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Autore: Sia_    18/01/2021    19 recensioni
L’unico Regulus che cambia idea è quello dei suoi sogni, quando il compromesso non è più compromesso, ma è l’unica realtà che conosce. Sirius sogna e in tutto quel casino che ha in testa, i suoi sogni riescono ad essere belli. Sono più tuffi nel passato, mani che si stringono e risate e inseguimenti in una casa che nemmeno l’inconscio vuole delineare.
Sono sogni in cui Regulus si ferma per prendere fiato, sogni in cui si gira a fissarlo con gli occhi larghi, “Cosa siamo noi?” gli domanda a ritmo scomposto.
“Siamo fratelli, che altro dovremmo essere?”
-Questa storia si è classificata prima al contest “Back to Black” indetto da parsefeni sul forum di EFP-
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Che cosa siamo noi?

 

“Ma a te non fa schifo?”

Regulus alza gli occhi dal suo libro, lo sguardo vacuo trapassa Sirius da parte a parte.

Cosa?” 

“Tutto questo.”

Non indica niente, non ha abbastanza dita per mostrargli cosa sia quel tutto.

Nostra madre, nostro padre, camera tua, il salotto.

Un po’ anche tu, a dir la verità.

Persino la risposta che ottiene fa schifo.

 

C’è qualcosa di sbagliato nel modo in cui lo sguardo di Regulus lo giudica quando si incrociano per i corridoi di Hogwarts ed è sbagliato il modo in cui Sirius risponde a quella provocazione: non si dicono niente, ma è sempre bastato il silenzio tra loro due. Non fa nemmeno male, si raccontano entrambi, allontanando gli occhi e mandando giù qualcosa che ha il sapore più amaro di una Burrobirra alla Testa di Porco. Felpato si appunta di non berla più, che chissà che ci infilano dentro quei boccali, chissà quando li hanno puliti davvero l’ultima volta. 

Non fa nemmeno male

Però Sirius, steso nel suo baldacchino in piena notte, pensa che del dolore da qualche parte ci debba pur essere, nascosto fra tutte quelle lenzuola con cui detesta coprirsi: gli punge una parte del cuore, mentre Regulus emerge dalla profondità della sua anima e si rende conto che di tutta quella vita sbagliata che si è lasciato indietro, lui è la parte che manca. Se s’impegna, Sirius riesce ancora a ricordare la sensazione della sua mano che si aggrappa a quella del fratello per andare a giocare insieme da qualche parte: lo portava via, nella speranza di inventare storie e fantasie che non fossero sporche di stereotipi. Non anche quelle, sono solo un passatempo per bambini. 

Non si è mai sentito così bambino da quando è arrivato ad Hogwarts, questa è la verità e non gli serve impegnarsi poi tanto per sentire la mano di James stretta nella sua. Fa un po’ meno male, si dice, quando raggiunge quel compromesso che lo fa dormire. 

Sono bei sogni, quelli di Sirius.

Sono incubi, quelli di Regulus, che s’addormenta il più presto possibile e poi si sveglia in piena notte, mandando al diavolo le lenzuola attorcigliate sul suo corpo. Si fa piccolo nel letto, appoggiando la schiena alla testata e rimane ad ascoltare il respiro dei suoi compagni di stanza: sono stati di Sirius quei respiri, nelle notti che passavano nella stessa camera per essere meno soli. Fa sempre male, si dice, quando si sveglia e sente un vuoto nel petto. 

Ha fatto male anche a casa quell’estate, nei brevi attimi in cui lanciava un’occhiata nella vecchia camera di Sirius e non lo trovava a scrivere una lettera a Potter, quando non lo trovava a ridere con un libro in mano – me l’ha consigliato Remus, gentile da parte sua preoccuparsi per il mio vuoto intellettuale. 

Non è un vuoto intellettuale, è che Sirius non ce l’ha proprio un cervello. Se l’avesse, non l’avrebbe abbandonato da solo: non c’è nessuno a raccontare storie e fantasie, non c’è nessuno ad allontanare il buio di quella casa. Finirà per essere inghiottito del tutto. 

 

“Ma a te non fa schifo?”

Sirius lo sta fissando, ma non sembra essere chiuso con lui in quelle mura.

Cosa?” 

“Tutto questo.”

Non gli indica niente, dà per scontato che Regulus lo capisca da solo.

Dai troppe cose per scontato.

Fa comunque tutto meno schifo, se lo viviamo in due.

Gli dice che non lo sa.

 

Fa male un giovedì pomeriggio. 

Sirius non si capacita della mossa di Regulus, che si accomoda davanti a lui in Biblioteca. Magari non se n’è accorto, con i tavoli pieni e il muso nascosto nel libro che sta studiando. Incassa il colpo di quell’indifferenza, il maggiore, e torna a guardare le proprie pagine. Fa male se nemmeno si detestano, fa male se fingono che non siano mai stati niente. Eppure era Sirius quello che lo rincorreva per le scale, era Sirius che gli faceva il solletico ed era Regulus che rideva sempre. 

Da quand’è che uno non procura la risata all’altro? Devono essere passati anni, ormai. Se Regulus l’ha più sentito ridere, era a causa delle lettere che non smettevano di arrivare in estate. Sembravano dargli la certezza di essere stato rimpiazzato. 

“Dovresti essere a lezione” sussurra Sirius alla fine, eludendo lo sguardo interrogativo di James al suo fianco. 

“Hai imparato a memoria il mio orario?” gli chiede l’altro, neanche si degna di staccare gli occhi dal libro. Domanda quello, per evitare di far cadere lì in mezzo una valanga di sentimenti – Ti importa ancora così tanto?

Sirius comincia a picchiettare il piede contro il pavimento, infastidito – Sei ancora mio fratello, Regulus. Decide di rimanere in silenzio, nella speranza che quel pensiero venga sentito lo stesso; non ci arriva proprio che, a furia di mangiarsi le parole, sono finiti a non capirsi più. 

“Non volevo andarci.” Regulus non è mai stato espansivo con le persone, ma con Sirius è diverso: c’è una strana amarezza che lo colpisce in pieno petto quando lo vede parlare con Potter e pensa che Potter dovrebbe essere lui. Si ostina a continuare la conversazione, alzando finalmente gli occhi scuri sul fratello. 

James si mette più dritto sulla sedia, è in allerta. Imita i movimenti tesi di Felpato quando Severus si avvicina nei corridoi per venire a sussurrare qualcosa: è complicità quella, ma nemmeno Ramoso riesce a capire completamente, perché lui con Piton non ha vissuto l’infanzia. È Sirius che gli fa segno di star tranquillo, “Come mai non volevi andarci?”

Volevo stare con te. Non è neanche un giorno speciale, è solo un giorno come un altro, è un giovedì pomeriggio che non ha nulla di diverso dalle mattine del martedì o delle sere della domenica, non è proprio niente. Quello che invece è qualcosa, è il dolore che Regulus non riesce a silenziare nel suo dormitorio. Volevo stare con te, che se di notte mi sveglio penso che non ci sei più nella mia vita

“Così,” Regulus manda giù quella tempesta di parole che ha paura di far uscire, perché ha paura di sua madre e di suo padre e ha paura di non essere forte quanto Sirius, “non mi andava e basta.”

“Quando lo dico io, di solito Remus mi trascina in classe per la tracolla: gli importa davvero troppo del mio cervello” commenta Sirius, dando poco peso al significato di quella frase. C’è qualcuno nel mondo che lo tiene sul palmo della mano e gli dà amore: Lupin non si preoccupa del cervello di Felpato, ma si preoccupa di Felpato. Si preoccupa quando respira in modo diverso perché sta pensando a Grimmauld Place, si preoccupa se non sposta le pupille dal vuoto del soffitto, si preoccupa se non riempie il silenzio con qualche stupida frase, conseguenza del suo essere un po’ bambino in ritardo.

“A te non importa?” il Serpeverde piega l’angolo del suo libro e stringe la mascella. 

“Di cosa?” 

Di me, trascinami a lezione. Sei mio fratello, no? Trascinami a lezione.

“Del tuo intelletto, l’hai sempre trascurato” dice invece, rimettendo a posto la pagina e staccando le mani dalla carta. Alimenta il fuoco di quella fiamma che li divide secondo per secondo.

Sirius scuote il capo divertito, tamburellando con le dita sul legno, “Te l’ho sempre detto, ci sono cose molto più importanti.” 

“Tipo?” 

Non ricordi i pomeriggi che ho passato con te a giocare, al posto di studiare?

“Le ragazze.” Decide di dirgli, un sorriso malandrino a colorargli il volto nella speranza di colmare un po’ la distanza che si è venuta a creare, nella speranza di cancellare il giudizio negli occhi di Regulus, che durante l'estate deve averne sentite di tutti i colori dalla madre. Chissà che gli ha raccontato: storie piene di stereotipi, storie che non hanno un senso dall’inizio alla fine per Sirius, ma che teme possano cominciare ad averlo per Regulus. 

“Sei sempre così superficiale, le ragazze.” 

Sirius gli sorride inconsciamente a quel punto: è scattato qualcosa con l’espressione annoiata di Regulus che imita molto quella di Remus, con quel tono che prende tanto da James. Non si accorge che fa male, che suo fratello è un pezzo di tutto quello che sono i suoi amici e che l’ha sempre cercato, senza sapere che è proprio .

Regulus stringe le labbra e arrossisce un po’ (c’è anche Peter), tornando a studiare il libro nella speranza di mitigare quella strana felicità che prova nel petto: forse quella notte riuscirà a dormire dopo tanto tempo. 

 

“Vai a lezione, la prossima volta.”

Regulus stringe il libro al petto e incastra la sedia sotto il tavolo.

Abbassa gli occhi sul fratello, che sta scrivendo qualcosa su una pergamena.

“Fai il genitore, adesso?” 

“Che altro dovrei fare?”

Quelli non sono mica una mamma e un papà.

Gli dice che ci andrà a lezione. 

“Vai a lezione, la prossima volta.”

Sirius non stacca gli occhi dalla pergamena che sta scrivendo. 

Non li alza nemmeno quando sente il rumore della sedia che si incastra sotto al tavolo.

“Fai il genitore, adesso?” 

“Che altro dovrei fare?”

Il fratello: non sapevo che qualcuno potesse mancarmi in questo modo.

Non glielo dice, non ne avrà mai il coraggio.

 

Per un po’ sembra che non ci sia odio, lì in mezzo, ma la cruda consapevolezza dell’esistenza di tante diversità – il modo in cui camminano, il modo con cui scandiscono le parole e danno ritmo alle frasi, il modo in cui ridono. 

Regulus ha la risata pesante, mentre pensa che forse suo fratello non è come lo descrive mamma nelle lettere che gli manda da casa, forse c’è qualcosa che non ha capito davvero, forse ad impegnarsi un po’ di più può ancora leggere le cose velate che Sirius ha lasciato volare via come una nuvola di vapore in inverno. L’osserva, quando si siede il più vicino possibile a lui nel prato intorno ad Hogwarts e lo sente parlottare con la sua cricca di amici: certi gesti non muteranno mai, sono gli stessi con cui spesso l’ha toccato a casa, quando ancora era casa per tutti e due. Con loro è Sirius davvero, questo pensa stringendo la copertina dei suoi libri e misura attentamente la distanza che s’è formata tra le loro due anime: non diminuirà, lo sa

Sirius non lo cerca abbastanza, non gli racconta più storie per allontanare le idee che gli hanno scolpito in testa i genitori: ad ogni risata che scambia con James e ad ogni abbraccio che condivide con Remus, ci rinuncia un po’ di più. 

È colpa tua se sono così – Regulus preferisce torturarsi con quell’idea, piuttosto che sentire il vuoto lacerante che si spande nel petto al pensiero che le loro diversità finiranno per allontanarli del tutto. Al pensiero che prima o poi arriverà davvero, l’attimo in cui smetteranno di essere mai stati qualcosa.

Sirius a certe cose non vuole pensarci, non vuole dare poi così tanto credito al dolore che prova nel petto quando raggiunge il letto la notte. Sa che qualcuno deve prendersi la colpa di quella ferita, la prima di molte, ma non se la vuole addossare. È colpa della loro stupida famiglia, è colpa delle loro parole, è colpa… Non è colpa sua. Non se ne è andato per fargli un torto, non se ne è andato per girare i corridoi di Hogwarts e sentire la tensione amara che aleggia tra lui e Regulus, se ne è andato per cominciare a vivere. 

Ha provato a fargli cambiare idea per così tanti anni, che adesso è ad un passo dal rinunciarci: nel suo mondo sta bene e non vuole più saperne niente di quello che sta fuori. Che ci arrivi da solo, pensa qualche volta e poi non dorme la notte, nemmeno con il compromesso di avere James al suo fianco. Che ci arrivi da solo? Regulus non ha il viso di uno che può capirlo, il problema. Quando arrivano lettere da Grimmauld Place, il volto del più giovane si illumina di una luce che Sirius non può comprendere, quando arrivano lettere da Grimmuald Place, Regulus pensa di essere meno solo.

Tanto vale rinunciarci allora, non si capiranno mai fino in fondo.

“Pensi di essere migliore di me?”

Regulus si morde l’interno della guancia, focalizzandosi su quel dolore,

piuttosto che sentire la fitta al cuore.

“Che razza di domanda è?”

“Lo pensi, Sirius?”

Certo che penso di essere migliore di te.

Ma la vedi la genti con cui giri per la scuola?

“Te l’hanno scritto nelle lettere? Devi smetterla di dare credito a quelle stronzate.”

 

Sirius e Regulus a volte litigano, James sembra una marionetta quando i toni si accendono e si fa tutto dritto al lato dell’amico. Che vada al diavolo, quel Potter che non capisce mai quale sia il suo posto. Non ci deve stare, dentro i loro litigi, non ci deve stare in mezzo al vuoto che stringe i loro petti e li fa arrabbiare. Non è nemmeno più amarezza, quella che provano, solo l’ennesima consapevolezza che un nome bruciato è tutto quello che rimarrà alla fine, persino per Regulus. 

Ha cercato verità tutta la sua vita, nelle storie del fratello, nei discorsi dei suoi genitori, in quelli di Bella che di tanto in tanto faceva visita a casa loro e riempiva i giochi con qualcosa che adesso ha tutto il senso del mondo – sei tu che non lo capisci Sirius ed è colpa tua, se non ci arrivi. 

Ha cercato di far convivere bugie e verità, Regulus, ma non ci riesce più: le parole scritte nelle lettere cancellano ogni giorno l’immagine di fratello maggiore che si è ricamato addosso dall’infanzia. Le parole scolpite nelle pergamene hanno sfilacciato quell’armatura fatta di amore. Non si ricorda cosa voglia dire essere amati a quel modo: è da troppo tempo che la carezza fredda di sua madre basta a farlo sentire meno solo, da troppo tempo che le attenzioni dei Serpeverde lo fanno sentire migliore di quanto sia mai stato.

 

“Pensi di essere migliore di me?”

Sirius stringe le labbra in una linea.

Che cazzo gli deve dire adesso? Ammetterlo fa troppo male.

“Che razza di domanda è?”

“Lo pensi, Sirius?”

Lo so che lo pensi, tanto vale eludere le mie domande.

Non è la fine del mondo se la chiudiamo qui, no?

“Te l’hanno scritto nelle lettere? Devi smetterla di dare credito a quelle stronzate.”

 

È la fine del mondo, chiuderla lì.

Sirius adesso ha persino smesso di fare il bambino. Remus se ne accorge dal modo in cui cammina, dal modo in cui il vuoto sul soffitto è più profondo di prima, dal modo in cui non riempie più il silenzio con qualche frase sciocca. È diventato adulto d'improvviso. Ci voleva la consapevolezza di aver perso anche la piccola parte della sua infanzia che avesse mai avuto senso. Non se la sente più, di impegnarsi per sentire la sensazione della mano di Regulus chiusa nella sua, palmo contro palmo a raccontare storie. È la fine del mondo, cancellare quella cosa lì.

 

“Non sono stronzate.”

“Non lo sono?” Sirius si mette a ridere e la risata gli gratta la gola.

Regulus irrigidisce la mascella, infastidito da quell’attacco.

 “Allora sarà vero che sono migliore di te.”

 

Sirius trova casa in James, la trova in Remus, la trova anche in Peter: nessuno dei tre ha qualcosa di Regulus, perché Regulus non è nemmeno più Regulus, che cammina come se tutto gli fosse dovuto. Sapeva, che non ci sarebbe arrivato da solo. 

“Cambierà idea.” Lupin gli siede accanto, lo scalda prendendogli le dita e stringendole alle proprie. 

“Non  sai com’è fatto, non la cambierà: ha scelto di essere un Mangiamorte.” 

“Nemmeno tu sai com’è fatto.” James si appoggia alla fine del letto e gli appoggia una mano alla caviglia, scrollandogli la gamba. 

L’unico Regulus che cambia idea è quello dei suoi sogni, quando il compromesso non è più compromesso, ma è l’unica realtà che conosce. Sirius sogna e in tutto quel casino che ha in testa, i suoi sogni riescono ad essere belli. Sono tuffi nel passato, mani che si stringono e risate e inseguimenti in una casa che nemmeno l’inconscio vuole delineare. 

Sono sogni in cui Regulus si ferma per prendere fiato, sogni in cui si gira a fissarlo con gli occhi larghi, “Che cosa siamo noi?” gli domanda a ritmo scomposto. 

“Siamo fratelli, che altro dovremmo essere?”

 

Che cosa siamo noi, Regulus?

“Non siamo più un noi, smettiamola di raccontarci storie”

Ombre appena accennate di un ricordo felice.

Sirius si stringe nelle spalle e a passi larghi raggiunge la figura del fratello che sta guardando fuori dalla finestra: un modo per non pensare a tutto quello che esplode nella sua, di testa.

Gli stivaletti del maggiore risuonano per il corridoio, l’annunciano ancora prima che possa aprire bocca e rivelare la sua presenza. 

“Sei venuto a dire addio?” Regulus rintana le mani nelle tasche e le stringe in due pugni. 

.”

Il respiro di Sirius appanna il vetro e oscura il paesaggio: perché importa ancora così tanto? Non sono niente, hanno imparato anche a dimenticare e dimenticarsi. Lasciare Hogwarts però, gli sta più stretto di quanto mai avesse potuto credere. È l’ultima rinuncia che si concede.

“Potevi anche non disturbarti.” Regulus inghiottisce il suo stesso veleno e caccia giù quella voglia di allungare la mano e toccare il corpo del fratello un’ultima volta. Che ci è venuto a fare lì? Perché vuole riempire il vuoto? Erano la fine del mondo, bastava quello. 

“Lo so, mi andava e basta.” 

Ha il sentore di un giovedì pomeriggio, quell’addio – torna a fare male, chissà se riusciranno a prendere sonno quella notte. 

Regulus si lascia scappare un sospiro, il Marchio Nero gli brucia sulla pelle del braccio e sente che in fondo non è cambiato niente, che lui è l’unica persona che gli tira fuori le parole con i silenzi, “Sirius, non farti ammazzare là fuori.” 

“Vedi di sopravvivere anche tu.” Sopravvivere? Regulus non è più niente, con tutte quelle fini del mondo, con tutto quell’amore freddo, con tutte quelle idee che hanno senso, ma che gli bruciano la pelle. Perché la verità ha il sentore di bugia?

“Che cosa siamo noi, Sirius?”

“Non lo so più.”

 

C’è una guerra là fuori, Regulus se la sente tutta addosso: c’è qualcuno in quella guerra che rende la guerra più di quello che dovrebbe essere. Chissà se è vivo, pensa ogni tanto. Chissà se sta ancora con Potter e gli altri due di cui non si è mai disturbato d’imparare i nomi. 

Chissà se lo rivedrà mai. Sono dei pensieri che lo raggiungo e diventano verità. Sorride, guardando le fiamme nel focolare che danzano e ascolta distrattamente il discorso di sua madre. Non parla mai di lui, Sirius in quella casa non esiste più. Dovrebbe essere ovunque invece, metterebbe un po’ di senno in quello che lo circonda. 

È da un po’ di tempo che s’è rimesso a credere alle storie del fratello, da un po’ di tempo che torna a immaginarsi le loro fughe e le loro mani che non si lasciano andare: se mai ha commesso un errore, è stato quello di averlo dato per scontato.

Fa tutto schifo, avrebbe comunque fatto meno schifo se fossero stati in due. Chissà se avrà mai la possibilità di dirglielo di persona, la possibilità di scusarsi per quei vuoti che ha contribuito a creare. 

Gli ha tutti sulla pelle Sirius quei vuoti, soprattutto quando alza la bacchetta e lancia incantesimi contro i Mangiamorte e spera di non trovarsi davanti Regulus: a volte pensa che se lo trova sul campo di battaglia manda tutto al diavolo e lo porta via. Manda tutto al diavolo, gli stringe il palmo e smette di rinunciarci. James lo prende in giro, perché pensa ancora a Regulus e Felpato ride, si chiude nelle spalle e gli dice che farebbe la stessa cosa con lui: manderebbe al diavolo la guerra, per salvargli la vita. 

 

Sirius.”

La voce di Remus è un sussurro quel giovedì pomeriggio.

“Che è quella faccia lunga?” Sirius si mette a ridere e chiude il libro che ha tra le mani.

“Dicono che sia morto.”

“Chi?” 

Come te lo posso dire?

Che se adesso mi crolli davanti agli occhi io non so più come prenderti.

“Tuo fratello.”

 Impossibile, gli risponde, James è in cucina con Lily.

 

Sirius.”

La voce di Remus è un sussurro quel giovedì pomeriggio.

“Che è quella faccia lunga?” Sirius si mette a ridere e chiude il libro che ha tra le mani.

“Dicono che sia morto.”

“Chi?” 

Non serve che continui a parlare, ce l’hai scritto ovunque.

È la fine del mondo, chiuderla così.

“Tuo fratello.”

 Impossibile, gli risponde, James è in cucina con Lily.

 



Questa storia partecipa agli Oscar della Penna 2022 indetti sul Forum Ferisce più la penna.
Arrivo su queste note con un po' di imbarazzo. Ieri mi sono svegliata e ho pensato di voler scrivere di Sirius, ma non volevo scendere a prendere Remus. Così ho pensato a Regulus, un personaggio che tocco davvero per la prima volta e che, molto probabilmente sono venuta a rovinare: non so nemmeno se è OOC o meno. Ringrazio VigilanzaCostante, che mi rassicura come meglio può, ma rimango comunque un po' insicura. 
È una storia che mi ha dato tanto, che mi ha fatto scoprire un mondo nuovo e sarà sempre grata a questi due personaggi per essere quello che sono: vuoti, silenzi, insieme di cose scontate. E fratelli.
Volevo che fossero fratelli, volevo che Regulus si rendesse conto di quello che sono stati, che Sirius affrontasse quella perdina. È un rapporto che mi è capitato di leggere qua e là, ma sono contenta di essermi data la possibilità di dare un po' il mio punto di vista. 
Spero che questa storia vi sia piaciuta, dal profondo del mio cuoricino. Grazie per averci passato del tempo, 
Sia 

 
   
 
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