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Autore: sacrogral    19/01/2021    6 recensioni
Storia che può lasciare un po' interdetti. Avvicinarsi con cautela. Solo se piace la metaletteratura.
Barbara, dea del mare, lillarose e Anna23 - che vi devo dire? Grazie.
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Comandante, che ci fate qui?” chiese Alain de Soisson, ancora un po’ assonnato. La sua voce suonava preoccupata e incerta. Il comandante Jarjayes non aveva mai cercato nessuno dei suoi soldati a casa, nei giorni di libertà.

“Devi aiutarmi, Alain” disse lei, tesa. Ci fu una pausa di silenzio “André è scomparso”.

Il giovane la guardò, sveglio ma dubbioso. Non l’aveva neanche invitata ad entrare, e lei non si era mossa.

“Siete sicura? Ieri era con noi, come sempre. Cosa intendente con scomparso?”

Lei chiuse gli occhi un istante, sembrò mancarle la voce.

“Lo ha preso. Lui lo ha preso”.

“A chi vi riferite, comandante?”

Lei glielo disse piano.

Alain attese il tempo di guardare il cielo, poi di nuovo lei.

“Datemi dieci minuti e vi raggiungo”.
 

“Comandante Jarjayes, la vostra sta diventando una deprecabile abitudine”, tuonò Bernard-René Jourdan, Governatore Reale della Bastiglia. Oscar non rispose neppure: aveva già mostrato autorizzazione e permessi, e aveva la testa altrove. Alain la seguiva, raccomandandosi di contare fino a dieci e tacere.

“Il prigioniero è pericoloso e difficilmente gestibile. Da quando, su vostra richiesta, gli sono state restituite carta e penna, è più tranquillo, ma nessuno gli si avvicina e i pasti gli sono lasciati fuori dalla porta. Nella sua cella, si entra come minimo in due” si fermò e la guardò nervoso “La vostra nuova richiesta di portarlo fuori rasenta l’offensivo. Non ho motivo di credere che possa esservi utile in qualsivoglia modo”.

“Mi assumo tutte le responsabilità, monsieur. Il prigioniero mi serve e non per divertimento”.

Donatien Alphonse François, marchese de Sade, attendeva con la sua consueta ironia. Era a volto scoperto, stavolta, penna e calamaio posati sul tavolo, un foglio davanti, riempito con una grafia minuta e fitta, e un disegno osceno a corredo della scrittura. I polsi erano bloccati dai ferri.

“Comandante, la gente dirà che siamo innamorati” affermò, ridendo con la bocca ma non con gli occhi.

“Adesso mi avvicinerò a voi, marchese” gli disse rapida, sotto lo sguardo vigile di guardie, soldato e Governatore.

Gli si sedette davanti.

“Dovete aiutarmi, signore. André è sparito”.

Lui alzò le sopracciglia.

“Un modo diretto, il vostro, per parlare con me. E il vostro sguardo porta i segni di un’apprensione sincera. Mi chiedo però cosa vi conduca fin qui, ad informare me di questo pur deprecabile evento. E soprattutto mi chiedo cosa vogliate da me. Mademoiselle, avete conoscenze e risorse che superano di molto quelle che sono le mie possibilità. Oppure volete indagare sulle motivazioni recondite, qualora per scomparso intendiate andato via di sua volontà, ma senza che voi riusciate a capacitarvene?”

Nelle due sole occasioni in cui lo aveva incontrato, la voce ipnotica di lui l’aveva  sempre fatta dubitare, e spesso indietreggiare, ma non questa volta.

“Signore, quando dico sparito intendo catturato, preso contro la sua volontà. E so anche da chi”.

Glielo disse e lui aggrottò le sopracciglia.

“Siete sicura?” domandò, senza motivo.

Lei annuì in silenzio.

“Allora la situazione possiede una sua gravità” ammise, pensieroso “E il mio intervento potrebbe essere di una qualche opportunità. Forse”.

Stavolta non disse: “Datemi venti minuti”.

“Vi ringrazio, signore. Non sareste tenuto. Mi considero in debito”.

“Smettetela subito, comandante, o mi farete credere che per voi sono persona onesta e prode. E questo mi dispiacerebbe davvero molto”.


 
“Comandante, non capisco” disse Alain “Dov’è la carrozza con cui trasportare questo… signore?”

Lei lo guardò, un po’ triste.

“È proprio bella, il mio comandante” pensò lui, semplice e sincero.

“Non ci serve una carrozza, Alain. Anzi, togli i ferri dai polsi del marchese”.

Alain rimase annichilito, mentre de Sade sogghignò.

“Comandante, con tutto il rispetto… non possiamo girare per Parigi, a piedi, con quest’uomo, come se fosse una persona qualunque. Se scappa, se lo perdiamo…”

“Non scapperà, Alain, non stavolta. E abbiamo ancora qualcuno da cercare”.


 
La casa del boia Sanson era modesta, ma pulita e ben tenuta. Sua moglie li accolse con stupita cortesia, li fece accomodare, con l’aria confusa di chi non è abituato a ricevere visite. Persino i bambini se ne stavano buoni e composti.

Charles-Henri Sanson non avrebbe potuto essere più stupito.

“Io vi ho già vista” disse ad Oscar, burbero “E so chi è questo signore. Prima o poi finirete sotto la Louisette”- de Sade fece un gesto vago, procrastinante “Mentre voi, giovanotto, non ho idea di chi siate. Cosa ci fate in casa mia?”

“Sono il colonnello Oscar François de Jarjayes, comandante dei soldati della Guardia parigina. E mi serve il vostro aiuto”.

Sanson si voltò: “Marie Anne, hai sentito anche tu? Il colonnello vuole il mio aiuto, l’aiuto del bourreau” disse, per prendere tempo. Se la ricordava, lui, quella ragazza col cielo negli occhi, si ricordava ogni particolare della sera in cui l’aveva vista, con quel suo amico, alla Disperazione.  Si ricordava di tutta quella  vita che lo aveva ferito e conquistato.

“Mio marito ha fatto qualcosa che non doveva?” chiede allora lei, seria.

È Alain che risponde, sente di essere il più rassicurante di tutti.

“Assolutamente no, signora, state tranquilla. Siamo qui per una faccenda personale”, aggiunge, con un sorriso da fratello maggiore per i bambini.

“Signore, voi, son certa, vi ricordate di André. So che lo avete aiutato, una volta” dice Oscar, con un certo sforzo.

Sanson se lo ricorda.

Parlano fra di loro, a bassa voce, mentre de Sade studia il boia. Ha un corpo enorme, braccia enormi, potrebbe fare il boscaiolo, e ha l’aria di uno che schiaccia le noci con una mano sola e senza sforzo: inutile non sarà, pensa il marchese.  Eppure tuto quel grasso e quella mole nascondono una certa sensibilità, pensa il marchese. Se mai taglierà la sua testa, lo farà con bravura, ammette, spassionato.

Lui” dice infine Sanson, a voce abbastanza alta perché tutti lo sentano. Impreca e bestemmia. “Non ce la faremo” sentenzia, poi “Non aspettarmi, stasera” dice alla moglie, e già sulla porta si rivolge ad Oscar, rigido: “Passiamo alla Disperazione, forse c’è qualcun altro da portarci dietro, bambina”.

Il marchese de Sade e Alain si osservano per un momento, con espressioni diverse, perché per differenti motivi nessuno dei due avrebbe mai pensato di vivere abbastanza per sentir chiamare Oscar “bambina”.


 
Ed è proprio adesso, nel momento esatto in cui mi si posa una zanzara sulla mano e faccio un gesto un po’ brusco, e mi rendo conto che la tastiera di questo computer va cambiata perché alcuni tasti si incantano, che alzo lo sguardo e me li ritrovo nel mio giardino, con facce poco rassicuranti.

“Porca miseria” dico fra me e me.

Non mi danno neanche il tempo di dire “buongiorno”.

“Allora, damerino, dov’è il mio amico?” mi chiede il ragazzo che riconosco benissimo.

Alzo le mani nell’universale gesto del “calma, calma”.

“Non c’è bisogno di essere così irruente” gli mette una mano sulla spalla e lo rimprovera benevolmente l’uomo accanto a lui - i capelli lunghi ingrigiti, la camicia bianca troppo aperta- ecco, lo riconosco sì, mi sono immaginato anche il colore delle sue unghie. “Però, giovanotto, se non mi fate la cortesia di restituirci sano e salvo l’amico che sapete, ho in mente una cura medievale per le vostre mani, a cui tenete tanto. E ho in mente anche qualcos’altro. Vi piacerebbe cantare in un coro di voci bianche?”.
“Un momento!” mi alzo di scatto, un po’ impensierito. Non mi piace la piega che sta prendendo questa faccenda.

“Poche storie” sento dire, e ha parlato un tizio che è un marcantonio che sfiora i due metri – porca miseria- e si porta accanto qualcuno, che è un’ombra e che nessuno tranne noi due sembra vedere “Tu che dici, vecchia lupa?”; sorride, l’ombra, e mi accorgo che è una donna e non riesco a metterle a fuoco gli occhi.

Riconosco anche loro, comincio ad aver paura- cos’ho fatto? Ma non potevo scrivere poesie sulle rose e i lillà? O qualche vicenda d’amore rassicurante, con una spruzzata di rosso?  Perché non mi ritrovo mai il giardino invaso da una folla di ragazze belle?

“Fermi!” dico ad alta voce, brandendo una penna “Non sapete chi sono io! (non avrei mai pensato di pronunciare questa frase ad alta voce) Basta solo un mio gesto, un mio pensiero e voi cesserete di esistere! Siete solo la conseguenza dei peperoni ripieni di mia madre!”

“Anche io?” sento domandarmi. Dio mio, come ho fatto a non vederla prima. Stavolta è in divisa, come l’ho a lungo sognata. Ho di nuovo quindici anni. Lascio ricadere la mano lungo un fianco, mi si disegna un sorriso storto in faccia. Tutto il resto può aspettare.

“No, tu no, naturalmente” dico, col mio tono di voce studiato apposta per far colpo sulle donne.

Lascio che mi si avvicini, osservo come si muove, così elegante, come avanza un passo, e poi un altro, portando con sé tutta quella luce, tutta quella grazia, tutta quell’onestà. Tutta quella forza.

E sbaglio, perché mi ritrovo le sue mani al collo, e sento difficoltà col respiro.

“Dov’è André? Che ne hai fatto?” mi grida contro. Come se potessi rispondere, quando non riesco nemmeno a far fare ai polmoni il loro dovere.

“Diamo mano al comandante!” sento dire, con percezione alterata.

“Ecco” penso “Ora muoio e si va a vedere cosa c’è di là”.

Poi mi ricordo chi sono loro e chi sono io, e li fermo tutti.

Tossisco, mi stiro un po’ la maglietta che ho addosso- ma guarda te!- mi ravvio i capelli.

“Un momento, vi chiedevo. Ma che modi sono? Neanche i politici italiani si comportano così. Ce la fate ad essere civili, o è chiedere troppo? Credevo di aver a che fare con personaggi di spessore, lo avessi saputo avrei scritto di Topolino!” mi impongo.

“Dov’è André?” chiede lei, come se non mi avesse neppure sentito.

Mi devo concentrare per tenerli fermi, maledetti personaggi senza cuore.

Allora mi avvicino un po’a lei e faccio una cosa che raramente ho osato fare: le accarezzo una guancia, e inspiro a occhi chiusi il suo profumo di gelsomini. Resto un momento paralizzato, nel sogno dell’istante, mentre la Terra continua a girare, il tempo a scorrere.

“Non toccarla” grida Alain, che mantengo immobile con uno sforzo.

“Oh, no, toccala pure, amico mio. Anzi” gli fa eco de Sade.

“Da che parte state, voi, signore?” gli chiede il boia.

Il marchese si stringe nelle spalle.

“Da quella dei demoni, signore, come sempre” risponde, senza scomporsi.

“E basta” dico io, che mi son veramente rotto le scatole (e dico ‘scatole’ e non  di peggio perché mi leggono delle signore) “Ma per chi mi avete preso? Piombate a casa mia d’improvviso, mi minacciate pure – ve lo ricordate o no che son io che vi sto dando vita? E a lei ho solo sfiorato una guancia, così, per capire, una volta nella vita. Ma cosa volete saperne, voi?”

E mi rivolgo di nuovo a lei.

“Non puoi pensare davvero che ti farei del male, scrivo per riparare in parte a quello che ti è stato fatto” le dico, e prima che lei me lo chieda di nuovo come sta per fare, e solo perché è il momento giusto, e grazie a Dio, ecco che André esce dall’interno di casa mia, con l’aria perplessa e un po’ provata. Li lascio liberi tutti, mi rilasso. Lei gli corre incontro, gli si getta fra le braccia. Chiaro, che altro avrei potuto fare? Pensare che si gettasse fra mie, di braccia? Che giornata infame.

“Neanche Fiamma nelle sue recensioni più infuocate mi ha mai trattato così” borbotto, sperando di far sentire qualcuno di loro in colpa. Non sembra attaccare.

“Ma, alla fine, mio buon amico, cosa volevate fate? Perché le avete tolto André così all’improvviso?” chiede de Sade, facendo una strana ginnastica con le dita.

“Macché tolto. Voi proprio non avete capito che io non rinuncio mai al lieto fine. Volevo solo fargli passare un buon compleanno, quindi l’ho invitato a casa mia, con un po’ di amici miei, a bere. E magari qualcuno riusciva pure a dargli una svegliata”.

Alain de Soisson mi osserva, perplesso.

“E perché non hai chiamato anche me, scusa?”

“Perché a casa mia invito chi pare a me. E comunque non sarebbe stata una cattiva idea, visto che lui non è certo stato l’anima della festa” e poi aggiungo “Signori, ora che tutto mi par che sia chiarito, e che al momento non abbiate più niente da fare qui, vi pregherei di tornare ciascuno a fare quel che deve fare”.

“Grazie per la serata originale” mi dice l’orbo, abbracciando lei, e per la terza volta nel tempo che ha passato qui.

Va bene, sei educato, è chiaro che lo so.

“Non farmi mai più una cosa del genere” mi dice lei, con quella voce solo sua. I poeti cercano in ogni volto il volto dell’amata. Io cerco anche la voce.

“Prometto” mi impegno “Ci vediamo presto, allora”.

Se ne vanno uno ad uno, i miei personaggi ingratissimi, quel boia enorme e quella Morte senza occhi, il divin marchese, il soldato cui ancora non ho dedicato abbastanza tempo, e loro due, André Grandier e Oscar de Jarjayes, le mie merende preparate dalla nonna, i miei compagni della scuola superiore, la mia nostalgia.


“Che fase di regressione” mi dico, scuotendo la testa e massaggiando il collo. Poi, ad alta voce: “Will, sei vivo?”

Da dentro casa, una voce dall’oltretomba che mugugna.

“A cosa pensi, Gral?”

“Penso all’eternità e al noumeno. Alla Fede, alla Sapienza, alla Grazia che illumina il cammino di noi poveri uomini. E poi penso a Lorenzo il Magnifico e alla Firenze del Quattrocento, che era quello che avrei dovuto studiare oggi, invece di sprecare tempo. E tu?”

“Io” sento articolare “penso che Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana. Ora lasciami dormire e studia”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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