DISCLAIMER:
Il personaggio di Poe appartiene
solo ad Asagiri-sensei, mentre i personaggi dei
quali troverete la nota
sono figli del reale Edgar Allan Poe.
Solamente la rappresentazione di
Virginia è una mia creazione.
La storia è stata scritta senza scopo
di lucro.
Prima
Che Sia l’Ombra
La Storia lo
dice
chiaramente: ogni città, in un periodo più o meno
limitato della sua esistenza,
vive momenti d’estrema oscurità.
Successe a Roma capitana
di popoli come alla dorata Bisanzio, ad Atene culla di saggezza e a
Parigi
rivoluzionaria: dovunque passo umano sia giunto insieme a morale e
norme, così
lo ha fatto anche il buio strisciante — questa è
una legge presente
nell’essenza della pietra e del marmo, negli stessi valori
che aiutano le
civiltà a rimanere tali.
Così, forse non ci si
dovrebbe stupire per quello che accade, anni orsono, a Richmond[1]
e
nelle campagne che la circondano; vicende ormai concluse, ma delle
quali ancora
si parla sottovoce, quasi nel timore che possano ritornare a vedere
come la
gente viva senza di loro.
Ciò che viene riferito da
voci opportunamente lodate e aiutate nell’impresa del ricordo
rivela come,
improvvisamente, per quello che fu un mese — il Giugno
dell’anno 20.... —, ogni
mattino nacque recando in grembo sempre la stessa notizia: nelle ore
del buio, un’anima
innocente era stata sottratta alla città e nel cuore della
mezzanotte si erano
uditi sussurri incontrollati, ordini e implorazioni in lingue
sconosciute, rumori
di corpi trascinati per le strade dell’urbe; infine, il
più profondo silenzio.
Ogni pomeriggio, prima
che fosse il crepuscolo, veniva costruita una lapide e sbrigate rapide
esequie
su una tomba contenente i quasi irriconoscibili, sconvolti resti
rinvenuti
sotto il sole di un attonito mezzogiorno, a poca distanza dalle porte
dell’abitato, e tutto questo nel terrore: puro, strisciante e
nero come
inchiostro rovesciato sopra una pagina candida, con la medesima,
insaziabile fame.
Non c’era mai nessuno da
incolpare per atti tanto innominabili, perché chi aveva il
coraggio di
affacciarsi sulla soglia di casa, non vedeva che il nulla;
ed era impossibile
comprendere le motivazioni dietro alle azioni se queste coinvolgevano
vecchi
come giovani, donne quanto fanciulli, come era difficile spiegarsi il
perché potesse
sparire un’intera famiglia oppure solo un membro di essa.
Semplicemente, l’entità
invisibile, come venne nominata, colpiva alla cieca e senza
pensarci, certa
della propria superiorità, vagando per le vie svuotate dalla
paura dell’oscurità
e di ciò che questa portava, e mietendo chi aveva la
sfortuna di cadere davanti
al suo occhio.
Le autorità cittadine e
la polizia non sapevano come agire, ingabbiate in un caso del quale non trovavano soluzione, e il giorno
contava la sparizione di qualcuno, senza mai mancare una volta.
Così, quando l’ultima
luce veniva inghiottita dall’orizzonte e i corni della luna
iniziavano ad
affacciarsi alle finestre, le campane delle chiese suonavano
all’unisono,
spargendo intorno il loro cupo avvertimento in modo che nella
città si chiudesse
e serrasse tutto, dagli ambienti alle persone; e anche se
l’idea che
serpeggiava in cuori e menti parlava di una mano non
umana, sospetto e
diffidenza si mischiavano a essa per fendere l’innocenza e
l’unità: ogni giorno
liti, denunce e scontri s’intrecciavano in una morsa che non
lasciava vincere
nessuno ma privava tutti delle proprie forze, con il risultato di
mettere a
nudo qualsiasi debolezza.
Perciò, quando quel
mattino sorse e Richmond si rese conto che nessuno dei suoi abitanti
era
scomparso, mille e più voci si levarono per cadere nel caos,
e… ma davvero vi
basterebbe una cronaca tanto scarna, il semplice riassunto di quanto si
crede sia successo ?
Perché alcuni — persone
dalla mente tutt’altro che sciocca e stupida —
mormorano di più, e citano il
nome di due giovani che non solo vissero tali eventi, ma si
avvicinarono tanto
al pericolo da averne sentito il fiato dritto in volto. Per via della
fervida
fantasia di uno e dell’ostinato silenzio dell’altra
sulla questione, non tutti
coloro che hanno udito questa versione degli accadimenti concordano
sulla sua
veridicità: ma stabilire i confini dei vari mondi che
popolano la realtà non è
affar mio, né l’intento di tale scritto.
Questa è una decisione
che spetta solamente a voi.
I
☼ L’Ora della Luna (Parte I)
Il pomeriggio
era
avanzato nelle grandi sale degli Allan ormai da tempo, quando la figura
ammantata
sgusciò nel parco retrostante alla villa.
Per un istante, un
fruscio alle sue spalle le fece temere di essere stata notata e
seguita;
tuttavia, la porticina dalla quale era uscita non si mosse nemmeno
quando raggiunse
l’angolo cieco a poca distanza da questa e qui rimase, in
attesa di comprendere
se fosse stato tutto frutto della sua irrequietezza o qualcuno della
cricca di
John Allan l’avesse presa nuovamente di mira.
Ma
davvero lo credi? Sono
tutti presi fin dall’alba: i preparativi per la festa non si
fermerebbero
nemmeno davanti a Dio in persona, figuriamoci per te.
La
figura fece un leggero
sorriso e scosse la testa, ridendo di sé; si strinse
maggiormente nella cappa nera
e lanciò uno sguardo alla borsa che teneva tra le braccia,
quindi ritornò sotto
l’occhio del sole.
Intorno, il vento danzava
e volava sopra i sentieri del parco e le eleganti siepi, infilandosi
tra i rami
gravidi di gemme o dentro gli spruzzi allegri della lunga serie di
fontanelle;
la invitava a trattenersi in sua compagnia, e lei avrebbe ceduto
volentieri al
richiamo… ma.
Dai,
non perdere tempo, è
già tardi!
Appena
oltre il sinistro
cancello che divideva il regno degli Allan dal resto del mondo, le
campagne le
si aprirono innanzi ammantate di ogni colore immaginabile e con il
ventre
percorso da un bianco ventaglio di sentieri, accogliendola e
già sapendo dove i
suoi piedi l’avrebbero condotta; rasentando fossati e lunghe
file di alberi
ombrosi, sotto i quali si poteva ancora percepire l’ultima
frescura primaverile,
la svelta figura ebbe più volte l’impressione che
i fiori avrebbero tanto
voluto volgere il capino per seguire la sua corsa, parteciparvi in
qualche modo
o ridere di lei.
Mentre Richmond tremava in
vie grigie e soffocanti, tra i quieti campi sembrava essersi rifugiata
la
serenità perduta con gli ultimi eventi, un mondo totalmente
diverso: e anche se
molti dei corpi dilaniati venivano rinvenuti su quei sentieri, quasi
fossero
una macabra offerta alla Natura, quest’ultima era incapace di
trattenere l’Orrore.
Ma
il pericolo rimane.
Attenta
a ogni fruscio e
quanto più veloce possibile, l’ammantata non
poteva evitare di vagliare le rive
e lanciare sguardi tra le fronde arboree che frammentavano il cielo in
minuscole schegge d’azzurro, per poi volgere gli occhi
altrove, nel timore di
veder spuntare davvero qualcosa di tremendo; ma la strada pareva
snodarsi senza
ostacoli verso il piccolo agglomerato di pietre che
s’intravedeva fin da lì,
bagnato dalla luce ma freddo come coloro che ospitava.
A passo tranquillo, ci
sarebbero voluti altri dieci minuti buoni per raggiungere il cimitero
rurale
che sorgeva a esatta distanza sia dalla città che da Villa
Allan; ma lei raggiunse
la meta in meno, correndo a perdifiato e completamente ignara del
sudore
copioso che le scivolava lungo fronte e schiena, ringraziando di
sentire quel
calore pesarle addosso. Rallentò solamente quando
l’erba lasciò il posto a un
sentiero lastricato da pietre ormai sconnesse, e un soffio carico del
sentore
di fiori appassiti e polvere s’insinuò sotto il
mantello e le colpì il naso; allora,
attese un attimo per abituarsi alla nuova atmosfera, poi
avanzò.
Due file di nere cappelle
ormai abbandonate, recanti sulla fronte nomi corrosi dal tempo e dallo
sporco,
sorgevano oltre ciò che rimaneva della cancellata; in mezzo
a loro serpeggiava
la strada, la quale si divideva in stretti rami laterali che
raggiungevano
isolati gruppi di lapidi.
Il sole, per quanto
intenso, sembrava talmente lontano da aggravare la sensazione di
desolazione,
così che chi faceva compagnia alle tristi strutture, ai
simulacri di angeli
dalle ali spezzate, disseminati per il luogo come solitari fantasmi, e
a tutti
coloro che lì riposavano erano solamente lei e
l’artefice dei suoni che udiva
provenire dalla zona più evitata del cimitero, dove veniva
seppellito chi non
poteva permettersi nemmeno una bara del legno più scadente,
o non aveva nessuno
che si curasse di ciò.
Dopo aver deviato dal
percorso principale per raggiungere la tomba del gentile signor Perry[2],
morto qualche settimana prima dagli inizi della misteriosa strage, e
averne
accarezzato la lapide in un affettuoso saluto, la figura
ritornò indietro e si
diresse verso il borbottio a lei famigliare, riconoscibile anche nel
mezzo di una
tempesta.
Mentre il sentiero
lastricato diveniva morbida terra e la luce non rifuggiva la pietra,
bensì
fosse coperte frettolosamente, il passo si faceva più
sicuro, fino a quando
l’ammantata si fermò e batté un colpo
di tallone al suolo. Onde di terriccio
smosso si levarono quasi in sincrono con la voce.
«Edgar, sono io.»
Non ci fu alcuna
risposta: il mormorio continuò a fluire, indisturbato,
così come il rumore
ritmico di un badile.
«Edgar…»
Ancora nessuna reazione;
si doveva procedere con le maniere forti.
«EDGAR ALLAN POE! Dico a
te, sì, non far finta di non aver sentito! Devo venire a
prenderti per i
capelli, o muovi quei trampoli e mi raggiungi tu?»
Ci fu un rumore secco,
come se qualcosa avesse sbattuto contro una superficie dura, seguito da
un
piccolo grido di sorpresa; poi, da una fossa buia come notte comparve
l’alta,
magra figura di un giovane dal volto coperto quasi per intero con un
fazzoletto, i capelli arruffati e imbrattato da testa a piedi di ogni
sorta di
sporcizia. Tra il teatrale e il vero dolore, questi si stava tenendo il
capo con
entrambe le mani e si lamentava con voce flebile; e ci volle qualche
istante
prima che si voltasse verso la sua interlocutrice e si bloccasse alla
sua vista.
Erta contro il sole, la
borsa a terra e le mani sui fianchi in una posa degna di un
condottiero, di
Virginia Clemm si scorgevano solamente i grandi occhi viola e la luce
che
fiammeggiava in essi, privi della consueta calma e dolcezza. Era raro
vederla
con un piglio simile, ma suo cugino[3] era
appena riuscito a farle
rivelare quel lato.
«Virginia… perché sei
qui?», le chiese lui avvicinandosi al ciglio della fossa,
fissando la ragazzina
gonfiare le guance con stizza. «Credevi che non ti avrei
scoperto? Vado dai
Ferrett per un saluto, e sono già passate quattro
ore da quando l’hai
detto: non sarò intelligente quanto te, ma neanche tanto
stupida da non saper
calcolare la distanza tra Villa Allan e il centro di Richmond. Come se
non
sapessi dove ti vai a nascondere, poi!»
«Non sei stupida, però
abbastanza sconsiderata da uscire e metterti a correre fino a sudare,
quando
ieri avevi la febbre.»
«Sto bene; proprio ora le
mie condizioni sono anche migliori delle tue.»
«Torna alla villa e
riposati, non fidarti delle tue forze. Tra poco ti
raggiungerò, finito qui…»
Ignorando volutamente le
ultime parole, Virginia si avvicinò maggiormente alla fossa
e si sporse per
guardare al suo interno: quasi due metri più in basso, Edgar
era in piedi
accanto a uno scheletro adagiato sul suolo come un placido dormiente,
che presentava
alcune costole mancanti. «… È il terzo
corpo che riesumi in una settimana. Ti
sei messo a collezionare ossa?», disse in battuta, cercando
di tenere a bada l’improvvisa
sensazione di vertigini. Aveva già avuto modo di vedere uno
scheletro umano e i
racconti di Edgar erano molto dettagliati nel descriverli,
così come i
resoconti delle ultime giornate nel camposanto; ma guardare suo cugino
maneggiare uno di loro, stranamente la turbò.
«Sto solamente facendo…
delle indagini», mormorò il giovane in una
parziale risposta. «Questo mio amico
è stato seppellito non molti anni fa: i vermi lo hanno
ripulito per bene, come
ha fatto lui in vita con gli altri, ma niente ha potuto intaccare le
ossa, che
sono praticamente perfette.»
Virginia si piegò a sua
volta e continuò a guardare, quindi chinò la
testa di lato. «Però… la parte
destra del torace sembra sfondata.»
Pur con il volto coperto
dal fazzoletto, lei riuscì a notare come Edgar sorrise.
Centro,
si disse mentalmente; da quell’istante, il moro sarebbe
entrato in un mondo
totalmente suo, dove a malapena avrebbe potuto notare la propria ombra.
E non
poteva negarlo: amava vedere il fuoco che lo accendeva in simili
momenti,
specie se la rendeva partecipe.
Quel fervore avrebbe
incantato chiunque.
«Esattamente: e infatti, la
causa della morte è da ricondurre al crollo della sua casa.
Questa zona è piena
dei corpi di chi ha perso la vita nel terremoto di sei anni fa
— o almeno, di
quelli che non è stato possibile riconoscere.
Tuttavia, ho accennato al
fatto che fosse un ladro: questo perché
all’altezza dello stomaco aveva tre
anelli d’oro con le iniziali di uno dei più ricchi
industriali della città;
ricordo che ne denunciò la scomparsa qualche giorno prima
della tragedia. È
possibile che, correndo il rischio di venire scoperto, li abbia
ingoiati… e il
terremoto ha fatto il resto.
Inoltre, sulle ossa ha segni
compatibili con incisioni lasciate da armi da taglio, il che farebbe
propendere
a—»
Nel cuore della città, una
campana suonò cupamente, facendo sobbalzare entrambi e
interrompendo il ragazzo.
Un istante dopo, a quella si unì il coro di tutte le altre:
non era ancora il
tramonto, eppure già si mettevano in guardia gli abitanti.
Nel buio, non ci
sarebbero state né pietà né indulgenza.
«Sono già le quattro e mezza;
tra due ore arriveranno i nostri ospiti. E tu puzzi di
morte», sussurrò Virginia,
lanciando un lungo sguardo al profilo di Richmond. Solamente la
presenza di
Edgar le impediva di rabbrividire, tuttavia scorgeva pure lui le
tremule
tenebre che risalivano i palazzi della città, visibili anche
da quella
distanza, oppure era uno scherzo della mente?
Forse
i suoi racconti[4]
ti piacciono anche troppo.
Intanto,
Poe aveva
acconsentito alla silenziosa richiesta della cugina e, promettendo al
suo nuovo
amico di ritornare il giorno successivo, era già risalito
dalla fossa e aveva
puntato lo sguardo nella stessa direzione della ragazzina, che fu
veloce a volgerlo
su di lui e, osservatolo bene, a scuotere il capo. «Che il
cielo ci aiuti…» Un
sospiro, quindi riprese la borsa e fece cenno al moro di seguirla,
finendo per
trascinarselo dietro. «Forza, vediamo di darti una bella
ripulita e renderti
presentabile. Cerca di non dare a John Allan un altro motivo per
lamentarsi di
te, ne ha già molti.»
Edgar sbuffò e volse lo
sguardo di lato, come se avesse voluto cercare sostegno negli immobili
angeli
loro intorno. «Non mi potrà controllare per
sempre— ahi, non tirare!»
«E tuttavia, finché abiti
sotto il suo tetto, è lui che decide. Sa che sei uscito, sta
controllando tutte
le entrate per intercettarti per primo e darti una lavata di capo
davanti a
tutti: non ho voglia di vederti mettere in ridicolo, specie
perché sappiamo
entrambi chi ci sarà stasera.
Andiamo al Rifugio, così
ti potrai lavare e sistemare con calma.»
«Ma non ho niente con cui
pulirmi…»
Virginia atteggiò la
bocca in un gran sorriso, quindi picchiò gentilmente sulla
borsa e lanciò
all’altro uno sguardo vittorioso. «Lo so; infatti
ho portato tutto io, anche i
vestiti per la serata. Non ho dimenticato nulla.»
Il cimitero alle spalle, il
ragazzo si fermò e si tolse il fazzoletto.
La fanciulla ipotizzava
che lo mettesse per questioni d’igiene, tuttavia
l’attraversò l’idea che lo facesse
per non sporcare l’aria del luogo,
lasciare intatta la realtà dei morti;
conoscendolo, non ci avrebbe visto nulla di strano in questo.
Probabilmente,
parlava pure con loro per chiedere perdono del disturbo che arrecava
nel
riportarli alla luce.
«Meglio non dire alla zia
come ti stai occupando di me, o non mi permetterà
più di vederti», rispose poi
Poe, sorridendo a propria volta e abbassandole il cappuccio del
mantello, così
da liberare una cascata di lucenti riccioli bruni,
«… in cambio, io non le farò
sapere che mi rubi i mantelli[5]. Riescono a
scaldarti, almeno?»
La ragazza annuì con
sincerità: effettivamente, i quotidiani brividi di freddo
erano diminuiti da
quando aveva iniziato a sottrarre gli abiti del cugino, in un gioco
diventato quasi
necessità; solamente lei lo sapeva.
«La chiamerò appena
saremo al Rifugio, qui non ho segnale. Oggi mi ha telefonato due volte,
la sua
preoccupazione sta diventando ingestibile… come non capirla,
a dire il vero.»
Un sospiro. «Si sta dando la colpa per non aver invitato te a
Baltimora[6]
per le vacanze, invece di mandare me da voi. Se lo avesse fatto, ora
saremmo
entrambi al sicuro.»
«Non potevamo prevedere
questi eventi, e poi io ho pesato fin troppo sulla vostra famiglia:
John
conosce le vie di Baltimora a memoria, per tutte le volte che mi avete
accolto
dopo le mie fughe.»
Virginia sorrise quieta,
gli occhi lucidi per la foga con cui giunsero i ricordi. «In
verità lo hai
fatto per l’ottima cucina della mamma… e per
assillarmi fino allo sfinimento.»
«Sei tu che dai il
tormento a me», resse il gioco Poe, «e ora puoi
farlo senza limiti di tempo… ehi,
Virginia, va tutto bene?»
Fu il tono del moro, mutato
repentinamente in allarmato, a rendere conscia la fanciulla
dell’ombra che era
calata sul suo volto; e anche se fu lesta a cacciarla, ne vide il
residuo negli
occhi acuti del cugino. «Sì, sono solamente un
po’ stanca. Hai ragione, non
avrei dovuto sforzarmi dopo la febbre di ieri… ma ero
arrabbiata per le tue
bugie.» Bugiarda pure tu. «Non
mentirmi più, va bene? Lo sai che non ho
paura di questo», finì,
indicando il camposanto, «e che se vuoi restare
da solo, basta che tu lo dica.»
Edgar non replicò se non
con un accenno di sorriso, per poi assentire; questo le
bastò. «E ora… mostriamo
al signor Allan chi sei davvero.»
… La
lapide del signor
Perry non avrebbe mai potuto trattenere il calore delle dita di
Virginia; eppure,
quando l’ombra strisciò fuori da una delle
cappelle e scivolò fino a essa, la
sentì pulsare come cuore vivo.
Avvolgendosi sulla pietra
come una serpe, trasse da questa tutto il contatto che poteva prendere,
lungi
dall’esserne sazia; quindi, se ne staccò e
strisciò verso la fossa che Edgar
aveva aperto, fluendo dentro di essa come un’onda e
sommergendola nel suo
abbraccio. Quando le altre la raggiunsero e tutte
insieme corsero lungo
i sentieri che portavano alla città, del sentore dei due
cugini non era rimasta
alcuna traccia, completamente divorata da chi non aveva bisogno di
nascondersi
nella notte: ne era l’essenza stessa.
NOTE
[1]
Città della Virginia dove abitò il vero Poe
insieme alla sua famiglia adottiva,
gli Allan.
[2]
Edgar A. Perry è lo pseudonimo con il quale lo scrittore si
arruolò
nell’Esercito degli Stati Uniti d’America,
falsificando anche la propria età e
affermando di avere ventidue anni, non diciotto.
[3]
Virginia Clemm, l’amata quanto sfortunata moglie di Edgar,
era anche sua cugina
di primo grado, per parte di padre. Avevano quattordici anni di
differenza, e
lei era tredicenne quando si sposarono: non era un matrimonio comune,
eppure
non sembra aver suscitato grande scalpore.
In molti
riportano quanto
la coppia fosse legata e i due si adorassero a vicenda, chi insistendo
su un
tipo di relazione più fraterna che coniugale, chi ponendo
l’accento sui
racconti di Poe dove si trattano intensi rapporti amorosi tra cugini.
[4]
In questa AU, l’abilità di Poe non si è
ancora attivata… ma lo farà
presto.
[5]
Il riferimento è triste: dalle cronache sappiamo che Edgar e
Virginia versarono
per tutta la vita nella semi-povertà, così che
quando la ragazza contrasse la
tubercolosi polmonare, per scaldarsi dovette usare il mantello militare
di Poe.
[6]
Città del Maryland, qui Virginia nacque e visse buona parte
della sua vita, sia
prima che dopo essersi sposata.
ANGOLO
DI MANTO
Salve a tutti
♥
Questa fanfiction è
interamente dedicata a Edgar, quindi non saranno presenti altri
personaggi di
Bungou; per loro dovrete aspettare quello che potrebbe essere benissimo
il
seguito.
Posso comunque dirvi che
l’idea di base, per questa e la prossima storia, è
un’AU dove Poe non arriva a
scontrarsi con Ranpo nella prima competizione (quella di sei anni prima
degli
eventi canonici) e, quindi, non entra a far parte della Gilda.
Tuttavia,
siccome credo che le anime gemelle trovino sempre il modo per
incontrarsi,
saranno gli avvenimenti qui raccontati ad avvicinare Poe al suo
“rivale”.
Ci tengo a precisare che
quella che viene mostrata non è la vera Richmond, ma ho
ripreso i paesaggi che
vengono descritti nei racconti di Poe: città misteriose e
ambienti naturali
idilliaci, dove tuttavia si nascondono tristezza e perdita. Ci
sarà tanto, sia
di letterario che della vita reale, del vero Edgar in questa versione
del
nostro amato Poe ♥♥
Riguardo a Virginia, per
la sua caratterizzazione mi sono rifatta da quanto i biografi
raccontano di
lei: di come amasse profondamente Edgar e le sue opere, si sedesse
accanto a
lui quando era intento a scrivere e tenesse in ordine la sua scrivania.
Da
queste ultime curiosità è nata l’idea
di una ragazzina che ami essere coinvolta
nelle avventure, reali o immaginarie, di Poe, e che si prenda cura di
lui con
dedizione. Per esigenze di trama che spiegherò meglio nella
prossima storia, ho
alzato l’età di Virginia e, quindi, abbassato il
gap tra loro: così, invece di
quattordici anni di differenza, ne hanno sette (lei è
quindicenne, lui
ventiduenne, come nei flashback canonici).
Spero di poter scrivere e
pubblicare i prossimi capitoli in tempi non biblici, tesi permettendo;
riguardo a questo, ho dovuto dividerlo in due parti perché
stava diventando molto corposo, più del doppio, e le
informazioni sarebbero state moltissime. Quindi, godetevi la scena con
calma, prima che si passi al puro caos *^*
Ringrazio chiunque si
fermerà a leggere.
Un abbraccio,
Manto