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Autore: PaolaBH2O    17/01/2021    1 recensioni
[https://en.wikipedia.org/wiki/The_Dark_Pictures_Anthology]
Non c'è vita senza morte, e non poteva esserci un Curatore senza colei che permetteva il riempimento sia del suo archivio che di una discreta parte dei suoi pensieri.
Laddove il Curatore era il guardiano di tutte le storie mai scritte, Livvy Valadi era la custode di tutte le vicende che ancora dovevano venire raccontate; proprio come il suo collega, non ricordava nemmeno lei da quanto tempo stesse svolgendo quel compito o se l’avesse mai fatto qualcun altro prima, tutto ciò che sapeva, era che viaggiasse quasi più del Curatore per potergli procurare altro materiale, e quanto ciò le desse da fare: era un'instancabile esploratrice e un'avventuriera, magari un'archeologa a tempo perso, ma trovava sempre l’occasione, tra un viaggio e l'altro, per tornare a fargli visita.
Era proprio quel giorno che il Curatore la stava aspettando, quasi con impazienza avrebbe osato ammettere.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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And The Waltz Goes On



Ciò che dà un senso alla vita, lo dà anche alla morte (Cit. Antoine de Saint-Exupéry)



Non c'è vita senza morte, e non poteva esserci un Curatore senza colei che permetteva il riempimento sia del suo archivio che di una discreta parte dei suoi pensieri.
Laddove il Curatore era il guardiano di tutte le storie mai scritte, Livvy Valadi era la custode di tutte le vicende che ancora dovevano venire raccontate; proprio come l’uomo, nemmeno lei ricordava da quanto tempo stesse svolgendo il suo compito o se l’avesse mai fatto qualcun altro prima, tutto ciò che sapeva era che viaggiasse quasi più di lui per potergli procurare altro materiale, e quanto ciò le desse da fare: era un'instancabile esploratrice, un'avventuriera, magari un'archeologa o un’antropologa, tempo concedendo, ma trovava sempre l’occasione, tra un viaggio e l'altro, per tornare a far visita al suo collega.
Era proprio quel giorno che il Curatore la stava aspettando, quasi con impazienza avrebbe osato ammettere, ma solo a se stesso: confessarlo anche a Livvy sarebbe stato superfluo, giacché l'avrebbe capito da sola. Avrebbe giurato che fosse passato molto tempo dal loro ultimo incontro ma una stima precisa sarebbe stata impossibile visto quanto relativo fosse il trascorrere dei giorni o addirittura degli anni all'interno dell'archivio.
Quando aveva cominciato a sentire i suoi pesanti passi rimbombare per i corridoi altrimenti sereni ma vuoti, il Curatore aveva voltato lo sguardo verso la porta preannunciandola ai suoi preziosissimi tomi.
-Sta arrivando- aveva mormorato impassibile continuando a sistemare alcuni dei libri sullo scaffale cui appartenevano.
Nel tono della sua voce si nascondeva quella che lui stesso non sapeva interpretare se come una nota di irrequietezza o di trepidazione: Livvy era una ventata d'aria fresca nella sua polverosa biblioteca, una macchia di colore nel grigiume dell'atmosfera ovattata ma all'inizio era sempre un po' difficile adattarsi ai suoi scoppi di energia.
Quando i suoi passi non riuscirono ad essere più attutiti nemmeno dai pregiati tappeti, e il requiem di Mozart non fu l'unico suono a riempire il silenzio, il Curatore seppe che era proprio dietro l'angolo; le porte vennero spalancate con forza cozzando contro l'attaccapanni e uno dei muri.
-CURATORE!- lo salutò Livvy animatamente, facendo risuonare la sua voce per tutto il salone -Vecchiaccio! Vieni ad abbracciarmi! È una vita che non ci vediamo! Guarda se lo devo dire proprio io, poi! Ahahah!-
Ed eccola lì, in tutta la sua fresca bellezza eternamente rigogliosa: pelle imbrunita dal sole, folti capelli biondo grano, quasi sempre raccolti in una lunga e disordinata treccia, labbra carnose e guance rosee, un fisico atletico del quale spiccavano soprattutto i fianchi pronunciati e un seno abbondante. Tutti segni di una persona fertile e in perfetta salute.
Non rimase sull'uscio della biblioteca che per una manciata di secondi prima di prendere a muoversi freneticamente per la stanza.
-Ho visto cos'è successo a Little Hope e sono venuta a festeggiare! Ma prima, le cose più importanti! Voglio dire, che è tutta ‘sta mosceria?! Aprile 'ste finestre, ti farà bene l'aria fresca!-
L'esploratrice si diresse in tutta fretta a sbloccare i ganci che tenevano chiuse le vetrate, poi si avvicinò allo spento caminetto in marmo e ci lasciò cadere con un tonfo il suo ingombrante zaino; essendo perennemente in viaggio, erano pochi gli effetti personali con cui si muoveva ma immancabili erano il suo zaino da viaggio, la sua tenda e il laptop dall'inspiegabile capienza. Lo estrasse dal suo bagaglio e andò a poggiarlo sulla scrivania in mogano.
Forse c’era un po’ troppa foga nelle sue azioni, ma per quante ne avesse viste o subite, quel peculiare pezzo di tecnologia non ne aveva mai risentito.
-Ti ho portato l'inizio di cinque, no no, sei! Sei nuove magnifiche storie!- anticipò colma di fervore -Non tra le migliori che abbia mai visto, ma comunque buone- si strinse nelle spalle venendo colta da un lampo l’attimo seguente.
Preso com'era dal riordinare i tomi rilegati in pelle, il Curatore continuò a lavorare indisturbato fino a che il giradischi non venne bruscamente interrotto; girò la testa quanto bastava per sbirciare la ragazza da sopra la spalla e notò che Livvy, voltata di spalle a sua volta, aveva sollevato la puntina per fargli ascoltare uno o due pezzi di sua scelta; accanita frequentatrice di discoteche e concerti com’era, aveva scelto il live di "High hopes" dei Panic! At The Disco per riempire la stanza.
-Dicevamo, insomma, festeggiare! Il bastardo di Little Hope, Anthony, ce l'ha fatta! Ha superato i suoi traumi e si è lasciato i suoi demoni alle spalle!- come si fu sfilata il suo gonfio cappello newsboy di panno bianco e lo ebbe lanciato dall’altra parte della stanza, la sua cascata di morbidi boccoli le ricadde sulle spalle esili, coprendole la schiena fino ai fianchi.
Corse a recuperare due lattine di energy drink da una tasca esterna del suo zaino e ne gettò una sulla scrivania accanto al portatile.
Il Curatore, con ancora due volumi tra le braccia, continuò ad osservarla mentre stappava la coloratissima lattina e si dirigeva verso la vecchia lavagna sistemata nell’angolo accanto al proiettore; lo sgargiante design delle bevande, l’andamento sensuale della sua affezionatissima amica, il morbido nodo di fluenti capelli biondi e le note piene di brio, donavano un’atmosfera così viva da far sembrare che stessero per dare davvero il via una festa nonostante fossero in due soltanto. Per qualche arcano motivo, anche il vecchio zaino bianco, malandato e pieno di terra, pareva una presenza in più, forse perché ricordava un candido pastore svizzero lasciato a recuperare le forze dell’ultimo viaggio, se visto con la coda dell’occhio.
Mentre Livvy tamburellava a ritmo con le dita, l’uomo sistemò gli ultimi albi, raccolse la bibita e raggiungesse l’esploratrice.
-No, grazie, mia cara. Sai che non sono solito consumare questo genere di… Miscela- le disse restituendole il drink senza averlo assaggiato. Ogni volta che increspava le labbra sottili in quell’enigmatico sorriso, gli occhi si assottigliavano anch’essi in un’espressione che Livvy non sapeva se definire snervante o intrigante. Dopotutto, un sorriso è pur sempre un sorriso ma condiscendente come il suo? Poteva anche risparmiarglielo: lei non era uno dei suoi ospiti. Non una qualsiasi quantomeno.
-Paura che ti tenga sveglio la notte, eh, vecchio?- lo stuzzicò lei raccogliendo l’oggetto con un movimento aggraziato ma brusco prima di lanciarlo distrattamente sul sedile di una poltrona -Bevine cinquanta in una giornata, poi vedi come ti scoppia il cuore e così il sonno smette di essere un problema… Ma, d’altronde, chi vuoi che si preoccupi di dormire quando è in uno stato tale da poter assaggiare i colori?- scherzò, gettando la testa all’indietro per svuotare la propria lattina.
Avvolto in un girocollo di caucciù nero e così esposto, il suo collo sottile era delizioso e fin troppo invitante; anche per un uomo moderato come il Curatore fu una sfida trattenersi dal farle una carezza, per cui trovò di che distrarsi sviando la questione su una faccenda più intrigante.
-Sii onesta con me: quante ne hai bevute nell’ultima mezz’ora?-
La ragazza prese a contare con le dita e farfugliò qualcosa tra sé e sé, roteando gli occhi in cerca della giusta cifra.
-Tipo trenta!- rispose con innocenza, le maniche a campana del suo cardigan bianco svolazzarono quando aprì le braccia in un gesto non molto ampio ma senz’altro teatrale.
Il Curatore ridacchiò e scosse la testa; la particolare natura di Livvy non le chiedeva di prendersi maniacale cura del proprio corpo per risplendere al massimo e le rendeva impossibile farsi male, ma abusava eccessivamente della sua resistenza, almeno secondo i gusti dell’uomo.
La guardò con scherzoso rimprovero per poi dirigersi al giradischi dove il cellulare continuava a riprodurre un trionfante squillare di trombe e il boato del pubblico.
-E sai che non sono solito ascoltare questo genere musicale- disse, mettendo in pausa il gruppo rock e riempiendo di nuovo la biblioteca con una sofisticata aria operistica di sua scelta.
Aveva pensato di riprodurre “La donna è mobile” del Rigoletto, per il gusto perverso di provocare Livvy col sessismo che dipingevano i suoi versi, ma i suoi reali pensieri dimostrarono di averlo tradito quando le basse note di “L’amour est un oiseau rebelle” echeggiarono tra gli scaffali e oltre la finestra spalancata; il Curatore fece una smorfia di disappunto e provò a sollevare la puntina quando la giovane donna lo fermò.
-No, no, lasciala! Sai che mi piace l’habanera, e questa in particolare dipinge perfettamente il nostro rapporto.-
Non poteva vederla in faccia, ma era mortalmente certo che si stesse mordendo un labbro in un malizioso sorriso.
-L’amore è un uccello ribelle che niente può addomesticare, ed è inutile che lo si chiami se decide di rifiutare. Niente lo convince, minacce o preghiere, uno parla molto, l’altro tace- canticchiò voltandosi a guardare il Curatore, in volto aveva l’esatta espressione che l’uomo aveva dipinto nella sua testa -Ed è l’altro che preferisco. Non ha detto nulla, ma mi piace!-
La ragazza fissò i suoi grandi occhi castani in quelli glaciali del Curatore e per un lunghissimo momento, ci fu uno scambio di sguardi tra di loro in cui non dissero nulla e allo stesso tempo si dissero tutto ciò che c’era bisogno di sapere.
-L’amore è un bambino della Boemia che non ha mai, mai conosciuto legge. Se tu non mi ami, io ti amo, ma se io ti amo, stai attento a te!- le rispose l’uomo sfidandola a completare il verso incompiuto.
-Attento a te!- concluse lei lasciando che a continuare il pezzo fosse la cantante lirica la cui agile voce portava ancora più calore all’ambiente.
Livvy non era brava a mantenere la concentrazione su una sola cosa alla volta, probabilmente qualche esperto le avrebbe diagnosticato un disturbo da deficit dell’attenzione o una forma di iperattività cronica, se gliel’avesse lasciato fare, ma quando si trattava del Curatore, tutto il resto del mondo scompariva; per quanto diversi, erano allo stesso accomunati da qualcosa di trascendentale.
Non era solo per il modo di vestire, di lavorare o la presunta differenza d’età e i segni che portavano o non portavano sul volto, era tutto una questione di indole e contegno: il Curatore, distinto e carismatico com’era, l’aveva ammaliata molto tempo prima di allora, lei così gioviale e briosa, continuava a farlo ogni volta che si incontravano.
-Mi stavi dicendo, allora, di Anthony?- riprese lui il discorso, interrompendo il silenzio calato tra di loro.
-Come se non lo sapessi!- Livvy scosse la testa e si avvicinò alla lavagna abbandonando la lattina vuota nella mensolina portagessetti per raccoglierne uno.
-È tardi affinché lui possa cominciare a farsi una vita come la preferisci tu- ci tenne a precisare il Curatore, ma l’ospite dissentì.
-Se è per questo non è mai troppo tardi per scegliere di continuare a vivere piuttosto che il suicidio- fece spallucce lei cercando uno spazio vuoto.
Il lato che aveva davanti era coperto da una serie di segnetti, tagliati trasversalmente a gruppi di tre, così fitti da formare una patina bianca lungo quasi tutta la superficie; unico punto libero era il bordo superiore dove in due riquadri puliti risaltavano le firme dei due, frenetica e disordinata l’una, pulita e sofisticata l’altra.
-Non capisco cosa sia tutto questo astio per la morte. Essa non è che il prezzo da pagare per aver vissuto- commentò flemmatico lui tenendo le mani dietro la schiena mentre si avvicinava all’amica.
I suoi lenti ma lunghi passi gliela fecero raggiungere in poche falcate e, una volta che le fu accanto, si rese conto di quanto si fosse impegnata a rendersi elegante per l’occasione; i suoi soliti completi verde militare da esplorazione, comprensivi di canottiere scure, stivali bassi e vestiti sui quali non si fosse notato lo sporco, avevano lasciato spazio a dei jeans chiari con ricami bianchi, una maglia di macramè immacolato e un corpetto che le avvolgeva la vita sottile. La sua statura era innalzata da un paio di rustici stivaletti col tacco che la alzavano ma senza farle raggiungere l’altezza del bibliotecario.
A completare il suo look era una luccicante mezza parure di acchiappasogni dorati, una collana argentata con l’albero della vita, un anellino con opale nero sulla mano sinistra e l’immancabile bussola sportiva appesa al fianco destro.
Nel suo sofisticato completo d’affari verde foresta, con la cravatta oro scuro riccamente decorata, scarpe nere di pelle, la camicia ben stirata e una bussola antica portata nel taschino sinistro del gilè, il Curatore era sempre impeccabile, ma quel giorno Livvy era senz’altro notevole.
Notando il cappello e il lungo golfino orlato di perle, l’uomo capì che l’autunno fosse ormai cominciato, tanto più che nell’archivio aveva preso a soffiare un’aria frizzantina. Se non avesse chiuso le finestre di lì a qualche minuto, la sua ospite avrebbe cominciato a rabbrividire.
-Non ho nulla contro la morte, è solo che provo un immenso dispiacere per coloro che vedono la vita così male da voler affrettare i tempi a tutti i costi- lo distrasse lei quando fece per andare ad occuparsi delle imposte.
Livvy continuò a studiare la lavagna ma non vedeva altra opzione se non girarla dall’altra parte.
-In ogni caso, Anthony è sopravvissuto, e questo porta la nostra scommessa a...-
Poggiò una mano sulla cornice in legno, girò la tavola e si ritrovò davanti lo stesso identico spettacolo; cominciò a valutare l’idea di arricchire l’archivio con una lavagna interattiva nuova di zecca quando il Curatore le sfilò il gessetto dalle dita e tracciò un segno su entrambe le loro porzioni, indifferente al fatto che si perdesse in mezzo a tutti gli altri.
-Esattamente in parità. Sai meglio di me che tutto ciò che inizia prima o tardi dovrà anche giungere alla sua fine. Così sarà fino alla fine dei tempi, anche se non riesco a capire perché te la prenda tanto: sono solo umani dopotutto… E molto ingenui per giunta- il Curatore rimise il gessetto al suo posto scuotendo via quel poco di polvere che gli si era depositata sulle dita mentre Livvy se le passò sulle cuciture dei jeans attillati, ridendo sommessamente.
-Ti sbagli, invece. Ogni vita conta e anche se non mi è concesso di decidere per gli altri, ho avuto modo di vedere quanto le persone possano essere creative e affascinanti.-
Sotto le sue folta ciglia scure, i suoi occhi si erano come accesi e una luce stava facendo risaltare quella punta di rosso che si nascondeva dietro al castano e che le rendeva lo sguardo ardente del fuoco della vita.
-Anziché proseguire per vie teoriche, perché non me lo mostri? Sembra che tu abbia molto da raccontare.-
Il Curatore lasciò la lavagna, spostò la lattina sul tavolo del proiettore e si accomodò in una confortante poltrona di pelle, accavallando le gambe; per preparasi alla visita di Livvy aveva leggermente sistemato l’archivio non solo ponendo un’altra di quelle eleganti sedute davanti alla sua scrivania, ma anche ruotando il divano in modo che fronteggiasse il telo bianco da proiezione. Conoscendo le sue abitudini, aveva, inoltre, piegato una coperta di lana a trama scozzese su un bracciolo di modo che Livvy ci si potesse avvolgere mentre condivideva con lui i dettagli delle sue peregrinazioni.
La giovane donna, in effetti, aveva preso nota dei suoi accorgimenti, ma non era intenzionata a mettersi a proprio agio finché non fosse stato il Curatore ad invitarla; non era per una questione di rispetto, limiti o autorità: intendeva stravaccarsi, vero, ma non sul divano.
-Prego, accomodati- insistette lui facendo un cenno verso il mobile e tornando a giungere le mani.
Senza farselo ripetere due volte, Livvy gli passò davanti, ignorò il divano e si lasciò cadere in grembo al Curatore, cogliendolo del tutto impreparato.
-Grazie- ammiccò mentre l’altro sussultava con occhi increduli, le mani sfilate alla svelta da sotto il corpo dell’avventuriera, ora le teneva sollevate non sapendo più dove poggiarle -Guarda che se mi tocchi, non muore mica nessuno- rise lei amando il modo in cui riusciva a confonderlo.
Il Curatore, compreso il suo gioco, le sorrise garbatamente e la incitò a cominciare.
-Vogliamo iniziare?-
-Sei senza speranza- sospirò Livvy scuotendo la testa, gli orecchini scintillanti ne seguirono i movimenti ciondolando.
Mentre l’avventuriera si sporgeva per avviare il proiettore, l’archivista optò per incrociare le braccia: pratico, dignitoso ma soprattutto che gli impediva di cadere nella trappola della ragazza. Ricordava fin troppo nitidamente dove li avesse condotti il suo lassismo la prima volta che si erano trovati in quella circostanza.
Le immagini presero a scorrere illuminando la penombra della biblioteca. Ognuna delle foto ritraeva una delle location che Livvy aveva visitato, delle esperienze fatte o delle persone conosciute. Diverse erano concerti, eventi sportivi o artistici, raduni dove la gente non mancava, molte altre pitturavano scenari naturali, panorami da togliere il fiato, terre quasi inesplorate, ma in ognuna c’era una costante: quando Livvy se ne andava, il paesaggio era più florido e ricco di come lei stessa l’avesse trovato.
Man mano che intratteneva il Curatore con i suoi coinvolgenti racconti, l’aria si fece via via più fredda e presto la giovane si trovò a risentirne.
-...così ho preso e gli ho detto “Al diavolo! Mangerò tutto il burrito!” e poi ho vomitato. Fine.-
-Ahahah, se scrivi come racconti, temo che il materiale che mi hai portato non sarà di qualità come mi hai promesso- scosse la testa il Curatore, apprezzando ogni bucolico momento che gli donava la spensieratezza di Livvy.
-Quand’è che imparerai che i miei racconti sono tutti eccelsi, uomo di poca fed…-
L’arrivo di un forte starnuto e il suo relativo sfogo la costrinsero a fermarsi e a stringersi nei lembi del suo soffice golfino.
-Forse sarebbe il caso di chiudere le finestre e accendere il caminetto- suggerì l’uomo -Che ne pensi, mia cara?- le passò una mano attorno alle spalle e gliela scosse con vigore sul braccio per riscaldarla.
-Può essere un’idea ma lo faccio io. Sono stata ferma troppo a lungo, devo muovermi un po’- disse Livvy rimettendosi in piedi con un balzo. Bloccato il gancio delle imposte, rovistò nello zaino alla ricerca del suo accendino a cerniera e si mise a trafficare con i ceppi già posti nel focolare.
-Rammento, sì, la tua necessità di muoverti in continuazione- annuì il Curatore alzandosi e passeggiando per seguire i frenetici movimenti di lei, in sottofondo il giradischi era quasi arrivato al termine del tema principale de “Il lago dei cigni” -La vita è un’ombra sfuggente, o mi sbaglio?- il suo tono di voce tradiva un antico sprezzo adesso mascherato da severità.
-Me lo ripeterai fino alla fine dei tempi questo leitmotiv?- sospirò la sua compagna alzando gli occhi al cielo.
-Dico solo che ti ho corteggiata per molto più tempo di quanto abbia memoria e che tu abbia ricambiato le mie attenzioni dopo una, oserei quasi dire, infinita serie di rifiuti- quella punta di sarcasmo si fece sentire così pungente da solleticare l’orgoglio della giovane donna.
Una volta che fu riuscita a trionfare nella battaglia contro i ceppi non ostinati al pari di lei, si alzò in piedi e si pose davanti al Curatore puntandogli contro un dito accusatore.
-Sì, ma non ne è valsa la pena, dopo? Tutti gli orizzonti che ti ho aperto e che, uniti, abbiamo aperto ai mortali? Le esperienze, i viaggi, le notti passate l’uno a fianco dell’altra? Ricorda quanto abbiamo condiviso assieme, oltre ai miei no. Non ho ripagato, forse, le attese?-
Il Curatore non rispose, si limitò a fissarla; un sorriso addolcito dai ricordi si palesò sul suo volto solcato dalle rughe, ma ancora avvenente, mentre le prendeva la mani nelle sue, convincendola a rilassarsi.
-Tu, Vita mia- sussurrò baciandole le nocche della mano sinistra -Lo fai sempre- concluse condividendo quella tenerezza con la destra. Tenendo gli occhi chiusi e senza allontanare le labbra, si prese un momento per gustare la pace che si era creata.
Il fuoco scoppiettava in sottofondo, i sospiri dell’esploratrice portavano con loro il profumo dello zucchero e la musica era cambiata un’altra volta verso un pezzo classico che entrambi avevano a cuore.
Approfittando della sua distrazione, Livvy si mordicchiò nuovamente un labbro tentando di placare la sua agitazione: poteva sembrare serena ma dentro di lei imperversava una quieta frenesia.
-Sei l’unico al quale io lasci usare il mio vero nome. Chiunque altro mi farebbe sentire… Scoperta…-
Lo scrittore alzò i suoi occhi celesti fissandoli in quelli della ragazza: il suo sguardo concentrato, il modo in cui piegava le folte e scure sopracciglia, persino la velocità con cui sbatteva le palpebre velate da un ombretto perla, lasciavano intendere che l’inaspettata accortezza degli umani non fosse l’unica cosa a farla sentire nuda.
-Aspetta, questa me la ricordo!- annunciò lei rendendosi conto di come fosse variata la melodia nella stanza.
Sfilò le mani da quelle nodose del Curatore per avvicinarsi al giradischi e aumentare il volume.
-Suite per Orchestra Jazz n. 2, di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič- annuì il Curatore -28 novembre, 1938. Che anni agitati sono stati...-
-Perché, gli ultimi trascorsi sono stati zucchero, cannella e ogni cosa bella?- commentò Livvy con sarcasmo -Come credi che me la sia fatta questa?-
Abbassò la manica della maglia per rivelare una lunga cicatrice che si avvolgeva attorno al braccio arrivando quasi al gomito: ogni volta che si registravano incalcolabili morti a livello mondiale, e la vita subiva un abbattimento, sul corpo di chi la vita la dispensava, si creavano degli sfregi che prendevano tanto tempo per guarire quanto ce ne voleva per riequilibrare un po’ i piatti della bilancia.
Di ferite così gravi, Livvy ne aveva dovute far guarire poche nel corso della storia, ma le ricordava tutte molto bene: prima in cronologia, il meteorite che aveva fatto estinguere i dinosauri e non solo.
-Permettimi di dirtene alcune: la Barriera Corallina è stata dichiarata morta, i ghiacciai si stanno sciogliendo e la fauna polare ne risente, l’Australia ha subito degli incendi spaventosi, la Foresta Pluviale non è ben messa da anni, per non parlare poi dell’ultimo anno trascorso e di tutte le morti. Posso solo immaginare a che ritmo serrato debba aver lavorato tu e, detto in sincerità, a me è sembrato quasi di averlo fatto a vuoto!-
L’avventuriera fece una pausa per passarsi le dita tra le ciocche spettinandosi ancora di più; la sua capigliatura era sempre stata indomabile, al contrario del Curatore, i cui capelli brizzolati, sfumati in un taglio più corto sui lati della testa, erano sempre perfettamente pettinati all’indietro.
-Era da decenni che non vedevo una moria tale per colpa di una malanno, e proprio quando in un’opera di finzione gli autori fantasticano sul fatto che la pestilenza sia sparita, ecco che torna di nuovo! Con la pestilenza la gente si chiude in casa e l’inquinamento ha un abbattimento da record, ma come le persone escono di nuovo, ecco che c’è un altro boom, sia di pestilenza che di avvelenamento ambientale. È un circolo vizioso, capisci?- Livvy sospirò profondamente e rivolse le sue attenzioni alla destra della stanza cercando di capire dove il Curatore avesse posato l’energy drink di pochi minuti prima -Non è che mi stia lamentando, chiariamoci, dico solo che trovo tutto quanto un po’ frustrante. E che ho bisogno di bere…- confessò, individuando la lattina. Recuperato l’oggetto del suo desiderio, prese posizione al tavolo da lavoro del Curatore, sedendosi a gambe incrociate in un’altra scricchiolante poltrona.
Litigò con la linguetta della bibita per qualche secondo, faticando a fare leva con le unghie smaltate; le teneva sempre corte affinché non la intralciassero durante le esplorazioni, ma per una volta che aveva fatto la manicure, non voleva rovinarsele subito.
In sottofondo, il proiettore aveva continuato la sua sfilza di immagini senza interrompersi e, per quando il Curatore vi mostrò di nuovo interesse, la foto di un reparto nascite era esposta in bella vista: gli operatori sanitari presi dal lavoro erano illuminati dal bagliore delle luci al neon e i bimbi paffuti, adagiati nelle loro culle, erano intenti a dormire; Livvy amava i reparti nascite tanto quanto il Curatore amava i funerali e l’uomo pensò di aver trovato la giusta ispirazione per risollevare l’atmosfera nonché la sua irriverente amica.
-Non è stato soltanto morte e distruzione. Diverse vite hanno avuto modo di fiorire, per non parlare del sospiro di sollievo che hanno potuto letteralmente tirare la terra e gli oceani. Di questo anche molti animali devono esserne stati grati- man mano che parlava, si era avvicinato alla sua scrivania e da un cassetto aveva estratto due bicchieri a stelo alto, un cavatappi e una bottiglia del suo miglior vino -Se, come mi dicevi poc’anzi, ogni vita conta, credo che tu abbia comunque qualcosa da festeggiare, ma non con questa- lo scrittore tolse il cocktail alla donna per sostituirlo con un calice vuoto -Per l’occasione ho preparato qualcosa di davvero speciale.-
Stappò la bottiglia, un vino italiano dal prezzo a tre zeri, e versò una buona dose del suo liquido rosato nel calice di entrambi mentre Livvy sembrava risvegliarsi dal suo torpore; si alzò, poggiò il bicchiere e corse a prendere dallo zaino una delle candele profumate con la sua fragranza preferita: quando erano lontani, la nota legnosa e asciutta del sandalo le ricordava il suo Curatore.
-Sai cosa? Hai fottutamente ragione!- il suo tono di voce era nuovamente concitato e mentre spostava il laptop sopra a una pila di libri per fare spazio ai calici e alla candela, il Curatore si sedette al lato opposto del tavolo in legno massiccio -Hai detto proprio una cazzo di verità, è roba profonda!-
-Apprezzo il tuo entusiasmo, ma bada al tuo linguaggio- la riprese lui non esattamente pentito di averla rincuorata ma trovandosi a dover fare i conti con un altro scoppio di energia.
-No che non ci bado! Non ora che mi sono ricordata per cosa fossi davvero venuta qui! Dobbiamo brindare!- esclamò, accostando la poltrona allo scrittoio abbastanza vicino da riuscire a sedersi poggiandoci i gomiti.
-Un vino come questo va fatto respirare prima: porta pazienza.-
-D’accordo, allora, aspetterò- Livvy si passò l’accendino sulla cucitura dei jeans per accenderlo, avvicinò la fiamma allo stoppino finché prese fuoco e subito dopo tornò alla carica -Possiamo bere, adesso?-
Il Curatore scosse la testa ridendo a voce bassa.
-Tu e la tua impazienza, la tua volubilità. Come disse George Bernard Shaw: la volubilità delle donne che amo è eguagliata soltanto dall'infernale costanza delle donne che mi amano.-
-Che in questo caso sarebbero solo una persona cioè io ma fai, prego, sfotti pure, se non hai proprio niente di più intelligente da fare...- lo invitò la bionda riprendendo il bicchiere in mano e facendo oscillare quel fluido dalla tenue sfumatura -Lo dicevo anch’io ai miei ultimi compagni di viaggio: la morte non è che un vecchio polveroso che ha bisogno di farsi una vita.-
La risata del Curatore passò da lieve a fragorosa in men che non si dica e Livvy si ritrovò a fissarlo con sguardo sconcertato.
-Wow, ehm, okay? Sapevo fosse divertente, ma non immaginavo così divertente! In effetti hanno riso tutti però…-
Tra una risata e l’altra il Curatore gettò luce sul mistero.
-A quanto pare gli umani non sono gli unici ad essere ingenui.-
-Uhm, perché?- insistette lei non comprendendo quale fosse stato il suo fallo.
-Prova a ripeterti quello che mi hai appena detto ma lentamente- l’espressione che aveva dipinta in volto era una delle più divertite che gli avesse mai visto fare e ora che si era sporto in avanti coi gomiti sulla scrivania e le dita intrecciate, la compagna capì che doveva trattarsi di qualcosa di davvero evidente.
Ci rifletté per un minuto anche più del necessario ma non appena realizzò, le sue guance si tinsero di una tonalità purpurea; poggiò il vino sul tavolo e prese a gesticolare animatamente.
-Aspetta! Non intendevo dire in quel senso!- le sue giustificazioni servirono solo a riaccendere il divertimento dello scrittore che si rilassò contro lo schienale della poltrona -Intendevo dire tipo trovati un hobby, come i giochi di carte! Un pokerino con gli amici ogni tanto giova! Sennò c’è sempre il giardinaggio, il bricolage, oppure va’ a fissare un cantiere!- proruppe brusca, trattenendo un’imprecazione tra i denti.
Sentire quell’elenco di luoghi comuni, il Curatore riprese a ridere senza freni, mentre l'indignazione di Livvy si faceva ancora più impacciata. Era intelligente, per Dio! Che ne era stato dei suoi neuroni funzionanti? Forse si erano fritti nei cocktail a base di caffè e energy drink al posto dell’acqua.
-Non è difficile capire come tu faccia ad essere tanto popolare tra i tuoi amici!- gli occhi del Curatore luccicavano per le troppe risate.
-Oh, falla finita, vecchio manico di scopa che non sei altro! Una volta avevi più ritegno!-
Con uno schiocco delle dita alla cornice, Livvy ribaltò la fotografia accanto al teschio che campeggiava sulla sinistra della scrivania; prima che potesse cadere sul ripiano e mandare il vetro in frantumi, il Curatore l’afferrò e la rimise al suo posto. Era un oggetto piuttosto vecchio ma comunque uno di quelli che gli stavano più a cuore: ne avrebbe sofferto se si fosse rovinato.
-Lo dici come se lo rimpiangessi- mormorò con tono indagatore -Pensavo avessimo concordato entrambi che fossero state delle esperienze piacevoli- sottolineò. Nell’angolo del suo sorriso c’era tutta una malizia che Livvy, e lei soltanto, gli avrebbe potuto insegnare.
L’esploratrice lo guardò in tralice oltre le lunghe ciglia prima di mettere a tacere la propria ritrosia.
-Altro che piacevoli, sono state magnifiche! Non ne rimpiango nemmeno mezza, soprattutto…- sospirò con aria trasognante mentre i ricordi vorticavano assieme alle emozioni per quella serata ancora vivida nella sua mente -Il ballo in maschera del 1850.-
Il Curatore si perse ad ammirare lo sguardo colmo di sentimenti dell’espressiva giovane; aveva poggiato una guancia al palmo della mano e fissava fuori dalla finestra la notte che incombeva: con un altro tipo di abbigliamento, sarebbe stata la perfetta musa per un pittore romantico francese. Rapito com’era dal suo languido rievocare, finì anche lui in un turbine di memorie.


All’inizio del tempo, quando la Terra era ancora in un delicato processo di crescita e la stessa vita faticava per emergere, nel precario equilibrio che regnava sovrano Livvy aveva fatto ben presto la conoscenza del Curatore. Cogliendolo sempre sul luogo del misfatto e inesperta com’era, l’aveva scambiato per la distruzione nonostante lui non ne fosse mai stato l’artefice: la distruzione era un atto casuale e l’operato del Curatore, una mera conseguenza; spettava a lui raccogliere ciò che la caducità si lasciava alle sue spalle.
Tuttavia, Livvy l’aveva sempre visto di cattivo occhio e quando la scia degli eventi aveva condotto all’estinzione di massa del Cretaceo-Paleocene, si era sentita in guerra contro quell’uomo tanto fantomatico quanto misterioso.
Per fortuna sua, le creature sopravvissute erano testarde almeno la metà di lei e dopo un discreto tempo speso ad adattarsi alla nuova situazione, avevano fatto di più che pareggiare i conti: avevano intrapreso la strada dell’evoluzione, dell’intelletto e, parecchi secoli più in là, quella dell’organizzazione sociale e dei doveri morali.
La nascita di società, leggi, etica e regole avevano messo chiaramente in mostra come le persone non prendessero più le decisioni solo in base alla loro sopravvivenza e di come fossero guidati dalle intenzioni, benevole o malevole che fossero. Ma scelte giuste o sbagliate erano irrilevanti davanti alla morte, specie se le loro anime erano destinate a finire in un cosmico e insignificante vuoto.
Riflettuto ampliamene su tali questioni, il Curatore era comparso a Livvy con un’offerta di pace e un progetto congiunto che avrebbe unito i loro sforzi: assieme avrebbero creato una vita dopo la morte, un luogo in cui gli spiriti avrebbero potuto ricevere una giusta ricompensa o punizione per le decisioni intraprese.
La ragazza aveva accettato di malafede ma presto si era ricreduta: il custode, che fino ad allora non aveva mai avuto storie particolarmente intriganti nel proprio archivio, era un uomo onesto, cortese, dai sentimenti umani e compassionevoli, ma di più! Con grande sorpresa, non aveva mai nutrito diffidenza nei confronti della sua nuova collaboratrice e, anzi, ne aveva sempre ammirato la tenacia e la caparbietà.
Più il tempo scorreva, più le persone morivano e più l’idea di una vita dopo la morte si faceva concreta grazie al lavoro congiunto dei due; avevano calcolato ogni minimo dettaglio e criterio di valutazione, avendo cura di non tralasciare nulla al caso. Ciò a cui avevano mancato completamente di pensare, era la possibilità che il loro rapporto un giorno potesse farsi profondo come la loro opera; nessuno dei due, però, mancava dell’arguzia necessaria per indietreggiare così da vedere il quadro nel suo complesso e capire a fondo cosa fosse nato tra di loro: quello che mancava, forse più al Curatore che a Livvy, era lo spirito d’iniziativa o l’esasperazione sufficiente a muoversi di nuovo in avanti e magari anche più in là.
Un passo indietro, poi sempre avanti, proprio come in una danza.
Per fortuna o sfortuna di entrambi, la giovane era sempre stata impetuosa e trovato il coraggio di attraversare la linea, aveva deciso di proporsi allo scrittore come mai avrebbe potuto immaginare.
L’uomo non era uno sprovveduto e aveva intuito che i desideri della ragazza sarebbero divenuti di natura passionale un giorno, ma nessuno dei due poteva sapere a che cosa avrebbe portato quell’invito; in parte se ne riteneva responsabile avendo ricercato per primo la sua amicizia e le sue attenzioni, ma non pensava si sarebbero spinti a tal punto. Forte del vantaggio dato dalla prudenza, aveva cercato di farla desistere, sostenendo inoltre di essere troppo vecchio per ciò che bramava, ma Livvy l’aveva incitato a fidarsi della sua guida. Anche perché quale differenza poteva fare se lui non era mai invecchiato e non invecchiava affatto?
Dopo decenni di morigeratezza, spesi al fianco di una splendida dea della vita e della nascita, il Curatore aveva ceduto alle sue lusinghe, preferendo assumersi il rischio dell’ignoto piuttosto che diventare lui stesso un essere distratto dai se che altrimenti avrebbero albergato nel suo cuore.
Poco dopo la loro unione, le persone avevano cominciato a vedere le anime di alcuni dei loro cari vagare per le strade, in cerca della pace che solo risolvere le loro faccende incompiute avrebbe potuto donare; compresa la possibilità di avere un ultimo contatto con i trapassati, le persone vennero colte da una bramosia di conoscenza che solo i neo stregoni, sciamani e necromanti poterono colmare.
Né Livvy né il Curatore rimpiangevano ciò che avevano fatto ma il tormento che alcune di quelle anime infliggevano a chi ancora aveva in sé la scintilla della vita, portava alla ragazza un profondo dispiacere; era stato questo che l’aveva spinta tramite sogni, visioni e qualche oracolo a far trovare agli umani il modo di difendersi.
I secoli erano passati, gli scrittori del destino dei mortali si erano rincontrati e separati a periodi scostanti, ciascuno preso dai propri viaggi e dai propri doveri, ma i sentimenti che avevano maturato l’un per l’altra non avevano mai cessato di ardere; avevano viaggiato assieme talvolta, si erano concessi altri fugaci attimi di ardente tenerezza, avevano presenziato a tanti periodi memorabili della storia ma un altro desiderio aveva messo radici nel cuore di Livvy.
Nel corso della sua esistenza, aveva assistito o partecipato a innumerevoli celebrazioni, feste, rituali ma senz’altro i suoi preferiti erano stati i balli in maschera tipici dell’Ottocento.
Il Curatore non l’aveva mai potuta seguire preso com’era dal proprio lavoro; se era stato presente, non era stato per farle da accompagnatore ma dopo varie insistenze da parte della fanciulla, e complice anche il fatto che una donna non accompagnata potesse condurre a domande o corteggiamenti non richiesti, aveva finalmente accettato l’invito.
Certo, non aveva potuto negare che una buona parte l’avesse giocata anche il desiderio di vederla con abiti raffinati, e il risultato non l’aveva deluso: la notte della fatidica mascherata, lui aveva indossato uno smoking nero col colletto bordato da una sottile striscia di piume bianche, una cravatta rosa scuro e una maschera da avvoltoio; la scelta di lei era ricaduta su di un abito bianco: la gonna era resa gonfia e soffice da innumerevoli strati di seta e il corsetto con scollo a cuore era tempestato di perle e cristalli. Quel dettaglio non si ripeteva solo sulle spalline di chiffon e sulla maschera da coniglia.
Anche i suoi boccoli ribelli avevano collaborato, lasciandosi acconciare in due trecce piene di nastri che dalla parte alta delle tempie si riunivano in uno chignon sulla nuca.
Una visione incantevole oltre ogni dire e ben consapevoli ne erano stati tutti gli invitati. Era stato in quell’occasione che il Curatore le aveva fatto dono della fedina con l’opale nero che Livvy portava all’anulare sinistro; forse aveva stonato coi monili di pietra di luna e oro bianco, ma non se n’era mai separata da allora. Era proprio una foto di loro due agghindati per quella festa ciò che ritraeva il quadretto sullo scrittoio del Curatore; la stampa si era incartapecorita e l’inchiostro stava sbiadendo, ma l’affetto per le ore trascorse assieme rimaneva inalterato nel tempo.
Per non destare sospetti si erano presentati come i consorti Tyrnanog, Curt e Olive, e si erano divertiti ad appellarsi “marito” e “moglie” forse una volta o due di troppo durante la festa.
Socializzare e danzare, tuttavia, non erano state le uniche attività a cui avevano indulto; nella segretezza dei loro alloggi privati, avevano ancora assecondato quell’impudica brama cui solo chi era stato legato da Dio poteva soddisfare; se non fosse stata l’ultima volta nessuno avrebbe saputo dirlo, ma una cosa era certa: quello fu l’unico giorno della storia durante il quale non si registrarono né nascite né morti in tutto il creato.
Quanto fosse imminente la data del lieto o tragico evento, era stato ininfluente.
In breve tempo le ricerche sul mondo che veniva dopo quello umano, si erano fatti più precise, accurate e un po’ tutti gli studiosi del campo avevano preso a indicarsi con una parola specifica: medium.


-Se non hai rimorsi a riguardo, perché non celebrare condividendo ex novo quel boudoir? È una delle tradizioni umane che, se ben rammento, preferisci: candele, buon vino, buona musica e buona compagnia- il Curatore sogghignò in modo licenzioso notando lo scintillio sbarazzino negli occhi di Livvy, poi raccolse una scatola in legno poggiata sul lato destro e ne estrasse un mazzo di carte -O forse preferisci soltanto cimentarti in una scommessa giocando qualche partita a carte. Qualche gioco strategico dove bisogna usare l’ingegno per vincere- tergiversò sistemando davanti a sé la candela profumata e il mazzetto di carte.
Livvy si inumidì un dito e lo passò sul bordo del calice facendo riverberare il cristallo; il giradischi stava riproducendo le note di “The heart asks pleasure first” di Michael Nyman: per cedere alla prima proposta del Curatore non poteva esserci pezzo migliore.
-Non pensavo ti sarebbe piaciuto dedicarti a un gioco di carte assieme a me, credevo ti stufasse stare in mezzo alle scartoffie tutto il giorno- lo stuzzicò la donna, ignorando apposta di incontrare il suo sguardo.
-Mia cara, è la tua presenza ciò che mi piace di più in questo momento e accetterò di buon grado qualunque tua decisione. Allora che cosa preferisci: il cuore o la testa?-
L’avventuriera studiò il quadretto che si poneva davanti a lei fingendo annoiato interesse, come se fosse indecisa sulle opzioni ma non completamente tormentata; sganciò la bussola dal suo fermaglio e la aprì davanti a sé. Non aveva bisogno di consultarla per capire ciò che voleva e, anche se l’ago puntava indiscutibilmente verso il Curatore, Livvy la richiuse con uno schiocco.
-Per stavolta accetterò di scommettere il destino di qualcuno in bilico tra un mondo e l’altro, dopo un brindisi ovviamente- annunciò un po’ deludendo il suo compagno che seppe mascherarlo con grande maestria.
-Pensavo ti mettesse ansia vedere le persone in un momento decisivo per la loro vita fisica- si sorprese lui.
-Dipende: se le persone si impegnano a fare del bene, a migliorare la vita degli altri e a vivere appieno la propria, faccio il tifo per loro e mi dispiace dovertele affidare ma so che sono in buone mani; se una persona è crudele gratuitamente e fa di tutto per rovinare il percorso altrui, preferisco stia con me e paghi per i suoi peccati. Non posso intromettermi troppo nelle scelte di nessuno, né provocare certi eventi, so solo che alcuni ti meritano, altri no. Tutto dipende da come vedono il sorpassare la soglia del tuo deposito.-
Nel mentre che parlava, il Curatore aveva mescolato il mazzo di carte e si preparava a distribuirle quando Livvy mise una mano sopra le sue.
-No! Se permetti, queste le darei io- si inalberò fissandolo con espressione inflessibile mentre l’uomo si stupiva della sua fretta nel bloccarlo; la sua meraviglia era così genuina e affabile da far quasi ritornare la donna sui suoi passi. Avrebbe decisamente voluto scavalcare la scrivania, afferrarlo per la cravatta, baciarlo come solo lei era capace e rivedere le sue affermazioni sul programma della serata, ma si costrinse a darsi un contegno.
-Sappiamo tutti e due benissimo di che giochetti sei capace con queste.-
-Mi tratti come un qualsiasi truffatore da strada- sogghignò lasciandole il mazzo per afferrare il bicchiere ancora colmo.
-Diciamo che prendo solo le dovute precauzioni- si strinse lei nelle spalle cominciando a distribuire le carte.
Una volta finito quel compito il Curatore la invitò a raccogliere il proprio calice.
-Propongo un brindisi a noi e alla nostra suprema scommessa: che possa non avere mai fine- dichiarò.
-Perché fintanto che la vita sulla Terra continua a prosperare, io continuo ad averla vinta e a te piace perdere?- si incuriosì Livvy.
-No, mia adorata Liv, non parlo solo della vita sulla Terra. Sai come me che il nostro operato è molto più grande, ma non può esserci vita senza morte e nel giorno in cui l’esistenza avrà fine, quando nel creato non resteranno più esseri che possano conservarsi o perire, anche noi cesseremo la nostra mansione. È al presente che sto brindando, a quel valzer che ci dà senso. E che va avanti.-
-Forbito come sempre, eh?- rise la donna non stupendosi del fatto che la sua mente affilata fosse un’altra delle innumerevoli ragioni per cui avesse dedicato la sua eterna vita ad amarlo.
-Mi metto d’impegno per conquistarti- sorrise lui.
-Ma non era meglio conquistare se stessi che vincere mille battaglie?-
-Col senno di poi anche il tuo affetto è stata una vittoria degna di nota; ricordi la prima lettera d’amore che mi hai fatto trovare sulla porta dell’archivio?- prese a ridere sotto i baffi facendosi per mettere a cercarla.
Livvy si irrigidì, il suo sguardo si fece torvo e la sua voce minacciosa.
-Intendi dire la lettera minatoria nella quale proclamavo di aver creato l’essere indistruttibile per eccellenza, resistente ad altissime e bassissime temperature, a pressioni elevate e mancanza di ossigeno solo per poi scoprire che suddetta bestiola, cioè il tardigrado, ha una longevità di appena tre mesi?- rantolò sentendosi avvampare.
-Quella che termina con una sequela di insulti così lunga che ancora adesso non ne ho visto la fine? Esattamente quella.-
-Se la tiri di nuovo fuori, è la volta buona che te la faccio ingoiare...-
-Non lo faresti mai, so che mi adori- il suo sorriso era tanto spudorato quanto ammaliante e l’esploratrice finì per accorgersene per l’infinitesima volta.
-Così come tu adori me, d’altro canto- lo rimbeccò con un sorrisetto.
-Tornando seri, però, c’è da dire che mi aiutò a capire che tu mi avessi frainteso. Puoi vergognartene ancora dopo tanti millenni ma fu un tentativo di intimidazione maldestro quanto provvidenziale.-
-Yei!- esclamò senza troppo entusiasmo, afferrando lo stelo tra le dita.
-Alla nostra, allora?- la invitò il Curatore alzando il calice.
-Alla nostra!- concluse Livvy facendo incontrare i loro bicchieri con un tintinnio.
   
 
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