Fumetti/Cartoni americani > She-Ra e le principesse guerriere
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Autore: thewickedwitch    19/01/2021    2 recensioni
Andava tutto bene, da quando la guerra era finita.
Stranamente, forse per la prima volta, nella vita di Catra andava tutto bene.
Ma per tutta la vita aveva biasimato chi le aveva fatto del male, e adesso aveva perso ogni diritto di farlo, perché era stata lei a fare tanto, forse imperdonabile, male.
E cercava di non pensarci, ogni giorno; cercava di rimediare nei limiti del possibile, di aiutare in ogni modo che poteva, per stare sempre vicina ad Adora, certo, ma non solo. Aveva bisogno di farlo. Aveva bisogno di impegnarsi, stancarsi fino a non avere più le forze, per non pensare.
Perché c'era qualcosa di grande, di enorme, di oscuro e feroce, sopra di lei. Qualcosa che, se solo si fosse fermata, sola con sé stessa per un attimo, la sarebbe piombato addosso distruggendola del tutto.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Salve a tutti! Piccola nota prima di cominciare.
Questa storia è ambientata qualche tempo dopo la fine. Principalmente, ruota intorno a Catra ed il suo processo di redenzione volto soprattutto a perdonare sè stessa. Affronterà questo processo confrontandosi con tutti coloro che sono stati importanti nella sua vita, che hanno lasciato su di lei un segno e su cui lei stessa ha lasciato un segno.
Ovviamente anche il suo passato "traumatico" avrà la sua importanza, per questo l'avvertimento di tematiche delicate. 
Cosa più importante di tutte da dire: questa storia è stata ispirata principalmente dalla meravigliosa canzone dei Within Temptation "The purge", e nulla, vi invito davvero ad ascoltarla perché personalmente la trovo davvero perfetta per Catra ed il suo percorso di redenzione. 
Ecco il link: 
https://www.youtube.com/watch?v=yoBIQkL4r0s
Detto questo...buona lettura, spero perdonerete eventuali nomi scritti male o dettagli eventualmente trascuratiXD
Ogni critica, positiva o negativa che sia, è ben accetta.
Eleonora.


I've got to bleed it out
All my thoughts intoxicated
'Cause the weight on me
It buries me alive




Andava tutto bene, da quando la guerra era finita.
Stranamente, forse per la prima volta, nella vita di Catra andava tutto bene.
Non tutto tutto, ovviamente, ma le cose importanti si.
Era stata accolta a Brightmoon, baluardo di speranza che si ergeva sulle rovine di un pianeta profondamente ferito, il primo luogo a brillare nuovamente di vita, e a promettere futuro e prosperità a tutti coloro che avevano perso troppo.
Aveva tanti nuovi amici, Glimmer e Bow per primi ormai si erano abituati alla sua presenza, ed anche altri, Scorpia e Perfuma ad esempio, di certo piú di quanti ne avesse mai avuti. Persino i suoi vecchi compagni dell'orda ricominciavano a sorriderle.
Aveva Adora. E, per Catra, questo significava avere tutto.
A volte faticava ancora a realizzare di essere finalmente lí, per davvero, e di non star sognando quando, in ogni prossimo futuro, si vedeva ancora al suo fianco.
Lei era lí, con Adora.
E niente e nessuno avrebbe piú potuto portargliela via, allora.
Niente e nessuno tranne sé stessa.
 
Occupavano una stanza del castello, loro due. Una sola, perché ora che avevano finalmente l'occasione di tornare a dormire profondamente, dopo anni di mancanza, non vi avrebbero mai rinunciato. Perché avevano sempre dormito insieme, e senza l'altra non era mai stato davvero dormire.
 
Il progetto che animava tutti gli altri, tra quelle mura, era di mettersi in viaggio per portare la magia nell'universo. Non vedevano l'ora, gli altri, di farsi portatori di gioia e grandezza, semplicemente magia.
Catra invece, desiderava solo poter restare lí. Non aveva bisogno di nient'altro, e si accorgeva di non aver mai avuto bisogno di nient'altro che quello.
Adora. Un sorriso. Respirare un'aria che non odorasse di vuoto, sofferenza e solitudine.
 
E Brightmoon era davvero brillante. Lí la gente si sorrideva, si amava, e la luce del sole entrava da ogni finestra, colorata dalle vetrate, riflessa e rifratta dall'aria, avvolgendo tutto nella pace, in un silenzio ovattato, quasi surreale dopo la battaglia, soprattutto per lei, dopo aver avuto centinaia di voci, che allo stesso tempo erano una sola e la sua stessa, nella testa.
Non che fosse tutto paradisiaco, certo che no. C'era ancora chi appena la vedeva le puntava contro qualche arma o le lanciava qualche incantesimo, ovviamente. Non tutti sapevano che ruolo avesse avuto nella battaglia finale il capitano dell'Orda che per anni aveva, seppur indirettamente, distrutto, sterminando o assoggettando, interi villaggi.
Non tutti sapevano quanto l'esito di quella battaglia fosse dipeso da lei.
Ovviamente non poteva biasimarli. Certo, le veniva automatico reagire ogni volta che veniva attaccata, perché ci era cresciuta cosí, era nel suo sangue e le era inevitabile, ma si sforzava di fermarsi quanto prima, di chinare la testa di fronte al proprio orgoglio, e aspettare che qualcuno, Adora, Glimmer o Bow, andasse a tirarla fuori da quella situazione.
A dirla tutta, era frustrante. Era terribilmente frustrante. Si sentiva umiliata, colpita, distrutta, come troppe volta si era sentita nella vita. Solo che adesso non poteva più difendersi, tirando graffi o arrabbiandosi, perché la colpa era solo la sua.
Colpevole, ecco come si sentiva.
Per tutta la vita aveva biasimato chi le aveva fatto del male, e adesso aveva perso ogni diritto di farlo, perché era stata lei a fare tanto, forse imperdonabile, male.
E cercava di non pensarci, ogni giorno; cercava di rimediare nei limiti del possibile, di aiutare in ogni modo che poteva, per stare sempre vicina ad Adora, certo, ma non solo. Aveva bisogno di farlo. Aveva bisogno di impegnarsi, stancarsi fino a non avere più le forze, per non pensare.
Perché c'era qualcosa di grande, di enorme, di oscuro e feroce, sopra di lei. Qualcosa che, se solo si fosse fermata, sola con sé stessa per un attimo, la sarebbe piombato addosso distruggendola del tutto.
                                                                                                                                                                                      
Così passava le sue intere giornate in giro per il castello, oppure in missione, a volte, nei regni devastati, sempre con un cappuccio sulla testa.  Tutti avevano concordato fosse meglio, almeno per il momento, che la sua identità restasse celata, dopo le aggressioni di cui era stata vittima le prime volte, per il bene degli stessi aggressori, per lo più.
Ma andare in missione non le piaceva.
Certo, aveva sempre voluto viaggiare, vedere gli altri regni, ma voleva farlo liberamente, cercando una nuova vita per sé e per Adora. Questo era stato il suo sogno, per tutta la vita.
Adesso invece viaggiare significava solo testimoniare al risultato delle sue gesta e dei suoi errori, e al prezzo che tutti avevano pagato per essi.
Ed era terribile. Tornava a Brightmoon sentendosi peggio che mai.
Però Adora era felice, circondata da amici, a quanto pareva era felice persino di avere lei sempre ad un passo di distanza, sorrideva entusiasta, e davanti al suo sorriso Catra non poteva che sorridere a sua volta.
Perché non importavano tutte le difficoltà, importava solo che lei fosse lí e che non se ne andasse mai più. Dunque mai una parola riguardo a tutta quella ingiustificata sofferenza aveva lasciato le sue labbra, mai una lamentela, perché aveva sempre avuto troppo poco nella vita, e adesso che aveva troppo, e non credeva di meritarlo, non avrebbe mai osato sentirsi in diritto di lamentarsi.
Fingeva tutto andasse bene, e si, alla fine dei conti, tutto andava bene.
I più l'avevano perdonata, quelli a cui teneva di più e a cui aveva fatto più male allo stesso tempo; Scorpia continuava persino a cercare la sua amicizia, ogni volta che tornava a Brightmoon da Plumeria, dove si era stabilita per aiutare Perfuma, la sua nuova amica, un'amica nettamente migliore di quella che lei era stata. Non sapeva come facesse, non lo capiva in alcun modo, eppure lei non smetteva mai di provarci. E sebbene Catra non avesse più il coraggio di negargliela, quell'amicizia, sebbene non volesse negargliela, non riusciva ancora a guardarla negli occhi senza che quella belva oscura le ricordasse la sua presenza ringhiando, come un sinistro avvertimento.
Ma, nonostante lei non riuscisse a perdonarsi, gli altri lo avevano fatto, dunque tutto andava bene.
Cercava di convincersi che fosse cosí.
 
I suoi momenti preferiti in realtà erano di sera, quelle sere in cui cenavano tutti insieme, lei, Adora, Bow e Glimmer, nella sala grande. Erano tutti stanchi, dopo le missioni, eppure trovavano sempre di cosa parlare e di cosa ridere. In loro aveva trovato degli amici che non si sarebbe mai aspettata di trovare, nonostante a volte i sorrisi che Glimmer rivolgeva a lei in particolare, oltre i battibecchi praticamente costanti, le stringevano ancora il cuore in una morsa di dolore e senso di colpa.
Ora riusciva a capire perché Adora l'avesse lasciata per loro con tanta facilità. Di certo erano sempre stati amici migliori di lei, che non le mettevano sulle spalle la responsabilità della loro intera felicità, che non pretendevano di possederla esclusivamente, che non erano dipendenti da lei.
Le chiedevano di essere She-ra, ma lasciavano ad Adora il suo spazio, come lei non aveva mai fatto.
Adesso lo capiva, si. Non era certa di accettarlo, nel profondo, non era certa che lo avrebbe mai accettato comunque, ma almeno lo capiva.
 
E poi c'erano gli incubi.
La notte teneva Adora sveglia per ore, come faceva da bambina, fin quando il sonno e la stanchezza non impedivano ad entrambe di parlare o capire cosa l'altra stesse dicendo. Solo che adesso non lo faceva per divertirsi, come da bambina, ma per non restare sola nell'oscurità con i suoi pensieri. Con lei addormentata accanto, il battito del proprio cuore nella testa, ed un viso che aveva imparato ad odiare a fissarla dallo specchio.
Spesso si addormentavano insieme, spesso abbracciate, e le braccia di Adora, e non di She-ra, avevano il potere di scacciare via gli incubi. Ma Catra era troppo orgogliosa per chiederglielo, semplicemente, non era da lei, dunque sperava ogni sera che Adora la abbracciasse, restando in silenzio se non lo faceva.
E non che l'altra non avesse capito l'importanza che aveva per lei quel semplice gesto, semplicemente a volte crollava addormentata e non ci pensava, e Catra da parte sua non l'avrebbe mai svegliata per chiederglielo. D'altronde, non era più una bambina, doveva essere in grado di badare a sé stessa come aveva sempre fatto, e cosi faceva, restando rannicchiata nel buio e tenendo stretti gli occhi affinché un sonno profondo abbastanza da cancellare il ricordo di ogni sogno calasse su di lei il prima possibile.
A volte però non funzionava, e gli incubi tornavano.
Incubi sul passato, su quella sensazione che era certa non avrebbe mai dimenticato del sangue che si blocca nelle vene, dell'aria che smette di circolare nei polmoni, del nero che riempie progressivamente il campo visivo, mentre i pensieri si fanno sempre piú difficili da inseguire e parole sprezzanti riempiono quello che é rimasto della capacità di udire. Una punizione che non lasciava mai segni né ferite, non visibili almeno. Una punizione che le era stata inflitta fin troppe volte, tenendola sveglia la notte per il terrore che se ancora una volta il nero avesse preso il posto dei colori, non si sarebbe svegliata mai più.
Incubi sul presente, sullo svegliarsi in quella stessa stanza, in quello stesso letto, e trovarlo vuoto. Sull'uscire, girare per le stanze chiamando il suo nome invano, solo per trovare cadaveri, cadaveri ancora freschi, dai tagli sanguinanti, cadaveri di tutti coloro che aveva imparato ad amare, ed infine la stessa Adora, agonizzante, ancora viva solo per lanciarle un ultimo sguardo carico di disprezzo. E poi seguire quello sguardo fino alle proprie mani, agli artigli, solo per trovarli ricoperti di sangue. Sangue fresco.
Allora si svegliava sempre, per mancanza di ossigeno e rifiuto, totale rifiuto di una realtà che potesse essere come quella. Si svegliava e come prima cosa si guardava accanto, per un istante sicura di non trovarla lí, di averla persa di nuovo, questa volta per colpa sua, perché forse era sempre stata sua, la colpa, ma lei era lí ogni volta, con i capelli dorati sparsi sul cuscino ed il viso più bello che Catra avesse mai visto, rilassato nel sonno.
Alcune volte, le più, il suo scatto la svegliava. Allora Adora apriva a fatica quei suoi occhi chiari che rischiaravano la notte di Catra più di tutti i pianeti e di tutte le stelle, e per i primi momenti la fissava soltanto, cercando di mettere a fuoco la sua immagine. Poi però, capiva esattamente cosa fosse successo, lo sapeva, allora si tirava sú a sedere, non importava quanto stanca fosse e quanto i suoi occhi assonnati la pregassero di tornare a dormire, e la attirava a sé, la stringeva tra le braccia sussurrandole che andava tutto bene e che non se ne sarebbe più andata, perché nonostante Catra non glieli avesse mai raccontati, Adora sapeva perfettamente di cosa erano fatti i suoi incubi.
Poi poggiava la fronte contro la sua, occhi negli occhi, chiari laghi di verità a riflettere la parte migliore di sé, a dare forma a quella sua anima inerme, e dopo averle sorriso la baciava. Ed erano dolci, le labbra di Adora, lo erano sempre state, fin dalla prima volta in cui le aveva sentite contro le proprie, ed erano in grado di curare ogni ferita della sua anima e del suo essere conferendole tutto l'amore di cui aveva sempre avuto bisogno.
La rendevano felice, dandole ancora quell'ebbrezza di incredulità di averla finalmente lí, per sempre, di poter vivere senza il timore di perderla ogni giorno, se solo ne fosse stata capace.
Bastava questo, la maggior parte delle volte, a mandare via ogni ombra ed ogni demone.
Adora bastava sempre. Tranne quando non si svegliava.
Allora Catra cercava di essere coraggiosa, coraggiosa e cresciuta abbastanza per restare immobile nel buio, seppur tremante, bagnata di lacrime, a sperare soltanto di riuscire a sopravvivere a quel baratro d'oscurità che stava aprendosi sotto di lei, a quella forza che la tirava all'interno di esso, più potente che mai. E, a volte, ci riusciva.
Altre volte invece non era abbastanza forte, e svegliava Adora con noncuranza, approfittando del suo sonno profondo affinché la mattina dopo non se ne ricordasse, infilandosi tra le sue braccia e cercando nel suo profumo la traccia permanente della sua essenza, la promessa della sua vicinanza di cui aveva bisogno per continuare a vivere.
 
Si sentiva in fuga, in pericolo, sul bordo di un abisso, eppure in dovere di essere in pace, perché non c'era più nessuna minaccia reale, tangibile. In dovere di essere abbastanza per tutti per non farsi cacciare via, odiando quello che era stata, odiando quello che era diventata, qualcuno di differente da chi era prima, che di certo un tempo non avrebbe mai accettato, sentendosene fiera ed al tempo stesso in colpa in nome di tutto il dolore che aveva provato e poi causato.
Cosí si sentiva, profondamente divisa, percependo la sua verità assottigliarsi sempre di più, svuotandola lentamente.
E per quanto si sforzasse di ripetersi che andava tutto bene, la verità era che sapeva che prima o poi, in un tempo che si avvicinava di più ogni giorno, in un momento come tanti, quella belva oscura alle sue spalle le sarebbe piombata addosso e l'avrebbe portata a distruggere tutto quello che aveva, tutto quello per cui combatteva e aveva, in fondo, sempre combattuto.
 
E fu cosí, come previsto, che giunse, in un giorno come gli altri, una luminosa mattina, dopo aver fatto il bagno, sola in camera, passando, seminuda, davanti allo specchio, quel terribile nemico che dormiva e vegliava con lei.
Vide, a causa di una strana angolazione, la propria schiena, ancora troppo corti i suoi capelli per coprirla, liscia e omogenea.
Fu questo che la bloccò. Che la portò davanti allo specchio. Che, quasi in trance, le fece lasciar cadere il telo che la copriva per osservarsi.
Quella vista, la vista di quel corpo sano e senza segni, la terrorizzò, e quella forza trovò la via, tramite la sua distrazione, per insinuarsi in lei, ricoprirla, farla sua.
 
E fu cosí che Adora la trovò, minuti, forse ore dopo, Catra non avrebbe saputo dirlo, quando, non vedendola arrivare, andò a cercarla. In piedi davanti ad uno specchio, nuda, a tremare leggermente, di freddo e di qualsiasi cosa stesse percorrendo violentemente, ma forse non abbastanza, le sue vene in quel momento.
La percepí a malapena avvicinarsi, sentí appena la sua voce carica di preoccupazione, la sua mano che, timorosa della sua reazione, si avvicinò lentamente per sfiorarle una spalla. Solo quel contatto fece tornare alla sua mente un barlume di realtà, le fece realizzare quello che l'altra stava dicendo.
"Catra...ti prego, rispondimi. Come stai?"
Le labbra tremarono quando provò ad aprirle per risponderle.
"Io sto...bene" disse, e lo disse come se fosse la cosa più triste e devastante dell'universo.
Adora deglutí, non si azzardò ancora a tirare un sospiro di sollievo. Raccolse il telo ai suoi piedi e delicatamente glielo poggiò sulle spalle, avvolgendola in esso, cercando, se non altro, di calmare i suoi brividi.
Le rimase dietro, stringendole leggermente il braccio, cercando di instaurare un contatto attraverso lo specchio con quegli occhi ancora assenti.
"Cosa é successo?" sussurrò, piano, perché sapeva quanto i rumore le dessero fastidio.
"Io sto..." Catra deglutí automaticamente, la sua gola a cercare saliva e coraggio al posto suo:" io sto bene. Io non...non..."
Poi lo disse
"Io non ho cicatrici."
E dopo pochi istanti tutto fu chiaro ad Adora.
Le bastarono quelle poche parole per capire.
"Catra..." non poté far altro che sussurrare, con tanta tristezza da spingere l'altra a girarsi verso di lei, perché Adora non poteva, non doveva, essere triste, non per causa sua, eppure...
Eppure...
"Adora io...non ho nessuna cicatrice. Voi...tutti voi ne avete, tu..." le parole le morirono di nuovo in gola al ricordo, all'immagine sfocata di una ferita, una sofferenza,  passata ma in fondo mai del tutto guarita.
Una sofferenza che lei aveva inflitto.
"...tu hai quelle orrende cicatrici sulla schiena che io ti ho causato, e invece io non ho nulla. Nulla!"
Sembrava quasi febbricitante, delirante la sua voce.
Una presa ferrea sulle sue mani bloccò i suoi fremiti. L'ultimo appiglio, come sempre, giunto a salvarla dalla dimensione quasi perduta, ormai troppe volte, dell'amore.
"Catra." un tono perentorio adesso.
"Guardami."
E non c'erano scuse, né bisogno di spiegazioni.
Adora era. Adora capiva. Adora curava.
I suoi occhi si bloccarono, insieme ai movimenti convulsi, sul suo viso.
"Le mie cicatrici non sono orrende."
Catra scosse la testa, incredula.
"Invece si, lo sono, perché io..."
"Invece a me piacciono." la interruppe.
Catra la fissò. Uno, due secondi. Senza capirla.
"Cosa?"
L'espressione seria di Adora si sciolse leggermente in un lieve sorriso.
"Dico davvero, mi piacciono. Allora non sapevo ancora curarmi, sai non ero ancora...la She-Ra di adesso, non sapevo come gestire il mio potere, e per quanto ci provassi...beh, non funzionava. Poi un giorno, guardandoti allontanarti dal campo di battaglia, per quanto ti...detestassi in quel momento, capii. Capii che forse c'era un motivo se tra tante cose era proprio quella a non riuscirmi: forse a me servivano quelle cicatrici. Per ricordarmi."
"Di cosa?" le chiese, sgomenta, quasi salva, ancora ad un passo dalla superficie.
"Di te. Di noi. Di tutto quello che eravamo un tempo e che eravamo diventate allora e..." aumentò leggermente la stretta sulle sue mani:"... Per questo adesso mi piacciono ancora di piú. Perché mi ricordano tutto quello che abbiamo passato e come siamo sopravvissute ancora, insieme. " il suo sorriso si allargò, cosí come il baratro sotto i piedi di Catra.
Perché Adora era stupenda. Era più che speciale. Era tutta la luce che mancava nel suo mondo e  l'incarnazione di ogni desiderio che avesse mai avuto. Semplicemente, Adora era ciò che le permetteva di sopravvivere, allora come tanti anni prima, nonostante tutto.
E lei non la meritava. Non meritava quell'amore, quella comprensione, il calore che sentí nel suo abbraccio. Non lo meritava.
E Adora non meritava di soffrire per lei, non meritava il peso della responsabilità della sua sopravvivenza, ma Catra non poteva fare a meno di essere dipendente da lei, contesa tra l'amore e il nero dolore. Cosí era e cosí sarebbe sempre stato.
"Sappiamo quello che é successo, Catra, non dirò che sei innocente, ma é il passato ormai, non ha più importanza, non devi più sentirti in colpa."
Strinse nei pugni la sua maglia, conficcandosi gli artigli nei palmi, cercando di combattere quell'eco sempre più forte nel retro della sua mente, provandoci davvero, sforzandosi di respingere quell'impulso di farsi male, graffiarsi, infliggersi quelle cicatrici, liberarsi di quei pensieri intossicati facendoli scorrere via con il sangue.
"É...difficile. Fa male."
Sentí Adora annuire piano contro la sua spalla
"Lo so...ma devi combatterlo. Devi lasciare andare adesso, Catra. Tutti gli altri...beh, quasi tutti, ti hanno perdonata. É ora che lo faccia anche tu."
Le sussurrò, dolcemente.
E aveva ragione, Catra lo sapeva. Se solo fosse stato facile, se solo guardandosi allo specchio non si fosse ricordata ogni volta di coloro che più aveva disprezzato ed odiato nella vita, rivedendoli rifratti nella sua stessa immagine, allora forse...
Adora si allontanò e le sorrise di nuovo, sollevandole il viso
"Stai meglio ora?"
Catra annuí. Certo. Certo che stava meglio. Ma stava bene? No. Ma Adora non meritava di saperlo, non dopo tutto quello che faceva per lei.
"Su, adesso ci stanno aspettando. Vestiti e vieni, va bene? Ti aspetto di là...prenditi il tempo che ti serve. " le baciò la guancia velocemente, e prima che Catra potesse accorgersene fu già sulla porta, a congedarsi con un sorriso.
E appena la porta si chiuse, qualcosa dentro di lei urlò. Avrebbe voluto fermarla, l'avrebbe voluta con sé, ancora per un po', ne avrebbe avuto bisogno ancora per qualche minuto. Avrebbe voluto, in realtà, restare in quella camera con lei per il resto del giorno e della notte, a godere delle sue promesse a cui, inevitabilmente, credeva sempre e della sua semplice presenza, del suo respiro profondo mentre dormiva che per troppo tempo non aveva sentito. E sapeva che era stupido, era tremendamente stupido e non era da lei, ma ormai da tempo aveva perso la possibilità di governare i suoi desideri.
Comunque, non poteva farlo, non poteva chiederlo, e quella bestia che poteva sentire, ma non poteva vedere, rimase con lei mentre si vestiva, e poi la seguí quando raggiunse gli altri, spegnendo la luce nei suoi occhi e scavando nel suo petto sempre di più, con l'intenzione di estrarre da esso il suo cuore.
Ma come lei non poteva vederla, gli altri non dovevano percepirne la presenza, perché era la sua purgazione, lo sapeva, un prezzo ed un peso che doveva portare da sola, e dunque ancora si comportò come sempre, facendo credere che andasse tutto bene, prendendo in giro Glimmer per i suoi capelli e Adora per la sua spavalderia, amandola profondamente, come sempre, ma senza riuscire più a convincere sé stessa che fosse vero, che andasse bene per davvero.
Ormai qualcosa in lei si era spezzato. Di nuovo.
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Melog era scomparso misteriosamente da quel giorno.
Catra lo aveva cercato a lungo, per le stanze del palazzo e fuori, nel giardino,fino al limite del bosco dei sussurri, ma non lo aveva trovato. Ed era strano, tremendamente strano, che non si facesse trovare neanche da lei.
Trovava la sua compagnia molto confortante, ed in quei momenti, in quei giorni di profondo smarrimento in cui guardava il sole e vedeva solo buio, le sarebbe servita. Lui aveva la capacità di capirla, no, di leggerle nella mente, come nessun altro poteva fare, di conoscerla come a nessun altro permetteva di fare, tranne Adora ovviamente.
Dopo qualche giorno, la sua assenza si fece troppo pesante da sopportare, le pareva quasi le mancasse un parte di sé, forse la migliore, cosí decise di andare a cercarlo.
Si inoltrò nel bosco dei sussurri, ben coscia del  potere e della magia che vi si celava, e consapevole che, se l'avesse colta nel modo sbagliato, avrebbe potuto distruggerla. Ma non le importava, doveva trovarlo.
Ci andò da sola, senza conoscere la sua destinazione. Si lasciò semplicemente guidare dall'istinto, da quella connessione che la legava a lui, quell'essere misterioso con cui di era trovata cosí in sintonia.
E dopo tanto camminare, sul far della sera, sentí qualcosa, un ringhio, proveniente dall'oscurità di una grotta. Vi si avvicinò con cautela, sentendolo più vicino che mai, e finalmente lui si mostrò.
Era nero, completamente nero, mentre i suoi occhi brillavano di rosso. Non lo aveva mai visto cosí.
Per un momento, ne ebbe paura. Poi ricordò chi era, e quanto era importante, e quanto aveva contribuito a cambiarla. E provò ad avvicinarsi.
Lui la aggredí. Le saltò addosso, buttandola a terra fissandola con quegli occhi brillanti come rubini e con le fauci scoperte.
E Catra si accorse, solo allora, che la rabbia e l'odio che vedeva nei suoi occhi erano gli stessi che scorgeva nei propri quando si guardava allo specchio, diretti unicamente a sé stessa.
Allora smise di combattere, di cercare di fermarlo. Lo fissò e basta, bruciare nell'oscurità come quell'odio devastante, e una lacrima rigò il suo viso.
Poi, una zampa sollevata, ad un passo dal distruggerla, inspiegabilmente lui si fermò.
E forse per un attimo lei desiderò che non lo avesse fatto.
Il nero si dissolse nella sua solita tonalità di viola, e lentamente la luce tornò nei suoi occhi, rischiarandoli di azzurro. Poi, con un verso timido, forse colpevole e spaventato, si fece indietro.
Catra si alzò a fatica, e nella suo atteggiamento, interdetto e ferito, credette di rivedere sé stessa, e capí perché lui l'aveva evitata per tutto quel tempo: perché lui, in qualche modo, era lei. E ciò da cui lei avrebbe più desiderato stare lontana, in quei giorni, era sé stessa.
 
Trovarono la conciliazione solo alla morte del sole. Rimasero seduti assieme, sul ramo di un alto albero, a vedere la sera calare su Etheria, vicini, in qualche modo entrambi sollevati, necessari l'uno all'altra.
E Catra imparò almeno una lezione: che per quanto potesse odiarsi e disprezzarsi, non avrebbe mai potuto fuggire da sé stessa. In qualche modo aveva sempre creduto di avere una possibilità di farlo, ritrovando Adora, conquistando regni, facendosi perdonare dagli altri ed estraniandosi nel loro perdono, ma ora capiva che non era possibile, era inutile, e fin quando avrebbe continuato a farlo non sarebbe mai riuscita a liberarsi della morsa di quella gravità incombente che la spingeva verso il basso, nell'oscurità.
E forse, pensò, rincuorata dalla silenziosa ma colmante presenza di Melog al suo fianco, forse quello, seppur piccolo, era un passo avanti.
 
Adora non fece domande quando la trovò stretta a lui, addormentata sul pavimento, quella notte.
 
 
Una mattina, dal nulla, nel mezzo del silenzio che regnava nella loro stanza insieme ai primi raggi del giorno, Adora glielo chiese.
"Come stai?"
Si stavano vestendo entrambe, e ormai da troppo tempo non dicevano una parola. A volte c'erano momenti di silenzio tra di loro, perché non avevano bisogno di parlare per capirsi o stare insieme, ma a quanto pareva Adora aveva intuito che in quel silenzio c'era qualcosa di strano.
Catra, si voltò a guardarla, la fissò per qualche secondo, per la prima volta spaventata dall'essere da lei capita, compresa forse fino in fondo. Poteva leggerle dentro, Adora, ma era certa che in quel momento quello che avrebbe trovato, tutta quella oscurità, non le sarebbe piaciuta. E più di ogni altra cosa temeva che avrebbe allontanato lei, rifiutandola, una volta scopertala. 
Non meritava di conoscere quella parte di lei, Adora. L'aveva conosciuta già fin troppo.
Si strinse nelle spalle, fingendo indifferenza.
"Bene. Tu come stai?"
"Non mentirmi."
L'aria nella stanza le parve tutto ad un tratto irrespirabile. La luce, che mai aveva brillato realmente, si oscurò del tutto ancora una volta.
"Non...ti sto mentendo. Sto bene. É la verità."
"Catra"
E dannazione, il modo che aveva di pronunciare il suo nome, capace di farle venire brividi di paura e di amore.
La sentí avvicinarsi, giungerle di fronte, poggiare le mani sulle sue braccia.
"Non devi nasconderti con me. Ti conosco meglio di chiunque altro, capisco quando non stai bene."
"Non sono stata bene per troppo tempo, Adora, e non mi pare tu fossi lí." ribatté impulsivamente, senza pensare, per pentirsene amaramente un attimo dopo.
Si morse la lingua fino a sentire il sapore del sangue vedendola distogliere lo sguardo, non dispiaciuta, no, non del tutto almeno. Avrebbe potuto giurare di vederla anche...contrariata.
"Scusami, Adora, io...non volevo dire quello che ho detto." si affrettò ad aggiungere, odiandosi, odiandosi terribilmente.
Perché doveva essere cosi? Perché doveva cogliere ogni possibile occasione per sbagliare, ancora e ancora, rovinandosi sempre di più, scivolando sempre di più nell'oscurità?
Adora non aveva colpa, non ne aveva, la colpa era solo sua, era sempre stata solo sua.
"Davvero, scusami."
Adora le sorrise. Non spontaneamente come Catra avrebbe voluto.
"Non fa niente, ho capito."
Fece per sollevare una mano per accarezzarle il viso, ma, prima che potesse farlo, Adora si fece indietro, ed un pezzo del cuore di Catra parve cadere. Riabbassò la mano sul fianco.
"Sicura di stare bene?"
Le chiese lei, ancora una volta. Ma non fu sentita come prima, quasi come si sentisse obbligata a chiederlo, o almeno questa fu l'impressione che ne ebbe Catra.
Cosí annuí e distolse lo sguardo.
Adora tornò a vestirsi senza dire più nulla e cosí fece anche lei.
 
Quando lasciarono la stanza, e la luce colorata che filtrava attraverso le grandi vetrate del corridoio accarezzò i capelli di Adora che camminava davanti a lei, facendoli rilucere di mille riflessi arcobaleno, Catra si disse che era troppo perfetta, Adora, per essere in errore.
Doveva essere lei ad avere qualcosa che non andava, perché a quanto pareva l'altra non conosceva sensi di colpa, non ne aveva forse mai conosciuti. E certo, Catra aveva riconosciuto fosse stata colpa sua fin dall'inizio, o per lo meno si era sforzata di convincersene, e dunque l'altra non avrebbe avuto alcun motivo di sentirsi in colpa, perché c'era stata Catra a prendere su di sé le colpe di entrambe, però  qualcosa continuava a sembrare strano, fuori posto, ingiusto, e lei era certa che si trattasse solo di sé stessa.
Perché dopotutto, Adora, colpe non ne aveva mai avute, no?
Ma, come accadeva ormai da qualche giorno, la ripetizione e l'autoconvincimento iniziavano a non avere più tutto effetto che avevano avuto in precedenza sulla sua mente.                 
 
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Scorpia tornò a Brightmoon da Plumeria, insieme a Perfuma. Tornavano spesso, per aiutare con le coltivazioni e con le decorazioni floreali del castello Perfuma, e per i lavori per cui c’era bisogno di straordinaria forza o di elettricità Scorpia, che si era dimostrata più che abile e stranamente portata in quell’ambito.
Dai resti delle astronavi del grande Horde avevano recuperato una straordinaria quantità di materiale, ed Entrapta si era occupata di istruire un gruppo di volontari su come mettere insieme quei circuiti per poter sfruttare al meglio tutta quella “meravigliosa abbondanza di tecnologia incredibilmente avanzata” per usare le sue parole. Scorpia era stata una di quei volontari. Forse anche grazie al suo potere, si era rivelata  essere incredibilmente brava con ciò che riguardava l’elettricità, la migliore della sua classe, cosí aveva praticamente ottenuto un lavoro presso Brightmoon, quando vi faceva ritorno, e certamente a Plumeria, che elettricità non ne aveva mai conosciuta.
Questa era la ragione ufficiale per cui si era trasferita lì.
La ragione ufficiosa, Catra lo sapeva, era Perfuma. Sorrise, quella mattina, nel vederle cosí unite. Avevano trovato un’affinità straordinaria, e Catra, dopo tutto quello che era successo, non poteva che esserne più che contenta per Scorpia.
Sapeva lei  meritasse un’amica, una vera amica, migliore di lei, e l’idea che l’avesse finalmente trovata la sollevava, almeno un po’, dal senso di colpa per come l’aveva trattata.
Scorpia era una persona meravigliosa, ormai lo sapeva, migliore di molte e molte altre, forse la migliore in assoluto, dopo Adora. Meritava felicità ed affetto nella sua vita.
 
Quella mattina Catra rimase in silenzio ad osservare gli altri, ad aiutare nei lavori mantenendosi però a distanza. Improvvisamente si sentiva estranea, più di prima, a tutto quello. Era come se loro fossero felici, meritassero di esserlo, e l’unico modo che lei aveva per preservare quella felicità era tenersene alla larga. Da Scorpia soprattutto.
Tuttavia, quando Perfuma propose loro di andare nel bosco dei sussurri per raccogliere speciali piante e Scorpia disse che non amava quel bosco e dunque sarebbe rimasta ad aspettarli al castello, Catra non se la sentí di lasciarla sola, cosí li avvertí che sarebbe rimasta ad aspettarli anche lei.
Ed inoltre, provò quasi un insolito desiderio di restare con lei, nonostante il disagio non l’avesse comunque abbandonata.
Forse, pensò, quell’oscurità crescente cambiava tutto, anche il modo di vedere le cose.
Ad ogni modo, Scorpia fu felice come sempre di restare con lei, e salutò affettuosamente gli altri per poi seguirla all’interno del castello.
Non sapendo cosa fare, Catra le propose di mangiare qualcosa, sapendo che l’altra non avrebbe rifiutato.
Così, prese due barrette, andarono sulla balconata che dava sul fronte del castello, e più in là sul bosco. Catra aveva sempre amato quella vista.
Mangiarono in silenzio. Poteva aver desiderato di trascorrere del tempo in sua compagnia, ma di certo non aveva intenzione di parlare, almeno non di quello che aveva in testa in quei giorni. Cosí rimasero a fissare il panorama, come altre volte avevano fatto, finché Scorpia non ruppe quel silenzio.
“Catra…va tutto bene?”
E Catra quasi sobbalzò, forse più per la domanda che per la sua voce.
Perché Scorpia le chiedeva se andava tutto bene? Non dava forse quell’idea?
Le lanciò un’occhiata di soppiatto.
“Certo…perché me lo chiedi?”
Scorpia si strinse nelle spalle.
“Non lo so, mi sembri diversa.”
“Sto bene.”
Scorpia sorrise e non rispose, tornando in silenzio.
E a Catra improvvisamente dispiacque tantissimo, più di quanto avrebbe potuto esprimere a parole, per quell’impossibilità di essere sua amica, come un tempo aveva rifiutato di essere, che le stava lentamente dilaniando il petto. Le dispiacque per come Scorpia si sentisse in dovere di restare in silenzio quando era con lei. Le dispiacque di non farla sentire abbastanza, ancora una volta, per quella sua incapacità di guardare nei suoi occhi, oltre i propri errori.
Deglutí. Si fece coraggio.
“In verità…ripensavo al passato.”
L’altra si voltò bruscamente verso di lei, quasi stupita. Catra non iniziava mai a parlare, non con lei. Poi però, conoscendo il suo carattere, si limitò a sorridere.
“È passato già tantissimo tempo, vero?”
Catra abbozzò un sorriso, lo sguardo perso all’orizzonte.
“Già…”
Eppure non abbastanza.
“Anche io ci ripenso spesso, sai. Al passato. Ne abbiamo passate tante, vero?”
E nel suo tono c’era più affetto di quanto lei ne meritasse.
“Gia…”
Troppe.
La vide, con la coda dell’occhio, distogliere lo sguardo.
“Però sono contenta che ora tu sia…qui, che tu sia felice con…Adora e non abbia più bisogno di me.”
Si voltò di nuovo, di scatto, e questa volta Catra si azzardò a guardarla, almeno a voltarsi verso di lei.
“No cioè, non che prima tu avessi bisogno di me, certo che no, insomma tu sei…Catra, non hai mai avuto bisogno di me, voglio solo dire che adesso hai tutto perché…”
“Scorpia.”
La interruppe, e lei smise di parlare all’istante, guardandola con il fiato corto dal tanto parlare in cosí poco tempo e le guance leggermente arrossate d’imbarazzo.
E stranamente quella volta, nonostante la confusione ed il dolore persistente, Catra seppe cosa dire.
“Avevo bisogno di te.”
Scorpia sgranò istintivamente gli occhi, pur sforzandosi dopo un istante di nascondere il suo stupore e la scintilla, minuscola, di gioia comparsa nei suoi occhi, per cui Catra si sentí male, terribilmente male, mentre l’orizzonte assunse una curva diversa.
“Davvero?”
E ora c’era la speranza, nella sua voce, e Catra sorrise leggermente, trovando un attimo di sollievo nella consapevolezza di stare, almeno in quel momento, per soddisfare una sua speranza.
“Davvero. Quando sei andata via…è stato come perdere un altro pezzo di me, l’unico che mi tenesse, almeno in parte, ancora… me stessa.”
“Catra io… Mi dispiace tanto di essermene andata. Non avrei mai voluto tradirti, ma…”
Lei scosse la testa, amaramente divertita.
Non era certo Scorpia a dover chiedere scusa.
“Non scusarti. Hai fatto bene. Ti ho sempre trattata malissimo e… la cosa peggiore è che me ne rendevo conto, ma ero cosi presa dal mio…”
Dolore.
“…da me stessa che… forse se non te ne fossi andata non mi sarei neanche accorta di quanto stavo cambiando. Sei comunque sempre rimasta dalla mia parte, fin quando stare dalla mia parte aveva ancora un senso, nonostante… tutto, e non credo potrò mai ringraziarti abbastanza per questo.”
E faceva male, aveva fatto male, ogni singola parola aveva inciso la sua gola durante il suo percorso con lame affilate di aria irrespirabile, ma in qualche modo, una volta fuori colmarono per qualche indimenticabile istante quel vuoto spaventoso.
Scorpia si strinse nelle spalle, un sorriso felice, di certo per quelle parole, eppure dolce, comprensivo.
“Oh beh io…non credevo di essere mai stata cosi importante” arrossi nuovamente, ma non si fermò.
“Ma se questa è una scusa…suppongo dovrò fartene una anch’io.”
Catra alzò le sopracciglia lanciandole un’occhiata, trovando improvvisamente più facile farlo.
“E di cosa dovresti scusarti?”
“Beh…sai, ci ho pensato a lungo. Allora non capivo perché… qualsiasi cosa facessi non riuscissi ad essere abbastanza per te, e me lo chiedevo, continuamente, e adesso… adesso, vedendoti sorridere ad Adora, ho capito: io non ero lei. E quindi sai, credo di aver approfittato del tuo dolore e della tua solitudine per… cercare di ottenere  qualcosa che volevo.”
Catra scosse lentamente la testa , lo sguardo ora ostinatamente fisso sull’orizzonte.
“E cos’era che volevi?”
“La tua amicizia, ovviamente. Sai, non ho mai smesso di fissarti dal  giorno in cui ti ho vista la prima volta. Tu avevi tre anni e io cinque, provasti a graffiarmi con i tuoi artigli dicendomi di non giocare con la tua corda, che per sbaglio avevo preso. Non mi feci nulla…beh, per queste."
Sollevò appena una chela.
“Ma tu eri cosi convinta e… fiera, che non te ne accorgesti neanche. Mi guardasti…tremendamente offesa” si interruppe per un momento per ridere al  ricordo,  e Catra non trovò il coraggio di offendersi, come solitamente avrebbe fatto, e anzi si trovò a combattere un lieve sorriso che minacciava di impadronirsi delle sue labbra.
“Ma…io rimasi… incantata dai tuoi occhi. Erano già cosi brillanti e cosí pieni di rabbia che… non potei fare a meno di continuare a cercarli, sempre, ogni volta che ti scorgevo da lontano. Non mi importava quello che facevi, quello che tutti dicevano di te, mi rifiutavo di crederci. Per me, dietro quegli occhi blu e dorati, si nascondeva altro. Ma allora tu avevi Adora, una dei cadetti più brillanti dell’orda, non avresti mai avuto bisogno di me, cosi non provai mai ad avvicinarmi. “
Parlava cosi veloce Scorpia, quasi volesse dire tutto una volta trovato il coraggio di farlo, evitando accuratamente di guardarla, da lasciare Catra senza parole.
E di certo non era solo il suo modo di parlare a farlo.  Nessuno aveva mai detto cose del genere su di lei. Nessuno oltre Adora l’aveva mai difesa e aveva mai creduto in lei in quel modo.
“Quindi quando…quando lei è andata via io…” la vide grattarsi il collo, cercando le parole.
“Non ho potuto evitare di…cercare di riempire il vuoto che lei aveva lasciato. Lo vedevo, sai, il vuoto nei tuoi occhi. E mi faceva male vedere come tu non ridessi mai, non ridessi piú, come tu soffrissi, nonostante tutto, anche quando non…insomma, non mi volevi intorno.”
Rialzò la testa stringendosi nuovamente nelle spalle.
“Quindi si, vedi, ho provato ad usare quel vuoto per prendere il suo posto. All’inizio io…l’ho odiata, sai, per quello che ti aveva fatto. Ma ancora non la conoscevo. E quando sono venuta qui…beh, erano tutti cosí gentili e…simpatici, che anche se fossi tornata indietro non sarei mai più riuscita a combatterli. Mi dispiace.”
Catra scosse di nuovo la testa.
“Smettila di chiedermi scusa, Scorpia.”
Non sentendola rispondere, stranamente, si voltò a guardarla e la trovò sorridente, a fissare il bosco lontano.
“Scorpia…”
“Stavo ripensando…sai, ai giorni nel deserto cremisi. Mi eri sembrata felice, per la prima volta. E so che magari adesso non è bello dirlo, ma…credo quelli siano stati i giorni più belli di tutta la mia vita.”
E da quando Scorpia avesse un potere cosí grande su di lei Catra non avrebbe saputo dirlo. Sapeva risollevarla, con la sua leggerezza ed il suo affetto davvero, davvero incondizionato. Ed al tempo stesso con una sola parola sapeva distruggerla, come aveva appena fatto. E la cosa buffa era che Catra si era comportata in quel modo con lei esattamente per non concederle di avere quel potere, eppure adesso lei lo aveva proprio per come si era comportata.
Tutto, tutto tornava indietro. Tutto tornava a reclamare la sua anima, fino alla fine.
Perché?
Perché erano lí? Perché Scorpia non la odiava come lei odiava sé stessa?
“Scorpia, perché sei ancora mia amica?”
Lo chiese e basta, senza preamboli diede voce ai suoi pensieri, con una voce tanto vuota da mettere i brividi.
Scorpia la guardò in silenzio. Poi, sorrise.
“Perché io avrò sempre bisogno di te.”
Lo disse con semplicità, con cosí tanta naturalezza che per un momento Catra desiderò di essere esattamente come lei, capace di amare, di perdonare, di vivere.
Incrociò il suo sguardo, questa volta lo mantenne per la prima volta dopo mesi, e qualcosa le disse che Scorpia, a quanto pareva cosí esperta dei suoi occhi, vi avesse scorto almeno parte di quella soffocante oscurità. Tuttavia proprio per questo sorrise.
“Su, basta adesso, stiamo diventando tristi. Abbraccio!” esclamò, abbracciandola subito dopo, sollevandola come al solito, senza neanche dare a Catra il tempo di accorgersene.
E lei da parte sua non poté evitare di dibattersi, almeno nei primi istanti, per un contatto a cui non si sarebbe mai abituata, soprattutto non se cosí improvviso.
“Scorpia…dove sono finiti i tre metri di spazio personale?” le chiese, e nonostante tutto tenne la voce bassa e un sorriso, minuscolo e spontaneo, le tirò le labbra combattendo contro la sua tristezza.
Scorpia rise.
“Hai ragione, me ne dimentico sempre!” ma non allentò la presa, anzi la strinse al massimo che poteva senza farle male, e Catra ebbe l’impressione, cedendo e concedendo a sé stessa di ricambiare quell’abbraccio, che Scorpia sapesse e capisse molto più di quanto lasciava intendere.
Quando davvero quell’abbraccio divenne troppo, la lasciò andare, ed insieme, questa volta vicine, tornarono a guardare il panorama.
E Catra scorse il sole, nei colori del cielo, ed una strana tranquillità sopí per un attimo l’oscurità.
“Sai io…non vorrei aver fatto molte delle cose che ho fatto.” Disse semplicemente, sperando che fosse abbastanza.
Scorpia sorrise, allontanandosi appena.
“Hey, tu hai salvato il mondo, gatta selvaggia!”
“Adora ha salvato il mondo.”
“Già, e chi ha salvato Adora?”
Si voltò a guardarla, sbalordita.
“Come lo sai? Nessuno sa cosa è accaduto al cuore, tranne Glimmer e Bow.”
Scorpia continuava a sorridere, guardandola come se la sapesse lunga.
“Andiamo, Catra! Non ho bisogno di saperlo per capirlo. Mi hanno raccontato che Adora sarebbe dovuta morire per salvare Etheria, e guarda caso non l’ha fatto, è sopravvissuta e più forte di prima, e tu…tu da quel giorno sembrasti semplicemente più completa, come lei, e quasi felice.”
Catra non rispose, limitandosi a battere le ciglia guardandola.
“So esattamente cosa è successo lí dentro, Catra. E soprattutto so esattamente che sei stata tu a salvarla, e quindi a salvarci tutti, o non saremmo qui. D’altronde, eri l’unica che avrebbe potuto, e mi domando come facciano invece tutti gli altri a non capirlo.”
Catra distolse lo sguardo, più che sbalordita.
“Se avessero tutti un cuore aperto come il tuo Scorpia…”
“Beh sai…io penso che a volte le persone lo abbiano, solo…non sappiano di averlo finché qualcosa, o meglio qualcuno, non glielo mostra.” Fece una pausa:” va bene, ammetto che la frase non sia mia, è stata Perfuma a dirmela, ma…io ci credo.”
Ed improvvisamente, Catra si trovò a combattere le lacrime. Cercò di ispirare profondamente, per cacciarle via, e deglutí, aggrappandosi al primo argomento che le venne in mente.
“Siete molto amiche con Perfuma, vero?”
La percepí illuminarsi ancora di più al suo fianco.
“Oh si! Almeno spero. Insomma, lei è una grandissima amica per me e…credo di esserlo anch’io per lei…”
Le poggiò una mano sulla chela, guardando altrove per non mostrarle le sue lacrime.
“Lo sei.”
Scorpia rimase in silenzio. Fu certa la stesse guardando, eppure non disse niente. Lasciarono cosí passare alcuni minuti, ascoltando i lievi rumori circostanti e godendo della reciproca, confortante presenza.
E Catra pianse. Pianse come voleva fare da troppo tempo, trovando in lei una comprensione silenziosa, necessaria eppure, come non avrebbe mai immaginato da Scorpia, non invasiva.
Lacrime catartiche che, sebbene non lenirono tutto il suo dolore, ne curarono una parte.
Lacrime di rimorso, paura, sollievo e speranza.
Poi, dopo un tempo indeterminato, seccatesi le lacrime e diminuita la luce a circondarle, scorsero i loro amici di ritorno dal bosco, e si apprestarono a scendere per accoglierli. Prima che potessero lasciare quel terrazzo però, Scorpia la fermò e la fece voltare, un’ultima volta.
“Catra, io sarò sempre tua amica, capito? Sempre. Qualsiasi cosa accada.”
Catra le sorrise, sinceramente questa volta, e non poté fermare un’altra lacrima dal lasciare i suoi occhi.
Scorpia rise, allegramente come solo lei sapeva fare, lei che forse doveva star soffrendo, o aver sofferto, molto di più per lei.
“Andiamo adesso, o crederanno che ci siamo perse!”
 
 
Adora continuava a non fare domande, ma Catra era certa avesse capito che qualcosa non andasse. Una mattina, quando si svegliò, la trovò già sveglia, seduta sul letto. Si sedette a sua volta e le sorrise, sebbene negli ultimi giorni non le venisse cosí facile farlo, perché sapeva che anche Adora poteva avere i suoi momenti. Le si avvicinò dal fianco e le scostò i capelli biondi dal viso con delicatezza.
“Tutto bene, Adora?”
E le parve quasi ridicolo essere lei a fare quella domanda, quando ultimamente parevano tutti rivolgergliela.
Ma forse non era giusto, perché si stava concentrando cosí tanto su sé stessa, sul rendersi la persona che avrebbe reso felice Adora, che della felicità di Adora non si stava più preoccupando, sbagliando ancora una volta.
Distolse lo sguardo, vergognandosi di sé, ma senza allontanarsi.
Lo sguardo dell’altra era incantato, fisso nel vuoto, ma sentendo la sua voce si riscosse e si voltò a guardarla. Le sorrise, e come ogni volta il suo sorriso le fece dimenticare per qualche secondo ogni problema.
Era bellissima, Adora, al mattino. Quando il sole faceva brillare i suoi capelli e schiariva ancora di più i suoi occhi azzurri come il cielo.
No, era incantevole. E incantata restava Catra ogni volta che la guardava, e non solo al mattino.
“Buongiorno.”
Disse dolcemente, e Catra sorrise al suono della sua voce.
Poi l’altra annuì:” si…si, va tutto bene, stavo solo pensando.”
“A cosa?” le chiese, in un sussurro, continuando a giocare con i suoi capelli.
Lei sorrise ancora e si voltò di più.
“Sai, non è vero che tu non hai cicatrici.”
Catra si bloccò, mentre un freddo gelido le congelò il sangue nelle vene. Ritirò la mano e si sforzò di restare a guardarla senza voltarsi e fuggire, come l’istinto le suggeriva di fare.
Ovviamente, Adora non aveva dimenticato, anzi. Ci ripensava. E di quello che aveva fatto Catra si vergognava, e ancora di più, temeva se ne vergognasse Adora.
“Che cosa intendi?” chiese, con cautela.
Adora la guardò come se la stesse redarguendo, come se lei stesse facendo finta di non capire.
“Sappiamo che tutto quello che faceva la tessitrice d’ombre non lasciava cicatrici visibili.”
Catra deglutí, cercando di contrastare il ricordo che non mancò, come sempre, di seccarle la gola. 
“Ma se questo non dovesse bastarti…” 
Allora Adora allungò lentamente la mano per arrivare a poggiarla sul retro del suo collo, esattamente dove un tempo aveva avuto il chip.
“…ne hai una proprio qui.”
L’altra continuò a fissarla stupita, accorgendosi che aveva ragione.
Non ripensava spesso a quando il grande Horde l’aveva resa parte del suo esercito. La sofferenza, allora, era stata davvero tanta si, ma allo stesso tempo, per quanto traumatico e terribile fosse potuto essere, se ne sentiva ancora quasi estranea, in certi momenti. Quasi come fosse successo a qualcun altro, e lei ne avesse percepito solo la sofferenza.
Molto più vividi restavano, invece, tutti gli altri ricordi.
Non rispose ad Adora, la lasciò continuare.
“Anche se non la vedi…non vuol dire che non ci sia. E non voglio dire solo questo.”
E aveva catturato completamente la sua attenzione, sfiorandole delicatamente la pelle lesa, in un gesto tanto semplice quanto d’effetto, da sempre, forse anche a causa della sua natura felina.
Si lasciò sprofondare dolcemente, Catra, in quel momento di dolcezza e sincerità.
“Quello che voglio dire è che…hai tante ferite, tanto male ti è stato fatto, Catra, e anche se non puoi sempre vederlo, o non vuoi sempre vederlo, perché ti senti troppo in colpa…Beh, non vuol dire che tu non lo abbia subito.”
E Catra sorrise. Non convinta, no, consapevole che fosse vero eppure restia ad accettarlo, ancora divisa tra il desiderio di lasciarsi cullare da quella nuova vita che le prometteva serenità, amore e felicità, e l’attrazione inevitabile che quel baratro buio esercitava su di lei, un baratro di ricordi, sbagli e fraintendimenti che la inseguiva con la minaccia di una perpetua oscurità.
Poggiò la mano sulla sua, per fermare i suoi movimenti, accorgendosi di essere ormai troppo esposta per essere vulnerabile.
Ma non la scostò, no. La prese e la portò alle labbra, poggiandovele delicatamente.
E non riuscí ad elaborare alcuna risposta a quello, solo l’unica verità che poteva dire di conoscere davvero, l’unica che non aveva mai messo in dubbio.
“Ti amo, Adora.”
E Adora sorrise. Un sorriso cosí bello da illuminare e sciogliere quel suo cuore malato.
Si avvicinò a lei per poggiare la fronte contro la sua. Chiuse gli occhi. Catra invece non lo fece, per assorbire quanta più poteva di quella luce magica che con la magia non aveva niente a che fare.
“Anch’io ti amo, Catra.”
E per sempre, non importava cosa ci fosse nella sua testa, cosa accadesse nel mondo, cosa tutti gli altri pensassero e dicessero, per sempre quelle sarebbero rimaste le sue parole preferite.
E forse, si risollevò in un barlume di speranza, mentre le labbra di Adora conquistavano per l’ennesima volta la sua anima, forse sarebbe arrivato il giorno in cui quello, e solo quello, sarebbe stato tutto ciò che avrebbe occupato il suo cuore. L’unica e sola cosa.
Quando si allontanò da lei, ancora sorridente, Adora sussurrò:
“Dovremmo andare adesso.”
“No!”
Rispose lei, esclamò, quasi istantaneamente, mordendosi la lingua un istante dopo per l’imbarazzo e la paura di sembrare troppo possessiva, troppo ossessionata, semplicemente troppo.
Ma Adora le rispose solo con una serena risata.
“No?” alzò un sopracciglio, divertita.
Catra arrossí, come solo l’altra era in grado di farle fare.
Per distogliere l’attenzione dal proprio viso prese le sue mani.
“Potremmo…sai, per oggi, restare qui ancora un po’?”
Chiese, sentendosi fragile ma non sentendo il bisogno di nasconderlo, non con lei.
Adora rise ancora e la abbracciò di slancio, ricadendo sul letto con lei.
E, almeno per un paio d’ore, Catra riuscì a dimenticare la tempesta dirompente nella sua testa e nel suo cuore.
 
 
Entrapta tornò a Brightmoon un paio di giorni dopo.
Aveva stabilito, con Hordak e l'Hordak sbagliato, ora chiamato Wordak, un enorme laboratorio tecno-scientifico nella rinnovata fortezza di Dryl, presto diventato punto di riferimento per la ricerca e lo sviluppo di tutti i regni di Etherea.
Tuttavia il tempo in cui nulla al mondo l'avrebbe portata fuori dal suo laboratorio era passato, cosí spesso si mettevano in viaggio, lei ed Hordak, anche lui affamato di mondo, non da conquistare, ma da conoscere, a quanto pareva, per prestare il loro aiuto nei vari regni approfittandone per visitarli e per cercare nuove idee e spunti per le loro invenzioni, lasciando a Wordak la reggenza del laboratorio e del regno.
In particolare, ogni volta che tornava a Brightmoon, Entrapta si intratteneva in lunghissime conversazioni con Bow riguardanti le reciproche nuove scoperte che lasciavano sempre entrambi entusiasti e tutti coloro che li circondavano perplessi e ancora svegli per miracolo. Eppure nessuno si era mai permesso di criticarli, perché dopotutto vederli cosí entusiasti faceva piacere a tutti, Glimmer compresa.
 
Entrapta, a seguito degli avvenimenti della guerra, aveva deciso di avere bisogno di "più persone e meno robot" nella sua vita, sebbene, sempre per citare le sue parole, per quanto le riguardava, i robot sarebbero sempre rimasti migliori e più comprensibili degli  esseri umani.
Ma, a dirla tutta, nell'ultimo periodo aveva dimostrato più attenzione non verso i robot , né verso gli umani, ma verso Hordak. Hordak che era insieme robotico ed umano, una macchina cosciente, pensante, con sentimenti, tutto quello che Entrapta aveva sempre cercato.
Aveva lavorato a lungo su di lui, dopo la fine della guerra, per ripristinare i suoi ricordi, certa che, in quanto provvisto di memoria digitale, non avrebbe potuto perderli del tutto, chiudendosi nella sua fortezza per settimane. Lui glielo aveva permesso senza discutere, perché a sua volta, in Entrapta, aveva trovato qualcosa di unico: un'umana che ragionava come un robot, pensante e cosciente, con sentimenti. Una sua simile, dopotutto. Tutto quello che Hordak aveva sempre cercato.
E alla fine, a quanto lei aveva lasciato intendere, ce l'aveva fatta a recuperare i suoi ricordi. Non erano tornati tutti insieme, si ripresentavano poco alla volta e non sempre in modo ortodosso, ma Entrapta sapeva esattamente come gestirle Hordak e, nonostante tutti i suoi precedenti, dopo mesi si poteva affermare che non avesse ancora fatto del male a nessuno, e che molto probabilmente, almeno finché avesse avuto Entrapta al suo fianco, non lo avrebbe fatto.
Catra era sicura l'avesse riconosciuta ormai da tempo, ma non aveva ancora trovato il coraggio di andare a parlargli, né un motivo per farlo, in verità.
Tuttavia, quando le giunse la notizia che stavano giungendo a Brightmoon per il periodico ritiro di materiale residuo trovato nel bosco dei sussurri, le venne un'idea. E per quanto azzardato potesse essere parlare con Entrapta, questa era l'idea che le era venuta, ritenne valesse la pena tentare.
Perché Entrapta, con le sue invenzioni, materialmente aveva causato alle sue amiche persino più danni di quanti ne avesse causati lei, quindi in qualche modo anche lei avrebbe dovuto provare quelle sensazioni, quei sensi di colpa, sebbene senza dubbio con minore intensità, visto che alla fine era stata un semplice mezzo, così come le sue macchine.
Però sembrava stare bene ormai da tempo, pareva essere andata avanti, e Catra voleva davvero capire come ci fosse riuscita.
Così, quando la mandarono a riparare dell'attrezzatura nel seminterrato del castello, Catra decise di seguirla in silenzio, per approfittare di uno dei pochi momenti in cui girava senza Hordak per parlarle.
Proprio a causa della presenza di quest'ultimo infatti non aveva avuto poi molti contatti, ancor meno conversazioni, con lei, perché, semplicemente, quando vedeva Hordak camminarle accanto Catra cambiava strada.
 
Aspettò che lei fosse rimasta completamente sola, anche perché non avrebbe voluto che nessun altro udisse quella conversazione, e poi rivelò la sua presenza comparendole alle spalle, forse fin troppo silenziosamente perché Entrapta sobbalzò e i sui suoi capelli la lasciarono quasi cadere a terra.
"Wow, Catra, dovresti essere più rumorosa quando segui la gente, altrimenti la farai morire di paura!" esclamò, tornando a darle le spalle un istante più tardi.
La solita Entrapta.
Vedere che non era cambiata la fece quasi sorridere.
"Ciao...Entrapta."
"Ciao!" rispose lei, spalancando rumorosamente il vano metallico di quella macchina cui utilità Catra non era certa di voler scoprire.
Balzò leggermente all'indietro al frastuono, ma non si allontanò.
"Stai bene...vedo." le disse.
E non era facile, neanche con una come Entrapta, iniziare una conversazione seria e...personale; non dopo averla mandata a morire su un'isola selvaggia.
Che poi lei vi avesse trovato il paradiso, era tutta un'altra storia.
Insomma, lei era Entrapta.
"Benissimo!" esclamò, e la sua voce squillante riverberò nell'ambiente deserto, contro la ferraglia.
"Sai, io e Hordak stiamo ricostruendo le macchine che lui aveva nel suo laboratorio nella zona della paura, e lui sà cosí tante cose! Nei progetti di quelle macchine ci sono tracce di tecnologie provenienti da parti dell'universo che non avevo neanche idea esistessero! E,da quando ha ospitato la coscienza collettiva del Grande Horde, Hordak ne conosce ancora di più!"
Catra non rispose. Quando aveva sperimentato la "coscienza collettiva" non aveva avuto occasione di conservarne un'opinione positiva come quella che ne aveva Entrapta. Quest'ultima, cogliendo il suo silenzio, si girò improvvisamente.
"Oh, era indelicato, vero? Scusami!"
Disse velocemente, tornando poi al suo lavoro.
Si, forse era stato indelicato parlarne con Catra, ma offendersi con Entrapta era praticamente impossibile, a parte il fatto che lei ne era cosí entusiasta che...
"Sai, Hordak vorrebbe anche creare un nuovo clone."
Catra storse la bocca. C'erano già abbastanza Hordak e simili in giro, per i suoi gusti.
"Non ce ne sono già abbastanza, in giro per Etherea?"
"Nononono! Un clone...diverso! Un clone che sia suo!" fece saltare via un vecchio ingranaggio arrugginito che Catra schivò per un pelo.
"E sai...visto che lo sto aiutando sarà anche un po'...nostro..." sussurrò.
E Entrapta non sussurrava mai, ma soprattutto, Entrapta non arrossiva mai, come invece stava facendo in quel momento. E si, Hordak le aveva causato un sacco di dolore e problemi sin dalla sua infanzia, ma in quel momento Catra non poté che sentirsi intenerita davanti a tutto l'affetto che quella principessa sembrava provare per lui.
Sperava soltanto lui non l'avrebbe delusa.
Sorrise, ed in un attimo si sentí quasi invidiosa del suo benessere. Lei, nonostante tutto, era andata avanti. Ed era normale che fosse cosí, e Catra era certa che sarebbe dovuto essere cosí anche per lei. Certo, il suo operato era incomparabile a quello di Entrapta, ma comunque...
Dannazione, persino Hordak era andato avanti, nonostante quello che aveva fatto, e non c'entrava nulla il fatto che fosse una macchina.
E grazie a lui Entrapta aveva già la possibilità di progettare un futuro. Un clone, una sorta di creatura che sarebbe stata solo loro...
Per un attimo immaginò cosa avrebbe significato avere una creatura propria, da crescere con la persona amata, con Adora, a cui dare tutto quello che loro non avevano mai avuto, e per quell'attimo le parve sarebbe stato meraviglioso.
Ma Catra era ancora troppo chiusa nel proprio passato per dare ad Adora la possibilità di progettare il loro futuro, e forse si odiò per questo piú che per qualsiasi altro male le avesse inflitto. Perché Adora meritava di piú.
Deglutí, cercando di tirarsi fuori dal vortice dei suoi pensieri e di rivolgere l'attenzione nuovamente all'altra.
Aveva una conversazione da fare, dopotutto, anche se non si sentiva piu cosí sicura di volerlo.
Forzò un sorriso.
"Sono contenta per te, Entrapta.”
Hordak...ha recuperato del tutto la memoria?"
"Sii, più o meno. A volte torna ancora qualcosa, e beh, non deve essere piacevole a giudicare dall'umore che assume, ma...credo sia tutto al suo posto."
Catra annuí in silenzio, anche se l'altra non avrebbe potuto vederla.
"Oh ma, si ricorda di te!" si girò entusiasta.
"A dir la verità mi ha chiesto di te, proprio qualche giorno fa."
Catra deglutí. Un terrore di cui non riconosceva la causa a legarle lo stomaco, lo stesso effetto che le avrebbe fatto anni prima venir chiamata da lui.
"Di me?"
Entrapta annuí.
"Si, voleva sapere come stavi. Beh, in verità se eri viva. Non so come vi siate lasciati ma...non pareva esserne cosí sicuro."
E Catra ricordò. Ricordò come fosse certa fosse stato lui il clone che l'aveva accompagnata alla vasca, per terminare con un tragico atto la commedia che insieme, anime abbandonate, avevano portato avanti per anni.
Ricordò il vuoto nei suoi occhi mentre la spingeva giù.
E poi, ricordò il dolore.
Ecco come si erano lasciati.
Strinse gli occhi tremando leggermente, sentendo la familiare morsa del panico aggredirle il petto, mozzandole il respiro.
Si sforzò di calmarsi. Doveva.
Cercò di riacquistare controllo sul proprio respiro.
Dentro e fuori, era semplice. Dentro e fuori.
Le giunse distante la voce di Entrapta.
"Catra, tutto bene?"
Le si avvicinò lentamente.
Catra si sforzò di annuire, di riaprire gli occhi e di sorridere.
"Si..." la voce le si mozzò in gola. Riprovò.
"Si, grazie. Sto bene."
Entrapta annuí ed un istante dopo era di nuovo sul suo lavoro.
Si schiarí la gola, cercando di riportare chiarezza tra i suoi pensieri.
"Entrapta, tu...ripensi mai al passato?"
E se c'era un aspetto di Entrapta che Catra davvero non poteva negare di apprezzare, era il poterle parlare con schiettezza. Con tutti gli altri servivano infiniti giri di parole per arrivare al punto senza ferire i loro sentimenti, ma non con Entrapta.
"Al passato? Continuamente!"
Però, per quanto fosse facile parlarle, era altrettanto difficile capirla. Delle volte Catra arrivava a credere che davvero ci fossero più ingranaggi e circuiti nel suo corpo che organi.
"Se non pensassi al passato, come potrei vivere nel presente? Tutto quello che so l'ho imparato nel passato...o almeno credo. É quello che dice il mio registratore: nel giorno uno ho scoperto qualcosa che uso poi nel giorno due. Ed il giorno due viene dopo il giorno uno...di solito. Se non pensassi al giorno uno, e poi al giorno due, probabilmente non concluderei il mio esperimento nel giorno tre, non credi?"
E mentre Catra cercava di stare dietro al suo discorso, lei si zittí improvvisamente, voltandosi con aria preoccupata.
"Non dovrei? Sai io...sto ancora cercando di capire le persone. I robot sono facili, ma le persone..." accennò una risata:" ...uff, sono difficilissime! Voi non pensate al passato?"
Catra assecondò la sua risata lievemente.
"No...cioé sí, puoi pensare al passato, anche le persone ci pensano...piuttosto spesso in verità.
Però io intendevo...se pensi a quello che abbiamo fatto, durante la guerra."
Entrapta si fece seria e parve pensarci intensamente per qualche secondo.
"Beh, ho imparato tante cose anche allora." si voltò, tornando a lavorare, sembrando aver riacquistato improvvisamente tutto il suo entusiasmo.
"Tutta quella tecnologia degli antenati, tutti i macchinari che avevate nella zona della paura, per non parlare dell'isola delle bestie! Quel posto é meraviglioso, con Hordak stiamo lavorando ad una nave attrezzata per tornarci."
Quantomeno, pensò Catra, la passione che Entrapta aveva per quel luogo, per quanto estremamente pericolosa, era una delle poche cose che poteva lenire almeno un po' il suo senso di colpa per avercela mandata. 
"Sai, sono contenta quel posto ti sia piaciuto cosí tanto, però non credo sia una buona idea tornarci. Ti sei salvata una volta...sei sopravvissuta non so come, tentare la fortuna una seconda volta...non mi sembra molto saggio."
Entrapta, semplicemente, rise.
"Ma l'isola delle bestie é il mio posto! E sai, credo che abbia un nome poco carino. Le bellissime creature che ci sono non sono certo bestie!"
"Certo, come no." biascicò Catra:" chissà come mai nessuno prima di lei e Micha era mai tornato."
"Non devi sentirti in colpa per me, Catra!" urlò, sopra l'improvviso rumore del martello sul ferro percosso senza pietà.
Catra, per tutta risposta, sentí la solita pugnalata nel petto, e d'improvviso le sembrò che non fosse giusto che Entrapta l'avesse perdonata cosi facilmente, e che non fosse giusto che si dimostrasse addirittura contenta di quanto lei le aveva fatto. Ed era folle, si, ma forse Catra si sarebbe sentita meglio se qualcuno avesse riconosciuto le sue colpe, senza cercare di farle credere di poterle dimenticare del tutto.
Si avvicinò a lei per sovrastare il rumore.
"Quando ti ho mandata lì non sapevo che saresti sopravvissuta!"
Urlò di rimando.
Entrapta diede ancora alcune martellate e poi si sollevò la maschera, girandosi a guardarla.
"Catra, sul serio, se non mi avessero costretta a tornare indietro io sarei rimasta lí! Dovrei ringraziarti invece!"
Catra scosse la testa. Poi improvvisamente realizzò quanto ribattere fosse inutile e si arrese.
Guardò altrove.
"Tu non ti senti mai... In colpa? Insomma, non ti ho certo costretta ad aiutarmi. Non sapevi esattamente cosa facevamo ma...lo hai fatto."
Entrapta annuí.
"Lo so. Ma é stato tanto tempo fa, Catra! Allora non sapevo tante cose. E poi non l'ho fatto per cattiveria, l'ho fatto per la scienza, per la tecnologia, per il progresso! E anche tu, non lo hai fatto per cattiveria. Lo hai fatto...per amore, credo, no? Quindi alla fine..." si strinse nelle spalle
"...magari non é stato giusto, e io l'ho capito un po' tardi, e...beh, anche tu, però abbiamo comunque fatto un progresso nelle nostre ricerche, no? Adesso sappiamo che era sbagliato. Gli esperimenti possono anche fallire, questo non vuol dire che non potranno mai avere successo."
Finito di parlare, si calò di nuovo la maschera sul viso e si girò. Poi accese la fiamma ossidrica e si rimise a lavoro come se niente fosse.
Catra rimase assolutamente immobile per qualche secondo. Poi, non appena il rumore le ferí le orecchie, si fece indietro.
 
Era davvero...sbalorditivo, come Entrapta trovasse una soluzione cosi semplice per tutto.
Si, Catra la invidiava davvero.
Ma, lasciandola al suo lavoro senza una parola in più, consapevole che per lei non avrebbe fatto differenza, si accorse che non aveva del tutto ragione.
Certo, gli esperimenti potevano fallire e al tempo stesso potevano aver successo, non faceva differenza. Ma, gli esperimenti, non ferivano le persone. Non tutti almeno.
Invece Catra sapeva fin troppo bene che alcune ferite, una volta inferte, non potevano mai più guarire.
 
 
Della conversazione con Entrapta di due giorni prima, una cosa era rimasta particolarmente impressa nella mente di Catra: Hordak aveva chiesto di lei. E non riusciva a smettere di chiedersi che ragioni avesse Hordak di chiedere di lei. Dubitava la sua salute lo interessasse in alcun modo e ancora di più dubitava che avesse sensi di colpa.
Tuttavia, a quanto pareva ora lui era diverso, quindi forse poteva sbagliarsi.
Forse davvero gli interessava qualcosa di lei: dopotutto, erano stati un'ottima squadra nella conquista di Etherea. Certo, in realtà aveva fatto tutto Catra e lui non l'aveva mai considerata sua pari, ma comunque...
Ma poi si redarguiva: aveva già fatto questo errore una volta, no, mille volte, con la tessitrice d'ombre. Già migliaia di volte si era illusa di contare qualcosa per lei, e non era mai stato vero.
Alla fine era morta, certo, le aveva detto che era fiera di lei, ma Catra continuava ad essere convinta che più che altro fosse morta per Adora, non per lei; e perché non aveva niente da perdere.
Ad ogni modo, era stata debole sotto quel punto di vista persino quando credeva di essere già forte: adesso che tentava di diventarlo, non ci sarebbe ricascata.
Eppure il pensiero era lì, a tornare a bussare alla sua mente ogni volta che realizzava che Entrapta era ancora lí a Brightmoon, e dunque ancora le restava una possibilità di provare a capire, di tentare persino l'impensabile: parlare con lui.
Doveva ammettere che l'idea non le piaceva per niente, anzi la spaventava, forse terrorizzava perfino, e non per quello che Hordak avrebbe potuto dirle o farle, no, ma perché era quasi sicura che, guardando nei suoi occhi, vi avrebbe visto riflessa la sé stessa del passato, e non era certa di essere in grado di sopportarlo. Non in quel periodo.
 
Ad ogni modo, scegliendo di fare qualcosa che da poco si stava abituando a fare, chiese consiglio ad Adora.
Le raccontò di quello che aveva detto Entrapta, pur senza scendere nei dettagli della conversazione, e poi le chiese cosa avrebbe dovuto fare, quale sarebbe stata la scelta migliore, perché si stava impegnando tanto, davvero tanto, per non sbagliare, ed era certa che Adora sapesse esattamente quale fosse la cosa giusta da fare. Come  la sapeva sempre, d'altronde.
Lei si mostrò perplessa. Non le rispose subito, ci pensò sú a lungo.
Poi le disse che no, non riteneva fosse una buona idea parlargli, perché lui ormai era parte del suo passato, un passato duro che avrebbe fatto meglio a dimenticare.
Lei stessa non ne aveva cosí tanta voglia.
Tanto non avrebbero avuto molto a che fare con lui in ogni caso, le disse.
 
E Catra provò ad ascoltare il suo consiglio, ci provò davvero. Ma, forse per inclinazione naturale, forse per abitudine, la cosa le era sempre stata molto difficile da fare, cosí i dubbi ed i cattivi pensieri continuarono a tormentarla, insieme all'angoscia per quel possibile confronto.
Fino al giorno della loro partenza.
 
Entrapta stava caricando, con l'aiuto di alcune guardie di Brightmoon, tutti i pezzi recuperati sulla navetta con cui erano giunti fin lí e con cui sarebbero tornati a Dryl.
Una gemella di Darla, l'aveva definita lei, ma personalizzata.
Catra non aveva trovato alcun impiego quella mattina, cosí, come spesso le capitava di fare, si era ritrovata a passeggiare per il giardino del castello.
Amava quel luogo: i fiori erano stati per lei una novità, quando era giunta a Brightmoon. Nella zona della paura simili esemplari di bellezza erano negati.
Ricordava che l'unica volta che ne aveva visto uno, anni prima, quando era ancora una bambina,  abbandonato nel corridoio che conduceva al portello di uscita dal quartiere, non sapeva cosa fosse né da dove venisse.
Ma, sebbene mezzo appassito, le era sembrato bellissimo, e la prima cosa che aveva pensato di fare era stata regalarlo ad Adora. Quando poi l'aveva scoperto la Tessitrice D'ombre, lo aveva strappato via dalle mani della sua amica e lo aveva distrutto con la magia. Ovviamente Catra era stata punita per quello, ma ne era valsa la pena, si, per il bellissimo sorriso che Adora le aveva regalato quando aveva guardato quel piccolo fiore, e per il ricordo che ancora ne conservava.
Lí a Brightmoon poi, aveva scoperto che i fiori, oltre che bellissimi, erano anche profumati. E da allora non era più riuscita a farne a meno.
Si occupava personalmente persino del piccolo mazzo che lei e Adora avevano in camera, rinnovandolo selezionando sempre i fiori migliori del giardino (sebbene non tutti fossero d'accordo con il fatto che li raccogliesse).
E amava tutti i tipi di fiori, da quelli desertici a quelli marini.
 
C'era solo una pianta in quel giardino a cui non si avvicinava mai e da cui non coglieva mai fiori.
Si trovava in un angolo della serra, un angolo piuttosto speciale, il più illuminato dal sole.
Era una Peonia dai grandi fiori color porpora.
Da quello che i giardinieri e le guardie avevano riferito, era stata cresciuta personalmente dalla Tessitrice D'ombre durante il suo periodo di permanenza a Brightmoon. Dicevano che non avesse permesso a nessuno di loro di toccarla, che fosse stata sempre e solo sua.
E, adesso che lei non c'era più, era rimasta lí in sua memoria.
Godeva di un aiuola personale, finemente decorata con minuscoli frammenti di ametista, e veniva curata dai giardinieri più esperti: in qualche modo, era il loro modo per commemorare quella che era stata, sebbene solo alla fine, a sua volta una protettrice di Etherea, ed era persino morta per la causa.
A volte Catra la guardava e pensava che non fosse giusto, no, che dopo tutto quello che aveva fatto fosse cosí ricordata, come fosse stata sempre un'amica e non una terribile "madre" e nemica. Si, madre. Perché la Tessitrice D'ombre era la cosa più vicina ad una madre che Catra avesse mai conosciuto. Ed era per questo che, nonostante tutto il dolore, nonostante il tradimento, l'affetto a lungo provato e mai concesso, quando passava davanti a quella pianta il cuore le si stringeva fastidiosamente, in parte di rabbia, in parte di dolore, in parte di amore.
Perché nonostante tutto, aveva pianto alla sua morte. Quando, per l'unica volta, le aveva detto di essere fiera di lei.
E non poteva sapere se fosse vero o se lo avesse detto solo per darle un'ultima, terribile punizione che avrebbe continuato a perseguitarla anche dopo la sua morte, ma sapeva bene che quelle parole non sarebbero mai uscite dalla sua testa.
E dunque, visto che non amava ripensare a lei, almeno non volontariamente, e nella maniera più assoluta non amava provare quelle sensazioni ogni volta che lo faceva, cercava di tenersi lontana da quella pianta dal profumo soffocante.
 
Quel giorno però, qualcosa attirò la sua attenzione proprio in quella direzione. Una figura, più imponente di quelle delle guardie, più familiare di quanto le piacesse ammettere.
Si voltò e lo vide, Hordak, in piedi davanti alla peonia, intento, apparentemente, ad osservarla.
E non seppe spiegarsi il perché, né riuscí, effettivamente, a pensare ad altro del tutto, oltre che a raggiungerlo, lentamente, in silenzio, ponendo fine una volta per tutte a tutti i suoi dubbi.
Si fermò sulla soglia della serra, sentendo quella stessa decisione abbandonarla. Ormai era tardi per tornare indietro, ma quel timore che aveva serbato per tutto quel tempo non le permetteva di lanciarsi troppo, né troppo velocemente
Hordak tuttavia parve percepire la sua presenza.
Si girò e la fissò per un attimo, gelandole il sangue nelle vene, per poi dire il suo nome, in un misto di perplessità, sorpresa, ricordo e qualcosa che, se non si fosse parlato di Hordak, Catra avrebbe potuto riconoscere come dispiacere.
"Catra..."
La sua voce era leggermente diversa da prima, meno roca e profonda, più chiara e limpida.
Entrapta doveva aver fatto qualcosa di davvero speciale ai suoi circuiti, pensò. O forse vi aveva solo rimosso la ruggine.
Sfortunatamente però, l'ironia che prima l'aiutava a fronteggiare il nemico con spavalderia si rivelò inutile. Forse soprattutto perché non era certa che quello che aveva di fronte fosse un nemico.
E cosa avrebbe mai potuto dire Catra, ad Hordak?
Parole cariche di disprezzo, recriminazioni, puntualizzazioni, umiliazioni, affermazioni del proprio valore, fiere parole di gloria figlie del senno del poi, avvertimenti, ricordi, scuse.
Ma no, qualcosa le disse che non era pronta, non ancora.
Ancora il passato impregnava troppo ogni parte di lei per riutilizzarlo a scapito di qualcun'altro, ancora non era salva da esso,  e dunque non poteva trascinare nessuno nella sua trappola se non al costo di restarne anche lei imbrigliata nelle profondità.
E poi era stanca di lottare. Davvero stanca.
 
Distolse lo sguardo rimasto fisso sui suoi occhi luminosi, lo portò sulla Peonia.
Ricordò la Tessitrice D'ombre e, per una volta, il suo ricordo le diede forza. Ricordò come lei non si fosse mai fatta problemi ad affrontarlo, e si chiese cosa mai avessero trovato entrambi, l'uno nell'altra , di cosí speciale da portarli ad allearsi in primo luogo.
Quasi certamente si trattava principalmente di interesse, vantaggio personale che lui ricavava dalla sua magia e dal suo tempo, potendo così dedicare il proprio solo al suo laboratorio mentre lei cresceva il suo esercito, e che lei ricavava dalla sua potenza, dalla protezione e dal ruolo che ne conseguivano. Però ci doveva essere altro, oltre quello, perché due persone come loro, concentrate quasi solo su loro stesse e chiuse quanto fortezze, non si sarebbero alleate con il primo malvagio di passaggio.
Forse, più di tutto, era stata la loro solitudine ad accomunarli, e quello stesso amore riservato solo a loro stessi.
Ad ogni modo, la Tessitrice D'ombre, sebbene lui non gliene avesse mai reso merito, era sempre stata alla sua altezza, e di certo Catra non sarebbe stata da meno. Per tutta la vita si era impegnata a non esserlo.
 
Con lo sguardo fisso sulla Peonia, la testa alta e più coraggio sul viso di quanto ne avesse nel cuore, si avvicinò a lui, fermandosi poi al suo fianco di fronte alla pianta.
"Lei é morta, lo hai saputo?"
Disse solo, lei. E non sapeva se quello fosse davvero il modo migliore di iniziare la conversazione, ma in quel momento ogni modo le parve migliore del parlare di sé, di loro.
Lui distolse lo sguardo da lei. Lo riportò sulla pianta, sulla targhetta che portava il nome della donna, e annuí.
"L'ho saputo."
Un attimo di silenzio.
"Ha contribuito a salvarci tutti, alla fine. Chi lo avrebbe mai detto?" Catra tentò un sorriso ma non fece che portarle amaro in bocca.
"Già...deve essere cambiata, alla fine."
Questa volta il sorrisetto ironico sorse più spontaneo.
"Cambiata? No. Lei non é mai cambiata. Penso che alla fine abbia semplicemente...cambiato interessi, ecco tutto."
Hordak non rispose.
Ed era quasi buffo, loro due, dopo tutte le lotte, le ferite e le sottomissioni, due mostri di solitudine ed egocentrismo, lí soli, a ricordare qualcuno che, seppure in modo diverso, era stato importante per entrambi e forse lo era ancora, senza neanche il coraggio di guardarsi in viso.
 
Era stato un esperimento fallimentare, Catra ormai ne era sicura, e, a differenza di quanto sosteneva Entrapta, le cose tra loro due non si sarebbero mai aggiustate. Avrebbe dovuto seguire il consiglio di Adora, e restare lontana da lui.
Eppure, quando lui parlò di nuovo, le venne impossibile non ascoltare.
"Come...stai, Catra?"
Hordak che le chiedeva come stava! Entrapta doveva aver fatto davvero un bel pasticcio con quei circuiti. Non che fosse una cosa del tutto negativa, certo. Anzi...
"Bene." disse solo, facendo ricadere entrambi in uno scomodo silenzio.
Si decide ad alzare lo sguardo sul suo volto, dopo alcuni secondi, ma non appena lo fece immagini dello stesso, e di mille uguali al suo, mentre veniva immersa in quella vasca, le tornarono alla mente e repentinamente distolse lo sguardo.
Lui si voltò appena, avendo evidentemente percepito il movimento, ma non disse nulla.
Così, Catra si sforzò di portare la discussione su qualcos'altro.
" Entrapta mi ha detto che...lavorate molto, in laboratorio insieme."
"É vero."
"E la cosa...ti sta bene? Nella zona della paura non lasciavi avvicinare nessuno al tuo laboratorio."
E se non ci fosse stata cosí tanta luce, dagli ingannevoli riverberi, Catra avrebbe potuto dire di averlo visto addirittura sorridere, nel riflesso che il vetro accennava di lui.
"Nessuno, nella zona della paura, era come Entrapta."
E in quel momento Catra non ebbe più alcun dubbio sul fatto che avessero davvero un effetto straordinario l'uno sull'altra, quei due.
"Questo suppongo sia vero..." disse lei, un velo di ironia nella voce.
Ma lui non rispose subito, e quando lo guardò nuovamente, questa volta con più coraggio, si accorse che sí, stava sorridendo davvero.
Non aveva mai visto Hordak sorridere.
"Lei é...intelligente, no, geniale, e riesce a...capire cose che gli altri non possono, anche...di me. Della mia mente. E poi...mi ha salvato dall'influenza del grande Horde, lei é sempre stata l'unica ancora al passato...all'Hordak non clone, che avessi."
In qualche modo Catra si sentí insultata da tutto quello, ma non disse niente a riguardo.
Annuì.
"Sono...contenta per te, suppongo."
Catra era contenta per Hordak? Davvero?
Si, davvero, anche se si accorse di quanto quelle parole fossero vere solo dopo averle pronunciate.
Fu lui a girarsi.
"Vuoi dire che...non mi odi?"
E c'era qualcosa nella sua voce, una particolare inflessione, che le fece credere che a lui importasse davvero.
Ma Catra sorrise, dell'amarezza e dell'empietà che le riempivano ancora l'animo.
"Per quello che hai fatto...per tutta la mia vita, no, la nostra vita,  probabilmente ti odierò per sempre."
Lui chinò il capo, parve quasi sconfitto, ma non disse nulla e si voltò nuovamente verso la pianta.
"Ma..." riprese Catra:" ...io non sono più quella persona. E credo non lo sia piú neanche tu."
Prese un respiro profondo, trovando coraggio.
"Non voglio più...pensare al passato. Alla zona della paura, alla Tessitrice D'Ombre o...a quello che abbiamo fatto. Non voglio più provare odio. Voglio solo...andare avanti. Vivere una vita che non sia fatta solo di rancore, vendetta ed istinto di sopravvivenza.
Quindi no, Hordak, non ti odio. Sto provando a non farlo. Sto provando a meritare quello che le persone, finalmente, mi offrono. Una casa, amore, libertà. Quello che voi non ci avete mai concesso."
Lui chinò nuovamente la testa, le luci dei suoi occhi riflesse nella parete di vetro della serra parvero affievolirsi.
"Non rovinerò tutto un'altra volta."
E cosí, rimasero in silenzio. A lungo e senza ragione, o forse solo senza una ragione per parlare, persino per essere lí, insieme.
Poi la silenziosa tristezza di Hordak si incrinò, insieme alla sua espressione, in una sorta di distorto sorriso.
"Alla fine abbiamo avuto quello che meritavamo, non é cosi?"
Catra non poté trattenersi dal rilasciare una breve risata.
"Abbiamo fatto cose orrende, Hordak. Non meritiamo affatto nulla di tutto questo. Nessuno di noi due." disse, sarcastica.
Lui scosse la testa.
"Non mi riferisco ad adesso...parlo del grande Horde."
Lei si voltò a guardarlo, interessata. Lo lasciò continuare.
"Tu ti sei voluta spingere oltre i tuoi limiti, prima con il portale, poi con il conquistare l'intera Etheria. Alla fine, qualcuno ha conquistato te.
E, se ti conosco almeno un po', saprai perfettamente anche tu che é quello che meritavi."
D'inizio si sentí offesa, ferita, da quelle parole, perché Hordak non aveva assolutamente alcun diritto di giudicarla e di stabilire cosa avesse meritato e cosa no, non dopo tutto quello che  aveva fatto. Ma poi, semplicemente, realizzò che aveva ragione. Per quanto doloroso e terribile ed ingiusto...lo aveva meritato.
E forse quel pensiero fece prendere una boccata d'aria al suo animo colpevole e travagliato nella sua colpa.
"E tu?" chiese solo.
"Io ho cercato il grande Horde per tutta la vita, non badando a niente e a nessuno, né alle ferite che lasciavo, né agli errori che facevo. E l'ho fatto per affermarmi, per essere qualcuno diverso da lui, per essere me ed essere potente. E alla fine...sappiamo com'é andata. Ho finito per essere nessuno.
Era quello che meritavo."
E si chiese, Catra, da dove avesse preso tutta quella saggezza uno come Hordak.
Aveva ragione, ecco quello che meritavano: naufragare nel mare delle conseguenze delle loro azioni senza essere in diritto di cercare un appiglio.
Guardò nuovamente la pianta, con rinnovata intensità.
"É stato anche il suo destino. La magia che tanto bramava, alla fine l'ha uccisa." aggiunse, con voce piatta.
"Credo sia sfuggita alla morte fin troppo a lungo."
Concluse Hordak, e parve realmente non ci fosse più nulla da dire.
Rimasero cosí, in una strana familiarità che non avrebbero mai pensato di poter avere l'uno con l'altra, accomunati dal loro passato e dal suo orrore.
Poi lui si voltò del tutto verso di lei e le parlò per l'ultima volta.
"Ti chiedo scusa, Catra, per tutto quello che ho fatto. Credo che dopo tutto questo tempo...tu lo meriti."
E forse per la solitudine che dalla nascita albergava nell'oscurità del suo cuore, che per tutta la vita si era aggrappata ad un folle desiderio di amore impossibile, e che ora vedeva, per la prima volta, la prima vera volta, un barlume di luce, sentí le lacrime salirle agli occhi.
Ma non pianse, no. Non se lo sarebbe mai permesso davanti a lui. Le cose potevano cambiare, ma non cosí tanto.
Deglutí.
"Beh io...suppongo dovrei chiederti scusa per quello che ho fatto ad Entrapta, allora. Adesso che so quanto...tenessi a lei, mi rendo conto di quanto debba averti ferito. Allora non credevo che fossi in grado di...affezionarti a qualcuno."
Distolse lo sguardo, sforzandosi di tenere a freno le lacrime.
Lui sorrise leggermente.
"Non lo credevo neanch'io, a dir la verità. Ma...non credevo neanche che tu avresti mai trovato la pace, ed invece eccoti qui."
Catra forzò un sorriso, un debole tentativo d'accettazione della redenzione di un padre mancato.
"Già...sono cambiate molte cose..."
"Già."
A quel punto, una voce acuta e lontana richiamò l'attenzione di entrambi.
Entrapta chiamava Hordak  agitando i capelli per annunciargli che erano pronti alla partenza.
Così Hordak guardò Catra, un'ultima volta.
"Grazie. Per il tuo perdono. Non sono certo di meritarlo, ma...voglio andare avanti anch'io."
Si voltò per un momento a guardare Entrapta.
"Con lei."
Catra sorrise, questa volta realmente, seppur negli attimi in cui iniziò ad avvertire la morsa dell'oscurità rampante, dal suo petto alla sua gola.
Non gli rispose, si limitò a fare un cenno con il capo.
"Ciao, Catra." terminò lui, al secondo richiamo di Entrapta.
"Ciao, Hordak."
Anche lui sorrise. Poi le diede le spalle ed uscí dalla serra, lasciandola sola.
 
Catra tornò alla Peonia, in un silenzio statico e teso. La guardò intensamente, rilesse il nome alla sua base, sulla terra.
Si chiese cosa avesse di meglio, dopotutto, lei rispetto a loro. Perché la Tessitrice D'ombre fosse morta e lei no. Perché potesse perdonare Hordak, sebbene non del tutto, ma non riuscisse a perdonare sé stessa.
Poi, l'oscurità l'avvolse di nuovo.
Il suo corpo, o forse il suo animo, cedette, e lei cadde in ginocchio alla base della pianta.
E allora, solo allora, Catra pianse.
 
 
"Non posso farlo."
"Oh, Catra, andiamo! Che cosa significa che non puoi farlo?"
Catra scosse la testa, risoluta e lievemente terrorizzata.
"Non posso."
Adora sbuffò, passandosi le mani tra i capelli, rovinando leggermente l'acconciatura.
Catra la fissava, si, decisamente terrorizzata, dalla prospettiva dell'evento che si sarebbe tenuto da lí a poco e da un possibile litigio con lei.
Nessuno l'aveva avvisata. Nessuno le aveva detto che quel giorno ci sarebbe stata la commemorazione della regina Angella.
E lei non poteva presentarsi. Semplicemente, non poteva farlo.
Ma Adora quel pomeriggio non sembrava avere abbastanza pazienza per assecondarla.
"Ascoltami bene, Catra. La tua presenza é... La tua assenza," si corresse:" sarebbe alquanto sconveniente, quindi é piuttosto importante che tu venga. Nessuno ti farà nulla, ok? Ci sono io con te."
Adora forzò un sorriso, tentando un ultimo approccio pacifico e rassicurante.
Ma non c'erano modi in cui quelle parole potessero convincere l'altra.
"Non mi importa se é sconveniente!" scattò, vedendo Adora smontare quel sorriso all'istante e non riuscendo comunque a fermarsi.
"Non verrò lí, davanti a Glimmer e a re Micah, a far vedere la mia faccia e a ricordar loro che, hey, sono responsabile per la sua morte!" esclamò.
"É proprio per questo che dovresti venire invece! Che impressione darai restando qui?"
Catra, seduta sul letto, si portò le ginocchia al petto testardamente.
Forse Adora aveva ragione, ma lei non poteva farcela, non in quel momento, non dopo tutto quello che era accaduto negli ultimi giorni.
"Non mi importa che impressione darò. Non posso venire." borbottò.
Adora allargò le braccia, spazientita.
"Beh allora dí pure che non vuoi venire! Per quanto tempo ancora andrà avanti questa storia, Catra?"
Se possibile lei si strinse ancora di più in sé stessa. Non voleva litigare con Adora, non di nuovo. Non voleva essere per lei un problema, non voleva essere un problema per nessuno.
Ma era cosí difficile... L'idea di come tutti l'avrebbero guardata, additando a lei la colpa della morte della loro ex regina, il modo in cui avrebbe cercato di evitare lo sguardo di Glimmer e di Micah per tutta la sera, il modo in cui si sarebbe sentita morire dentro, ora, cosí immersa nell'oscurità, in quei giorni ciechi alla speranza e al futuro, se avesse visto uno di loro versare anche una sola lacrima.
E si, certo, Catra non era mai stata così, non si era mai impietosita facilmente né le era mai importato cosa la gente pensasse di lei o cosa provasse nei suoi confronti, ma adesso...
Più veniva accolta, giorno dopo giorno, come fosse parte della famiglia, più se ne sentiva immeritevole, e vedeva le sue colpe ingrandirsi a dismisura, offuscandole la ragione, ma al tempo stesso aprendole gli occhi su un mondo che si era sempre rifiutata di vedere: il mondo delle emozioni, dei sentimenti, e non i propri ma quello degli altri.
Rimase in silenzio, evitando di guardarla.
"Devi combatterlo, Catra! Qui la gente fa tanto per te, tutti, tutti noi facciamo del nostro meglio perché tu ti senta protetta e accolta, perché tu sia felice, e questa é la tua ricompensa!"
"Adora, io..."
Cercò di ribattere ma le parole le si bloccarono in gola.
Già, Adora aveva ragione, come sempre. Non era quello il modo, non era...lei non era in grado di..
"Sai, credevo che mi avessi fatto guerra per anni soltanto perché, andandomene, ti avevo privata della tua unica possibilità di felicità. Adesso inizio a pensare che non sia più cosi. Adesso inizio a pensare che tu mi abbia fatto guerra solo perché volevi farla a te stessa!"
E allora le sentì, Catra, quelle lacrime traditrici che non riusciva mai a nascondere ad Adora.
Le sentì risalire ad inumidirle gli occhi.
No, questo non era vero. Non avrebbe mai messo a rischio Adora per un problema che era solo suo. Non avrebbe mai...
O forse era proprio così.
Perché era impossibile, che avesse mai odiato Adora. Sé stessa invece, lei sí che l'aveva odiata. Cosí tanto da fare male. Cosí tanto da fare del male.
Aveva odiato sé stessa, la sua natura, la sua esistenza, finché non era più stato abbastanza.
Allora aveva dovuto iniziare ad odiare anche gli altri, o almeno a credere di farlo.
E quello, l'aveva consumata. Cosí come la consumava ancora adesso.
Rimase muta, cercando di non tradire la propria disperazione ed il proprio dolore che, lo sapeva, non avrebbero fatto altro che peggiorare la situazione.
Adora non aveva distolto lo sguardo da lei. Uno sguardo truce e profondo.
"Adesso non sei più sola. Non esisti più solo tu, Catra. Né nella mia vita, né nella tua. Non puoi credere ancora che finché resterai in questa stanza con me andrà tutto bene, non é più così."
Già, ma a Catra sarebbe bastato.
Le sarebbe bastata quell'unica consapevolezza, a patto di non provare quel dolore.
"Devi guardare al futuro, e devi meritare quello che questa gente ci offre. Dobbiamo meritarlo entrambe. Veniamo dal nulla, lo sai. E loro ci hanno offerto tutto."
No. No Adora, non é cosí. Io avevo già tutto. Loro me lo hanno portato via. Loro ti hanno portata via. In un certo senso per sempre.
Non lo disse, lo pensò. E lo pensò con cosí tanta spontaneità e decisione che fu in grado di accendere una scintilla di rabbia dentro di lei, oltre il dolore.
Chi era, quell'Adora che non la capiva più? Come poteva, la sua Adora, non capire il suo dolore?
Lei che aveva sempre capito i suoi silenzi più delle sue parole.
"Quindi", continuò lei:" un ottimo inizio sarebbe presentarsi alla commemorazione della loro amata ex regina, nonché madre di Glimmer.
Cosa penserà lei?"
Allora, Catra scattò.
Perché l'oscurità era troppa e la stava soffocando; perché, semplicemente, scelse di farlo.
"Angella é morta a causa mia!" urlò, mettendosi in ginocchio, a fronteggiare quella verità che arrivò abbattendosi come un onda sopra di lei. Adora rimase a fissarla in silenzio, sorpresa dal vigore della sua esclamazione.
Catra ricambiò lo sguardo, ansimante come una belva ferita, rinunciando a trattenere le lacrime, che le solcarono le guance.
"Lei é morta a causa mia." aggiunse, a voce più bassa, scandendo ogni parola come fosse una lama d'acciaio estratta dalla carne, e lasciando che ogni singola stilla di dolore potesse essere percepita nel suono della sua voce.
Poi, rinunciò al conflitto con quelle iridi azzurre di fronte a lei, quando iniziò a bruciarle il petto,  chinando lo sguardo.
"Non verrò stasera, Adora. Mi dispiace."
Nessuno parlò. Catra preferí non guardare il suo viso, la sua espressione delusa, il disappunto che l'avrebbe portata a disprezzarla ancora una volta.
"Sei una codarda."
Le arrivò dopo un po', strisciante, e fece male come il morso di un serpente, velenoso come le sue parole.
Si azzardò appena a voltarsi.
"Sei solo una codarda, Catra. Avresti avuto la mia protezione, non ti avrei mai lasciata sola, avremmo potuto affrontare tutto insieme. Ma tu non vuoi, tu vuoi continuare a rotolarti nel tuo senso di colpa sperando che un giorno svanisca e ti lasci in pace. Non accadrà. Non accadrà finché non sarai tu a combatterlo.
Ma, a quanto pare, non hai alcuna intenzione di farlo!"
"Adora, ci sto provando! Io..." ma quello che era stato poco più di un sussurro venne spezzato da altre parole impazienti.
"No, Catra. Adesso basta! Sono stanca di sentire che ci stai provando. Non ci provi affatto! Ci staresti provando venendo con me stasera, facendo vedere che ti dispiace ma, hey! La vita é quella che é, soprattutto la tua, e tutti facciamo errori. Ma tu non vuoi provarci, non vuoi aiutarmi! Non posso essere io a tirarti fuori da questo, Catra."
L'aveva smontata, con ogni parola, e ora quello che le restava era solo un corpo in ginocchio ed un cuore in frammenti.
Così, quel corpo e quei frammenti, provarono a urlare aiuto per un'ultima volta, in un sussurro, consapevoli che forse non sarebbe stato abbastanza, bloccati nell'impossibilità di fare qualsiasi altra cosa.
"Scusami..."
E infatti non fu abbastanza. Adora scosse la testa.
"Sai cosa? Resta pure qui tutto il tempo che vuoi. Non mi interessa. Ma non pretendere che nel frattempo tutto vada bene, perché a me questo non va per niente bene."
E  le diede le spalle, e si allontanò.
Senza un'altra parola. Senza neanche guardarla mentre si chiudeva la porta alle spalle.
Di nuovo.
Mandandola in pezzi, di nuovo. Ma lasciando affondare i suoi pezzi in un lago ancora più nero proprio a causa dell'assenza dell'ombra di un dubbio su di chi fosse la responsabilità, da chi provenisse la pioggia che lo aveva riempito.
Una pioggia di lacrime nere sul cuscino.
 
 
Catra fuggí. Fuggí dal castello, fuggí dai giardini, dritta nel fondo del bosco dei sussurri fino a perdere l'orientamento e la sensibilità delle gambe. Solo allora si fermò, senza fiato, registrando appena la presenza di Melog al suo fianco.
Non era stato un atto particolarmente coraggioso scappare, no, certo che no, ma non aveva saputo cos'altro fare.
Non poteva restare lí, e rischiare che Adora tornasse.
Non poteva urlarle quanto le avesse fatto nuovamente male senza rischiare di perderla per sempre.
E lei non poteva permettersi di perderla per sempre, perché Adora era tutto.
Ma, a quanto pareva, Catra non era in grado di fare altro che rovinare le cose, perdere la fiducia delle persone e lasciare tutti molto, molto delusi. Adora per prima.
Forse, pensò, arrampicandosi agilmente su uno degli alberi più alti, forse avrebbe fatto meglio ad andare via per sempre. Continuare a correre, addirittura fino al deserto cremisi, per allontanarsi di lí, da quella gente che non avrebbe mai potuto amarla dopo tutto il male che aveva fatto loro, da Adora, per cui lei continuava a non essere abbastanza.
E quando, quando lo sarebbe mai diventata?
Non vedeva l'ora che arrivasse quel giorno, Catra.
E forse, una volta che fosse arrivato, avrebbe persino potuto smettere di odiarsi cosí tanto.
Ma nel frattempo non poteva continuare a dare loro problemi, non poteva restare li, non poteva...
Sobbalzò quando Melog le mise la testa sotto il braccio. Si irrigidí per un momento, ma poi cedette e lo accarezzò con affetto.
Melog provava pietà per lei, in quel momento, lo vide nei suoi occhi. E molto probabilmente perché lei stessa si stava facendo pietà.
E non c'era niente di peggio di questo.
Iniziava persino a non riconoscersi più.
Adora aveva ragione, doveva mettere fine a tutto quello struggimento, a tutta quella auto commiserazione tinta di colpa. Doveva smetterla.
Ma poi ripensò a Glimmer, a come l'aveva vista fissare il ritratto di sua madre quel pomeriggio, con le lacrime negli occhi, e ancora una volta si convinse che no, non meritava di essere felice.
Forse la solitudine era il meglio a cui poteva puntare.
 
Vide le tenebre infittirsi di minuto in minuto intorno a lei, e rimase ferma su quel ramo, con lo sguardo perso all'orizzonte e Melog accucciato accanto, ad aspettare un'idea, forse un segno, qualsiasi cosa che avesse potuto indicarle una via d'uscita da quel conflitto terribile che imperversava dentro di lei.
Poi, improvvisamente, si sentí troppo stanca persino per pensare e cadde addormentata contro il tronco dell'albero.
 
Quando si svegliò alcune ore dovevano essere passate, perché aveva la bocca secca e le stelle erano già molto brillanti sulla sua testa.
Aprendo gli occhi e trovandosi un simile spettacolo davanti non poté che restare immobile ad osservare, ammirata.
Nonostante fosse ormai da un bel po' che le stelle avevano iniziato a riempire il cielo di Etheria, ancora trovarsele d'innanzi d'improvviso, al massimo della loro brillantezza, continuava a lasciare un po' tutti in soggezione e meraviglia.
Batté le palpebre un paio di volte, per poi mettersi dritta, cercando di raddrizzare la schiena intorpidita dalla scomoda posizione.
Melog, addormentato accanto a lei, si svegliò a causa dei suoi movimenti e la fissò.
Aveva ragione: doveva tornare a casa.
Casa, si, ovunque fosse Adora.
Quando era fuggita le era sembrata l'unica cosa da fare, e  in alcuni momenti tornare le era parso addirittura impossibile, ma ora che ci ripensava, nel buio della notte, con mente più lucida, capiva di non avere altra scelta.
Doveva provarci. Doveva.
Non avrebbe rinunciato volontariamente a tutto quello che aveva sempre sognato finché non fosse stato indispensabile.
E ancora non lo era, non era indispensabile.
Avrebbe potuto sistemare tutto.
O forse si sarebbe semplicemente infilata di soppiatto nella sua camera sperando che Adora fosse già addormentata e che al mattino dopo avrebbe deciso di perdonarla.
Si, molto più probabilmente.
Dopotutto, era tardi per chiarire qualsiasi cosa con chiunque.
Ci avrebbe pensato il giorno dopo.
 
Scese dall'albero, seguita da Melog, e si avviò verso Brightmoon.
Non aveva mai capito perché, ma orientarsi nel bosco dei sussurri le era sempre venuto...istintivo, si. Per quanto potesse provare a perdersi, alla fine riusciva sempre a trovare la via del ritorno.
Era una cosa in cui tutti gli altri non riuscivano, tranne Adora, se usava il suo potere.
In breve raggiunse il limite del bosco. Quando la radura che conduceva al fossato si aprí d'innanzi a lei, iniziò a correre: non era certa di che ora fosse, e non aveva voglia di incontrare nessuno.
Ma non poté percorrere quattro metri prima di schiantarsi contro qualcosa. O qualcuno.
"Gattina, fai attenzione!" esclamò quel qualcuno, non appena l'ebbe vista.
Due palpebre verticali si chiusero e si riaprirono davanti a lei.
"DoubleTrouble..." constatò lei con una punta di astio.
Perfetto, davvero perfetto. Non poteva sperare di incontrare nessuno migliore di lui.
"Insomma, tutta la sera cerco di non farmi rovinare questo bellissimo vestito nuovo e tu, senza neanche venire all'evento, sei in grado di distruggermelo in due secondi!" esclamò indignato, cercando di sistemare il bordo plissettato, ormai schiacciato, della giacca elegante che aveva indosso.
Catra sbuffò, roteando gli occhi.
"Non mi interessa del tuo vestito, DoubleTrouble."
Poi, accorgendosi che lui ne era ancora del tutto preso, decise di approfittarne per andarsene, evitando le sue scomode domande.
"Devo andare ora." disse solo, mettendosi in marcia. Ma non fece in tempo a superarlo da un lato che lui la fermò.
"Cosa ci fai qui nel mezzo della notte, gattina?"
Catra si voltò, scocciata.
"Cosa ci fai tu, piuttosto."
Lui la guardò per un attimo, sorridendo. Piegò la testa, quasi valutandola.
"Ottima risposta. Beh la festa é finita. E i dettagli della mia vita privata non devo certo rivelarli a te."
Lei roteò nuovamente gli occhi.
"Come se mi interessasse saperli."
DoubleTrouble rise, avvicinandosi.
"A tutti interessano i pettegolezzi. Ma...fatti guardare!"
Le poggiò le mani sulle spalle, girandola leggermente a destra e a sinistra osservando i suoi capelli.
"Tesoro, i tuoi capelli sono messi peggio del mio vestito! É terribile! Non vorrai tornare al castello messa cosí spero! Ma vieni, possiamo rimediare..." disse, estraendo una spazzola da una tasca nascosta del vestito.
Catra spesso si chiedeva come facesse ad averne sempre una con sé.
Lui diceva che era tutto quello di cui aveva bisogno per rendere dei capelli in uno stato terribile una "assoluta meraviglia".
Ed era vero. A Brightmoon, DoubleTrouble aveva trovato una nuova occupazione, nonché una nuova passione: fare acconciature alle principesse.
E, questo era da ammettere, aveva talento nel farlo, e ormai quasi tutti si affidavano a lui per i propri capelli.
Beh, tutti tranne Catra, che cambiava strada ogni volta che lo incrociava.
Era forse a causa della sua capacità metamorfica, ma lo trovava eccessivamente capace di intuire i suoi pensieri e le sue emozioni. E a Catra non piaceva che qualcuno le leggesse dentro.
Si scrolló le sue mani di dosso.
"Lasciami. Voglio soltanto tornare da Adora."
Lui rise con una punta di malizia.
"Oh, sono certo che lei abbia visto i tuoi capelli in condizioni ben peggiori di queste, non é vero?"
Catra incrociò le braccia al petto e non rispose, guardando altrove arrossendo appena. Si rifiutava di dar adito alle sue insinuazioni. Sapeva che, qualsiasi risposta avesse dato, lui avrebbe saputo come rivolgerla a proprio favore. Quindi, semplicemente, tacque.
"Ma dovrai superare le guardie, per entrare nel castello, e so per esperienza che...beh, loro i pettegolezzi li apprezzano. Non vogliamo che nessuno sappia che sei fuggita...ops, che ti sei allontanata nel bosco come una gatta selvaggia, vero?"
E come facesse DoubleTrouble a far sembrare qualsiasi richiesta un ricatto, davvero Catra non lo sapeva. Però sapeva perché lo stesse facendo: per lui, arrivare a mettere le mani sui suoi capelli, aveva sempre significato una vittoria enorme. Proprio perché Catra non glielo lasciava mai fare.
Ed ecco, coglieva l'occasione.
Ma non voleva davvero che si parlasse di lei, che si sapesse cosa aveva fatto quella sera, anziché presentarsi alla commemorazione della regina Angella, cosí alla fine, riluttante, accettò.
"E va bene, sistemami i capelli. Ma sbrigati e..." gli puntò contro un dito:" ...non azzardarti a fare domande."
Già, perché dopotutto il problema non erano i capelli in sé, ma la sua parlantina insopportabile.
Lui sorrise, fin troppo.
"Sei un tesoro. Sú, vieni con me."
La spinse leggermente, con dei  colpetti sulla schiena, verso una parte meno in vista della radura, poi la fece sedere su un tronco caduto e sedette alle sue spalle.
Una smorfia deformò il viso di Catra non appena sentí la spazzola poggiarsi sui suoi capelli.
"Allora, serata turbolenta?"
Catra ringhiò, allontanandosi.
"Ho detto niente domande!"
Lui alzò le mani e spazzola in segno di resa.
"Ok, ok! Però stai ferma o non riuscirò a fare niente per te."
Con un grugnito si avvicinò nuovamente.
Rimasero stranamente in silenzio, per un po'. Davvero stranamente: DoubleTrouble non taceva mai. E Catra iniziava a trovare la spazzola tra i suoi capelli stranamente piacevole.
La verità era che le stava sorgendo un desiderio, il desiderio di chiedere, a lui che era la persona più imparziale che conoscesse, come fosse andata la serata. Se qualcuno avesse notato la sua assenza, se la sua assenza avesse causato problemi ad Adora, se...
"Vuoi sapere come é andata la serata, vero?"
Chiese lui d'un tratto, alle sue spalle.
"Questa domanda mi é concessa? Oh! Ecco che ne ho fatta un'altra! Pare proprio non riesca ad evitarlo..."
Disse, e Catra fu sicura che un sorriso beffardo gli si fosse già dipinto sul viso.
Non avrebbe di certo voluto dargli quella soddisfazione, ma d'altronde aveva bisogno di sapere, e dunque...
" Glimmer...sta bene?"
Chiese solo, cercando una via per ottenere le informazioni che voleva senza chiederle davvero.
Lui sbuffò.
"Tesoro! Glimmer sta bene come potrebbe stare bene qualcuno alla commemorazione della madre morta."
Una pietra affondò il cuore di Catra.
Ed io non ero neanche lí. Non che avrebbe fatto qualche differenza.
"Ma non ha pianto, se é quello che vuoi sapere. Anche se, considerato il suo stato, penso avrebbe fatto più bella figura a lasciarsi andare."
"Sei un insensibile."
"Disse colei che voleva distruggerla."
Catra deglutí.
"Volevi distruggerla anche tu, prima di tradirmi."
"Oh gattina, lo sai, io sono fatto cosí! Non riesco a prendere le cose sul serio. Te l'ho detto, non ti ho tradito per cattiveria, solo...era divertente, ecco tutto." si strinse nelle spalle, continuando il suo lavoro.
Già, ecco tutto.
Le aveva spezzato il cuore, a suo modo, soprattutto per come le aveva dato quel momentaneo addio, in un modo che lei non avrebbe mai potuto dimenticare, ma... Era solo divertimento, ecco tutto.
E lei poteva stare lí, a continuare a discutere ed eventualmente a litigare, o poteva tornare il più presto possibile da Adora, l'unica persona che davvero avesse dimostrato di tenere a lei, e chiederle scusa prima che fosse troppo tardi. Ed era questo quello che doveva fare, ma la sola idea...le paralizzava le membra.
A questo proposito...chissà come era stata Adora, alla festa, senza dubbio arrabbiata, senza dubbio...
"E Adora?" chiese, prima di riuscire ad impedirselo.
"Adora era...triste." disse solo DoubleTrouble.
Triste?
Adora era triste.
E ovviamente era stata lei a renderla tale.
Ebbe l'istinto di ridursi il viso a brandelli, e probabilmente si trattenne solo grazie alla presenza di DoubleTrouble.
Però non rispose. Rimase in silenzio, ad ascoltare il debole ma continuo verso dei grilli nella notte.
Fu sempre lui a spezzare il silenzio, poco dopo.
"Avete litigato?"
Catra scattò.
"Non sono affari che ti riguardano!"
"Scusa, cercavo solo di essere gentile! Che modi..." tirò via un nodo con la spazzola facendola ringhiare.
"Tu non cerchi mai di essere gentile, DoubleTrouble, tu vuoi solo sapere i fatti degli altri."
Lui asserí:" vero, ma in questo caso sarebbe stato anche un atto di gentilezza."
Continuò a fissarla nel silenzio, in quel buio che gli occhi di entrambi potevano attraversare.
Non ebbe bisogno di una risposta per capire che, se questa ci fosse stata, sarebbe stata affermativa.
"É perché non sei venuta alla commemorazione, vero?"
Catra tacque e lui si diede risposta da sé.
"Vero. E so anche perché lo hai fatto."
"Certo, come no." ribatté annoiata, sebbene non ne dubitasse del tutto.
Lui rise:
"Certo che lo so: perché il senso di colpa ti opprime, non é cosí?"
E infatti ancora una volta aveva colto nel segno,  sebbene Catra non avesse la minima idea di come facesse a capire sempre tutto lui, all'apparenza cosí insensibile.
Ma non rispose, non era con lui che voleva parlare.
Non erano i suoi "consigli", quelli di cui aveva bisogno.
Ma come sempre, lui proseguí anche senza invito.
"Catra, Catra...credo che tu dovresti fare più come me, sai? Prendi la vita con piú leggerezza: non tutto é contro di te o causato da te! Impara a...divertirti.
Insomma, guardami! Ho tradito tutti eppure sono ancora qui, no? Felice e spensierato, in pace con tutti."
Già, era proprio questo il problema. Lui non poteva capire perché di questi problemi non ne aveva mai avuti.
E aveva anche il coraggio di invitarla a fare lo stesso.
Catra lo trovò insopportabile. Soprattutto perché, nonostante tutto, nonostante lui fosse cosí, stava bene, stava meglio, molto meglio di lei.
"Ti odio." biascicò lei, sbuffando.
"No, non é vero." rispose lui, con una voce calma, ad ascoltarla bene stranamente dolce, che gli era decisamente insolita, continuando a spazzolarle i capelli.
Lei rimase in silenzio.
No, non l'odiava, e la cosa peggiore era che non riusciva a capire perché.
Lui era stato una persona terribile, come aveva lui stesso affermato, si era solo divertito con quella che invece era per lei diventata una missione di importanza vitale: dimostrare di essere forte, superiore, indipendente, sottomettendo tutti gli altri.
Forse non lo odiava soprattutto perché non era come lei.
E fu lui stesso a sollevarla dall'incombenza di una probabile risposta.
"Sai, non é colpa mia. Insomma, non ho mai saputo cosa significhi tenere davvero a qualcuno, prendere qualcosa sul serio, perseguire una causa che sia mia e basta.
Quando ero piccolo...nel luogo da cui provengo, ero troppo strano e...beh, anche spaventoso, a causa delle mie trasformazioni, perché qualcuno volesse tenermi con sé, darmi affetto o...insegnarmi cosa significhi tenere davvero a qualcosa o a qualcuno. "
Catra rimase immobile, più che meravigliata, in ascolto.
"Quando loro mi..."
Ricominciò, per poi fermarsi. E poi, d'improvviso, scoppiare a ridere, fin troppo istericamente persino per lui.
" ...insultavano o...lanciavano i sassi o...quello che avevano a disposizione in quel momento..."
Continuò a ridere, quasi non riuscisse a trattenersi. Una risata che risultò inquietante nel buio della notte.
E continuò fino alle lacrime, talmente forte che Catra iniziò a temere che qualcuno potesse sentirli.
Poi lo sentí provare a parlare, prendendo fiato.
"Io..." cedette ad un'altra risata. Poi, si fermò di colpo, facendola sobbalzare.
"Io ridevo." disse, con una serietà che Catra fu sicura di non aver mai sentito prima nella sua voce, e che fu sicura non avrebbe risentito mai più.
Non percepì più la spazzola sui capelli, e lanciandogli un'occhiata di nascosto lo vide asciugarsi delle lacrime, sebbene non fu più cosí certa fossero causate solo dalle risate.
I secondi di silenzio parvero interminabili.
Lo sentí tirare su con il naso e tornare poi, come se nulla fosse, ai suoi capelli, e riprendere a parlare, con una voce tranquilla che però a lei risuonò inspiegabilmente più profonda e sincera.
"Perciò, vedi, io prendo la vita cosi. Non é colpa mia. Niente di tutto...quello, era colpa mia. Ma l'ho sconfitto lo stesso. E da allora ho viaggiato...tanto. E sono giunto qui, o meglio, nel deserto cremisi, e allora ho iniziato a divertirmi per davvero!"
Rise nuovamente, questa volta in modo più leggero.
"Sai, vedere le vostre facce ogni volta che scoprite che non sono chi credevate che fossi...é divertentissimo!"
Catra si scoprí a sorridere a sua volta, per un momento dimentica di tutti i problemi che lentamente stavano nutrendo il suo mal di testa, iniziato poco dopo il risveglio.
Non avrebbe mai immaginato che DoubleTrouble, tra tutti, avesse una storia da raccontare.
A dir la verità non si era mai fermata a domandarsi da dove venisse o perché si comportasse a quel modo.
Dopotutto, erano diversi si, ma forse poi non cosí tanto.
Poi lui parlò di nuovo, a voce più bassa.
"E...beh, lo sto dicendo a te perché sono certo tu possa capire, gattina."
Non aggiunse altro, non ne ebbe bisogno.
Catra chinò il capo, forse in un cenno di assenso, forse di sconfitta, nello scoprire ancora una volta quanto tormentata fosse la propria anima.
Poi, DoubleTrouble si fermò e ripose la spazzola. La fece girare verso di sé e le toccò i capelli con le mani un'ultima volta sorridendo.
"Ecco, ora sí che sei decente, tesoro. Non proprio perfetta, con i tuoi capelli credo sia praticamente impossibile, visto che ti ostini a non farmeli mai curare, ma accettabile."
Catra ringhiò di nuovo, ma fu in modo quasi affettuoso e lui lo capí.
Le sorrise e poi prese teatralmente un sospiro
"Ora, non sono uno che dà consigli, ma...mi sembra proprio tu ne abbia bisogno, e d'altronde stasera mi sento generoso, quindi..."
Catra roteò gli occhi.
"Non voglio i tuoi consigli, DoubleTrouble."
"Ma io te lo darò lo stesso."
La guardò, due paia di pupille verticali a confronto, apparentemente l'unica cosa ad accomunarli.
"Hai vissuto troppo per soffrire ancora. I mondi vanno avanti, si sgretolano e si rimettono assieme per tutti, e quando lo fanno, non chiedono il permesso a nessuno; puoi sentirti in colpa oppure divertirti, ma questo non cambierà mai.
Non importa quello che hai fatto, non importa chi sei, tu puoi fare solo una scelta: vincere o far vincere chi ti ha reso tale. E sappiamo entrambi che tu non accetteresti mai una sconfitta."
Poggiò la mano sulla sua, un gesto estremo.
"Quindi, ora torna lì dentro e mostra a tutti loro di cosa é fatto un sopravvissuto."
Terminò. La guardò negli occhi ancora un istante, mentre Catra sorrise, seppure debolmente. Poi sbatté le palpebre e quel sorta di incantesimo, di ipnosi, che i suoi occhi erano in grado di provocare, si spezzò.
Lui saltò in piedi, stiracchiandosi e sbadigliando.
"Adesso tesoro, se vuoi scusarmi, é davvero tardi." La guardò con un ghigno.
"Ho affari che mi aspettano."
Catra si alzò a sua volta.
"Sto cercando di andarmene da ore, in effetti."
Disse, tornata sprezzante come sempre era nei suoi confronti, eppure forse come mai più sarebbe riuscita ad essere.
"Beh quando sono andato via dormivano già tutti, se il tuo intento era di introdurti di soppiatto penso che, guardie a parte, ci riuscirai."
Catra annuí, cercando di non mostrare troppo il suo sollievo a quelle parole.
Si guardarono per un ultimo istante, con qualcosa di più della reciproca sopportazione negli occhi. Poi lui si voltò, e senza un'altra parola continuò sulla sua strada.
"DoubleTrouble!"
Lo richiamò lej, dopo un istante.
Si voltò.
"Si, gattina?"
E le serví quasi uno sforzo per riuscirci, per dirgli quel terribile "grazie" che per troppo tempo aveva negato a chiunque.
Lui sorrise, fin troppo consapevolmente, e poi riprese a camminare senza un'altra parola.
 
Catra si voltò a sua volta verso Brightmoon, ed iniziò a camminare con una rinnovata energia, pensando che sí, forse DoubleTrouble aveva ragione: i mondi si erano distrutti e ricostruiti per loro come per tutti gli altri, e nulla, in nessun caso, in quel modo od in un altro, avrebbe mai potuto impedirlo.
 
 
Tuttavia, non appena si trovò in prossimità del ponte levatoio del castello, l'angoscia che il modo in cui se ne era andata distruggesse tutto quello che aveva combattuto cosí duramente per ottenere tornò ad aggredirle le viscere, colpendo un'altra volta la sua testa e torcendole lo stomaco fino quasi alla nausea.
Superò le guardie velocemente, addentrandosi nel buio del castello ormai silente, dritta verso la stanza condivisa con Adora, convinta che ormai tutti fossero a dormire, come DoubleTrouble aveva detto.
 
Ma, proprio mentre superava la sala degli antenati della famiglia reale di Brightmoon, vide una figura in lontananza, seduta alla base della statua della regina Angella.
Una figura sola, piegata su sé stessa, nella penombra.
Catra deglutí nel riconoscervi Glimmer.
Era ancora lí, sveglia.
Ovviamente, DoubleTrouble. Ricordò a sé stessa di non fidarsi mai più neanche di una sua semplice parola.
Pensò che, se fosse stata sufficiente silenziosa e sufficientemente veloce, sarebbe potuta tornare in camera senza essere vista, ma non appena ebbe imboccato il primo corridoio si fermò.
Forse, a bloccarla fu quel legame cosí strano, nuovo, eppure cosí profondo che aveva instaurato con lei.
Senza dubbio si comportavano sempre come se si odiassero, o quantomeno, come se si sopportassero a malapena: litigavano per qualsiasi cosa e si evitavano spesso e volentieri. Ma se lo avessero chiesto loro, nessuna delle due avrebbe esitato a dire che sí, volevano bene l'una all'altra.
Dopotutto, si erano già salvate a vicenda una volta.
E lí, nel silenzio di un corridoio, rimasto vuoto e buio dopo un evento cosí triste cosí come dopo una qualsiasi festa, improvvisamente capí, senza ombra di dubbio, che, in quel momento, raggiungere Glimmer era la cosa giusta da fare.
Poteva non essersi presentata alla commemorazione, forse aveva sbagliato, Adora aveva ragione, o forse aveva avuto buone motivazioni per farlo, ma adesso...adesso non aveva più motivazioni, o scuse.
Adesso, andare via avrebbe significato solo una cosa, come Adora stessa le aveva detto: codardia.
E Catra non era una codarda, no, lo avrebbe ricordato ad Adora.
Non lo era mai stata.
 
Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
Sentí un sollievo, seppur lieve e soffocato dalla paura, sí, paura, perché quella situazione la terrorizzava, farsi strada in lei. Sollievo di poter essere certa, per una volta, di star facendo la scelta giusta, proprio perché faceva cosí tanta paura.
 
Tornò sui suoi passi, si affacciò nella grande sala. Si avvicinò a Glimmer più silenziosamente che poté, ma a poca distanza da lei questa si accorse della sua presenza e sollevò il viso, lo sguardo, su di lei. E nel riflesso delle luci violette sulle sue lacrime, Catra si sentí in trappola.
Si fermò, gli occhi sgranati, terrorizzati, su di lei.
Glimmer invece fu di tutt'altra condotta.
Da regina che era diventata, si asciugò in fretta le lacrime e riuscì a trovare un sorriso, persino per lei. Solo, non si alzò, ma restò ferma a guardarla.
"Catra" disse, come fosse un saluto.
Catra accennò un sorriso a sua volta, tremendamente sofferente e forzato, e sollevò una mano, non fidandosi troppo della sua voce.
"Stai..." Glimmer si fermò per schiarirsi la voce arrochita dalle lacrime versate :" ...stai meglio?"
L'altra la guardò stranita.
"Come?"
"Stai meglio? Adora ha detto che non ti sentivi bene e non ce l'avresti fatta a venire stasera."
Oh.
La realizzazione la colpì.
Adora.
Non poté evitare di ringraziare mentalmente anche DoubleTrouble, per aver insistito a cancellare quantomeno le tracce più evidenti della sua fuga.
Annuí a fatica, portandosi una mano sullo stomaco nervosamente.
"Si, grazie. Mi sento molto meglio."
Glimmer sorrideva ancora, guardandola in silenzio e Catra si sentí in dovere di dire qualcosa.
"Sai cercavo...Melog e poi ti ho vista qui e...come..." si grattò il retro del collo, dove era la cicatrice del chip, come aveva preso l'abitudine di fare quando era nervosa.
"...stai?"
Glimmer le rispose con una smorfia di doloroso divertimento, distogliendo lo sguardo.
Dopo un paio di secondi la guardò nuovamente, per poi guardare la parte di base della statua libera accanto a lei.
"Vuoi sederti?"
Catra ci pensò per un secondo. Due.
Poi annuí e, muovendosi quasi con cautela, come se potesse distruggere qualcosa di fragile che forse era solo quella sfera di insolita intimità venutasi a creare tra loro, sedette al suo fianco.
Si guardò intorno nervosamente, senza sapere cosa dire.
Anche Glimmer taceva, e non perché non sapesse cosa dire, semplicemente pareva non aver bisogno, o forse voglia, di parlare. E Catra poteva capirla: di certo lei era l'ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.
Deglutí e le lanciò un'occhiata.
"É andato...tutto bene stasera?"
chiese, non sapendo come altro spezzare quel silenzio per lei terribilmente imbarazzante e pieno di senso di colpa.
Certo, non che quella fosse la domanda migliore: avrebbe potuto partecipare, per sapere come era andata, anziché presentarsi alla tarda ora, quando tutto era finito, e fare irruzione in un dolore che lei stessa aveva causato.
Ma Glimmer sorrise e annuí.
"Si...mi sono stati tutti molto vicini, sai..."
Catra sentí il vuoto dentro di sé crescere, come venisse allargato da mille pugnali.
Aveva ragione Adora, avrebbe dovuto presentarsi, avrebbe dovuto starle vicina, avrebbe dovuto...
"...ho scoperto di avere intorno a me molti più amici di quanti credessi e questo é...senza dubbio bellissimo. Sai, essere una regina amata lo é. Come lo era mia madre. "
Catra tentò inutilmente di sorridere.
Poi Glimmer la sorprese con una risata leggera.
"Anche Bow ovviamente mi é stato vicino. Direi più che altro...attaccato, al punto che, per le smania di seguirmi ovunque, ha finito per inciampare nella gamba del tavolo rovesciandosi addosso, e rovesciandomi addosso, l'intero contenuto di succo d'uva dei nostri bicchieri."
Rise nuovamente e Catra si uní a lei, più perché le parve giusto farlo che perché lo sentisse realmente, in verità, capendo all'istante perché anche Glimmer pareva farlo cosí di cuore: era un sollievo, trovare l'ombra di un sorriso in tanto dolore. E, una volta trovatola, ci si aggrappava ad essa con tutti sé stessi.
Glimmer  indicò una grande chiazza viola sul proprio vestito:" vedi?"
Catra annuí, mentre le risate lentamente si affievolivano nel buio.
Guardò l'altra tornare seria, pensierosa, ma non triste, no, un leggero sorriso sul suo volto.
"Sai io...non so proprio come farei senza di lui. Se lui non ci fosse stato da...praticamente sempre, non sarei la persona che sono ora. Non sarei neanche a metà strada, per arrivare a dove sono ora."
Sorrise. Non si poteva fare altro davanti ad un amore cosí grande, nutrito da un'intera vita.
Un amore cosí simile al suo.
Glimmer la guardò.
"Suppongo che per te sia lo stesso, no? Con Adora."
Adora...
L'Adora con cui aveva appena litigato, per l'ennesima volta.
L'Adora che, nonostante tutto, aveva inventato una scusa per lei.
Sorrise, questa volta sinceramente.
"Si. Credo proprio di sí."
L'altra la guardò ancora per un po', sorridendo, poi tornò a voltarsi verso la sala vuota.
Erano simili, si. Da un certo punto di vista erano simili, lei e Glimmer.
Avevano lo stesso amore a scorrere loro nelle vene, a spingerle a fare qualsiasi cosa per la persona amata.
Avevano la stessa determinazione nel raggiungere i propri obbiettivi, trascurando forse fin troppo gli errori di percorso.
Ma non avevano gli stessi peccati, a gravare sulla coscienza, e questo forse avrebbe sempre rappresentato un valico fin troppo grande tra loro.
Catra distolse lo sguardo, un'amara realizzazione, in realtà consolidata consapevolezza, a piombarle addosso, schiacciandola, riempiendole la bocca di verità ed il cuore di improvviso bisogno di esprimerla.
"Sono l'ultima persona che vorresti vedere stasera, vero?"
Glimmer lasciò cadere il capo tra le spalle. Sorrise amaramente.
"Perché? Perché sei responsabile della sua morte?"
Disse, senza preamboli né restrizioni, onesta come in pubblico, o anche solo con gli altri loro amici attorno, non sarebbe mai stata. Il dolore a renderla tale.
Catra non rispose, non parlò. Fissò lo sguardo sul pavimento.
Sentí l'altra tirare leggermente su col naso.
"Forse." ammise infine, con una leggerezza  persino fuori luogo.
Catra conficcò le unghie nei palmi delle mani, più forte che poté, per tenere a bada la tempesta nella sua mente.
Poi la guardò. Un sorriso che non sentiva sulle labbra, e l'essenza di uno strano tipo di liberazione nell'ammissione delle sue colpe.
"Io e te fingiamo, per Adora e per Bow, non é vero? Quando siamo con loro...fingiamo che vada tutto bene, fingiamo di essere normali amiche come tutte le altre, ma sappiamo entrambe che non é cosi. La verità é che ci odiamo. Quantomeno tu mi odi, ed é giusto che sia cosí. Per quante volte possa chiedere scusa e...cercare di compensare per quanto ho fatto...certe cose sono imperdonabili."
Glimmer sorrise nuovamente.
"Nulla é imperdonabile, Catra."
Lei scosse la testa.
"Alcune cose lo sono."
"Forse, ma questo non implica che siano insuperabili."
Catra la guardò, timorosa e interessata al tempo stesso.
"Cosa vuoi dire?"
Glimmer la guardò a sua volta, dopo essersi passata una mano sul viso per cercare probabilmente di portarne via un po' della stanchezza sul palmo.
"Ci siamo fatte male a vicenda, Catra, é innegabile. Tu mi hai portato via mia madre, io ti ho portato via Adora, e sappiamo bene che in entrambi i casi é stato per sempre, in qualche modo."
Catra chinò il capo.
"Per quanto ne so potresti odiarmi anche tu, perché mia madre é sempre stata al centro della mia vita, una vita bellissima, felice, in cui, tranne mio padre, avevo tutto. Tu invece...beh, non avevi felicità, non avevi genitori, non avevi distrazioni...non avevi nulla oltre Adora, ed io, e si, sappiamo che sono stata io..."
la interruppe prima che potesse parlare
"...io te l'ho portata via e ti ho lasciata senza niente. Quindi si, potresti odiarmi anche tu, sicuramente lo hai fatto, come l'ho fatto io."
Ma Catra scosse la testa, ostinata ancora a negare.
"Non é lo stesso. Quello che hai fatto tu...certo, con Adora non avremo mai più il rapporto che avevamo prima, però...non sono certa sia una cosa negativa, insomma...non per lei. Ero...soffocante, possessiva… in parte lo sono ancora, ma adesso, adesso che ci siete voi, cerco di non esserlo più e Adora..."
Sorrise, un barlume di sofferenza nei suoi occhi.
"...Adora é più felice ora, grazie a voi.
Invece tu...hai perso tua madre per sempre."
La voce di Catra si spense nel buio.
Una nuova lacrima si formò, ribelle, negli occhi di Glimmer, nonostante lei cercasse di combatterla.
Si stancò, alla fine, di trattenerla, e la lasciò scorrere, veloce, sulla guancia.
"Lo so, Catra." disse, una punta di esasperazione e di pianto nella sua voce. Un'altra pugnalata nel petto di Catra, accompagnata da una terribile voglia di fuggire e nascondersi, come aveva già fatto solo poche ore prima, per non tornare mai più.
"Però..." Glimmer deglutí, respirando profondamente, distogliendo lo sguardo.
"Però, se credi che io ti odi, ti sbagli. Hai ragione, forse non potrò mai perdonarti per questo, come tu forse mi darai la colpa ogni volta che litigherai con Adora, ma..."
Si zittí, pensandoci.
Poi si voltò nuovamente a guardarla.
"Sai cosa mi diceva sempre mia madre?"
Catra incrociò i suoi occhi, in una nostalgica e dolente attesa accompagnata da uno struggente desiderio, nel fondo dell'anima, svegliato dall'improvvisa presa di coscienza di non essere in grado di dire le stesse parole. Non aveva mai avuto una madre a darle consigli, Catra. Aveva avuto solo insulti, recriminazioni, accuse, da che aveva memoria.
Ma non lo percepì, non del tutto. Lo ignorò, troppo occupata a superare ciò che poteva, ciò che da lei dipendeva.
L'altra sospirò prima di continuare.
"Mi diceva che perdere qualcuno é una cosa terribile, ma che rinunciare alla felicità per questo é una cosa addirittura peggiore."
Tacquero entrambe, fissandosi. Il significato di quelle parole ad incidersi lentamente nella mente dell'una e nel cuore dell'altra.
Poi Glimmer distolse lo sguardo.
"Sai lei... odiava chi credeva avesse ucciso mio padre. Lo odiava con tutta sé stessa. Quell'odio era nei suoi occhi, nella scintilla che li attraversava ogni volta che ricordava la sua fine. Però, quando poi si voltava a guardare me, quella scintilla scompariva. E non perché io le facessi dimenticare della sua esistenza, no. Ma perché, vedendomi, vedendo che ero lí ad aspettarla, ad ascoltarla, a dipendere da lei, a darle...un'altra occasione di felicità, lei...si sforzava di sedare quel sentimento, qualsiasi fosse, e di riservare la sua vita a me e alla felicità che con me poteva avere. E..." tornò a guardarla:" ...io voglio fare lo stesso, Catra. Non negheró che a volte ti guardo e..." girò il volto, quasi si vergognasse di ciò che stava per dire, affievolendo la voce:" ...penso che tu sei qui e lei no. Però... io non voglio questo per noi."
Restarono per lunghi attimi a respirare in silenzio, guardando il nulla, forse sentendosi nulla, abbandonandosi alla ricerca di una redenzione, sperando di raggiungerla tramite quella catartica ma dolorosa via.
Per i peccati commessi, per le vite rubate, per i sogni infranti e i compiti non assolti.
Poi, Glimmer cercò la mano di Catra e la strinse nella sua, trapassando i suoi occhi con l'amara ed al tempo stesso dolce verità racchiusa nei propri.
"So che ultimamente non stai passando un bel periodo, e non perché Adora me lo abbia accennato, ti prego, non prendertela con lei. Semplicemente l'ho capito. Capisco anche perché. E so che...beh, le mie parole di stasera non ti hanno di certo aiutata, però non devi credere, a causa di quello che ho detto, che io menta quando affermo di volerti bene. " le strinse leggermente la mano:" Io ti voglio bene, Catra, e sono sicura tu lo voglia a me."
Catra rimase impassibile, troppo distrutta, troppo stupita, incerta se dover essere grata o meno, per reagire.
Glimmer sorrise.
"Si, lo sono. É solo...sai, piú complicato per noi. Però voglio provarci, lo sto già facendo, e non solo per Bow o per Adora. Per noi. Perché noi meritiamo di meglio. Perché adesso possiamo avere la felicità e...non voglio che sia rovinata dall'odio, dal risentimento o..." piantò gli occhi nei suoi:" ...dal senso di colpa. Quindi Catra, per favore..."
Catra si irrigidí. Stupita, si, e senza sapere cosa fare ricambiò quello sguardo, senza il coraggio di tirare via la mano.
"...per favore, non lasciare che queste cose la rovinino neanche per te. Tutti ti hanno perdonata e...so che forse questo non é sufficiente perché tu perdoni te stessa, e per questo non ti mentirò neanche dicendoti che non é importante, che quello che hai fatto non sia stato grave o che...beh, non abbia lasciato segni ancora adesso. Lo é stato e lo sai benissimo, come d'altronde tutti abbiamo fatto errori, cose assurde ed imperdonabili, ma...voglio solo dire, Catra, che questo non significa che tu non possa andare avanti ora, che tutti noi non possiamo farlo."
Catra deglutí. Deglutí ancora e le parve strano, strano davvero, che il suo cuore per un istante tornasse a respirare. Come se uno sconosciuto ed inatteso sollievo alleviasse la morsa terribile che il dolore ed il rimorso vi esercitavano.
Quello che Glimmer stava dicendo era bellissimo. E, lo riconobbe, tremendamente vero.
E Catra non avrebbe mai pensato che, tra tutti, sarebbe stata proprio Glimmer ad aiutarla. A dirle ciò che, forse, aveva avuto bisogno di sentire per tutto quel tempo.
Solo allora, solo quando realizzò questo, Catra ricambiò la stretta della sua mano.
E, per la prima volta, sorrise davvero. Sorrise con la mente e con il cuore, senza contrasto.
Sorrise, guardandola negli occhi, accettando una sfida e facendo una promessa allo stesso tempo. Una promessa che Glimmer le chiese di fare subito dopo.
"So che ci stai provando, che ci stiamo provando, ma...dobbiamo crederci. Io ci credo.
Mi prometti che proverai a crederci anche tu?"
E Catra, per una volta, nonostante avesse imparato a disprezzare le promesse, non ebbe alcun dubbio riguardo alla risposta da dare.
"Te lo prometto, Glimmer. E...ti ringrazio. Di tutto." si morse la lingua, sentendo presto il sapore del sangue, quasi fosse una punizione meritata.
"Scusami se...stasera non sono venuta."
Glimmer sorrise.
"Non hai di che scusarti. Stavi male, no? É più che comprensibile."
E Catra colse benissimo cosa lei intendesse dire. Colse che non era un male fisico quello a cui si riferiva, e che probabilmente non si era bevuta la bugia di Adora neppure per un secondo.
Era troppo intelligente, troppo empatica, Glimmer, per farlo.
Le sorrise, come fosse un ringraziamento.
E l'altra, cogliendo la sincerità in quel sorriso, sorrise a sua volta. 
"Posso abbracciarti?" le chiese, tutt'ad un tratto.
E a Catra non piacevano gli abbracci, non erano mai piaciuti, tranne quelli di Adora ovviamente. Gli abbracci erano una debolezza, questo le era stato insegnato, ma, più di tutto, erano un momento di vicinanza, di profonda comprensione con qualcun'altro, e Catra non era mai stata sufficientemente vicina a nessuno per arrivare ad apprezzarne gli abbracci. In quest'ultimo periodo però, si accorse, iniziava ad apprezzarli...o meglio, accettarli, sempre di più.
E a quel punto, nel legame che si era sancito quella sera tra di loro, in quel giuramento, le parve semplicemente giusto.
Annuì.
Dopo un istante si trovò circondata dalle braccia di Glimmer, stretta forse più forte di quanto le sarebbe piaciuto, ma come fosse una sorta di sfogo, una supplica, in parte una vendetta, più di tutto un riporre fiducia, piú fiducia di quanta Catra avesse mai creduto di meritare.
Ma infondo, non era cosí male.
Infondo, le cose stavano cambiando. Erano già cambiate.
Catra, in quell'abbraccio, sorrise, trovando un nuovo tipo di calore. Poi lo ricambiò, con lo stesso vigore, con la stessa forza con cui avrebbe voluto piangere ed urlare, ottenendo la stessa, magnifica sensazione del non sentire più bisogno di farlo.
Anche Glimmer sorrise.
Quando si separarono passarono solo pochi istanti prima che quest'ultima si alzasse in piedi, sbadigliando.
"Ora però sono davvero stanca. E se non torno subito in camera sono certa che Bow verrà a cercarmi a momenti" rise "non c'é verso che si addormenti se non sa dove sono e come sto."
Si voltò verso Catra.
"E a questo proposito... Dovresti tornare da Adora. Sarà preoccupata per te."
Già, Adora...
Chissà se voleva ancora vederla poi, Adora.
Deglutí, scacciando un nuovo accenno di paura: per nulla al mondo voleva ora perdere quella sensazione, quel benessere improvviso dopo un dolore lungo e lancinante, quel vuoto di pensiero, accompagnato da un dolce sonno.
Annuí.
"Si, certo...andrò anch'io."
Poi Glimmer guardò alle sue spalle.
"Oh, ecco Melog. Lo cercavi, no?"
In realtà no. Catra si accorse di non essersi neanche chiesta che fine avesse fatto durante la sua "pausa" con DoubleTrouble. Ma Melog era cosí, lui andava e veniva a suo piacimento, era libero, come la natura felina che in parte li accomunava, e quella stessa libertà era ciò che li teneva cosi uniti.
Catra sorrise voltandosi e trovandolo seduto ad aspettarla.
"Oh si."
Tornò a guardare Glimmer.
"Allora buonanotte e...grazie." sorrise.
Anche l'altra sorrise:" buonanotte."
Allora, si diedero le spalle, e presero a camminare nelle opposte direzioni che le avrebbero portate alle loro stanze. Ma, dopo solo due passi, Catra risentí la sua voce.
"Comunque, Catra." la richiamò.
Lei si voltò, ascoltandola.
"In tutto questo stai dimenticando una cosa molto importante."
Catra corrugò le sopracciglia, perplessa, incerta su cosa "tutto questo" fosse.
"Cosa?"
Glimmer sorrise dolcemente.
"Tu mi hai salvato la vita. Ti sei sacrificata per me. E se mia madre fosse qui..." si voltò a guardare la statua della regina Angella, che fino a pochi momenti prima si era erta, come angelo custode, sulle loro sagome, maestosa nella notte.
"...beh, lei ti perdonerebbe per qualsiasi cosa tu le abbia fatto, per questo."
Catra sorrise. Forse dopotutto, era riuscita davvero a farla, quella sola cosa giusta della sua vita.
Glimmer tornò a guardarla.
"Buonanotte."
"Buonanotte." rispose lei.
Poi, le loro strade si separarono definitivamente.
 
 
Catra cercò di attraversare i corridoi il più silenziosamente possibile, e prese un respiro profondo quando arrivò davanti alla porta della loro camera. Non pareva provenire luce dall'interno, dunque ne dedusse che Adora fosse già addormentata.
Ammesso che non abbia deciso di cambiare stanza -le suggerì crudelmente una voce nella sua testa che somigliava pericolosamente alla propria. Si sforzò di ignorarla e aprí piano la porta, lasciando entrare Melog ed entrando poi in fretta a sua volta.
Dando le spalle alla stanza chiuse la porta, attenta a non fare il minimo rumore, perché forse se fosse stata abbastanza silenziosa e modesta, come già aveva pensato lungo la strada verso il castello, tutto sarebbe andato bene, il giorno dopo Adora avrebbe dimenticato il loro litigio, o meglio, scelto di perdonare, e ora che aveva "chiarito" la questione anche con Glimmer...forse davvero le cose sarebbero potute andare per il verso giusto.
Ciò che assolutamente non si aspettava invece, fu l'impatto improvviso con un corpo non appena si fu girata verso la stanza, e la folata di capelli biondi che la investí assieme ad esso.
In un attimo, trovò attorno a sé due forti braccia a stringerla, e si sentí quasi mancare il fiato a causa della sorpresa e della forza di quella stretta.
Quando però realizzò di cosa si trattasse, o meglio di chi si trattasse, si rilassò all'istante, adeguandosi perfettamente a quello che non era altro che un abbraccio, tra le braccia di quella che non era altri che Adora.
Respirò profondamente chiudendo gli occhi, il cuore pieno di gioia alla sola conferma che no, forse non tutto era perduto. Lo ricambiò, affondando le mani in quei capelli che tanto amava e abbandonandosi lí, dimenticando ogni altra cosa.
Poi, d'un tratto, udí un sussurro, una voce debole.
"Non farlo mai piú. Non scappare mai più, va bene?"
E Catra sentí il proprio cuore sciogliersi a quella che non era altro che una dichiarazione d'amore, l'ennesima, e a quell'accenno di pianto insito in quella voce, unica manifestazione del nodo in gola che doveva starne limitando la forza.
"Scusa..."
Disse poi ancora Adora, senza che Catra sapesse davvero per cosa si stesse scusando.
Forse per il litigio di quella sera, forse per l'abbandono di tanto tempo prima, forse per tutto quello che era successo, durante quel tempo, prendendosi le sue parti delle responsabilità dell'altra, le parti che non aveva mai realmente accettato, ammesso, di avere, forse per aver realizzato tutto troppo tardi. Ma il punto era che, per Catra, tutto quello, per una volta, non aveva alcuna importanza.
Come forse non avrebbe avuto alcuna importanza anni prima, se solo allora quelle scuse le fossero state dedicate allo stesso modo,  senza parole inutili, giustificazioni e scuse, senza destini prescritti; dicendolo e intendendolo e basta, con quel tono... quel tono che da solo era sufficiente a farlo sembrare reale, anzi, a dimostrarne  la sincerità.
Tutto ciò che aveva e avrebbe avuto importanza, ora come allora, era la sua presenza, la sua essenza a farla sentire completa, a farla sentire qualcuno, qualcuno di importante, qualcuno di speciale, come solo lei era in grado di fare.
E fu forse quello il momento in cui decise, una volta per tutte, di lasciare tutto quel dolore, quello che aveva provato e quello che aveva causato, e quella intera vita, alle spalle, trattenendo con sé per sempre solo le lezioni che da essa aveva imparato.
Affondò il viso tra i suoi capelli.
Profumavano di rosa, I capelli di Adora.
E Catra amava come per quanto forte, per quanto idiota, per quanto Adora, il suo profumo, che forse poteva percepire più nitidamente a causa della sua natura, ricordasse sempre la delicatezza di un petalo, la bellezza di una tonalità chiara e la libertà di un campo in fiore. Tutte le meraviglie del mondo che, grazie a lei, aveva imparato ad apprezzare.
"Non lo farò..." sussurrò semplicemente, e lo intese veramente.
Non sarebbe più scappata da quello che aveva fatto, né da quello che aveva e che forse una minuscola parte di lei, l'unica ancora pura, meritava.
 
E non seppe quanto a lungo rimasero cosi, immobili nell'oscurità, a rubare al tempo tutto il tempo che era stato loro rubato.
Né seppe quando accadde che si separarono, pur restando vicine, e tenendosi la mano raggiunsero  il letto così come erano, vestite, tracce di foglie e briciole nei tessuti, e si coricarono strette l'una all'altra; né quando, nel bel mezzo della notte, si fosse rannicchiata al fianco di Adora, tornando poi a dormire profondamente, con una sua mano tra i capelli, come facevano da bambine.
Tutto ciò che seppe é che dormí bene come da anni forse non faceva, senza incubi, senza paure, senza sentire il freddo del vuoto infestarle ancora il cuore, sentendo solo uno calore invece che, dolce, la accompagnò fino alle profondità dell'abisso.
 
 
Quando, la mattina dopo, tiepidi raggi di sole accarezzarono la pelliccia di Catra richiamando la sua mente alla luce, per la prima volta, il suo istinto non fu quello di controllare che Adora fosse ancora lí, no. Il sul primo istinto fu quello di stringersi ancora di più in lei e nel suo calore, conscia, fin dal primo istante, della sua presenza, stabile e confortante, meravigliosa e sicura.
Sicura, si, cosi si sentí Catra quella mattina. Sicura.
Quando riuscì finalmente ad aprire gli occhi si accorse di star sorridendo, non seppe da quanto.
Allora si alzò silenziosamente, cercando di non svegliare Adora, attirata dal sole, intrigata da quella nuova, peculiare ed inaspettata sensazione di pace di cui si sentiva pervasa, e raggiunse l'apertura circolare che fungeva loro da finestra, oltre alla quale si estendeva la trave che reggeva lo stendardo di Brightmoon.
Sin dal suo primo giorno al castello quella trave era diventata il suo posto preferito: vi si vedeva sorgere il sole, dava sul bosco dei sussurri, e soprattutto era un luogo che solo lei poteva raggiungere. Solo lei raggiungeva l'estremità esterna della trave per sedervisi e restare lí, a decine di metri dal terreno, a guardare il mondo svegliarsi e poi anche vivere, a volte persino per ore.
Beh, lei é Melog ovviamente.
Ed ogni volta era meraviglioso.
Lo fece anche quella mattina, andò incontro al sole immergendosi nella sua luce dorata dell'alba, lasciando i propri occhi indovinare, a poco a poco, i contorni prima avvolti dal buio, poi nascosti dalla luce intensa, ed infine finalmente visibili, che disegnavano il regno, le sue case ed i suoi abitanti, ed il bosco, folto ed apparentemente infinito, misterioso e fitto come sempre era stato, ma ormai non piú pericoloso.
Ed il mondo parve diverso, quella mattina.
Per la prima volta le sembrò davvero che la guerra fosse finita, almeno quella guerra, combattuta per generazioni, che non era mai stata la loro e che pure aveva da sempre determinato le loro vite. Le sembrò che tutto fosse calmo e silente, che si svegliasse poco a poco, riempiendo l'aria di vita. La respirò profondamente, quell'aria, e per la prima volta se ne sentí parte.
Si guardò indietro per controllare Adora: dormiva ancora, cosí si sedette, lí all'estremità di quella trave.
E presto i pensieri giunsero, ma non furono neri e soffocanti, confusionali e disperati, come erano stati nell'ultimo periodo, no. Furono ordinati, chiari, quasi come se tutto fosse stato finalmente spiegato, l'intera sofferenza della sua vita, riassunto in un battito di cuore.
Cosa ci fosse poi di tanto diverso in quel giorno, o cosa ci fosse stato di cosí diverso nel giorno prima, Catra non lo sapeva. Poteva limitarsi a supporlo, a supporre che quel dialogo con Glimmer, quella promessa di perdono che a sua volta aveva fatto, avesse cambiato le cose, l'avesse convinta di essere forse sola, sí, nel suo dolore, quello che per anni aveva cresciuto nel petto e che nessuno, neanche Adora, sarebbe mai riuscito a capire, ma che non lo era nella  sofferenza, perché tanti soffrivano, ma questo lo sapeva già; ciò che aveva davvero scoperto era che qualcun'altro, come lei, non aveva ancora vinto la battaglia contro quella sofferenza; qualcun'altro ci stava ancora provando, a perdonarsi e a perdonare.
Qualcun'altro invece, che aveva già vinto, aveva perdonato tutto perché ormai la sua felicità dipendeva da altro, ma non aveva dimenticato, non avrebbe forse mai dimenticato, eppure era pronto a che lei lo facesse.
E mentre tutto continuava a girare, mentre le nuvole continuavano a spargersi nel cielo, spinte dal vento, e nella sua mente, ad addensarsi, nere di temporale, sui suoi pensieri, aveva realizzato che tutti loro erano sotto quelle nuvole, ed al tempo stesso alcuni di loro, come lei, erano le nuvole stesse, fatte di ricordi vaghi, grigi di tristezza e rassegnazione, neri di rabbia.
Sapeva già di non essere in diritto di condannarsi all'infelicità nonostante tutti i loro sforzi, ma questo non era abbastanza. Non lo era stato fin quando non aveva capito che lei, tutti loro, il passato come il presente ed il futuro, nuvole vagabonde in un cielo ormai troppo ampio, sarebbero passati.
Tutto sarebbe passato.
E non importavano le tempeste, le lacrime, l'oscurità o la luce: tutto, nel tempo, sarebbe passato. E allora forse tutto ciò che serviva era chiudere gli occhi e crederci.
Chiudere gli occhi e cercare, per un attimo, di dimenticare, come tutti prima di lei erano stati in grado di fare, privi, a differenza di lei, di un fardello di storia e di passato fin troppo pesante da sopportare.
E fare in modo che quell'attimo durasse, non per sempre, solo per il tempo che sarebbe stato sufficiente ad andare avanti, a guardare oltre, a vivere quel domani, solo per poi riaprire gli occhi e comprendere che ieri non ha più importanza perché oggi é tutto quello di cui si ha bisogno.
E magari chiudersi un po', sí, nella consapevolezza di essere gli unici a poter comprendere davvero il peso di quel passato, a sapere di esserne vittime, pur sapendo che questa non sia una giustificazione per il proprio operato, eppure trovandone sollievo, nonostante tutto. Tenerlo solo per sé, perché il perdono non diventi vittimismo, concedere agli altri l'esterno e ciò che di buono é rimasto all'interno, tutto e solo il meglio, per Adora e per tutti gli altri, riservando solo a sé stessi quella corrotta oscurità che comunque non potrà mai lasciare le profondità più recondite dell'anima, perché l'amore non diventi odio, perché il buio non corrompa la luce.
Guardarsi allo specchio e non cercare cicatrici, sul proprio corpo, scuse o possibili vie di fuga, ma vedere una persona nuova, vedere l'intenzione nei suoi occhi, e sorridere, sempre sorridere, con tutto il cuore e l'anima, alla figura che alle sue spalle si sarebbe avvicinata,  che quella persona avrebbe preso per mano e tirato fuori da quel vortice di nulla col suo solo essere presente.
Così, Catra sorrise. Senza motivo eppure con tutti i motivi del mondo.
Sorrise ad un nuovo inizio, alla redenzione, alla felicità e all'amore.
E, voltandosi verso Adora e vedendola aprire gli occhi alla prima luce del mattino, Catra sorrise al futuro.
   
 
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