò.
Non aveva più cercato notizie, ne guardato telegiornali. Se i suoi lo stavano guardando, come arrivava il momento delle ‘Notizie dall’Oregon’ cambiavano canale.
Che fare? Aveva scoperto tante cose nelle ultime ore….
Ascoltarle? Darsi l’ennesima pungalata?
Troppo tardi
“….Ufficializzata l’udienza preliminare per Mark Jefferson. I rallentamenti alle indagini causati dal maltempo e da quelli che l’accusa definisce ‘continui depistaggi’ da parte dell’imputato, hanno fatto slittare di molto la data, a tal punto di trovarci oggi con otto mesi di detenzione dell’imputato e una data formale per l’udienza preliminare: Lunedì 7 Luglio. I pareri sono discordanti su come si concluderà, ma le prove a carico di Jefferson…”
Spense la tv.
Tremava.
Era un miracolo e una stranezza che fosse ancora in carcere dopo 8 mesi. La particolarità della situazione lo permetteva, e c’erano prove per accusarlo di qualcosa
 
 
potrebbe essere libero prima di quanto pensi, Max…..Dovrebbe morire….dovresti ucciderlo tu….
 
...ma si augurò che quel qualcosa fosse abbastanza per farlo sparire e tenerlo lontano dalla sua vita.
Non ci sperava. Ma doveva farselo bastare. Quel capitolo doveva chiudersi e lei doveva andare avanti. Basta Jefferson, basta Arcadia Bay.
In lei montò l’inquietudine e l’ansia. Era sola a casa, c’era silenzio. Il sole estivo era ancora bello vivo, e non avrebbe fatto buio ancora per un poco. Doveva rilassarsi.
Andò in cucina, prese un bicchiere d’acqua e cercò di bere, ma si scoprì tremolante, tanto che si rovesciò abbondanti gocce sul petto.
“Merda. Brava Max, proprio brava. Non sai manco più come si beve, ora? Solo perché hai paura di sono stronzo psicopatico RINCHIUSO IN UNA FOTTUTA CELLA.”
Cercò di calmarsi. Era a chilometri e chilometri di distanza. Non poteva sapere che lei fosse a Seattle..
 
(O forse si? Bastava una rapida indagine su i suoi avvocati, no? Avrebbero visto di che studio erano alle dipendenze. Poi forse le era sfuggito in classe che i suoi stavano a Seattle? Non ricordava)
 
…e soprattutto in che zona della città. Inoltre, era in un carcere di non poca importanza. Le sfuggiva il nome, ma aveva controllato ed era abbastanza sicuro da quel che aveva capito. Quindi perché preoccuparsi? Se fosse fuggito, lo avrebbe sentito prima al telegiornale e non sarebbe certo potuto capitarle in casa ORA.
E tra circa un’ora Chloe sarebbe tornata.
Non c’erano possibilità che fosse in pericolo. Tutto andava bene, doveva solo accettarlo.
Ma la casa muta non l’aiutava.
Cercò di distrarsi, cercando il libro che leggeva prima sua madre. Forse era nella camera dei suoi? No, non voleva entrare li. Le sarebbe sembrato di disturbare la privacy dei suoi genitori.
A proposto, a che ore sarebbero tornati? Si stavano divertendo? Cazzo, si! Se lo meritavano.
Salì al piano di sopra, entrò in camera sua e si mise a scegliere il film, sperando che potesse distrarla un poco.
 
 
“PIIIZZZAAAA!!”
Chloe aveva spalancato la porta della camera e urlato. Max, che era assorta in un libro (stava leggendo 1Q84I  di Murakami, sobbalzò violentemente
“Cazzo, ma sei pazza?”
Chloe se la rise di gusto
“Non mi hai sentito entrare?”
“No.”
“Fiiico: sono ancora una stramaledetta ninja!” rispose compiaciuta. Si diresse verso il cassettone e prese un ricambio di intimo
“Allora, le pizze sono in forno. Ho messo il minimo, cosi si riscaldano un po’. I milkshake… beh c’è stato un problema logistico del tipo ‘non-ho-calcolato-il-caldo’ e sono in freezer a rianimarsi. Faranno cagare, ma meglio di nulla. Io vado a farmi una doccia. Fammi il favore: tieni d’occhio la nostra cena, ok?”
“Roger - roger.”
“Tutto a posto?”
“Oh si…. Mi sono annoiata un po’ in queste ore, ma ho rimediato. E ho già scelto un film!”
“Fico! Cosa?” chiese, sballottolando il reggiseno pulito tra le mani
La Mosca. E’ un mezzo horror.”
“Allora hai fatto centro!” e si dileguò in bagno.
Attese un tempo accettabile, poi andò di sotto, spense il forno, riprese i cartoni della pizza che erano abbandonati sulla penisola, vi adagiò e tagliò le pizze. Poi recuperò due lattine di coca dal frigo. Non aveva spazio per i milkshake, cosi dovette fare un altro giro al piano di sotto dopo che ebbe portato la portata principale di sopra.
Chloe arrivò appena ebbe finito di sistemare tutto. Si sdraiarono sopra il letto e si gustarono la cena e il film in silenzio.
Verso metà del film, con le pizze ormai andate, le bevande finite e i milkshake in dirittura d’arrivo, Chloe propose di aggiungerci anche dei pop corn. Max non poté rifiutare.
Pausa, microonde, ciotola e ripresero a mangiare. Quasi a film ultimato, tornarono a casa i genitori di Max. Vanessa, visibilmente ubriaca, si affacciò alla loro porta per augurare la buonanotte, sorretta da suo marito, con una espressione mista tra imbarazzo e divertimento.
“Tua mamma spacca.”sentenziò Chloe.
Terminato il film, Max notò che la sua compagna era provata dalla giornata, benché avesse stoicamente resistito per tutta la durata della pellicola.
“Stai migliorando. Dai infilati sotto le coperte. Io sistemo tutto.”
No, Max. Facciamo domattina. Lascia tutto qui impilato a terra e stop.”
“OK, ok. Ma togliamo il copriletto almeno. “
“Faccio io. Tu togli il dvd e spegni la tv.”
Si alzò, estrasse il disco, lo rimise nella sua custodia e poi nel ripiano dei dvd. Spense la tv, si voltò e vide Chloe, in piedi dietro di lei, senza maglietta, che la osservava.
“Chloe? Tutto o…”
Non terminò la frase. Chloe la prese e la baciò. Non fu per nulla casto. Si ritrovò la sua lingua a frenarle qualsiasi parola. Rispose al bacio con entusiasmo. Poi, Chloe la prese per la maglietta, gliela tolse, l’afferrò per i fianchi e la spinse sul letto.
“Chloe dovresti riposare..”
“Dopo.”rispose decisa
“I miei sono rientrati…”
“Beh allora preparati a dire domattina che hai avuto un altro maledetto incubo.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Interludio: I-5
 

 
“Devo fermarmi.”
Chloe era esausta. Aveva guidato senza sosta per due ore. Non era stanca per la guida, ma per tutto: la notte quasi in bianco, la tempesta, la fuga.
“Assolutamente si.”confermò Max.
Aveva freddo, si sentiva sfinita e aveva perso ancora sangue dal naso, nonostante non avesse usato il suo potere. Ma ora sembrava andare meglio, anche il dolore alla testa era quasi svanito.
Ma aveva gli abiti fradici e non si erano nemmeno fermate per cambiarsi appena uscite dai confini di Arcadia. L’unica preoccupazione per loro fu scegliere la strada. Chloe non sapeva quale fosse la più veloce per Seattle, quindi Max le consigliò di prendere la I-5. Con quella avrebbero impiegato circa quattro ore, mentre la 101 ne avrebbe richieste circa sei e dovevano pure pagare i pedaggi. Il solo vantaggio della 101 era il paesaggio.
Ora, dopo due ore, in mezzo ai boschi dell’Oregon, si erano fermate.
Chloe smontò al volo, intenzionata a sgranchirsi le gambe. Max rimase sul pick-up, tremante di freddo e avvilita. Avevano lasciato alle spalle la devastazione. Circa due ore prima lasciavano i resti di una cittadina dopo che il tornado l’aveva colpita.
Avevano assistito dal faro tutta la devastazione, come era arrivato alla spiaggia e, lentamente, perso potenza una volta piazzatosi nell’entroterra, svanendo nel giro di un minuto, a poche decine di metri dal centro di Arcadia Bay. I venti, però, avevano raggiunto anche le parti più remote della città. Avevano visto, dal faro, parti dell’Accademia Blackwell staccarsi e volare nei boschi.
Alcune aree, una volta sbucato il sole, sembravano quasi intatte: le parti a nord e a sud, ovvero la zona del faro e della discarica verso nord e il quartiere residenziale (dei ricconi rottinculo come l’aveva ribattezzata Chloe) nella parte sud, avevano subito ben pochi danni, confrontati con il resto.
La zona centrale, più nell’entroterra, era stata colpita duramente, ma non in maniera irrimediabile. Tant’è che avevano provato ad andare a casa di Chloe e l’avevano trovata ancora in piedi, senza più vetri, con alcune parti del tetto divelte, ma in piedi. Entrarono, facendo in fretta, presero due borsoni dal garage, dove prelevarono alcune scatolette di cibo per sicurezza, la cassetta degli attrezzi di William che Chloe conservava gelosamente, poi tornarono in cucina e presero dell’acqua, facendo attenzione ai vetri sparsi in giro: la cucina era conciata peggio di tutto il resto della casa, dato che si erano frantumate anche le porte-finestre che davano sul giardino, inondando di schegge il divano, rovesciando il tavolo e quasi tutto ciò che stava sui ripiani della cucina. Chloe calpestò qualcosa che si rivelò essere il vecchio barattolo dei risparmi per il viaggio a Parigi. Lo fissò con un misto di amarezza e dolcezza, si chinò a prendere le banconote fradice e ancora integre che sbucavano e se le infilò in tasca. Max, invece, aveva prelevato anche il vecchio album di fotografie della famiglia Price: ricordava che fosse in un ripiano in alto della libreria, vicino alla porta del garage, quando Joyce due mattine orsono aveva 'pescato' da li, per regalargli la foto di lei e Chloe da bambine, da cui aveva cercato di salvare la vita di William tornando indietro. Salirono in fretta al piano di sopra, facendo attenzione a non ferirsi dai resti che ingombravano le scale. A parte qualche pezzo di legno e vetro delle finestre sfondate, il piano superiore sembrava quasi salvo. Chloe entrò in camera di sua madre, prese una foto di famiglia, con Joyce e suo padre William, alcuni ricordi di suo padre, una collana da pochi soldi di sua madre e, nonostante si sentisse in colpa, ficcò tutto nel borsone. Voleva qualcosa che gli ricordasse la sua famiglia. Di quando non era orfana. Max s’infilò nel bagno, prese il tubetto per colorare i capelli di Chloe, pensando di fargli una cosa gradita, il suo vecchio asciugamano dei pirati e lo spazzolino per Chloe che, notandola, le gridò che stava perdendo tempo e non erano al sicuro. Scivolarono in camera sua, dove la situazione era abbastanza tragica: entrambe le finestre esplose avevano riempito di schegge la stanza, strappando la bandiera americana, i poster, ribaltando la scrivania facendo cadere il computer, che era sfasciato a terra, la giacca di William era finita a terra ma ancora vicino l’ingresso e Chloe la recuperò subito, prima di farsi strada verso l’armadio e prendere a caso manciate di vestiti. Poi si dedicò a recuperare da sotto il letto, facendo attenzione a no aprirsi tagli multipli sulle braccia, la scatoletta di metallo con dentro la foto di lei e Rachel, alcuni risparmi e la sua ultima scorta di erba. Si alzò e notò che Max si era soffermata sul loro murales dipinto durante l’infanzia. Constatò che la sua amica non stava bene e sembrava ancora sotto shock ma non si arrabbiò. La prese per una spalla e le sorrise. Poi, guardando il murales, decise di salvarlo. Lo spogliarono di tutte le prove sulla loro ricerca del corpo di Rachel che erano sopravvissute alla furia dei venti, filtrati dalla finestre rotte, le infilarono in una busta di plastica che misero assieme ai vestiti, presero il murales e lo trascinarono fino al retro del pick-up, dove gettarono anche le borse. Poi salirono e andarono via, facendosi largo tra resti di lamiere e legno, animali incuriositi, cadaveri e auto ribaltate, abbandonandosi alle spalle quello che restava della loro città natale, dirette verso la sola meta sicura che conoscevano: casa Caulfield a Seattle. Non potevano certo bivaccare in mezzo ai boschi e vivere come randagie, senza soldi e senza preparazione alla vita slevaggia. Inoltre le avrebbero potute cercare e, per quanto Chloe l’affascinasse l’idea di farsi credere morte, Max la fece riflettere sull’impossibilità della cosa. Conveniva andare a Seattle e attendere il corso degli eventi, cercando di ricominciare una vita normale.
“Ah merda!” urlò Chloe
Max, udendola, scesa di corsa dal pick–up e le andò incontro. Si erano fermate al ciglio della strada, in mezzo ai boschi. Chloe era piegata sulle ginocchia, con la testa rivolta a terra.
“Che c’è?”chiese Max
“Nulla. Avevo bisogno di sfogarmi. Guarda ora che fottuto cielo stramaledetto azzurro abbiamo. Fino a qualche ora fa lo avresti mai detto che c’era l’inferno? Porca puttana! A cosa cazzo abbiamo assistito!”rispose “Cazzo Max siamo fradice, in fuga e con zero ore di sonno. Cambiamoci. Tanto non passa nessuno qui.”
“Io non ho niente, Chloe.”
Lei rispose con uno sguardo complice. Aprì un borsone, ne estrasse degli indumenti familiari.
“Secondo te non avevo pensato alla mia secchiona preferita? Tieni, tanto sappiamo già che ti vanno” e le passò gli abiti di Rachel Amber: jeans strappati neri, maglietta bianca e camicia a quadretti rosso e neri.
“Volevo tenerli come ricordo e….beh anche perché con i miei vestiti saresti ridicola.” spiegò Chloe.
“Max si infilò nel pick-up e cominciò a spogliarsi. Le fece maledettamente strano vestirsi di nuovo con quei abiti, specie dopo aver scoperto che Rachel….
Era abbastanza sicura che Chloe li avesse presi per ricordo e basta.
Quest’ultima la raggiunse poco dopo, quando ormai era quasi vestita. Gettò la canotta bianca con su il serpente (Uroboros, per essere precisi), i jeans e il berretto. La felpa era già adagiata sul cofano da ore e adesso era in compagnia di un bel mucchio di stracci umidi.
Chloe si infilò un paio di pantaloni grigi, prese le bretelle di suo padre e le riagganciò, s’infilò una vecchissima t-shirt bianca con un gatto pirata che Max riconobbe come un suo vecchio regalo ( e la conferma la ebbe quando notò che non le andava più bene) e fece a meno del berretto, lasciando i suoi capelli blu ancora umidi, liberi e scomposti. Eppure stava ugualmente bene mentre lei si rifiutava di vedere che aspetto avesse.
“Ok, grande piano: avanziamo fino alla prossima stazione di servizio e ci fermiamo per colazione. Si lo so che abbiamo fretta, che c’è del cibo per sicurezza nelle borse, ma nulla di caldo o adatto a una colazione. E ho bisogno di caffeina.”
“Anche io.”mormorò Max.
“Ottimo…. Dunque siamo a….”
“Poco dopo Woodland, se ho letto bene. Siamo già nello stato di Washington.”
“Ottimo. Siamo a metà strada. Cellulare?”
“Spento. Come il tuo.”rispose prontamente.

Avevano deciso di spegnere i loro telefoni. Non volevano essere rintracciate finché non sarebbero arrivate a Seattle. Forse, con questa azione, avrebbe fatto preoccupare i suoi, ma voleva vederla come una sorpresa presentarsi senza preavviso a casa. Anche David si sarebbe potuto preoccupare per Chloe, appena le linee fossero state ripristinate.
Il motivo reale è che non se la sentivano di affrontare le conseguenze. Chiamate, messaggi e tutto quello che poteva ricollegarle al mondo avrebbe avuto un solo significato: scoprire chi era morto.
Mentre abbandonavano la loro terra natia, avevano perso il conto delle ambulanze, dei camion dei pompieri, delle volanti della polizia che avevano visto viaggiare nel loro opposto senso di marcia. Sicuramente venivano da Portland e Hillsbro, ma forse anche da centri più piccoli. Il lavoro da fare era tanto.
Ripartirono e videro che, a due miglia, ci sarebbero stata una area di sosta con bar. Appena arrivate, corsero all’interno e presero due tazze di caffè a testa, tre donut, due hot dog e due bicchieri di succo d’arancia. Pagò tutto Max, dato che aveva salvato il suo portafogli nella sua tracolla, assieme alla macchina fotografica del padre di Chloe e altre poche cose. Pagò anche la benzina. Chloe aveva recuperato il suo portafogli e i suoi risparmi in camera ma non era una grande cifra e le sarebbero serviti tutti, una volta arrivate.
Si sedettero e trangugiarono tutto in fretta. Poi, a pancia piena, scaricarono lo stress. Piansero in silenzio per un minuto, si strinsero le mani più forte che poterono e cercarono di ricomporsi.
“Non è colpa tua Max. Mia madre…. Mia madre sono certa che si sarà messa in salvo. Anche se non ha creduto al mio post-it, sono certa che si sarà messa in salvo. Ma se cosi non fosse, non è colpa tua. Non hai scelto tu…”
“Si che ho scelto.”

“NO!Era un fottuto ricatto, ok? Non so cosa avrei fatto io al tuo posto…perdere te o centinaia di persone di cui, esclusa la mia famiglia, non me ne fotteva un cazzo di niente. Fanculo,io scelgo te.”
“Io sceglierò sempre te, Chloe. Ma….tutto questo l’ho causato io. Lo sappiamo entrambe che è cosi…”
“No,cazzo. Smettila. Non hai mai chiesto tu. Io ti ho spronata ad usare quei poteri. Sono più colpevole di te, se la mettiamo così. Sei stata straordinaria, ok? Ti devo tutto, la vita specialmente. Se ora sono qui, non è certo colpa tua, semmai merito. Ora sta a me dimostrare che merito quello che mi hai donato, sia la vita che l’amore. Ti giuro che farò ogni cosa, Max.”
“Non occorre. Il senso di colpa non andrà mai via, Chloe. Mi sentirò sempre sporca.”
“Allora lascia che mi sporchi anche io.”

Si allungò e la baciò.
“Max….”continuò Chloe, terminato il bacio “Ti giuro che mia madre sarebbe d’accordo con questa scelta. Mi spiace solo non averle detto quanto le volevo bene e che non la odiavo…”la voce le se ruppe e ricominciò a piangere. Appena si calmò un poco, riprese “…ma spero che, in fondo al cuore, lei lo sapesse già. Devo sperarlo per non impazzire. Ma sono certa, più di ogni altra cosa, che avrebbe scelto questo per noi. Almeno ora andrà da papà…”
Max andò a sedersi accanto a Chloe e l’abbracciò più forte che poté.

Notò una coppia di camionisti che le guardavano, chissà da quanto. Uno sembrava divertito. Forse, pensò, ai loro occhi dovevano sembrare due pazze.
“Ora rilassati. Prendo un altro po’ di caffè, ok?”
Chloe annuì.
Fece in fretta e si risistemò accanto alla sua amica, o forse era meglio dire che ora era la sua ragazza, e le allungò il suo caffè. Lei, invece, optò per un macchiato.
Appena iniziarono a bere, si spalancò la porta ed entrò trafilato un altro camionista. Il volto era paonazzo e sembrava sconvolto
“Cazzo gente! Arcadia Bay non esiste più!”
“Coooosa?”strillò il vecchio alla cassa “Che cazzo dici tu?”
“Ve lo giurò!” insistette il camionista appena arrivato “Arrivo da quelle zone e c’è un disastro. Non so quante ambulanze e auto della polizia ho incrociato. Giurerei di aver sentito anche degli elicotteri. Ma la città…cazzo la città… dall’altopiano della 101 si può vedere… è impressionante! Da brividi.”
Il vecchio cassiere armeggiò con la tv sopra di lui, che era spenta. Max non aveva badato granché a come fosse quella stazione, figurarsi se aveva visto un televisore!
“Si ho sentito anche io, alla radio.”disse uno dei due camionisti divertiti “Non sanno spiegare cosa sia successo. Però la città è distrutta. Girano voci di una specie di tempesta tropicale. Ah! Nel Pacifico! Siamo alla follia.”
Chloe si sentì a disagio e Max lo percepì. Si fissarono, si compresero e si alzarono. Presero un po’ di barrette al cioccolato per il viaggio, e pagarono. Mentre erano alla cassa, il televisore riportava una edizione straordinaria di un telegiornale locale. Max badò solo alle parole scritte in rosso “Arcadia cancellata!” e udì farneticare qualcosa come “Tremenda sciagura naturale”.
Naturale un cazzo.
Sovrannaturale.
Che cazzo di settimana. Ed era venerdì!
Mentre uscivano, l’altro della coppia di camionisti divertiti urlò  loro dietro “Hey lesbiche! Voi non sarete mica delle fuggiasche di Arcadia eh?”
Max cercò di ignorare, ma Chloe non resse. Era al limite
“Hey figlio di puttana!”strillò “Metti nel culo tutto il tuo stramaledetto rimorchio, omofobico bifolco di merda.”
I camionisti, tutti e due, s’incazzarono di brutto e costrinsero le ragazze alla fuga. Saltarono sul pick-up e lo misero in moto appena in tempo, fuggendo via.
Appena passò la tensione, le ragazze scoppiarono a ridere di gusto. Poi, Chloe accostò di nuovo sul ciglio, in mezzo agli alberi, spense il motore, si lanciò su Max, la baciò con foga e le disse “Non vedo l’ora di essere a Seattle.”.
Poi ripartì, tenendole la mano.
Fecero molte, troppe soste. Cosicché, anziché quattro ore, ce ne misero quasi sette.
Quando arrivarono alla periferia di Seattle era quasi sera.
Chloe si fermò, scese e ammirò la grande città sullo sfondo. Max le si mise accanto, cingendola in vita.
“Beh…ci siamo… addio Arcadia, benvenuta nuova vita.”disse quasi commossa.
“Benvenuta a Seattle, Chloe Price.”rispose Max con dolcezza.


 
 


5.
 
Il sole era già sorto e la calura stava già facendosi sentire, nonostante l’aria fosse acnora un po’ frizzantina.
Amava quel momento. Quiete, nulla.
Chloe tirò una boccata dalla sua sigaretta, oramai quasi terminata, e rimase a fissare l’orizzonte dal giardino sul retro di casa Caulfield.
Non che si vedesse granché, ma vedere i colori del mattino nel cielo le bastava. Il giardino sul retro della casa di Max era, per dimensioni, simile a quello di casa sua, ad Arcadia Bay.
Un bel rettangolo verde, con un albero rigoglioso di cui non aveva mai chiesto la specie, un piccolo barbecue a rotelle, un tavolino e delle seggiole da giardino bianche. L’ultima aggiunta era il posacenere sul tavolino, esclusivamente per lei, dato che era l’unica fumatrice della casa.
Per rispetto, non fumava mai in casa e, quando poteva, lo faceva in giardino.
Era presto, era domenica ed era di riposo. Si sentiva maledettamente carica e soddisfatta della prospettiva di avere una intera giornata senza lavorare. Una a settimana, ma era comunque una gran cosa.
Finì la sua sigaretta, andò al posacenere e schiacciò il mozzicone all’interno. Ne contò altre sette già decedute, per un totale di otto sigarette fumate  in… due settimane? Non ricordava quando svuotava il posacenere, di solito, ma sapeva che lo faceva lei e basta. Era un modo per imporsi di smettere di fumare con calma. Poco dopo essere arrivata come una profuga dai Caulfield e vedendo con quanto amore la trattavano, aveva deciso di regolare qualsiasi cosa potesse pensare che li infastidisse. Non essendo fumatori, pensò che era il caso di ridurre la sua esperienza come tabagista ma, almeno all’inizio, non fu facile.
Lentamente iniziò a migliorarsi. Sapeva che i Caulfield non si sarebbero irritati se fosse rimasta al solito livello di nicotina consumata, ma voleva comunque imporsi di farlo per loro. A dire il vero, sembrava che niente, assolutamente NIENTE, potesse infastidirli. La trattavano davvero come una figlia loro e non sentiva tanto amore dentro una casa da quando suo padre era uscito per andare a prendere sua madre, salvo poi non tornare più per colpa di un figlio di puttana camionista.
Li odiava quei cazzo di sudici stronzi su quei loro fottuti camion.
Comunque sia, otto. Se sommate alle dodici al lavoro, sempre nell’arco delle ultime due settimane, era a venti. Cazzo, si! Era scesa di altre due sigarette.
“Sei figa, Chloe Price.”
Rientrò, facendo meno rumore possibile dato che era l’unica sveglia. Non aveva senso stare ancora in giardino, ormai il sole stava stravolgendo la sua serie di colorazione preferita.
Andò nel bagno di sopra, si lavò di denti e, presa dal momento, decise che non avrebbe fatto colazione a casa.
Tornò in camera e ammirò Max, seminuda, avvolta nelle lenzuola. Dormiva così beatamente che sarebbe rimasta a fissarla volentieri.
In fondo allo stomaco, sentì ancora quella ansia di non essere alla sua altezza, di perderla.
C’era qualcosa che doveva affrontare per godersi Max al meglio ma non capiva, o non voleva ancora capire, cosa fosse quello che aveva lasciato in sospeso.
Qualunque cosa fosse, però, col cazzo che avrebbe rinunciato alla ragazza della sua vita. Letteralmente, dato che era cresciuta con lei e tutti i ricordi migliori della sua infanzia erano con Max.
Ora capì perché le fece tanto male la sua assenza, durante quei fatidici cinque anni.
“Sei una meravigliosa testa di cazzo, Maxine.”mormorò, prima di baciarla sulla guancia.
Si cambiò, prese gli stessi vestiti di quando erano uscite venerdì sera, le scatole delle pizze, le lattine, i milkshake vuoti e la ciotola finita di pop-corn e scese al piano di sotto.  Getto i cartoni, le lattine e i bicchieri dei milkshake, sciacquò la ciotola e la mise a scolare. Poi andò all’ingresso, si mise le scarpe, prese le chiavi della sua auto, il portafogli e guidò in direzione Northgate Mall, spingendo al massimo la musica. Il brano di buongiorno era Ready To Start  de gli Arcade Fire.
 
Businessmen drink my blood
Like the kids in art school said they would
And I guess I'll just begin again
You say can we still be friends
If I was scared, I would
And if I was bored, you know I would
And if I was yours, but I'm not
All the kids have always known
That the emperor wears new cloche

 
Canticchiò volentieri . Si sentiva di buonumore quella mattina e il programma che si era stilata le sembrava sposarsi appieno con il suo umore: un bel giro al  centro commerciale, colazione, cercare qualcosa di carino per l’estate, magari un costume fico da sfoggiare in California e poi sarebbe tornata per pranzo.
Appena arrivata, parcheggiò il fedele pick-up e s’incamminò verso l’ingresso. Non amava molto la scritta in ferro  ad arco ‘Welcome to Northgate’… troppo rievocativa di un certo posto in Polonia.
Per il resto, non le dispiaceva il Mall.
Era FOTTUTAMENTE gigantesco, specie per una come lei abituata alla realtà della costa dell’Oregon. C’erano negozi di ogni tipo, locali dove mangiare le cose più disparate e, soprattutto, un sacco di articoli geek che avrebbero fatto impazzire Max.
Si diresse al primo bar che adocchiò: ora era davvero affamata.
Consumò una colazione carica: due muffin, un caffè americano, un succo d’arancia. Pulì tutto e dette il via alla sua esplorazione.
Si era convinta che il costume da bagno era fondamentale e sarebbe partita da li.
 
 
Max si svegliò alle dieci passate. Scostò il lenzuolo e si ricoprì subito. Si era dimenticata della sua condizione. Cercò almeno la maglietta del pigiama da qualche parte, tra le lenzuola. Chloe non c’era, forse era già di sotto a fare colazione.
La trovò, per terra davanti al televisore. Si vestì e scese, ignorando la sua immagine allo specchio. Temeva di scoprire come era messa quella mattina.
Appena arrivata di sotto, vide solo suo padre. Era ancora in pigiama, sorseggiava un caffè e leggeva un fumetto.
“Giorno Pà. Chloe e mamma?”
Suo padre ridacchiò
“Ah mamma non credo che si sveglierà prima di mezzogiorno. E quando lo farà, sarà comunque uno spasso. Chloe non c’è. Sarà andata in gita da qualche parte.”
“Si, è possibile.”commentò Max, che aveva notato anche che Chloe aveva risistemato tutto “Mamma ha bevuto parecchio, eh?”
“In realtà no. Ma non era più abituata a farlo. Poverina. Speriamo si riprenda per cena: ha detto che aveva un piano per noi.”
“Uuuh allora me lo auguro anche io! Uova e Bacon?”
“Mh stavo per farmeli io, ma se insisti..”
“Si certo… come no…” lo punzecchiò Max, iniziando a preparare la colazione.
 
 
“Questo è stramaledettamente fico!” commentò Chloe.
Aveva trovato un costume da bagno a due pezzi, nero, con un disegno di ragnatele nel pezzo sopra e delle specie di pipistrelli nel pezzo sotto. Era cosi tristemente emo e da quindicenne complessata che lo adorò subito.
Ora però ne voleva uno carino. Normale se possibile
Dopo una ricerca di qualche minuto, scelse uno. Sempre due pezzi, a righe zigzagate gialle e nere.
“E per eventuali gite in piscina e la California, siamo a posto.”pensò, mentre pagava ventisette dollari e cinquanta e prendeva la borsa con dentro i suoi due costumi da bagno nuovi.
Scarpe. I suoi storici stivaletti iniziavano a soffrire parecchio e non credeva che sarebbero durati ancora molto. In questo caso non ebbe molta fortuna e l’unico paio che sembrava calzarle, era decisamente troppo da cinquantenne zitella.
Non si disperò granché: era estate, di sicuro non voleva passarla con gli stivaletti. Ripiegò su un paio a buon mercato, leggere ed estive, adatte per lavorare. Voleva un paio fichissimo da skater ma immaginava che per lavorare non fossero il massimo. Pensa se, dopo otto ore di corse al lavoro, fosse tornata a casa e le avesse tolte.
Edizione speciale: punkettona dell’Oregon uccide fidanzata e famiglia di lei togliendosi le scarpe.
No, meglio di no.
Capitolo maglie. Ne voleva qualcuna nuova. Solo che il Northgate Mall non sembrava vendere roba di suo gradimento. Una settimana fa aveva visto, in un negozio da qualche cazzo di parte a sud della città, una bellissima maglietta degli Slipknot ma si era trattenuta dall’acquistarla.
Ora se ne pentiva.
Benvenuti nella lunga lista di decisioni errate di Chloe Price!
Trovò comunque un paio di shorts carini, una maglietta di qualche videogioco (Max lo avrebbe sicuramente riconosciuto, a lei piaceva solo il disegno) e una camicia bianca.
Che altro restava? Dio non era abituata ad avere così tanto spiccioli da parte che  ogni spesa le sembrava una colpa atroce ma un piacere al tempo stesso.
Decise di prendere un pensierino per Max e qualcosa per i coniugi Caulfield. Poi,senza pensarci troppo,  aggiunse alla lista degli acquisti anche un bell’ornamento per la sua fedelissima auto.
Ovviamente, avrebbe improvvisato ogni acquisto.
 
 
Vanessa Caulfield aveva una pessima cera, ma questo non suscitò pietà al resto della famiglia, che ridacchiava nel vederla fare colazione con una fatica immensa e gli occhi pesti.
“Non usciremo mai più a cena assieme, Ryan.” mugugnò
“Ok amore.”rispose lui, ridendo.
Max si godeva la scena, mentre puliva la padella e i piatti. Aveva da poco servito la colazione, quando sua madre era risorta e si era presentata in vestaglia in cucina. Ora erano circa quindici minuti che cercava di addentare la sua seconda striscia di bacon e non aveva ancora bevuto nulla, ne latte, ne acqua.
Erano circa le undici e mezzo, quando la porta si spalancò e rientrò Chloe
“Buongiorno famigliola adorabile. Ben svegliati…beh forse Vanessa no…”
“Non ti ci mettere pure tu, Chloe…”
“Aspirina. Ti serve dell’aspirina. Fidati.”
“Ma che hai comprato?” chiese Ryan vedendo i sacchetti di Chloe “Eri al Northgate?”
“Yep, mister. Ho fatto un po’ di acquisti utili per il mio guardaroba.”
“E quel berretto?”chiese Max
Notò il berretto da skater, indossato al contrario, fatto a retina eccetto la visiera. Era completamente nero e non sembrava esserci disegnato nulla.
“Beh mi sentivo nuda senza qualcosa in testa!” si giustificò “Vi ho preso un pensierino”
Entrò in cucina, appoggiò due borse sul tavolo
“Dunque, ho preso l’occorrente per farci dei maccheroni al formaggio, anche se…” fissò Vanessa “Forse oggi a pranzo non è il caso…”
“No tesoro, cucina pure. Massimo me li tengo da parte. Comunque non dovevi: oggi io e Ryan andiamo a fare la spesa.”
“Davvero?”chiese Ryan “Pensavo andassi tu da sola!”
Vanessa replicò con uno sguardo gelido
“Certo amore. Andiamo assieme.”
Chloe si sbellicò dalle risate ma poi estrasse altra roba dal secondo sacchetto
“Dunque : Vanessa per te ho preso questo carinissimo bracciale. Non emozionarti, sembra prezioso ma lo pagato poco! Mentre a te, Ryan, un inutile ma simpatico paio di occhiali da sole nuovi. Scusa ma quelli che hai sono un po’ datati.”
I genitori di Max ammirarono i regali e ne furono entusiasti
“Chloe tu sei pazza! Non dovevi!”mormorò Vanessa
“Davvero Chloe, non ce ne era bisogno. Ma grazie davvero. E come sarebbe a dire che i miei occhiali da sole sono datati?”
Chloe non rispose, prese  Max per mano e, dichiarando che rapiva la loro figlia, si congedò dai Caulfield.
Trascinò Max in camera e, con fare solenne, la fece sedere sul letto e le consegnò il suo regalo
“Non dovevi Chloe.”
“Piantala di rompere le palle e aprilo!”
Si rivelò essere un anello, sembrava d’argento, ma si augurò vivamente di no. Chissà quanto lo aveva pagato, altrimenti! Era molto semplice ed elegante allo stesso tempo.
“Chloe è…”
“Mettilo. Ma prima guarda bene dentro.”suggerì lei, sedendosi accanto  a lei.
Max controllò l’interno dell’anello e notò una piccola ‘c’ in corsivo incisa.
“Almeno ci sarò sempre.”disse Chloe “Volevo qualcosa che lo suggellasse.”
Lo indossò e abbracciò Chloe
“Toccherà a me farti un anello, ora.”
“Woooo piano piano tu. Faccio un regalo e vuoi sposarmi?”
“Cretina. E comunque quella che me lo ha chiesto sei stata tu, dopo il pasticcio con Frank alla discarica!”
Chloe scoppiò in una fragorosa risata
“Oddio quanto eri fica e buffa allo stesso tempo. Tremavi come un foglia e poi…click! Hai premuto il grilletto! Ancora non ci credo…. Si, è vero mi sono dichiarata io. Ma è presto, rimandiamo di qualche anno.”
Max fece per alzarsi ma Chloe la trattenne
“Piano… il regalo vero arriva ora… però aprilo con delicatezza, mi raccomando.”
Prese una busta raffinata, piccola, chiusa con un nastro bianco in pizzo.
“Ma che cazzo…”
“Non preoccuparti.”la tranquillizzò, mentre si alzava e usciva dalla stanza “Vado a vedere come sta tua madre!”
Max aprì il pacco con una non indifferente emozione. Sbirciò dentro la busta, osservò bene, infilò una mano e..
“Chloe, fai sul serio? Oh cereali, mi hai regalato un perizoma?”
Sentiva ridere Chloe mentre scendeva le scale.
 
Accettando l’anello, ma nascondendo l’altro regalo, Max fece per scendere, ma prima decise di togliersi il pigiama. Mentre si cambiava, udì un ronzio. Non ci fece caso ma , mentre stava per uscire dalla stanza, lo udì di nuovo. Lo ignorò ancora.
Si lavò i denti e poi si decise a scendere le scale per andare di sotto ma, appena percettibile, udì ancora quel ronzio intermittente.
Rientrò e provò a risalire alla fonte del rumore.
Scovò, sotto il pigiama di Chloe, il suo cellulare. I ronzii erano delle chiamate senza risposta, da un numero non salvato in rubrica.
Per precauzione, lo portò con se e prese anche il suo telefono, ma nessuno l’aveva cercata. Quindi, chi la cercava Chloe cercava solo ed espressamente lei. Forse dal lavoro?
Scese al piano di sotto, per avvertirla ma, appena arrivata, la trovò in piedi, accanto a suo padre e sua madre, davanti al televisore accesso. Essendo tutti e tre vicini e in piedi, le era impossibile capire che stessero guardando.
“Chloe? Chloe? C’e qualcuno che..”
“Max…. cazzo… vieni subito qui.”
Il tono era serio e angosciato.
Si avvicinò alla tv mettendosi accanto a sua madre. E fu li che vide e comprese tutto.
Veniva mostrato in loop un video girato velocemente e malamente. Si vedeva un gruppo di poliziotti scortare un uomo, sulla trentina, con barba e capelli incolti, sul castano chiaro
Aveva dei tatuaggi sul collo,ma Max lo aveva riconosciuto senza nemmeno guardare quei tatuaggi.
Il titolo a caratteri cubitali della CNN recitava:
 
 
                     RITROVATO FRANK BOWERS, LO SPACCIATORE DI ARCADIA BAY

 
Restarono muti, anche fino a pranzo. Dopodiché, una volta riordinato tutto, Chloe ruppe il silenzio.
“Pensavo fosse morto.” mormorò “Lui con quel cazzo di camper dovevano essere volati almeno fino in Texas. E’ vivo ed è rimasto nascosto per tutto questo tempo. Quel coglione può cambiare le sorti di tutto.”
Era calato il silenzio in casa, e Chloe sembrava più turbata che mai. Aveva detto, e Max le credeva, che era felice di sapere che quel coglione si fosse salvato.
Avevano avvisato anche lui, di salvarsi, ma non aveva mai risposto. Considerando i precedenti, erano certe che non avesse creduto a loro. Dopotutto, lui era vicino alla baia, con il suo camper.
Max non lo ricordava, ma Chloe si. Ricordava quella notte assurda, quando…
 
 
….quando era tornata indietro grazie alla foto di Warren, Chloe aveva  ascoltato tutta la storia e le relative realtà alternative create e cancellate dai salti della sua amica, credendole e abbandonando le sue intenzioni assassine verso Nathan Prescott che, da quello che le disse Max, era già bello che andato. Inoltre, il messaggio in segreteria di Max,  confermava la storia. Prima che lei collassasse (Max collassò tre volte, ma non lo ricordava, eccetto per il primo brusco risveglio in spiaggia) si raccomandò a Chloe di tornare a casa e avvisare David e, in un ultimo spasmo di energie, mormorò di avvisare tutti. Arrivata in auto, era svenuta. Ricordò ancora la fatica per portarla di peso sulle scale e nel suo letto. Poi pensò di avvisare sua madre ma, dovendo andare al lavoro il mattino dopo ed era di turno già alle cinque di mattino per l’apertura, si limitò a lasciare un messaggio su un post-it davanti alla porta d’ingresso in cui intimava a sua madre di NON andare al lavoro. Non era sicuro.
Tornò in camera e rimase a vegliare su Max che, si risvegliò dopo più di una ora, ma sembrava estraniata dal mondo. Chloe sapeva che era in una sorta di limbo tra due linee temporali, ma riuscì farle scrivere un messaggio a tutti quelli della Blackwell, prima che la mente di Max svanisse di nuovo. Fu un momento orribile.
Vide per due volte la sua amica e la ragazza della quale aveva capito, durante quei folli giorni,di essere da sempre innamorata, bloccarsi, gli occhi divenire vitrei, pupille spalancate e persa in chissà dove. In quel momento aveva giurato a se stessa che mai e poi mai, se fosse andata a finire bene, avrebbe permesso a Max di incasinarsi ancora con il tempo. Le faceva male vederla così e si sentiva responsabile. Ancora non aveva realizzato che la sua vita doveva finire per impedire la tempesta in arrivo che, nonostante fosse notte, vedeva già comparire all’orizzonte: nuvole nere avevano oscurato la luna piena e un forte vento si era alzato intorno a mezzanotte.
Inconsapevole di cosa sarebbe accaduto, aveva lasciato tutto così com’era, persino le prove della loro indagine. Lì, in bella vista.
Aveva scritto a David, come su indicazione di Max, che le sue indagini erano corrette e che avrebbe trovato la risposta nel fienile dei Prescott ma di andare laggiù ARMATO e di avvertire la polizia immediatamente. Inoltre, avrebbero dovuto guardare anche all’American Rust Junkyard se volevano trovare Rachel Amber, ovviamente deceduta.
Verso l’una, Max era ancora scollegata dal mondo (Chloe l’aveva messa sdraiata a letto, spento il suo cellulare, chiuso i suoi occhi e ogni tanto le asciugava la bava che le colava dalla labbra, dato che era in condizioni sempre più orrende) e aveva la sensazione che ella si trovasse in una linea temporale orribile e stesse soffrendo. Avrebbe voluto svegliare sua madre per chiederle aiuto, ma cosa avrebbe detto? Come andava giustificato tutto?
Si chiese come avesse reagito Max nel vederla paraplegica. Cazzo era tornata indietro di cinque fottuti anni per salvare suo padre e poi si era ritrovata in un universo in cui tutti i suoi sforzi portavano ai Price sul lastrico e lei in procinto di morire. Sapeva che Max, come lei, provava oramai qualcosa di più, per questo non voleva immaginare quanto dolore le avesse causato vederla su una sedia a rotelle con un cazzo di tubo per respirare. Non riusciva nemmeno lei stessa a immaginarsi una vita cosi, figurarsi per la ragazza che sta facendo a pezzi il tempo per lei, per salvare continuamente la vita.
“Ma io me lo merito?”si chiese, accarezzando i capelli di Max, immobile come una statua, con il respiro corto e irregolare. “Mi merito tutto questo da parte tua, Max? O lo fai solo per un senso di colpa per non esserci stata per me in questi cinque anni? Cazzo,  che situazione di merda essere mia amica, eh?”
Verso le due ricevette una telefonata. Era David. Sembrava isterico e contento al tempo stesso. Avevano beccato Jefferson , mentre per la ricerca del corpo di Rachel dovevano aspettare. Sosteneva, giustamente, che non poteva giustificare come sapesse già che fosse li. Certo, aveva visto le foto nel raccoglitore ma doveva lasciare agli inquirenti la possibilità di verificare che fosse cosi. Lui aveva comunque suggerito che, conoscendo il posto dato che la sua figliastra ci andava spesso e, anche se non era vero, vi si recava spesso a vedere che non facesse cazzate, aveva riconosciuto la zona e supponeva fosse lì che era sepolta.
In altre parole, stava cercando di coprirle il più possibile, ma prima o dopo avrebbero comunque capito che le ragazze erano già a conoscenza di tutto e potevano volerle interpellare. Dovevano risultare il meno coinvolte possibile nella faccenda e cercare di far leva sulla condotta poco chiara di Jefferson alla Accademia ma in quel caso, sarebbe servito tutto l’impegno di Max nel recitare.
Chiese di poterle parlare ma Chloe mentì dicendo che stava dormendo. Era sconvolta ed esausta da tutto ed era crollata dal sonno. David abboccò e disse che era comprensibile e di lasciarla riposare. Inoltre, aggiunse, il tempo sembrava peggiorare e che un grosso temporale stesse per arrivare, ostacolando di fatto ogni eventuale ricerca e recupero del cadavere di Rachel. Raccomandò a loro di restare a casa e che avrebbe provato a fornire una storia solida: una volta che avevano avuto troppi sospetti, erano andate a cercarlo alla Blackwell durante la festa ma, siccome non vi erano entrate, disse che potevano affermare che Max non volesse entrarci per via di Nathan, che le sembrava sempre più instabile, e Jefferson, verso la quale aveva sempre avuto dubbi e ora era certa che fosse coinvolto. Cosi Chloe si era lasciata convincere, mandato un messaggio a lui, portato Max a casa Price e li erano rimaste.
Prima di concludere la conversazione, David disse a Chloe che era fiero di lei e che da domani sperava davvero di ricominciare daccapo il loro rapporto, meritandosi il posto in famiglia. Lei lo aveva ringraziato sinceramente per tutto e chiuse la conversazione. Fu in quel momento che la parola ‘patrigno’ non le sembrò più veleno in bocca e che forse sua madre meritava di essere felice con questo bizzarro ex soldato.
Ma ancora non sapeva come si sarebbero evolute le cose, perciò non poté giurare che tutto sarebbe stato un cazzo di happy ending. La tempesta stava arrivando.
Rimase vigile fino alle quattro poi, complice una serie di lampi accecanti, capì che era meglio andare al riparo altrove. Forse in garage? Cazzo perché non potevano avere un fottuto scantinato?
“FARO!” gridò Max.
Pensò si fosse svegliata, invece era ancora in trance. Il fatto che avesse urlato ‘Faro’ ora che la tempesta andava intensificandosi, non poteva essere casuale. Ricordò che lei gli disse che, in ogni visione del tornado, era sul promontorio. Doveva esserci un collegamento. Forse Max stava ricongiungendosi con questa linea temporale.
Prese di nuovo l’amica in spalla, la mise in auto e si mosse verso la spiaggia. Prima di uscire, aveva notato che il post-it non c’era più. Sua madre doveva aver ricevuto il suo messaggio.
Per le strade, i segni dell’apocalisse erano visibili: acqua scrosciante e lampi terrificanti, venti sempre più forti e rami che iniziavano a vorticare in aria. Le venne in mente di verificare che quel coglione di Frank si fosse messo in salvo. Non era cattivo e l’aveva sempre trattata bene, nonostante tutto. Inoltre, amava Rachel alla follia.
E poi Pompidou era innocente.
Una volta presa la via della spiaggia, non poté controllare che fine avesse fatto Frank perché il tornado era lì. Ed era spaventoso.
Doveva essere più o meno l’alba , o forse il sole era già sorto da un pezzo… non riusciva a capirlo. Era tutto buio, freddo e fottutamente terrificante.
Trascinò Max fuori, voleva che si riprendesse. Per qualche strana ragione illogica, era convinta che se l’amica si fosse svegliata, il tornado sarebbe svanito.
Max si svegliò, ma il tornado non se ne andò. Dovevano andare via dalla spiaggia, verso il faro, l’unico posto sicuro vicino e dove le visioni della catastrofe di Max volevano che andassero.
Ritornò in auto e Max svanì di nuovo. Quando furono arrivate,  parcheggiò il pick-up in uno spiazzo che sembrava quasi al sicuro e al riparo dai venti, poi dovette portarla di peso fino alla cima, contro i venti e la pioggia, impiegando chissà quanto tempo per farcela. Non era proprio in forma, non aveva dormito e si trovava contro un cazzo di uragano. Pesava poco più di cinquanta chili e doveva sfidare quei cazzo di venti da fine del mondo. Fanculo.
Max rivenne poco dopo e poi, quando capirono entrambe, fu li che Max prese la decisione più difficile per entrambe…
 
 
….le loro vite erano cambiate definitivamente.
Nella realtà prima del salto tramite la foto di Warren, Max era nel dinner e aveva visto Frank. Avendolo avvisato, quando era tornata indietro fino alla festa, evidentemente aveva creduto loro, per qualche strana ragione, e si era messo in moto, versò Portland.
La tempesta lo aveva sorpreso ma non impedito che potesse fuggire dalla città.
Il telegiornale aveva detto che era stato trovato presso il Mount Hood National Forest, nascosto chissà da quanto in mezzo a quei boschi, finché una coppia di turisti canadesi non vi si imbatté per caso, credendo che l’uomo avesse bisogno di aiuto visto che risultava fortemente denutrito. Sospettavano che non avesse soggiornato li per tutti gli otto mesi in cui era stato dato per disperso e che avesse dato fondo a tutte le sue scorte di droghe, rivendendole dove poteva, per racimolare denaro e campare il più possibile. Forse, il nascondiglio in mezzo ai boschi alle pendici del Monte Hood era stata l’azione estrema e disperata per continuare a vivere. Cosa sperava di trovare, nessuno lo aveva ancora capito. Dopotutto, erano mere congetture.
Verso le tre del pomeriggio, i Caulfield madre e padre uscirono per andare prendere tutto l’occorrente per la cena.
Max, rimasta sola con Chloe, era ancora con lei in salotto, di fronte alla tv spenta.
“Senti: Fernando ha chiesto se vogliamo andare a fare una passeggiata con loro. Ci aspettano verso le quattro presso il Fremont Troll. Credo che vogliano ubriacarsi. Ti va?”chiese, osservando attentamente la sua reazione. Chloe sembrava affranta, con lo sguardo perso.
“No. Va pure tu, io voglio stare tranquilla per oggi.”
“Allora resto anche io.”
“Max…non devi farmi da balia…se tu hai voglia di uscire, vai..”
“Mica ti faccio da balia, stupida. Sta storia riguarda te quanto me. Voglio solo sapere cosa passa a te per la testa.”
Chloe si alzò in piedi e iniziò a girare in tondo in centro al salotto e iniziò a esporre le sue teorie
“Ok. Dunque, hanno Frank. Sanno che lui è il principale sospettato, se non l’unico, per quanto riguarda la fornitura di droghe agli studenti della Blackwell e, soprattutto, a Nathan Prescott.
Ora: è certo che le droghe usate sulle vittime della dark room, almeno quelle nel periodo in cui Jefferson le pescava da Arcadia Bay con la complicità di Nathan, sono sicuramente state fornite da Frank che, ignaro quanto fosse dello scopo, finirà in guai grossi dato che la sua droga ha ucciso Rach…” si bloccò e fissò Max “Tu già lo sapevi, vero?”
“Che con il suo arresto arriveranno a quel punto? Beh, si è naturale che vada in quella direzione.”
“No: sai già che lui soffrirà appena saprà che Rachel è morta per causa della sua droga. Si sentirà in colpa e complice.”
Max ricordò la prima linea temprale, quella in cui era andata fino al Two Wales Diner per prendere la foto di Warren e tornare indietro fino alla festa e cambiare tutto. Li c’era Frank e, mossa da compassione, confessò la sorte di Rachel. Sapeva che l’amava, ma quando comprese che era morta per una overdose di droga venduta da lui a Nathan Prescott, era distrutto.
Fissò Chloe e annuì.
“Perciò potrebbe confessare tutto.”disse Chloe “Potrebbe tirarci in mezzo!”
“Più di cosi? Non credo. Sanno tutti oramai che cercavamo Rachel Amber. Non è una novità. Sapranno che siamo state da lui e…”
“Chiesto la sua lista di clienti.”concluse Chloe “Non sapendo che però, il diario lo abbiamo noi. E non lo troveranno nel camper”
“Questo non ci colloca nel suo camper in questi mesi e nemmeno prima.”sottolineò Max “Potremmo sempre dire che gli era caduto una mattina al Diner e noi, capendo quando fosse importante,  andammo da lui per farci consegnare la lista di clienti e decifrare le varie operazioni. Ma cosi metteremmo nei guai Stella: anche lei aveva preso qualcosa da Frank. La sua reputazione deve restare intatta, Chloe. Inoltre a livello di indagini, la posizione di Jefferson ne uscirebbe ulteriormente migliorata se si scoprisse che Nathan era il solo collegamento e che abbia drogato di su spontanea volontà Kate a quella festa, senza suggerimenti da quello stronzo del mio ex insegnante. Dobbiamo evitarlo.”
Chloe si bloccò, colpita da quel dettaglio che non ricordava. Annuì ma aggiunse
“Inoltre non c’è nulla che colleghi direttamente  e contemporaneamente Frank, Jefferson e  Nathan. Anzi, si rinsalderebbe la linea difensiva che vuole Nathan come principale colpevole e Jefferson insegnante fin troppo caritatevole.”
“Quindi? Che si fa?”
Chloe fissò la porta che dava sul garage. Li, conservato addosso al muro, vi stava il murales della loro infanzia e, su uno scaffale, i borsoni che avevano usato per il viaggio da Arcadia Bay a Seattle. E dentro uno di quei borsoni, in una busta di plastica sigillata, vi si trovavano ancora le prove che avevano raccolto.
“Dobbiamo distruggere le prove.”sentenziò
“Cosa? Chloe, no!”
“Riflettici: se avessero avuto quel diario, ora collegherebbero a doppio filo Nathan ai crimini della Blackwell e Jefferson ne uscirebbe relativamente bene. Gli altri raccoglitori, con le altre ragazze, diventerebbero secondari, si parlerebbe di modelle giovani e disinibite, che lo fecero per arrotondare un po’ e nessuno indagherebbe più seriamente su di loro, lasciandolo sostanzialmente impunito con soltanto la carriera macchiata, ma potrebbe comunque ricominciare chissà dove a fare quello che ha fatto per anni. Il fatto che abbiamo noi tutte le prove che servono alla difesa di Jefferson per rendersi ancora più forte, è puro stramaledetto culo, Max. Dobbiamo farle sparire. Diamogli fuoco o altro. Chissenefrega, basta che non siano più reperibili.”
“Ma tanto non sospetteranno mai che sia qui. Abbiamo dichiarato che la lista dei clienti l’abbiamo si ricevuta da Frank, ma l’abbiamo persa nella fuga da Arcadia Bay.  Dovremmo tenerle nel caso vi sia qualcosa che ci sfugge e ci possa tornare utile per farlo condannare. Magari, anziché rafforzare la difesa, potrebbe rafforzare l’accusa!”
“E come? Sii realista, Max! Sei più sveglia di me a giocare alla detective, ma qui non abbiamo nulla che possa aiutare noi  e spedire Jefferson in gattabuia per secoli.”
Max cercò di pensare a cosa poteva esserci, mentre Chloe, vedendo che non ribatteva, borbottava che sarebbe andata a prendere tutto e distruggere tutto, anche se lei non approvava. Poi, prima che la sua ragazza potesse effettivamente farlo, ebbe una illuminazione:
“Il cellulare!” esclamò speranzosa
“Il cellulare?”chiese Chloe
“Ma si, rifletti: il cellulare usa e getta che abbiamo preso da Nathan è la chiave! La sera della festa, nella linea temporale principale, prima che la cambiassi, tu ed  io siamo finite in trappola alla discarica.”
“Dove Jefferson mi ha sparato e drogato te. Si, ricordo che me lo dicesti. E allora?”
“E allora, noi come siamo finite in trappola li? Con un messaggio che ti è arrivato da parte di Nathan  mentre abbandonavamo la festa. Non avevamo trovato Nathan, perciò ci siamo convinte che fosse nascosto altrove ma quel messaggio diceva che avrebbe fatto sparire le prove e ci siamo dirette alla discarica. Grande stronzata! Dovevamo mantenere il sangue freddo e riflettere, cosa che sono riuscita a fare solo ora, inutilmente.”
“Consolati, io ancora non ti seguo.”commentò amaramente Chloe
“Aspetta, ora ti spiego: quel messaggio era scritto troppo correttamente. Avevo già ricevuto messaggi intimidatori da Nathan, ed erano palesemente scritti da un ragazzo giovane e che era comunque arrabbiato o teso, ora sappiamo che era anche disturbato. Bene, quello non lo era. Era lineare, freddo e preciso. Niente deliri, niente capslock furiosi, nulla.”
“Ma questo non dimostra nulla.”
“Dimostra tutto perché era scritto in maniera completamente diversa dai soliti messaggi.”
“Si ok, anche se cosi fosse non abbiamo nulla per confermarlo, dato che l’ho ricevuto in una realtà che ora abbiamo sovrascritto.”
“Vero, ma rimane comunque una cosa che non può essere cancellata: il cellulare stesso. Quello di Nathan con cui ti ha scritto. Aveva senso sputtanarsi cosi?Dichiarare che era alla discarica?”
“Beh si, se Jefferson voleva incastrarlo.”
“Precisamente…”
Chloe si illuminò
“Cazzo Max! Se noi avevamo il cellulare di riserva di Nathan in cui ci sono le prove di quello che combinava, mentre Jefferson è stato costretto a scrivere a me dal telefono principale di Nathan, quando ha sempre usato quello di riserva per i messaggi intimidatori e per comprare la droga da Frank, vuol dire che…”
“Abbiamo un collegamento tra Nathan Prescott e Mark Jefferson.”concluse Max, con un sorriso.
Chloe le prese il viso tra le mani e la baciò
“Maxine Caulfield ti amo. Sei una stramaledetta eroina!”
“Ti amo anche io ma è Max, mai Maxine. Anche per te, chiaro?”
Ma Chloe non badava più a lei. Era su di giri e girava ancora in tondo, riflettendo ad alta voce
“Cazzo, quindi dentro quel telefono ci saranno sicuramente messaggi compromettenti tra i due, o forse no, ma chissene frega! Basta che Nathan avesse in memoria il numero di Jefferson. Caaazzzzzoooo abbiamo trovato il….oh apsetta. Ma manca il cellulare di Nathan. Se lo ha distrutto o nascosto con il corpo, siamo fottute. Inoltre, Jefferson potrebbe aver usato anche lui un numero diverso, no?”
In effetti, dubitavano che Mark Jefferson si portasse dietro il telefono di Nathan e, soprattutto, che avesse dato il suo numero principale per discutere con lui di eventuali ‘questioni’…Però c’era un biglietto nella dark room che suggeriva che poteva non essere cosi. Forse aveva fatto un errore.
“Il biglietto che trovammo attaccato al pc nella Dark room lo associammo al padre di Nathan, ma forse era di Jefferson… era infastidito per delle chiamate….Jefferson ha ricevuto una chiamata il giorno che Kate si è suicidata e non sembrava entusiasta della cosa..”
“Ma queste sono supposizioni, non prove, Sherlock.”
“Ma il cellulare usa e getta potrebbe raccontarci qualcosa di più. Per ora inguaia molto di più la posizione di Nathan e conferma che Frank ha venduto tutte le droghe che sono state usate nei crimini… ma se ci fosse il numero di Jefferson, potremmo incastrarlo.”
Chloe alzò le braccia
“Ok, mi arrendo. Teniamo tutto, non bruciamo niente. Ma Max…. non esiste.”
“Che cosa?”
“Che ci mettiamo alla ricerca del numero di telefono di Jefferson. Noi ci chiamiamo fuori, chiaro?”
“Si scusa mi sono…lasciata trascinare… vedremo come si evolve la faccenda e nel caso potremmo suggerire qualcosa ai nostri avvocati…”
“E finire per farci perquisire e magari essere chiamate alla sbarra, quando cerchiamo di essere coinvolte più del necessario? No, grazie.”
“Solo in caso estremo, ok?”
Chloe non approvava ma mormorò un ‘ok’ poco convinto.
Fu allora che a Max venne in mente delle chiamate.. Si precipitò sul mobile della cucina, dove lo aveva mollato e lo consegnò a Chloe.
“Chi cazzo è questo numero? Dodici chiamate senza risposta? Ma che si fotta!” e lo lanciò sul divano, dove si infilò sotto un cuscino.
“Non credi che sia collegato all’arresto di Frank?”chiese Max “Sono iniziate stamane quelle chiamate, non può essere una coincidenza, non trovi?”
Chloe ci penò un attimo, poi fece le spallucce e disse “E’ il mio cazzo di giorno libero. Fanculo. Andiamo a farci uno spuntino da qualche parte.”
Si cambiarono, presero le chiavi dell’auto e andarono a farsi dei waffle con gelato, prima di raggiungere Fernando e il resto della compagnia al Fremont Troll.
Rincasarono verso le sette e mezzo. I genitori di Max erano già rientrati e Vanessa stava cucinando. Un odore buonissimo si sparse per tutta la casa.
“Mamma che cucini?”
“Preparo la mia variante dei French Dip, ma senza baguette e con la salsa speciale per il roast beef. Come contorno un po’ di patate alla Vanessa”
Chloe si mise in ginocchio e urlò
“Vanessa, ti supplico, sposami. Fuggiamo insieme e saremo felici finché mi nutrirai con la tua cucina!”
“Chloe sei cosi dolce che potrei dirti di si, sai?”
“Hey, io avrei qualcosa da ridire al riguardo!”disse Ryan
“Tranquillo: continuerò a cucinare anche per te, ex marito.”
“Oh, allora ok, nulla da obiettare.”
Max ridacchiò e aggiunse
“Beh basta che mi assumete come fotografa ufficiale al vostro matrimonio!”
Chloe si diresse verso di lei, la prese sotto braccio e disse “Ma no Max: tu mi farai da testimone!”
“Sbrigatevi voi due, si mangia tra un’ora!” le avvertì Vanessa “E sapete che mr. Caulfield tollera tutto tranne che aspettare troppo per mangiare.”
Andarono a lavarsi, cambiarsi, poi scesero e diedero una mano ad apparecchiare la tavola. Finalmente, si sedettero a tavola, con le pietanze invitanti di Vanessa, del vino rosso comprato apposta da Ryan, una torta di mele in forno e l’assoluta spensieratezza che era stata loro negata a pranzo.
“Che cos’è questo rumore?”chiese Ryan a metà della cena “Sembra un’ape..”
“Cazzo.”esclamò Chloe “Deve essere il mio nuovo stalker…”
Max notò le facce straniate dei suoi e spiegò le telefonate che Chloe riceveva da quella mattina, da un numero che non conoscevano.
“Faresti meglio a rispondere.”disse Ryan “Potrebbe essere davvero urgente, indipendentemente che c’entri lo spacciatore che hanno trovato oggi.”
Chloe si alzò, andò verso il divano, prese il telefono da sotto il cuscino e, mentre stava per infilarselo in tasca, prese a vibrare di nuovo. Seccata, aprì la conversazione
“Salve! Chi diavolo sei? Oh ciao!”
I Caulfield notarono il visibile cambiamento di espressione di Chloe, da infastidita a sincera sorpresa
“Non sapevo avessi cambiato numero…..beh un messaggio potevi mandar…..si certo sono a casa….si certo te li saluto….si ma che  succed….senti rallenta, non ti capisco….. ripeti e cerca di calmarti….si….cosa? STAI SCHERZANDO?”
Ora sembrava allarmata ma, pochi istanti dopo, gli occhi iniziarono a inumidirsi
“Cazzo….si certo….io sono senza parole….certo… ti aggiorno appena posso, ok? Grazie di tutto, a presto.” E chiuse la conversazione.
Rimase immobile in piedi, con lo sguardo perso. Poi si scosse e fissò tutti e tre i Caulfield.
“Mia madre é…Mamma è….uscita dal coma….mia madre è viva.”


6.
 

Il tramonto le piaceva un po’ meno, rispetto all’alba, ma i colori erano sempre uno spettacolo.
Eppure, non riusciva a percepire la stessa pace che, normalmente, sentiva quando ammirava il sole nascere o morire.
Tutta la giornata era stata assurda. Otto mesi di pace svaniti in meno di …quanto? Dodici ore? Meno?
Fanculo a tutta questa merda.
Ma Joyce….sua madre…era viva.
Eppure perché non riusciva ad essere completamente felice? Che razza di figlia era, se non si sentiva pervadere totalmente dalla gioia alla notizia che sua madre, il solo genitore rimastogli, era uscita dal coma?
Ricordò ancora quando scoprì che Joyce non era morta come credeva.
Poche ore dopo che furono arrivate a Seattle, David l’aveva contattata (con il suo vecchio numero, almeno aveva potuto rispondere prontamente) e si era premurato di sapere se stesse bene e dove fosse. Pochi giorni dopo, era arrivato con la sua macchina sportiva scassata. L’abbracciò, avvertendo un enorme sollievo e, con le lacrime agli occhi, le disse che Joyce era viva. Era in gravi condizioni e in coma, ma non era data per spacciata.
Voleva partire subito, andare da sua madre e starle accanto, ma David l’aveva persuasa.
Aveva una gamba rotta, un trauma da schiacciamento al torace, ferite di lieve entità e in coma. Non voleva che, se fosse successo l’irreparabile, l’ultima immagine che avesse avuto di sua madre fosse quella di lei ingessata, fasciata, arieggiata con dei tubi e impossibilitata a riconoscerla. Già lui soffriva nel vederla cosi e desiderava che almeno la figliastra fosse risparmiata.
A malincuore, comprese e non poté che dargli ragione. Accettò e resistette alla tentazione di prendere il suo mezzo e guidare fino all’ospedale in cui era ricoverata. Si sentì colpevole perche in questi mesi aveva ricominciato a vivere, se l’era goduta, con il pensiero che sua madre era ‘solo’ in coma.
Che cazzo di schifosa egoista di merda .
Quanto si sentiva ricoperta di fango all’idea che non riuscisse a godersela a pieno questa notizia che tanto aspettava.
Sentì aprire la porta sul retro. Passi leggeri, poi un braccio intorno alla vita e un dolce peso all’altezza del petto. Il profumo di Max era inconfondibile, un mix dolce e rose, come era prevedibile che sarebbe corsa da lei in giardino il prima possibile.
Aveva lasciato la favolosa cena di Vanessa a metà, chiedendo una piccola pausa che compresero. Sapeva che la stavano aspettano, in barba al fatto che tutto potesse raffreddarsi. Forse  è merito dei Caulfield se non aveva sofferto ne pensato troppo alle condizioni di sua madre. Joyce sarebbe stata felice nel sapere che era da loro? Beh, lo avrebbe scoperto presto, a quanto pare.
“Dovresti tornare dentro a mangiare. E anche i tuoi. Non badate a me.”mormorò
“Ma piantala.”rispose teneramente Max, senza sciogliere l’abbraccio.
Rimasero in silenzio per un paio di minuti. Poi Chloe si decise a parlare
“Mi ha ascoltato. Alla fine ha avuto fiducia in sua figlia.”
“L’ha sempre avuta, Chloe.”
“David ha detto che era andata al lavoro. Quando siamo rientrate, lei stava già dormendo e quando siamo uscite, lei si era appena diretta al Diner. Ma lì ha realizzato che forse il mio messaggio era giustificato e si allarmò. Cazzo ha preso i pochi clienti, e li aveva intimato di uscire immediatamente e mettersi in salvo. Uno di loro si è offerta di darle un passaggio, ma una folata di vento ha sbalzato la macchina quando credevano di aver messo abbastanza distanza dal tornado. Il tizio che guidava è morto, gli altri due passeggeri  vivi, ma con fratture multiple. Mia madre….beh sbalzata fuori e finita in coma subito, a quanto pareva. Aveva sempre odiato fare quel cazzo di turno alle cinque del mattino e per poco non ci resta secca. Amava, a modo suo lavorare al Diner ma odiava quando toccava a lei il turno del mattino. Ora che pure io faccio lo stesso lavoro, andare alle cinque sul posto di lavoro è una vera merda. Chissà come reagirà quando saprà che faccio la cameriera. Ricordi? Davanti a te disse proprio che non voleva che mi riducessi a fare la sua stessa vita. Che schifo l’ironia.” non le aveva mai raccontato la dinamica. Quando David gliela aveva fatto sapere, se l’era tenuta per sé. Non voleva far preoccupare Max, più di quanto non fosse necessario. Gli incubi stavano iniziando e Max sembrava sempre più afflitta da questo. Già la notizia di Joyce in coma l’aveva resa triste per giorni e a nulla era servito ripeterle che grazie a lei era ancora viva. In coma, certo, ma viva.
Una frase che ripeteva molto frequentemente a se stessa.
“Quindi è stata una eroina. Come te.”disse Max “I Price hanno salvato vite quel giorno.”
“E Max Caulfield ha salvato i Price. Se noi siamo Gesù, tu sei Dio.”
“Smettila. Ti devo tanto e lo sai.”
“E io ti devo tutto. Prima di ogni cosa la vita… almeno quattro volte, credo.”replicò
“Chloe sai che io non…”
“Mi lascerai andare da sola? Ne ero certa.”concluse per lei.
 “Esatto. Voglio vedere anche io Joyce e, soprattutto, voglio essere con te.”
“Max so benissimo che non mi lasceresti andare da sola. Io farei al stessa cosa. Se ti consola, questa volta, ho davvero bisogno che tu ci sia. E so che ti chiedo qualcosa di gigantesco, vista la destinazione. Ma ho bisogno di te.”
“A parti invertite, direi la stessa cosa.”
Le diede un bacio sulla testa
“E’ tutto un fottuto uroboro”mormorò con ancora le labbra tra i capelli castano ramati di lei.
“Il serpente che si morde la coda? La rappresentazione della ciclicità delle cose, giusto?”
“La solita secchiona. Comunque si.”
“E’ una bella metafora. Vedi? Sei più intelligente di me, ma non ci credi mai.”
“Io ti credo sempre. Comunque sia, hai capito che intendo vedo. Per quanto ci impegniamo, per quanto cerchiamo di andare avanti, tutto sembra trascinarci indietro. In quello stramaledetto posto che ci siamo lasciate alle spalle mesi fa. I tuoi incubi che peggiorano, poi l’altro giorno pure da sveglia hai visto quel cazzo di tornado. Frank che viene ritrovato e il rischio che tutto stia per concludersi nel modo peggiore, con un bagaglio di prove compromettenti che teniamo nascoste per impedire che le cose vadano nel verso sbagliato. Prove che potremmo girare a nostro favore ma per farlo dovremmo lasciarci condurre ancora laggiù. Mia madre che si risveglia da un coma che pensavo non la lasciasse mai libera. Cazzo, sembra che tutto quello che abbiamo fatto in otto mesi sia svanito in un battito di ciglia e che l’universo ci voglia rispedire a calci nel culo ad Arcadia Bay. Di nuovo. O forse ci siamo solo illuse di averla abbandonata. Forse abbiamo lasciato troppe cose in sospeso che dobbiamo concludere.”
“Hai paura? Io si.”
“Cazzo, si. Eccome se ne ho. Non riesco nemmeno ad essere felice per mia madre. Mi sento una totale merda a riguardo. Ma questa giornata è stata…”
“Assurda?”
Chloe sciolse l’abbraccio e prese per le mani Max. Distolse lo sguardo dal cielo in tramonto, per fissarlo negli occhi grigio azzurri della sua ragazza.
“Max io ho una fottuta paura. Perché anche se non so cosa ci aspetta, so che non finirà mai con una semplice visita in ospedale a mia madre. S’innescherà uno stramaledettissimo vortice che ci inguaierà e quella cazzo di settimana sembrerà non essere mai finita. Ho paura che ci possiamo perdere, che io possa perdermi e resettare tutti questi mesi in cui ho fatto di tutto per essere una donna migliore. Non voglio che laggiù tutto questo svanisca. Per questo, per quanto mi odi dirtelo, sono felice che tu venga con me. So che con te non posso perdermi. E che mi prenderai a schiaffi se lo dovessi fare. Senza te non potrò reggere.”
“Pensi che io sia migliore? Per me è la stessa cosa. Non so cosa succederà, non so cosa mi farà tornare laggiù, se non tanto male. Ma spero che serva. Spero che questo ultimo viaggio ci dia il permesso di chiudere definitivamente tutto quello che è rimasto in sospeso. Non userò mai e poi mai il mio potere, perciò le scelte che faremo, le strade che prenderemo, non potranno più essere cambiate. Perciò ho bisogno della tua determinazione, della tua meravigliosa testa di cazzo che sa rimanere ferma e caparbia in ogni situazione. Altrimenti, da sola, finirà che mi perda in modi peggiori che in altre linee temporali.”
Le diede un rapido baciò sulle labbra, alzandosi in sulle punte. Chloe adorava che fosse cosi bassa, proprio per vederla in questi atteggiamenti.
“Ci aspetta una tempesta laggiù. Non sarà come quella dalla quale siamo sopravvissute la prima volta e che abbiamo evitato, ma sarà devastante e stavolta ci travolgerà in pieno. Ma, anche se  ho paura, so che posso farcela. Possiamo farcela. Basta che stiamo unite, qualunque cosa accada. Sono felice che tu sia ancora la mia partner.”disse Max
“Criminale e temporale. Sempre.”replicò con un occhiolino e un sorriso.
Max sorrise radiosa. Non la vedeva sorridere così sinceramente da tanto tempo. Nonostante stessero per affrontare una prova pesantissima, sorrideva in quella maniera. Si sentì cosi grata, da avere meno paura. Sentì delle lacrime sulle guance. Max si sporse e gliele asciugò, poi le disse
“Ora rientriamo. Finiamo la cena, ci riempiamo di torta di mele e panna e poi parliamo con i miei. Quando ce la sentiremo, saliremo di sopra per dormire. Ma prima, ci aspetta la cosa più dura.”
“Già.”annuì Chloe “Fare i bagagli.”




 
[1] Non esiste. E’ stata creata apposta a fini narrativi (N.d.A.)
[2] Rockwell Avenue non esiste in Seattle. E’ volutamente inventata. Se si vuole immaginare in che zona si trovi la casa dei Caulfield, posso dire che è liberamente e idealmente localizzata tra la 39th e la 42nd strada nel quartiere Fremont di Seattle, poco distante dalla già citata Seattle Pacific Univeristy, che si trova a sud-ovest rispetto a Fremont. Il motivo di tale scelta è la foto di Max nella sua stanza nel dormitorio della Blackwell in ‘Life is Strange’ in cui ella si ritraeva, assieme a due amici, sul Fremont Troll (N.d.A.)
   
 
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