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Autore: Eneri_Mess    17/01/2021    1 recensioni
FINE (Prima parte)
Con il segreto che nasconde, Yokohama è una città dove non si possono dormire sonni tranquilli.
Dal Preludio:
Una mano di Dazai gli strinse il braccio, mentre le dita dell’altra si aggrapparono alla sua camicia sgualcita sul petto. Il nemico barcollò, ma si rimise in piedi, recuperando una delle proprie pistole.
«Chuuya...» ridacchiò Dazai, fuori luogo. «Di nuovo: ho mai sbagliato nel formulare un piano?»
«Smettila!» e la prima nota di supplica si mischiò alla richiesta. «Non sei lucido!»
Genere: Azione, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Nota: questo capitolo contiene riferimenti alla terza Light Novel di Bungou Stray Dogs "The Untold Origins of the Detective Agency". La trovate su Amazon tradotta in inglese.



 

Capitolo 11

The Room of Madness



 

Dedico questo capitolo a Rota,
perché ama Ranpo
e i suoi commenti sono linfa vitale.
Grazie!




 

Nella matassa incolore della vita scorre il filo rosso del delitto.
Il nostro compito sta nel dipanarlo, nell'isolarlo, nell'esporne ogni pollice.

[Sherlock Holmes - Arthur Conan Doyle]






 

Era pieno pomeriggio e Kunikida si spinse gli occhiali sul naso, accogliendo i due ospiti appena entrati in Agenzia con uno sguardo stanco e poco incline al dialogo. 

«Cosa vi serve?» tagliò corto, ma accorgendosi subito di quanto il proprio tono non suonasse cordiale. Aggiustò il tiro cercando di spiegarsi. 

«Siamo pieni al momento, non abbiamo molto tempo.» 

«Ho delle informazioni per Ranpo-san.»

«Ranpo mi ha chiesto dei rapporti.»

Ango e Minoura si squadrarono con un’occhiata dopo essersi parlati sopra a vicenda. Era la prima volta che si incontravano. 

Kunikida sbuffò inconsciamente, come se gli fosse appena stato chiesto di fare l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto. 

«Seguitemi.»

Erano passati diversi giorni da quando l’Agenzia aveva formalmente preso in carico il caso delle chiavi rubate, ma, a parte il tempo che scorreva inesorabile, il resto era rimasto invariato. 

Red Hood continuava ad apparire e sparire in luoghi legati alla Port Mafia in maniera più o meno grave, aprendo e chiudendo i suoi cerchi di attacchi. I toni dell’opinione pubblica erano altalenanti, dividendosi tra chi inneggiava al giustiziere e chi ne teorizzava il complotto; di Yosano non c’erano state notizie. 

Il cambiamento più radicale era avvenuto proprio in seno all’Agenzia: Ranpo aveva smesso di indagare sugli eventi che stavano avvinghiando le proprie spire intorno a Yokohama e aveva abbandonato i colleghi a loro stessi. 

Nonostante Kunikida avesse sollevato un’allarmata protesta, Fukuzawa aveva appoggiato la decisione di Ranpo, anche se questo aveva significato decurtare ulteriormente le possibilità dell’Agenzia di stare dietro a ciò che stava succedendo. Erano senza Yosano, senza Ranpo e, a stringere, anche senza Dazai, una mera presenza in ufficio che si limitava a confermare o smentire tutto ciò che veniva fuori riguardo Red Hood. 

Ranpo non se ne era fisicamente andato, ma era impossibile parlare con lui. Aveva requisito una delle stanze dell’Agenzia e ne aveva fatto il proprio regno, come constatarono Ango e Minoura quando Kunikida li accompagnò e aprì la porta di quella che una volta era stata una sala riunioni. 

C’erano fogli, documenti e foto ovunque. Articoli di giornali, rapporti, post-it colorati, biglietti scritti di fretta erano appesi ai muri da puntine intorno a cui si dipanavano fili rossi da parete a parete, formando una ragnatela a mezz’aria. 

«È impazzito?» chiese Minoura a mezza voce, incapace di distogliere l’attenzione da quell’intrico senza né capo né coda. 

Kunikida non commentò. Si limitò a una panoramica generale, come a constatare i progressi, per poi avviarsi alla propria scrivania, chiedendo la cortesia di non essere disturbato se non per questioni estremamente urgenti. 

Una volta soli, Ango e Minoura fecero per entrare. 

«AH! Fermi!» 

Se Ranpo si fosse o meno già accorto della loro presenza, lo diede a intendere solo in quel momento, ma senza neanche girarsi dal suo appuntare gli ennesimi post-it sulla parete. Parlò di spalle, con un tono sbrigativo di chi ha altro a cui pensare. 

«I documenti che stavate per calpestare lì davanti a voi valgono più di qualsiasi vostra chiacchiera.»

Con lì davanti intendeva quelli per terra, in piccole montagnole che formavano una specie di basso labirinto per tutta la stanza. 

«È tutto ordinato seguendo una logica che non capireste neanche tra cento anni. Se fate cadere qualcosa dovrò ricominciare da capo.» 

Lo disse muovendosi proprio tra quelle fila come un roditore addestrato, percorrendo svelto l’unica porzione di pavimento ancora visibile fino all’ingresso della stanza. Una volta arrivato lì, senza saluti o convenevoli, strappò di mano a Minoura la pila di rapporti richiesti, per poi fissare Ango in attesa. 

«Erano troppi e troppo pesanti» si giustificò quest’ultimo, riferendosi ai documenti che avrebbe dovuto portare con sé, il braccio ancora fasciato al collo. Estrasse una pennetta USB per cui Ranpo sbuffò sonoramente. 

«Naomi!» urlò, affacciandosi dalla porta senza preoccuparsi di urtare Minoura. La ragazza apparve pochi secondi dopo, prendendo al volo la pennetta USB che Ranpo le lanciò.

«Stampami tutto quello che c’è qui sopra! Subito! Massima urgenza! E portami dei dango!» e nel finire l’ultima frase sparì, rientrando nella stanza.    

Al contrario, Naomi rimase lì, sospirando con lentezza per mitigare l’evidente voglia di tirargli qualcosa in testa. 

«Non lasciatevi coinvolgere da questa follia» disse di punto in bianco, fissando i due ancora sulla porta. 

«Ha dato completamente di matto e nessuno riesce a farlo ragionare. Buona fortuna.» 

«Ma su che diavolo lavori?» chiese Minoura quando furono di nuovo soli. Stava osservando Ranpo - che evidentemente continuava a ignorarli nonostante la domanda - e il suo sfogliare veloce i fascicoli che gli aveva portato, strappando e appallottolando tutto quello che c’era di inutile. 

«Mi hai chiesto roba di più di dieci anni fa… che cosa ha a che fare con Red Hood?»

«Red Hood non mi interessa. Non ora» ribatté sbrigativo Ranpo, ritagliando parti dei rapporti per andarli ad appicciare sul muro. «È un vicolo cieco. Sappiamo già tutto e non ci serve a niente.»

Minoura rimase interdetto a bocca aperta. 

«Cosa? Sapete chi è?»

Ranpo agitò una mano in aria come a scacciare una mosca. 

«Oda Sakunosuke. Ex assassino su commissione, ex membro della Port Mafia. Si pensava fosse morto quattro anni fa.»

L’espressione di Minoura era oltre l’incredulità. Al suo fianco, Ango si schiarì la voce con un colpetto di tosse, per poi tirare fuori il proprio identificativo del governo. 

«Le informazioni su Red Hood sono strettamente confidenziali. Il caso è sotto la giurisdizione della Divisione governativa per l’uso delle abilità. Qualsiasi informazione sentirà qui non dovrà essere divulgata. In caso contrario, la sua carriera, o quella di chi verrà a conoscenza dei fatti tramite lei, sarà finita e sarà passibile di arresto. Perdoni la minaccia, ma è un caso che richiede estrema cautela.»

Minoura lo guardò sbattendo le palpebre, senza capire. 

«Fermi un attimo. C’è un pazzo omicida che semina il caos da settimane e voi sapete chi è!? E non lo state fermando!?»

Il commento di Ranpo fu un sonoro sbuffo infastidito e nient’altro. 

«Ci stiamo provando» replicò Ango, perdendo in parte la serietà per un tono più frustrato e impotente. 

«Ma è come tentare di afferrare un fantasma.»

«Se non state cercando di fermare lui, allora a che diavolo lavorate?» insistette il detective della polizia con aria più seria e accusatoria, anche se con Ranpo fu come sbattere contro un muro. 

«Devo capire dove, come e quando tutto questo è iniziato» mormorò, fermando i suoi gesti frenetici. 

«Sto seguendo il consiglio di un’amica che mi suggerì di indagare alla vecchia maniera, se fossi stato bloccato...» 

Nonostante la pesantezza in quanto appena detto, Ranpo socchiuse gli occhi, fissando la parete di fronte a sé.

«Dostoevskij deve sentirsi in trappola come il ratto che è, anche se lui è soltanto parte di qualcosa di più grande.»

«Hai trovato informazioni che possono esserci utili?» domandò Ango attento, ignorando l’espressione confusa di Minoura. 

Ranpo finì di appuntare le ultime informazioni che aveva in mano e fece un passo indietro, calibrato, senza sfiorare né le pile di carta in terra né i fili rossi sospesi intorno a lui. La prima cosa che fece fu puntare il dito verso l’unica porzione di parete meno incasinata. Sul muro era stata disegnata una sagoma con sopra un punto di domanda e sotto l’appunto utilizzatore di abilità. Intorno al profilo anonimo era pieno di post it scritti a mano e sopra, a troneggiare su tutto come un titolo, la scritta le prove distrutte

«È dal caso del Cannibalismo che Dostoevskij utilizza qualcuno in grado di far sparire le informazioni. Per questo Puškin era sempre una persona diversa. Lo ha usato anche per cancellare qualsiasi documentazione relativa a Oda e non ho alcuna prova a dimostrarlo...» lo disse serrando le dita a pugno. La sua espressione era molto lontana anche solo dal sarcasmo. 

«Però ho idea che Dostoevskij stia usando il potere di questa persona solo da poco. So a grandi linee quali documenti e informazioni mancano e non sono ancora state distrutte, quindi ho iniziato a cercare intorno alle briciole che ha lasciato.» 

Girò su se stesso, facendo una panoramica della stanza.

«Dostoevskij sfrutta per molti dei propri crimini la propria organizzazione, I Ratti della Casa dei Morti, composta da orfani, senzatetto e disperati. Gente senza un passato e prospettive, niente da perdere, ma che lascia tracce e impronte disordinate.»

Finito di dirlo, Ranpo recuperò dal caos sul tavolo un foglio spiegazzato con un elenco di luoghi, nomi e altri indizi, mettendolo in mano a Minoura. 

«Per tenervi occupati» esordì, ma con una verve dimezzata rispetto al suo solito modo di fare egocentrico. 

«Ho risolto alcuni casi minori che erano rimasti incompiuti e sono tutti opera dei Ratti.»

Ancora una volta, Minoura rimase senza parole, fissando il foglio con almeno una quindicina di punti. 

«Per quello che sta succedendo ora i Ratti sono da escludere, almeno finché non servirà la forza numerica» riprese Ranpo. 

«C’è un’altra organizzazione dietro, più strutturata. Più vecchia.»

Le sue dita sfiorarono alcuni degli appunti. 

«Tredici anni fa mi proposero di farne parte. La persona che me lo chiese lavorava nella polizia.»

«Ohi.» 

Minoura scattò prima ancora di rendersene conto, il tono esacerbato da quella cascata confusionaria di informazioni. 

«Stai dicendo che ci sono delle mele marce tra i miei colleghi!?»

Ranpo fece spallucce. 

«Più che probabile. Il caso dell’agente Sugimoto poteva solo essere il primo, ma al momento non ho prove che ci sia qualcuno infiltrato nella polizia.» 

Ango si schiarì di nuovo la voce, riportando l’attenzione sull’argomento principale. 

«Di che organizzazione si trattava?»

Ranpo camminò nel suo labirinto di carta fino a un’altra parete, quella più incasinata e da cui partivano la maggior parte dei fili rossi. Al centro troneggiava una grande V e sotto, in stampatello ben leggibile, seguiva una frase: 

L’angelo consegnerà l’artista alla sua morte, in un senso reale. 

«Tredici anni fa, io e il Presidente siamo stati coinvolti in un caso di omicidio in un teatro.» 

Ranpo fissò la frase con intensità, lasciando riemergere i ricordi. 

«Per farla breve, tutto partì da una minaccia tramite questo messaggio. Il caso si rivelò diviso in due, una parte insignificante e vanagloriosa, solo uno specchietto per allodole per il vero piano, quello di rapire un utilizzatore di abilità durante la confusione generata dal crimine.» 

Gli uscì un sospiro infastidito e incrociò le braccia, spiegazzando ulteriormente la camicia già stazzonata. 

«Ovviamente sono riuscito a impedirlo» eppure la sua espressione non era d’orgoglio personale. 

«Non smascherai il vero colpevole… quello che tirava le file, ma misi alle strette Jun Mitamura» disse il nome voltandosi verso Minoura. 

«Era il poliziotto che finse di scortarmi in centrale per la deposizione. Mi portò in uno dei covi dell’organizzazione V per convincermi a unirmi alla loro causa: lo sterminio di utilizzatori di abilità.» 

Il detective della polizia ingoiò pesantemente, ma non abbassò lo sguardo. Il sangue gli ribolliva nelle vene al pensiero di trovare tra le proprie file dei colleghi corrotti. Al suo fianco, Ango mantenne la professionalità del proprio ruolo, per quanto tutte quelle informazioni fossero un bombardamento. 

«Avevo sentito parlare dell’esistenza di un’organizzazione con questo scopo, ma non ci sono mai state tracce convincenti per riconoscerla e schedarla. Alla Divisione fu archiviata come una minaccia poco attendibile e nel tempo non abbiamo riscontrato altre attività. Più il mito morente di una società segreta troppo ambiziosa e grottesca...»

Ranpo esibì un sorrisetto che gli si addiceva poco, più simile a quelli inquietanti di Dazai, che annunciavano scomode verità. 

«Un mito quanto le storie folkloristiche sugli utilizzatori di abilità? La realtà colpisce più forte quando si raccontano favole invece della verità.»

Ango incassò, senza sapere cosa replicare. 

«Credi che dietro a quello che sta succedendo ci sia questa organizzazione?»

Le dita di Ranpo fecero vibrare uno dei fili rossi che attraversava la stanza. 

«Ci sto ancora lavorando, ma l’organizzazione V era una versione beta… un’organizzazione capace di agire nell’ombra, eppure molto acerba. Mitamura era nella polizia, ma gli altri uomini con lui erano solo mercenari, non seguaci devoti alla causa. Lui stesso non era un pezzo importante, fu ucciso la notte stessa dell’arresto e il suo omicidio è ancora insoluto.»

Ranpo non fece caso al silenzio che calò, ma percorse la stanza seguendo con le dita lo stesso filo che aveva pizzicato, fino ad arrivare a un’altra porzione di parete. 

Una fotografia ritraeva Dostoevskij. Di fianco c’era una seconda foto, di Odasaku, corredata dalla didascalia Red Hood, a cui seguiva una sagoma anonima con scritto sotto Ladro di chiavi. Sopra di loro, un’altra silhouette corredata della scritta Capo

«Arriviamo quindi a Dostoevskij, a Oda, al Ladro omicida e a un capo. Ai nuovi vertici dell’organizzazione V.»

«Aspetta un attimo» lo interruppe Minoura, tendendosi a guardare le fotografie. 

«C’è qualcun altro oltre a Red Hood? Cos’è questa storia? Dostoevskij non è l’uomo che avete arrestato qualche tempo fa?»

«Detective Minoura, quando è informato?» chiese Ango con uno sguardo serio e sospettoso. «Sono informazioni confidenziali.»

«Minoura è un tipo a posto» garantì Ranpo con uno sbuffo. «Non è un genio, ma quasi nessuno di voi lo è. Dostoevskij ci si avvicina ed è irritante quanto Dazai.» 

Con le nocche, Ranpo batté sulla fotografia di Oda. 

«Red Hood è solo un enorme diversivo. O almeno, lo era. La sua opera contro la Port Mafia andrà avanti finché non verrà fermato… o non abbatterà la torre più grande.»

«Torre…?» ripeté Minoura, senza capire. «Di che diavolo stai parlando?»

«Ranpo-san.»

Il tono di Ango fu di avvertimento, serio e corredato di un’espressione incisiva. Ranpo fece spallucce. 

«Lo so, lo so» replicò, agitando la mano. 

«Non si deve parlare della struttura trilaterale voluta da Natsume-sensei, o peggio, parlare del Libro, quell’oggetto capace di sovrascrivere la realtà… ops

Ranpo sembrò del tutto deliziato dalla propria nonchalance, facendo brevemente spallucce con un sorrisetto in bilico sul cattivo. Ango scosse la testa, arrendendosi e prendendosi il volto con la mano sana. Ribadì a Minoura con più fermezza che nessuna informazione avrebbe dovuto lasciare l’Agenzia, ma quest’ultimo pareva aver appena ricevuto una botta in testa. 

«Tornando a Dostoevskij, non ha mai nascosto i propri intenti sul voler distruggere la realtà e creare un mondo senza abilità. Lo stesso obiettivo dell’organizzazione V.»

«Non è possibile che Dostoevskij fosse coinvolto già tredici anni fa. Era… troppo giovane» tentò Ango, ma non così sicuro come avrebbe voluto. 

«Se non lo era, lo è diventato. I suoi intenti erano palesi già nello sfruttare Shibusawa» tagliò corto Ranpo. 

«Comunque, qualsiasi sia il nome o il volto dell’organizzazione V oggi, Dostoevskij non è il tipo da giocare a fare il capo. Si celerebbe dietro a una facciata. È quindi più probabile» e sembrò mordersi la lingua nel pronunciare quella parola tanto insicura, «che lui gestisca i complici e qualcun altro sia a monte di tutto.»

«L’idea del Cannibalismo e ora quello che sta succedendo, non sono opera sua? È solo un… vice?» domandò Ango, come se gli avessero tolto improvvisamente il pavimento da sotto i piedi.  

Ranpo ingoiò la frustrazione di non poter dare una risposta certa a causa delle informazioni che continuavano a sparire.

«Agire da secondo, ma tenere le fila, può rivelarsi una posizione anche superiore a quella di un capo» spiegò Ranpo, fissando con astio la fotografia dell’uomo in questione, per poi spostarsi su quella a fianco. 

«Secondo ciò che ha riferito Bel Cappello, Oda ha dichiarato di essere compagno di Dostoevskij e di conoscerlo bene, di fidarsi» continuò, voltandosi verso l’uscio per fissare in faccia gli altri due, soprattutto Ango. 

«Non ho le prove e non sono neanche un esperto, queste cose non fanno per me, ma pensate a come si costruisce un rapporto di fiducia.»

«… in anni» rispose Ango con un’amarezza che contribuì solo ad affogare ulteriormente le sue poche speranze. 

«C’è più di un’ipotesi che può spiegare come siano riusciti a far sopravvivere Oda, o come siano riusciti a riportarlo indietro. Ma il metodo ora è una variante inutile. Quel che possiamo affermare è che, negli ultimi quattro anni, Oda ha passato il proprio tempo a contatto con Dostoevskij.»

«… ma perché Odasaku?» 

Ango si era appoggiato allo stipite della porta, guardando un punto imprecisato del pavimento.

«Per la sua abilità? Per le sue potenzialità?»

«Anche» assentì Ranpo con un gesto del capo, per poi raccogliere lo sguardo di Ango col proprio. 

«Ma il suo compito principale è quello di ostruire Dazai. Forse anche di ucciderlo. L’abilità di Oda non può prevedere Dazai, ma Dazai non poteva prevedere che Oda fosse vivo. L’hanno studiata bene.»  

«...»

«Perché avete così a cuore questo Oda se era già un assassino e un membro della mafia?» scattò Minoura bruscamente, allibito e preoccupato da quello scambio di battute. 

«Perché» si intromise una quarta voce, cogliendoli di sorpresa. 

«A volte gli amici non te li scegli, ti capitano e basta! E allora fai di tutto per loro!» 

Tornata con le braccia ingombre di fogli stampati, Naomi li scaricò a un Minoura ancora più interdetto. Alle sue spalle, la sorpresa di Ango per quell’uscita si trasformò in un piccolo sorriso nostalgico. 

«Le cose complicate alla fine hanno sempre radici semplici, dico bene? Il tutto sta nel districare la matassa e la nostra Agenzia è la migliore in questo campo!» riprese la ragazza. La positività nel suo tono brillava come la vista di un porto sicuro. 

«Volete del tè insieme ai dango?» cambiò improvvisamente discorso. «Ango-san, le faccio portare subito una sedia da mio fratello, non dovrebbe starsene in piedi nelle sue condizioni!»

Si rivelò essere una breve pausa necessaria, in cui le pesanti informazioni ricevuto poterono iniziare a depositarsi e mettere radici. 

Ranpo passò il successivo quarto d’ora spazzolando con una mano, uno dopo l’altro, una montagna di dango, mentre l’altra era impegnata a sfogliare, reimpilare o appallottolare i fogli stampati. La sua espressione annoiata non fu addolcita né dai dolcetti né da quello che i documenti avevano da dirgli. Pagina dopo pagina, i suoi lineamenti si oscurarono. 

«Si trovano più informazioni nei rapporti compilati male dalla polizia che nei file governativi» sbottò, buttando in terra l’ennesimo foglio pieno di frasi annerite. 

«Cosa sono tutte queste censure!?» 

Il sospiro di Ango suonò patetico alle sue stesse orecchie. 

«Ho fatto quello che ho potuto, ma ho già spiegato la situazione. Il governo-»

«Devo venire a incontrare qualcuno dei tuoi capi» lo interruppe Ranpo, calcando nel tono la propria frustrazione. 

«Mi basterebbe un’occhiata per sapere su quale sporco segreto fare leva per avere ciò che ci serve.»

L’ex spia non ebbe nulla da ridire. 

«Questo Libro che avete menzionato» riprese Minoura sovrappensiero, stringendo la tazza di tè come un naufrago salvato dalla tempesta. 

«Fa davvero quello che avete detto? Uno ci scrive dentro e… e la realtà viene cambiata?»

«In parole semplici sì, ma sembra ci siano delle modalità specifiche per usarlo, anche se non ne conosco la natura» spiegò Ango con una smorfia. Le lacune affliggevano anche lui, nonostante lo desse a vedere meno di Ranpo. 

«E questo Libro si trova qui, a Yokohama?» 

«Sì. per quanto la sua ubicazione sia sconosciuta anche alla sezione speciale.»

«Servono delle chiavi per raggiungere il Libro» si mise in mezzo Ranpo, punzecchiando un altro dei fili che passavano sopra la sua testa. Questo partiva dalla sagoma anonima denominata Ladro di chiavi, vicino a Oda. 

«Recuperarle è il compito del terzo complice di Dostoevskij.»

Minoura seguì con lo sguardo dove il filo finiva, in una porzione di parete dove erano state affisse le foto di tre omicidi. 

«Chi sono le vittime?»

«Persone sconosciute.» 

Non sembrava esserci un argomento che risparmiasse il logorio, parola dopo parola, al tono di Ango. 

«Il governo ha cancellato qualsiasi informazione su di loro, così che potessero nascondere le chiavi. Una sorta di protezione testimoni estrema.» 

Si guardò la mano, come un pezzo inutile di sé. 

«Con la mia abilità sono riuscito a ricostruire solo in parte il loro passato. È tutto troppo normale e perfetto. Cittadini modello senza alcuna ombra, ma in possesso di queste chiavi per il Libro.» 

«E come diavolo fanno questi a sapere dove trovarli?» continuò Minoura, sentendosi sempre più piccolo di fronte alla situazione. 

«Una domanda così ovvia da essere stupida» commentò Ranpo, liberandosi del resto dei fogli stampati. 

«Ce lo siamo già chiesto, ma Mr Impiegato del Governo non riesce ad avere neanche le informazioni più basilari. Che perdita di tempo.»

«Sto facendo il possibile...» tentò Ango. 

«Sì, ed è inutile!» 

La voce di Ranpo si alzò all’improvviso, facendosi più mordace, scottante. 

«Come potete aspettarvi che risolva questo casino se il governo è il primo a nascondere i fatti e il resto delle prove viene distrutto!?»

Ango tacque, senza sapere cosa replicare. Minoura, al suo fianco, gli lanciò un’occhiata incerta, concorde con lo sfogo, ma sapendo cosa significasse avere a che fare con i modi lunatici del detective. 

«Se i file della polizia sono più utili, posso procurarmene altri» iniziò a dire, nel voler placare gli animi, ma Ranpo sbatté un palmo sulla scrivania, mettendoci tutta la propria frustrazione. 

«Fare il lavoro al posto della polizia, tanto mi bastano solo sessanta secondi, no!? Così a voi risolvo casi abbandonati perché siete degli incompetenti, eh? E voi mi darete qualcosa che sia meno di niente per capire dov’è tenuta Yosano!» 

«Ranpo.»

L’atmosfera si bloccò in quell’unico richiamo. 

La voce venne dalle loro spalle. Fukuzawa era arrivato in silenzio e fece trasalire i due ospiti. Ango stava per alzarsi in segno di rispetto e saluto, ma il Presidente lo invitò con un cenno a restare seduto. 

«È tutto inutile» sbottò Ranpo, rosso di rabbia, strappando uno dei fili e comportandosi come un bambino alle prese con le verità scomode del mondo. 

Fukuzawa varcò la soglia, entrando nel labirinto di carta. 

«Yosano-sensei sa che la salveremo» disse piano, fissando intensamente il detective. 

«Lo sa che non la abbandoneremo e che stai facendo tutto quello che puoi per riportarla a casa.»

I loro sguardi si incrociarono e il Presidente continuò, serio e temperato nel tono. 

«Se le fosse successo qualcosa di irreparabile lo saprei.»

Nonostante Fukuzawa avesse appena menzionato tra le righe la propria abilità, sottolineando che Yosano fosse viva, Ranpo scoppiò in una risata amarissima che fece venire la pelle d’oca ad Ango e Minoura. 

«Che sia viva non significa che sia bene! Potrebbero averla torturata tutti i giorni! O costringendo a usare il suo potere come Angelo della Morte

La sua esplosione emotiva si trasformò di nuovo, vibrando di collera nel tirare una seconda manata, questa volta contro il muro, lì dove aveva appuntato le odiose congetture sulle prove mancanti. Diversi post it si staccarono e caddero a terra. 

«Non sappiamo niente! Hanno cancellato ogni traccia! È tutto inutile! Ogni cosa che mi portate è inutile! Sono solo briciole inutili!» 

La calma di Fukuzawa rasentava la freddezza di fronte a quell’ondata bollente di tensione e delusione. Né Ango né Minoura sentirono di dover intervenire, o avere anche solo la possibilità di farlo. Erano rimasti muti nel loro angolo oltre la soglia della stanza, quasi in una sorta di territorio grigio, lontano dal campo di battaglia. 

Senza replicare all’escalation di Ranpo, il Presidente lo superò, camminando in mezzo alle pile di fogli senza sfiorarne nessuno, con una cura disinteressata nei gesti. Arrivò di fronte alla finestra e guardò fuori. 

«La soluzione è qui da qualche parte.»

Che si stesse riferendo a Ranpo, o fosse un pensiero slegato, nessuno ebbe tempo di capirlo. Fukuzawa aprì il vetro della finestra e una prima folata di vento lo investì, facendo sventolare le maniche del suo kimono. Quando si scostò, l’aria entrò con più vigore e i primi fogli iniziarono a vibrare, che fossero appuntati ai muri o nel marasma a terra. In una manciata di secondi si scatenò il caos. 

Folata dopo folata, il vento spostò tutti i documenti, i ritagli di giornale, le fotografie, facendoli volteggiare in aria in mulinelli scoordinati, mandando questo o quel foglio da un lato all’altro della stanza. 

Ango e Minoura restarono a bocca aperta. Ranpo sembrò essere stato congelato sul posto. 

Fukuzawa richiuse la finestra e tutti i fogli si depositarono in terra. 

Ci fu un lungo momento di stasi e fiato sospeso, nel capire cosa sarebbe dovuto succedere dopo. Ranpo non proferì parola. Si stava mordendo un labbro, ma fu ignorato dal Presidente, che lo superò di nuovo. Raggiunto il tavolo, Fukuzawa recuperò gli occhiali che aveva dato a Ranpo tredici anni primi, riemersi dal disordine di documenti grazie al vento. 

«Il piano di Dostoevskij è la tela di un ragno» disse, porgendo gli occhiali a Ranpo. Lo fissò negli occhi così intensamente che chiunque altro, non abituato, si sarebbe sentito in soggezione. 

«Ti ha messo di fronte a una sfida difficile, ma non impossibile. Tutti commettono degli errori, anche se lui li sta cancellando. Ma emergerà un punto debole. Devi solo capire qual è e ci riporterai Yosano-sensei. La salveremo. Chiaro?» 

Il suo tono si ammorbidì sul finale, in una sfumatura tiepida. 

«Ho fiducia in te, Ranpo.»

Le spalle del detective erano rigide, ma il peso invisibile che gravava su di loro parve alleggerirsi. Ranpo prese gli occhiali dalle dita del Presidente e li indossò. Diede l’idea di essere del tutto un’altra persona. Sul suo viso si aprì un mezzo sorriso, molto simile a un ghigno. 

«Smonterò il suo castello prima che lui distrugga il nostro.» 

Fukuzawa annuì, sottolineando il proprio consenso. Tornò sui propri passi e uscì dalla stanza, chiedendo ad Ango un breve colloquio nel proprio ufficio. 

Ranpo si affacciò dalla sua Stanza della Follia, ignorando l’ancora ammutolito Minoura per mettersi a urlare verso le scrivanie dei detective dell’Agenzia. 

«Ohi, Naomi! Servono altri dango! Due montagne di altri dango! E chiama Poe! Digli che è urgente e che in cambio leggerò un paio dei suoi racconti!» 

Con la stessa nonchalance, in uno scatto, si voltò verso l’ignaro detective della polizia. 

«Spero che abbia il pomeriggio libero, Minoura-keibu, perché qui c’è da sistemare questo casino! Ora che sai tutta la storia, renditi utile!» 



 

This is true in the case of other crimes as well, but the key to deceiving one’s enemy is to suppress one’s own emotions and to act entirely contrary to ordinary human nature. Because humans tend to judge the thoughts of others against their own, once they make a mistaken judgment, they do not notice their own error. 

[The Early Cases of Akechi Kogorō - Edogawa Ranpo]



 

* * *



 

Dazai riprese coscienza quando la voce venata di rabbia di Ranpo raggiunse il divano dove stava sonnecchiando. Tutto intorno, nella zona ufficio, calò il silenzio, come le rare volte in cui i toni dell’uomo per cui l’Agenzia era stata fondata si alzavano. 

Stiracchiandosi appena, più un assestamento di posizione, Dazai finse di essere ancora addormentato. Non era infastidito, aveva sentito urla peggiori nella propria vita, ma la mancanza di sonno stava diventando più ingestibile di giorno in giorno. 

Dormire in Agenzia si era rivelato il tacito compromesso che andava bene a tutti: lui riusciva a recuperare qualche ora di riposo, mentre i suoi colleghi potevano sapere dove fosse. Non che Dazai pensasse davvero di andarsene a spasso, o avvertisse la loro preoccupazione come una limitazione. Aveva già controllato tutti i possibili luoghi dove sarebbe potuto essere Odasaku secondo i propri ricordi, ma era chiaro che la strategia di Dostoevskij non prevedeva un loro incontro casuale

Dazai aprì gli occhi, senza più la pretesa di fingersi addormentato. Dalla sala riunioni i toni si erano abbassati e diventarono un ronzio per quei pensieri che da giorni non lo abbandonavano. 

Il nuovo sguardo di Odasaku era impresso nella sua memoria, senza essere più quello pacato, così poco avvezzo a trasmettere emozioni come era stato un tempo. Gli occhi che lo avevano inchiodato, puntandogli una pistola addosso, erano stati pietra. Impassibili di fronte alla persona con cui un tempo aveva annullato spazi ed esitazioni. 

Dazai giocherellò sovrappensiero con i ciuffi della propria frangia. Le immagini di un Odasaku morente tra le sue braccia si distaccavano sempre di più dall’Odasaku con cui avevano a che fare in quel countdown verso il Libro. Erano tutte e due versioni reali, ma i contorni di entrambe erano slavate nella menzogna. 

Era un circolo di pensieri senza uscita. Dostoevskij lo aveva messo sotto scacco, incastrandolo in una spirale vorticante tra presente e passato. Era un piano per fermarlo, o spingerlo a commettere un passo falso nello scegliere tra la logica e le emozioni. Doveva dargli atto che era riuscito a metterlo fuori gioco. Il suo cervello era in una impasse senza scelte. 

Leggere il fascicolo che Ango aveva redatto su Odasaku non gli aveva raccontato nulla che già non sapesse, e lo aveva solo spinto a rivivere momenti di quattro anni prima. 

Le prove che l’Agenzia stava cercando come pepite d’oro in un fiume di fango erano inutili. Anche farsi un giro nella Stanza della Follia di Ranpo - in un momento in cui questi era crollato dalla stanchezza - non aveva prodotto in lui che un senso di nausea alla bocca dello stomaco. 

Articoli di giornale, foto, appunti, stralci di rapporti ufficiali: una miscellanea di informazioni che avevano soltanto concretizzato la profondità di quanto le radici di quel male che aveva inglobato Odasaku fossero radicate e potessero strozzarlo da un momento all’altro, Flawless o meno. L’urgenza di fare qualcosa ticchettava nelle sue tempie, nonostante il suo cervello non riuscisse a incrociare gli indizi e trovare una soluzione.  

La sua mente continuava a restituirgli l’immagine di quell’Odasaku cresciuto. Quattro anni lo avevano definito come uomo e avevano lasciato segni indelebili, come la cicatrice sul suo volto o il braccio artificiale. Dazai avrebbe preferito essere preda di un’illusione, invece di dover dare credito alla realtà. 

Reale era stato l’Odasaku con cui aveva voluto condividere l’intimità, permettendogli di spogliarlo dei vestiti quanto dei filtri con cui si interfacciava con la vita, lasciandosi guidare nel piacere dei sensi, fisico ed emotivo, nello smettere di pensare e scoprire il tepore dato da un gesto di affetto sincero. 

Tuttavia, reale era anche l’Odasaku che lo aveva braccato, che lo aveva chiamato spia doppiogiochista, che aveva definito Dostoevskij un compagno. 

L’idea di pensarlo ancora morto, sepolto lì dove per quattro anni aveva creduto di andare a fargli visita, fu un’idea tanto fugace quanto egoisticamente confortevole. 

«Dazai.»

Dazai puntò uno sguardo indecifrabile verso la voce che lo aveva chiamato. La riconobbe come quella di Kunikida solo dopo che lo guardò in faccia. Si accorse che l’ambiente intorno a loro era silenzioso quando la pressione del sangue nelle sue orecchie defluì. Tornando padrone di sé, avvertì la rigidità delle dita, rimaste aggrappate alla stoffa del trench così a lungo da fargli male. 

«Dovresti dormire anche tu» buttò lì Dazai, registrando l’espressione tirata e pallida del partner. Non ebbe alcuna inclinazione derisoria, per quanto sarebbe stata un’occasione perfetta. Preferì non pensare a quanto poco sentisse di riempire i propri panni e si tirò su a sedere, stiracchiandosi. 

«Ti lascio il posto. In un paio di orette dovresti tornare a essere abbastanza attraente per le donne» e lo disse alzandosi e fermandosi di fianco a Kunikida, sull’ingresso della zona ufficio, osservando come non ci fosse praticamente nessuno. 

Kunikida non replicò. La rigidità della sua postura cozzava con un’espressione arresa, in parte sofferente. Dazai se ne rese conto anche senza guardarlo apertamente. 

«Allora, c’è qualcosa di utile che devo fare?» 

«Dazai...»

«Spero nessuna scartoffia o mi verrà sonno di nuovo.»

Il sospiro che lasciò andare Kunikida fu in bilico tra una scelta rivalutata cento volte e un atto di coraggio. 

«Io ci sono.»

Dazai lo guardò apertamente smarrito. 

«… eh?»

Kunikida non ricambiò lo sguardo, ma impresse fermezza al proprio tono. 

«Come tuo partner, ci sono. Come tuo… amico. Se ne avessi bisogno. Posso ascoltarti.» 

Abbassò lo sguardo. 

«Mi dispiace dover ficcanasare così nella vita di una persona per te importante, anche se si tratta di lavoro.»

Dazai restò spiazzato. Ammutolito da quelle uscite, si ritrovò alle prese con un grazie sulla punta della lingua, ma il bisogno di un po’ di normalità vinse. 

«Così mi metti a disagio, Kunikida-kun» cincischiò, stirando un sorrisetto sincero per quanto malizioso. 

«Significa che ora non ti arrabbierai più se giocherello con la tua agenda?»

L’altro represse un verso di gola in un colpo di tosse. 

«Gradirei che non lo facessi.»

«Quindi non ti sono piaciuti i disegnini che ho lasciato qui e lì?»

«Sei stato tu!?» 

Ogni parvenza di buon senso si eclissò e Kunikida perse la tranquillità zen esibita fino a quel momento. 

«Tu hai disegnato quelle… quelle volgarità nella mia agenda!?»

«Era troppo seria! Poi chissà cosa potrebbe succedere se attivassi quelle pagine…!»

Kunikida lo afferrò per il bavero, scuotendolo come suo solito. Dazai riuscì a ridacchiare con una parvenza di onestà. 

«Sei impossibile.»

«Non c’è bisogno di farmi complimenti! Allora, per cosa ti servivo?»

Kunikida incrociò le braccia, tornando pensieroso. 

«Ci sono da controllare gli ultimi report arrivati oggi.» 

«… evviva.»

Fu il turno di Dazai di sospirare, seguendolo per sedersi alla scrivania. Non guardò l’ora, ma dal cielo fuori il turno doveva essere quasi finito. Le giornate si stavano lentamente allungando, nonostante il buio della sera continuasse a richiedere le ultime ore pomeridiane per sé. 

Con uno sbuffo ben udibile, Dazai tirò a sé la piccola pila di casi delle ultime settantadue ore. Odasaku aveva già chiuso quasi cinque cerchi intorno ai palazzi della Port Mafia.

Pennarello in mano, una seconda cartina più piccola di Yokohama dove segnare gli attacchi - per poi riportarli su quella principale nella stanza di Ranpo - Dazai si rese conto di quanto gli eventi stessero scorrendo velocemente. Di quel passo, il giorno in cui l’ultimo cerchio si fosse chiuso sarebbe arrivato prima che l’Agenzia fosse stata in grado di fare qualcosa di concreto. 

Concentrandosi nel proprio compito, iniziò a cerchiare i posti corrispondenti ai report e che sapeva collegati alla mafia. Come i pezzi di un puzzle, ognuno di questi andò al proprio posto su una curva immaginaria, in un modo tanto prevedibile quanto angosciante. 

Questo fino a un fascicolo che catturò l’attenzione di Dazai, facendogli abbandonare il pennarello e la cartina. Il luogo attaccato non aveva un indirizzo che si incastrava in uno dei cerchi ed era slegato dalla mafia. Era stato dato alle fiamme, un incendio doloso durante la notte che aveva devastato la struttura. Sarebbe potuto essere un crimine qualsiasi, se Dazai non avesse riconosciuto il posto come il Wine Bar preferito del proprio ex partner, la sua tana chic di decompressione dopo le giornate di scartoffie. 

Era un messaggio di sfida da Odasaku a Chuuya. 

«Dazai, che succede?» chiese Kunikida, osservando la sua fronte corrugata. «Hai trovato qualcosa?»

«Io...» Dazai gli lanciò un’occhiata. «… devo andare in bagno! Mi scappa da morire!»

Dazai si dileguò dall’ufficio senza lasciare spazio a richiami, fiondandosi verso i bagni. Una volta accertatosi di essere solo, chiuse la porta a chiave e digitò a memoria il numero di Chuuya. Non ottenne risposta. 

Escludendo un secondo tentativo, Dazai provò a chiamare Hirotsu. 

«Dazai-san.»

La voce era più strascicata del solito, ma era la sua. 

«Non muori neanche se ti ammazzano, vero Hirotsu?» scherzò il detective, schiena contro la parete, avvertendo il sollievo sottopelle. 

«Ho saputo di essere stato fortunato, sapendo in chi mi sono imbattuto» replicò l’anziano, senza sbilanciarsi nel tono, ma lasciando intendere di avere un quadro della situazione. 

«Ci stiamo abituando a vedere tornare in vita chi dovrebbe essere morto, eh?»

Dazai si fissò nello specchio del bagno di fronte a sé, osservando il proprio volto tirato. Paragonato a quello del se stesso quindicenne, alle prese con il ritorno del Boss precedente, si sentiva messo molto peggio. 

«Speravo di averne già sentite e viste abbastanza alla mia età» sospirò Hirotsu, convenendo con l’affermazione del detective. «Per cosa mi ha cercato, Dazai-san?»

Il velo di leggerezza cadde, lasciando la scena alla questione seria. 

«Dov’è Chuuya?»

Hirotsu si prese qualche secondo. 

«Immagino abbia saputo dell’esplosione del Wine Bar.»

«Hirotsu, dov’è Chuuya?»

«Lo fermerà?»

Dazai si staccò dal muro e abbandonò il proprio riflesso nello specchio, voltandosi verso la finestrella da cui si poteva vedere una porzione di Yokohama e il tramonto. 

«Se Chuuya non lo ammazza, si farà ammazzare. E se lo ammazza, io ucciderò lui.»

Hirotsu tacque per qualche secondo ancora. Dazai strinse le dita a pugno, dentro la tasca del trench, attendendo. 

«Ai moli del Porto Vecchio.»

«Grazie.» 

Senza indulgiare, Dazai riaprì la porta del bagno. 

«Sono contento di sapere che non ti abbia ucciso» aggiunse all’ultimo, piano, sgattaiolando verso le scale dell’Agenzia senza incontrare nessuno. 

«Lieto della sua preoccupazione. Faccia attenzione.»

Dazai non replicò, chiudendo la chiamata. 

Una volta fuori, fermò un taxi per andare a un appuntamento a cui non era stato invitato. 




 

To be continued




 

Spazio autore 

 

Buon anno nuovo lettori!

Questo è un capitolo un po’ particolare dove ho infuso tutta la mia ossessione per le bacheche piene di indizi, i fili rossi che li collegano tra loro, il mystery in generale e soprattutto Ranpo, uno dei personaggi di BSD che più mi affascina! 

Come nel capitolo scorso è pieno di riferimenti alla terza Light Novel (e anche similitudini diciamo?), tra cui mi sono presa la libertà di tradurre un pezzo, l’indizio che Ranpo ha scritto sul muro sotto la “V”, ossia: “The angel will deliver the performer to his death, in a real sense”. Mi baso sulla traduzione inglese, sperando sia attendibile…! 

Plus, a fine capitolo c’è un’anticipazione del prossimo, che possiamo considerare la “fine prima parte della prima parte” X°D Insomma, siamo a metà della prima parte di questa storia. 

Grazie di seguirmi nonostante gli aggiornamenti traballini. Il vostro sostegno significa davvero molto *love*

 

Alla prossima!

 

Pagina autore su FB: Nefelibata ~ @EneriMess



 

Prossimo capitolo → For The Tainted Sorrow vs Flawless

 
   
 
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