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Autore: Mary P_Stark    18/01/2021    2 recensioni
Liza Wallace è la nuova Geri del branco di Clearwater e, a discapito della sua giovane età, dimostra fin da subito di avere un potenziale enorme; il rapporto davvero unico con i suoi Huginn e Muninn, i magici corvi al servizio del Sicario Umano del branco colpisce fin dall'inizio l'intero branco. Questo suo potenziale verrà subito messo alla prova quando, a sorpresa, giungerà a Clearwater una famiglia proveniente da New York. I Sullivan sembrano una famiglia normale, almeno all'apparenza, ma il figlio Mark e suo padre Donovan metteranno in allarme il branco a causa del loro comportamento sospetto. Saranno dei temuti Cacciatori, o qualcun altro si cela nell'ombra, più pericolo e subdolo, tentando di portare lo scompiglio nel branco di Lucas, Devereux e Iris? (particolari della storia presenti nei racconti precedenti della Trilogia della Luna)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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22.

 

 

 

 

Il Vigrond pullulava di persone in preda al panico, alla rabbia e al nervosismo, ma Donovan non badò a nessuno di loro. Corse incontro a Diana e, sorprendendola non poco, la abbracciò con vigore e, contro la sua spalla, mormorò affranto: «Scusami… scusami…»

Stupita non poco dalla sua presenza, Diana si irrigidì per un istante tra le sue braccia prima di sciogliersi in esse ed esalare: «Oddio! Cosa ci fai tu qui?!»

Volgendosi a mezzo per incrociare lo sguardo di Charlotte che, nel frattempo, aveva raggiunto a sua volta il Vigrond per parlare con il suo Fenrir, l’uomo asserì: «C’è chi mi ha scosso a sufficienza per farmi capire dove sbagliavo… ma non ho fatto in tempo a parlare con Mark, a scusarmi con lui, e ora…»

Diana però scosse il capo e replicò: «Lui non ce l’ha affatto con te. Capisce perché tu ti sia voluto allontanare. Ero io a non accettarlo.»

«Devo comunque a entrambi delle scuse» chiarì per ogni evenienza Donovan, guardandosi poi intorno fino a inquadrare la figura dei coniugi Wallace. «Loro come stanno?»

«Sono turbati» mormorò Diana, rimanendo nell’arco protettivo delle braccia del marito. Per quanto ce l’avesse ancora con lui, apprezzava che avesse ceduto ai propri convincimenti per venire lì. «Iris era ferita, quando è scomparsa assieme a Litha.»

«La donna corvina che ha ferito i ragazzi?» si informò Donovan, vedendola annuire.

«Ammetto di essere quasi morta di paura, in quel momento, ma Chelsey mi ha rassicurato, dicendomi che non c’erano pericoli. Era solo un metodo un po’ brutale, ma molto efficace, per accelerare la mutazione» gli spiegò Diana.

Donovan assentì, riferendole che Charlotte gli aveva detto le stesse cose. Il punto focale, però, rimaneva uno. Dov’erano andati i ragazzi?

Avvicinandosi perciò al capannello di licantropi e umani che si era via via allargato attorno alla figura di Lucas Johnson, Donovan intercettò lo sguardo ancora turbato di Devereux e domandò: «Cosa sta succedendo?»

«Da quello che ci hanno riferito le sentinelle più a nord, hanno visto i ragazzi dirigersi a gran velocità in direzione delle Moul Falls, ma non c’è stato verso di intercettarli. Sono troppo veloci, persino per noi» spiegò roco Devereux, mentre Chelsey restava ancorata a lui, il volto pallido e gli occhi chiusi per la paura.

«Si sa nulla di Iris?» domandò a quel punto Diana, carezzando gentilmente il capo di Chelsey, che le sorrise in risposta, tornando a riaprire gli occhi per guardarla con espressione turbata.

Lui scosse il capo, teso, e mormorò: «E’ troppo lontana perché uno qualsiasi di noi riesca a percepirne la presenza, e senza…»

Interrompendosi a metà della frase quando vide Muninn piombare dal cielo come un caccia bombardiere, Dev si spostò al pari di alcuni altri licantropi per permettergli di atterrare. Il corvo rimbalzò sulle zampe un paio di volte, tanto l’atterraggio fu brusco dopodiché, balzellando fino a Dev, gracchiò con forza per attirarne l’attenzione e infine becchettò a terra per formare una parola sul terreno smosso.

L’uomo prestò l’attenzione massima ai suoi movimenti, e osservò con occhio spalancato il tentativo del corvo di comunicare con loro. Quando infine vide la parola formata da Muninn, emise un sospiro tremulo e crollò in ginocchio, rasserenato.

Con una mano, poi, carezzò il corvo e domandò: «Iris ok. Te lo ha detto Liza?»

Il corvo assentì con la testolina per un paio di volte e Lucas, a quel punto, domandò a Muninn: «Puoi ancora comunicare con lei, quindi?»

Ancora, il corvo assentì e Lucas tornò a chiedere: «Huginn è con lei? Stanno per caso dirigendosi vero le Moul Falls? Stanno combattendo laggiù?»

Il corvo rispose in maniera affermativa a tutte le domande di Lucas e Dev, a quel punto, si levò da terra, torvo in viso, e ringhiò: «Io vado. Non me ne frega niente se mi dirai di no, Lucas.»

«Sai benissimo che, se volessi, potrei bloccare le tue chiappe qui fino alla fine dei tuoi giorni…» sospirò Lucas nello scuotere divertito il capo. «… ma non lo farò, questo è poco ma sicuro. C’è metà del tuo cuore, là, perciò non ti fermerò. Verremo anche noi, però.»

«Papà! Voglio venire anch’io!» protestò Chelsey, aggrappandosi al padre.

Lui però scosse il capo e replicò: «Sei ancora troppo piccola. Conosci le regole.»

Lucas assentì a Dev ma, nel rivolgersi alla ragazzina, disse: «Predisporremo delle staffette perché ti possano comunicare in tempo reale cosa sta accadendo, ma tu rimarrai qui insieme ai Wallace, ai signori Sullivan e a Rohnyn. Dovrai prenderti cura di loro.»

Chelsey borbottò una replica ben poco carina ma Helen, poggiando le mani sulle sue spalle, le sorrise e mormorò con voce solo leggermente tremula: «E’ giusto così. Rientriamo in casa e aspettiamo notizie.»

«E’ una gran rottura essere piccoli» brontolò Chelsey, pur accettando la situazione.

Lucas, a quel punto, suddivise le sentinelle perché procedessero con quanto detto. Fatto ciò, Curtis, Lucas, Rock e Dev si diressero il più velocemente possibile in direzione delle Moul Falls, sperando di poter arrivare prima che tutto avesse un termine.

Chi l’avrebbe sentita, altrimenti, Chelsey?

***

Quando Liza, Mark e Chanel raggiunsero infine la Moul Falls, tutto ciò che videro fu l’enorme scudo di Iris eretto come una cattedrale nell’anfiteatro naturale creato dalla cascata nel corso dei millenni.

Il suo colore opaco e dalle tinte maculate si confondeva quasi interamente con il paesaggio ma, per loro che potevano percepirne il potere devastante, era paragonabile allo sfolgorio di una stella.

Timorosi, cercarono quindi di varcarlo ma, quando vi riuscirono senza problemi, ne compresero la sottile funzione. In quanto alleati, loro non erano soggetti alle restrizioni imposte da quello scudo, perciò non ne erano stati minimamente sfiorati.

Ciò permise loro, quindi, di essere testimoni della terribile battaglia che stava svolgendosi al suo interno. Litha e l’akhlut sembravano muoversi a velocità folle, poiché era quasi impossibile distinguerle.

Era però il loro potere a essere ben più che percepibile, e a causare la maggior parte dei problemi. Iris stava lottando con tutta se stessa per contenere quell’immane energia distruttiva. Se non fosse stata presente, quasi sicuramente delle Moul Falls non sarebbe rimasta traccia alcuna... così come per gran parte della foresta nel raggio di decine di miglia.

All’interno di quella barriera psichica si muovevano forze così devastanti da ricordare il brodo primordiale in cui tutto era nato e, a ben vedere, le due estremità opposte di quell’energia devastante apparivano quasi come stelle in corso di formazione.

La luminescenza emanata da entrambe raggiungeva i limiti della sopportazione fisica e Liza, nel raggiungere Iris, si posizionò di fronte a lei per proteggerla, mentre Mark e Chanel si disposero sui suoi lati con la medesima determinazione.

Iris tributò loro solo un breve cenno di saluto prima di tentare un approccio mentale.

“Liza, mi senti?”

“Forte e chiaro. Non so se dipenda dalla presenza di Litha, o se riusciremo a parlarci anche dopo, ma ora riesco a percepirti senza sforzo.”

“Come va? Vi sentite bene?”

“Va tutto benissimo, grazie. E’ ancora tutto strano, ma sembra che i corpi rispondano appieno alle nostre richieste… e siamo più veloci di voi” sottolineò Liza.

“Ne avevo avuto il sospetto con l’altro amarokborbottò Iris, accigliandosi quando Litha e l’akhlut urtarono con violenza le pareti dello scudo.

Il riverbero si espanse su tutta la superficie al pari di un’onda di tsunami, ma il tessuto connettivo della barriera resse egregiamente.

“Perché siete qui?” chiese a quel punto la licantropa.

“Litha aveva bisogno di noi” dissero praticamente in coro i tre amarok e Iris, nonostante tutto, sorrise divertita.

Era più che evidente che il legame tra gli amarok e la loro dea era abbastanza forte da richiamarli anche da grandi distanze. Nessun licantropo sarebbe riuscito a sentire il richiamo di un altro simile, a parità di distanza.

Quanto ancora avrebbero scoperto, di quella nuova razza di lupi? Ma soprattutto, ne avrebbero avuto la possibilità?

Lo sguardo di Iris corse preoccupato in direzione di Litha, crollata a terra a causa di un colpo piuttosto duro inferto dall’akhlut ma, quando la dea scorse i suoi protetti e ne percepì la buona salute, le cose cambiarono radicalmente.

Se Litha, fino a quel momento, era apparsa luminosa come una stella, a quel punto divenne sfolgorante e fu per tutti impossibile mantenere lo sguardo puntato sul luogo dello scontro.

Sia Iris che gli amarok reclinarono volto e musi per non dover sopportare oltre quel fulgore impressionante e Litha, nel risollevarsi come rinvigorita da energie che non le erano proprie, fissò costernata l’akhlut prima di comprendere.

Per quanto lei avesse sperato – e desiderato – il contrario, il legame tra un amarok e la propria dea era ben più di un contatto psichico. Il legame energetico era innegabile, e Litha si sentiva più forte e sicura di sé proprio perché li aveva accanto.

Muath non aveva affatto accennato a questo, nelle sue memorie, e ora lei si ritrovava nella scomoda posizione di desiderare la loro energia. Era mai possibile, quindi, che nulla sarebbe cambiato, per quei ragazzi?

Alla fine, avrebbero dovuto predare per lei in ogni caso?

Akhlut rise, di fronte al suo sconcerto e, sardonica, esclamò: «Pensavi davvero di essere così superiore e diversa da me? Non avevi la minima idea di quello che stavi facendo, quando hai legato quei ragazzi a te! Se non sarò io a godere dei loro massacri, lo farai tu, e ti perderai

«Basta, maledetta!» urlò Litha in preda alla furia, scagliandosi contro la nemica con quel nuovo concentrato di energie che le derivavano dalla presenza degli amarok.

Akhlut rise ancor più forte, si lasciò colpire senza opporre resistenza e, dilaniata senza pietà dal colpo scagliatole contro da Litha, crollò a terra morente.

Non contenta, però, rise sguaiata nonostante il sangue le sgorgasse copioso dalla bocca e, in fin di vita, esalò: «Godrò nel saperti vittima del legame che tu hai imposto loro, pensando di salvarli. Sarà divertente pensarti dal luogo in cui io troverò riposo. La mia vendetta non avrebbe potuto essere più dolce di così.»

Litha la fissò piena di rabbia mentre ella esala l’ultimo respiro. Il suo corpo di donna, infine, si sgretolò e, di lei, non rimase che polvere. Le sue parole, però, rimasero nel cuore di Litha come pietre, pietre che lei non riuscì a scostare da dove si erano sedimentate.

Iris e i ragazzi si mossero quindi verso il campo di battaglia e Liza, nell’osservare turbata l’espressione cupa di Litha, domandò: “Non sei contenta di averla battuta?”

Lei la scrutò ai limiti del pianto e, mentre crollava a terra in ginocchio, li abbracciò tutti strettamente senza avere il coraggio di parlare.

Che aveva mai fatto?!

***

Dev strinse Iris nel suo abbraccio soffocante per cinque minuti buoni, minuti in cui Lucas chiese a Litha un resoconto dettagliato della battaglia, così che a casa tutti potessero essere messi al corrente del risultato.

Ciò che, però, egli omise di dire, fu l’ultima parte del racconto, la sensazione di potenza provata da Litha all’arrivo dei suoi amarok e le parole sibilline dell’akhlut nel momento della sua dipartita.

Il turbamento di Litha si trasferì immediatamente anche a Lucas e, nel notare con quanta devozione i tre amarok rimanessero accucciati accanto alla loro dea, non fu propenso a credere in una esagerazione da parte della donna. Il problema sembrava essere reale.

Era mai possibile che, nel tentativo di salvare i ragazzi da una madre spietata e senza cuore, avessero reso Litha altrettanto assetata di potere e di sangue umano?

Era dunque questo, il vero potere del legame tra amarok e divinità? Era mai possibile che Qiugyat, l’aurora insanguinata, avesse lasciato questo, in eredità ai suoi figli? Il bisogno del sangue?

Scuotendo il capo con espressione turbata, Litha mormorò preoccupata: «Non riesco a capire cosa sia andato storto. Nei resoconti formoriani che abbiamo letto io e Rohnyn, non si faceva affatto menzione a un’onda simile di potere primigenio, né al fatto che io potessi desiderarla fino a questo punto!»

Sfiorandole una spalla con la mano, Lucas le domandò: «Sei sicura che non fosse, più semplicemente, il tuo desiderio di sconfiggere l’avversario e vedere liberi i tuoi protetti?»

«Conosco la sete di sangue in battaglia, Lucas, e riconosco la differenza» scosse il capo la dea prima di sollevarsi in piedi e, mesta, ammettere: «Mi ripugna dirlo, ma dovrò rivolgermi all’unica persona che mai, nella vita, avrei voluto rivedere così a breve termine.»

I tre amarok uggiolarono nel sentirla così tesa e lei, istintivamente, si chinò su un ginocchio per stringerli nuovamente a sé, sentendosi legata a loro in modi che mai, prima di allora, aveva percepito.

Neppure il legame con i suoi fratelli era mai stato così stretto, eppure lei conosceva quei ragazzi solo da pochi giorni! Cos’era dunque successo, tra di loro?

«Possiamo esserti d’aiuto in qualche modo?» domandò a quel punto Lucas, spiacente.

Lei scosse nuovamente il capo, carezzò a turno i musetti dei suoi amarok e infine disse: «Io e loro dobbiamo partire per raggiungere l’Atlantico. Debbo parlare con mia madre adottiva, l’unica in grado di potermi spiegare cosa non è stato fatto correttamente.»

«Immagino, però, che l’incontro non ti riempia di gioia» sospirò Lucas.

«Per niente, ma devo farlo, se non voglio finire con l’essere controllata dalla sete di potere, né costringere loro a diventare belve sanguinarie e senza cuore» ammise la donna prima di sorridere a Iris, nuovamente libera dall’abbraccio del marito, e aggiungere: «Ringrazia Gunnar da parte mia. Non ho potuto osservarlo all’opera come avrei voluto, ma è stato un ottimo combattente. Avrei voluto snudare la spada al suo fianco, a suo tempo.»

«Ti è grato per i tuoi complimenti» replicò Iris, il capo poggiato contro la spalla di Dev che, protettivo, ancora le teneva un braccio attorno alle spalle. «Dovrete partire, quindi?»

«Spero sia per poco, ma sì» assentì Litha.

Dopo aver lanciato un’occhiata al marito, Iris disse: «Sarà comunque il caso di rimandare la partenza di qualche ora. Le loro famiglie vorranno sicuramente vederli, e non credo che cambierà molto, se anche partirete in tarda mattinata.»

«Torneremo al Vigrond» acconsentì Litha, lanciando quindi un’occhiata ai suoi amarok perché la seguissero.

In un lampo, i tre lupi la seguirono a velocità imbarazzante e Lucas, nel vederli svanire nel bosco, mormorò: «Mi sento una tartaruga, al loro confronto… il che è tutto dire.»

«Pensate andrà bene?» domandò a quel punto Dev, rivolto a nessuno i particolare.

Lucas, Curtis e Iris scossero impotenti le spalle e Rock, nell’osservare l’amico, ammise: «Una cosa è certa. Qualsiasi sia il problema tra Litha e sua madre, vorrei essere una mosca per poter vedere il loro incontro. Ho idea che si vedranno fulmini e saette.»

Quel commento venne condiviso da tutti i presenti e, poco alla volta, ai licantropi non restò altro che rientrare, lasciandosi alle spalle la Moul Falls ormai tranquilla e non più testimone dell’atroce battaglia ivi disputata.

Una nuova battaglia, del tutto diversa, era infatti iniziata altrove, e nessuno sapeva come sarebbe terminata.

***

Veder ricomparire Litha assieme ai tre amarok fu un sollievo di breve durata, per le famiglie interessate.

Dopo aver consegnato gli abiti di ricambio ai tre giovani, i Wallace e i Sullivan si concessero un po’ di intimità per parlare coi rispettivi figli, mentre Chanel rimase accanto a Litha, ancora turbata e piena di dubbi.

Rohnyn, a quel punto, si avvicinò loro e Litha, con occhi pieni di lacrime non versate, mormorò: «Qualcosa non quadra, Rohn… abbiamo sbagliato da qualche parte!»

«Che intendi dire? I ragazzi mi sembra stiano benissimo, tu hai sconfitto akhlut, perciò cosa c’è che non va, scusa?» replicò l’uomo, confuso.

Chanel poggiò istintivamente una mano sulla spalla di Litha a mo’ di consolazione e, con tono protettivo, disse: «Intende dire che si sente strana, più potente di quanto non si fosse aspettata e molto, molto attratta dall’energia che abbiamo in noi e che noi sappiamo trasmetterle.»

Litha indicò quindi la mano di Chanel come se fosse stata un pugnale puntato alla sua gola e, rabbiosa, sbottò dicendo: «Vedi?! Ti pare normale che una ragazza di diciassette anni si senta in dovere di proteggermi?! E che io ne sia felice?!»

Aggrottando la fronte Rohnyn soppesò attentamente le parole della sorella e il comportamento di Chanel, trovandolo effettivamente piuttosto protettivo. Il modo in cui la giovane lo stava guardando profumava di sfida e Rohnyn era quasi certo che, se si fosse arrischiato a discutere con la sorella, lei lo avrebbe attaccato.

Nell’annuire debolmente, il fratello ammise: «Sì, capisco da dove nascano i tuoi dubbi, ma non ho letto niente di preoccupante, nei resoconti di Muath. Lei mi è parsa molto tranquilla e per nulla esaltata. Di sicuro, poi, non ha mai provato brama di sangue. Tu senti questo?»

«Non so cosa sento! Per questo devo parlare con lei» sottolineò torva la dea, sorprendendo non poco Rohnyn.

Era dai tempi della trasformazione di Rey in Tuatha e della estromissione di Litha dal mondo fomoriano, che le due donne non si vedevano e, in tutta onestà, non gli era mai sembrato che la sorella fosse ansiosa di cambiare lo stato delle cose.

Per essere giunta a una simile, spiazzante decisione, Litha doveva aver scorto un pericolo così incombente e divorante da farla passare sopra a qualsiasi suo sentimento personale, pur di dirimere la questione.

«Ne sei certa? Forse, potremmo chiedere a Stheta di intercedere per te e…»

Litha lo interruppe scuotendo il capo e, nello scrutare Chanel con espressione protettiva, disse: «Devo a questi ragazzi il meglio che ho da offrire, visto che loro si sono affidati a me ciecamente pur senza conoscermi. Posso anche passare sopra ai miei screzi con Muath, se servirà a proteggerli da un futuro orribile.»

Ciò detto, strinse a sé Chanel come se fosse stata un’infante e la ragazza, grata, si addossò completamente a lei, al pari di una bambina con la propria madre.

Rohnyn non ebbe più dubbi. C’era un problema, e anche piuttosto grosso.

***

Mark scrutò dubbioso il padre mentre quest’ultimo, con mani tremanti, lo stava esaminando al pari di un neo-papà con il proprio neonato. Sembrava sconcertato, quasi incredulo, e i suoi occhi scuri brillavano di sorpresa quanto di commozione.

Diana non era da meno, anche se il giovane non seppe dire se la sua fosse una reazione alla presenza del marito, o al fatto che lui fosse ancora vivo.

Di sicuro, sapeva una cosa; doveva tornare da Litha, perché sentiva che lei aveva bisogno della sua presenza. Anche se Chanel stava prendendosi egregiamente cura della loro dea, lui le doveva cieca obbedienza e…

Bloccandosi a metà di quel pensiero, Mark si passò una mano sul volto, lanciò un’occhiata stralunata a Liza e, nel vederla annuire, comprese che anche lei stava provando le stesse emozioni.

«Mi dispiace di essermi comportato in maniera così infantile… e soprattutto con te, che hai dovuto patire per anni le mie ricerche!» disse nel frattempo Donovan, abbracciandolo con calore.

Mark ricambiò, pur sentendosi quasi infastidito al pensiero di dover perdere del tempo a rasserenare i propri genitori.

“Stai sbarellando, vero?” intervenne Liza, mentre ancora il turbamento seppe coglierlo di sorpresa.

“Coscientemente, so di essere felice che mio padre abbia capito, ma i miei istinti mi dicono di scansarlo per andare da Litha” esalò confuso Mark, forzandosi a rispondere all’abbraccio del padre per non apparire freddo, o dargli comunque una cattiva impressione.

“Ti capisco benissimo. Stavo per dare un pestone su un piede a mia sorella, pur di allontanarla da me, perciò ho chiara la situazione” si lagnò Liza. “Direi che siamo nei guai e, di questo passo, rischieremo di commettere un errore madornale che farà soffrire qualcuno.”

“Ho quasi paura di aprire bocca per non apparire scocciato, ma lo sono, e so che non dovrei!” sospirò triste Mark, accettando nel suo abbraccio anche Diana.

“Dobbiamo partire quanto prima, o finiremo con il fare dei danni inenarrabili… o non renderci più conto di stare facendo del male a qualcuno con il nostro comportamento” dichiarò determinata Liza prima di rizzare il capo – al pari di Mark – non appena vide Litha stringere in un abbraccio il fratello.

Più forte di qualsiasi altro legame, più forte dell’energia stessa che li legava alle proprie famiglie, Mark e Liza si mossero come marionette guidate da fili invisibili e, mormorando degli ‘scusa’ stentati, si diressero verso Litha per abbracciarla.

Rohnyn li lasciò fare, allontanandosi dal quartetto perché rimanessero da soli e, nel raggiungere i padroni di casa e le famiglie dei ragazzi, scosse il capo e disse: «Non prendetela sul personale ma, ora come ora, il loro mondo è composto unicamente da Litha. Non c’è posto per nessun altro.»

«Come?» esalò Donovan, più che mai confuso.

«A quanto pare, è sorto un effetto collaterale che nessuno di noi conosceva e che, a detta di mia sorella, li lega come simbionti molto più di quanto non avessimo immaginato. Lei è stregata – non mi viene in mente una parola migliore – dalla loro energia, e loro sono spinti dal legame a donargliela, anche se lei non ne ha bisogno» spiegò succintamente loro Rohnyn.

Chelsey strinse spiacente la mano di Helen e domandò: «Quindi, noi non conteremo più nulla, per Liza e gli altri?»

«Lavoreremo sul problema, te lo prometto» le sorrise l’uomo, dandole un buffetto sulla guancia. «Questo, però, comporterà un viaggio verso est per poter conferire con mia madre, che è l’autrice del testo che abbiamo consultato per poter strappare i ragazzi ad akhlut

Lo stupore si mescolò allo stordimento, sui volti dei presenti e Lucas, stringendo una mano sulla spalla di Richard, mormorò: «Sono sicuro che riusciranno a venirne a capo.»

Lui assentì nonostante tutto ma, quando lasciò vagare lo sguardo sul volto della moglie, seppe che – per una volta – dovevano avere la stessa espressione. Totale, univoco, sconcertato terrore di non riavere più indietro la loro figliola.

Helen strinse a sé una preoccupatissima Chelsey mentre Rachel restava in un insolito e disturbante silenzio. Da quando i ragazzi erano tornati, non si era arrischiata a parlare, e la cosa stava perdurando anche ora.

Diana, nel rivolgersi a Rohnyn, domandò turbata: «Mi pare di capire che noi non potremo andare con loro, vero?»

«Non servirebbe a nulla, perché i ragazzi non vi noterebbero neppure… almeno, non finché Litha sarà così turbata da tutta la situazione» ammise spiacente l’uomo. «Inoltre, mia madre non ha molto in affezione gli esseri umani e, da ultimo, non è esattamente come noi, e la sua visione potrebbe turbarvi. Non credo, in tutta onestà, che abbiate bisogno di ulteriori traumi, visti gli ultimi eventi.»

Diana si strinse istintivamente a Donovan che, nello scrutare quel giovane piacente e apparentemente normalissimo, chiese dubbioso: «Cosa intendi dire con... non è esattamente come noi

Rohnyn si grattò imbarazzato la nuca, borbottando: «Non è il momento migliore per tenere una lezione di mitologia ma, tanto per essere chiari, mia madre non è né di questo pianeta, né una donna qualunque.»

Detto questo, il giovane si costrinse a ridurre una storia vecchia di decine di migliaia di anni in pochi minuti, minuti nei quali, i presenti, non poterono che fissarlo allibiti e pieni di un panico sempre crescente.

Non solo il mondo in cui avrebbero vissuto i figli – loro malgrado – era più misterioso di quanto non avessero immaginato in un primo momento, ma la divinità di Litha non era neppure la cosa più strana e incredibile di tutta la situazione.

Crollando in ginocchio quando l’ondata di input fu eccessiva, Donovan si passò una mano tra i capelli, completamente tramortito, ed esalò colpevole: «Se non mi fossi intestardito a cercare la verità, ora Mark non si troverebbe in questo guaio.»

Richard lo guardò con aria piena di comprensione, sentendosi non meno confuso e turbato dell’uomo e, nel dargli una stretta alla spalla, asserì: «Ho imparato a mie spese che, spesso e volentieri, le nostre azioni non possono cambiare ciò che è stato scritto per noi da qualcuno di molto più lungimirante e potente. Iris non chiese di essere ferita e mutata, eppure questo ha messo in luce ciò che realmente è, e cioè una potentissima licantropa in grado di fare cose impensabili.»

Nel dirlo, sorrise a Iris, che annuì grata.

Richard, allora, proseguì dicendo: «Se ciò non fosse successo, Liza non avrebbe scoperto la propria vocazione che, a noi piaccia o meno, è quella di essere un’eccellente Geri, che ha al suo fianco due valenti amici a cui io stesso sono molto affezionato.»

A quelle parole, Huginn e Muninn gracchiarono in risposta e l’uomo, nell’inginocchiarsi accanto a Donovan, terminò di dire: «Sono cose che non riusciamo a comprendere veramente, né pienamente, ma ho fiducia nelle persone che ho attorno, perciò la prego di fidarsi a sua volta. Sapranno risolvere la cosa anche stavolta.»

Donovan assentì una volta e Diana, sorridendo al marito, mormorò: «Ci basterà credere alla magia ancora un po’.»

«Dopo lo spettacolo pirotecnico di stanotte, alla magia credo eccome…» replicò Donovan, risollevandosi grazie all’aiuto di Iris, che gli aveva allungato una mano, per poi scrutarla pieno di ammirazione e timore assieme. «… ma sono anche abbastanza onesto per ammettere che, a volte, non si vince.»

Iris annuì mesta al collega, ammettendo con tono grave: «Sì, è vero. Non sempre si vince. Fui costretta a uccidere la madre di Chelsey, per poterla salvare dalla sua follia e, ancora adesso, mi domando se le scelte prese all’epoca siano state quelle giuste. Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo imparare da esso e cercare di non commettere gli stessi errori.»

Dev e Chelsey strinsero le loro mani sulle braccia della donna, come a darle appoggio totalitario e amore incondizionato e Iris, rincuorata da quel gesto, aggiunse: «Il mondo in cui viviamo è un’immensa Tana del Bianconiglio, che ha sempre nuove sorprese e nuovi personaggi da presentarci. Non è facile convivere con una tale realtà, ma è l’unica in cui possiamo vivere rimanendo noi stessi. Fa paura, a volte, ma non sarete soli ad affrontare un simile stravolgimento. Noi tutti saremo con voi.»

Donovan assentì, lanciò un’occhiata al figlio, che stava ancora stringendosi in quell’abbraccio primordiale con le ragazze e la loro guida e, roco, asserì: «Non crollerò più. Lo giuro. E’ giunto il tempo che io mi dedichi a mio figlio, e lo farò totalmente.»

Il gruppo annuì all’unisono e Rohnyn, compiaciuto, disse: «Ci terremo in contatto con voi, ve lo prometto. Non rimarrete all’oscuro dei nostri movimenti.»

Lucas lo ringraziò a nome di tutti e, mentre Rohnyn raggiungeva lesto la sorella e i ragazzi, Muninn tentò un approccio con la propria padrona.

“Mamma?”

“Muninn… perché sei così preoccupato?” domandò subito Liza.

“Ci vuoi ancora bene?”

Liza attese qualche attimo prima di rispondere, comprendendo appieno la domanda del suo corvo. Dopo il trattamento riservato alla sua famiglia, era chiaro quanto Muninn potesse essere preoccupato in merito al loro rapporto.

Stranamente, però, nel suo cuore non era mutato nulla.

Lei era sempre la loro madre, e loro i suoi cuccioli. Punto. Che dipendesse dalla magia che li legava, o da qualcos’altro di cui non era a conoscenza, lei non lo sapeva, ma ne era immensamente felice.

Almeno su quel rapporto, non avrebbe dovuto lavorare per rimetterlo in sesto. Quanto al resto, sapeva bene che quelle ultime ore avevano procurato danni a livello inconscio che sarebbero durati anni, e lei ne era l’unica responsabile, anche se in maniera indiretta.

“Non è cambiato nulla, stai tranquillo, anche se la cosa sorprende me per prima. Forse, dipende dal fatto che è stata Madre a legarci, che è superiore a qualsiasi divinità di nostra conoscenza, e non.”

“Perciò… cosa vuoi che facciamo?”

“Rimanete con i miei genitori. Loro vi sono affezionati, e sapervi vicini li rasserenerà un poco. Dovrete essere voi il mio legante con loro, almeno finché non avremo risolto questo guazzabuglio” gli spiegò Liza con tono speranzoso.

“Sono in ansia per la tua mamma… non ha ancora detto nulla.”

“Sì, in effetti è strano. Di solito, mamma è molto emotiva e mi sarei aspettata un pianto dirotto, da parte sua, invece è stranamente taciturna. Coccolatela per me, ragazzi… io, ora come ora, non riuscirei davvero…” mormorò spiacente la giovane.

“Ci penseremo noi. Promesso” dichiarò Muninn, interrompendo il contatto.

Era davvero strano. Se ne stava a pochi passi dalla sua famiglia, e sapeva di voler loro bene, eppure in quel momento era come se non esistessero. Il suo universo iniziava e finiva con Litha, e il fatto di poterla stringere tra le braccia, di poterla consolare col suo calore, la faceva sentire appagata e fiera.

La situazione era ai limiti del paradossale, se si pensava che conoscevano la dea da una decina di giorni e basta.

Litha, in quel momento di elucubrazioni mentali, le sorrise e disse: «Mi fa piacere che almeno il rapporto con i tuo corvi sia rimasto lo stesso.»

Era chiaro che quello scambio mentale non era passato inosservato alla dea ma, anche in quel caso, l’intrusione nella sua sfera privata non le diede alcun fastidio. Cosa che, in condizioni normali, l’avrebbe infastidita molto, invece.

«Fa piacere anche a me. E’ bello sapere che qualcosa non è stato scombinato da tutto questo caos» ammise Liza, poggiando il capo contro la sua spalla. «Partiremo presto?»

«Giusto il tempo di trovare una scusa da propinare ai genitori di Chanel» dichiarò la dea, scrutando pensierosa il fratello. «Tu te la senti, Rohnyn? Non sappiamo come la prenderà, Muath.»

«Non temere per me. So tenerle testa da millenni» la rassicurò Rohnyn, poggiando una mano sulla spalla della sorella. «Andiamo pure, e che Dio ce la mandi buona.»

«A questo punto, mi affiderei anche al Diavolo, se servisse…e se esistesse» brontolò Litha, aggrottando la fronte per concentrarsi su ciò che la circondava.

Non poteva semplicemente trasmutarsi da un punto a un altro del Globo, senza capire bene dove fosse quel luogo in particolare. Avrebbe potuto rischiare di raggiungere una superstrada, con il rischio di causare un incidente terribile, o il salotto di un’abitazione, di fronte a una decina di persone ignare e terrorizzate.

No, doveva scegliere bene a quale latitudine e longitudine puntare l’ago della sua bussola, o sarebbero stati guai.

Con la mente, perciò, sondò ogni centimetro di terra disponibile, captò le presenze umane e pian piano si spostò sempre più a nord, in luoghi inospitali e lontani da qualsiasi complesso artificiale.

Alla fine, dopo aver vagliato diversi luoghi e averne scartati altrettanti, assentì e, nel riaprire gli occhi, mormorò: «Sarà George Island.»

Ciò detto, Litha scrutò Chanel, lanciò un’occhiata ai coniugi Wallace e, infine, aggiunse: «Ho anche una storiella da raccontare per coprire la nostra gita a Est. Siete pronti?»

A quelle parole, Litha fece seguire un riassunto succinto del suo piano, a cui tutti aderirono in fretta, dopodiché i diretti interessati si diressero verso casa Howthorne per perorare la loro causa.

Fu solo un’ora dopo che, finalmente, poterono partire per le gelide lande del Terranova, l’aspettativa nello sguardo così come la paura di fallire sedimentata nel cuore.

Una folata di vento gelido si levò nel punto in cui il gruppo di Litha abbandonò il Vigrond e Lucas, nell’osservare il vuoto formatosi al loro posto, sospirò e disse: «Ora non possiamo far altro che aspettare.»

Non vi fu bisogno di aggiungere altro e, infatti, nessuno parlò.

In silenzio, quindi, il gruppo restante si radunò in casa Saint Clair e, per loro, non rimase altro che attendere, nella speranza che tutto tornasse alla normalità o, per lo meno, a qualcosa che le si somigliasse molto.


 


 

N.d.A.: tolto un problema, se ne configura subito un altro. E' mai possibile che la sete di sangue degli amarok sia connaturata in loro, e il fatto di essere sudditi di una dea non serva a contenerli ma, tutt'altro, a dare loro ancor più forza? Litha non lo sa e, terrorizzata dalle eventuali ripercussioni del nuovo legame simbiotico con i ragazzi, decide di affrontare l'unica persona che potrebbe aiutarla... anche se non ne ha affatto voglia.

Come andrà l'incontro tra madre e figlia, secondo voi?


 

  
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