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Autore: zorrorosso    20/01/2021    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 24 

The World Is Your Oyster


Le campagne de l'Orléanais, così lontane, gialle e grigie, dorate dal grano e alberi verdeggianti, nere e dai tetti di pietra e dalle nuvole di un cielo azzurro, immerse tra i cespugli di un’estate al suo inizio, diedero una momentanea sosta al mostro meccanico.

Il panorama, perlopiù appiattito, ritrovava vita nei piccoli villaggi, nei campi ben coltivati e nella vegetazione sparsa che li divideva, accompagnati soltanto da alcuni dossi ed argini. Una breve distrazione all’ambiente piatto e monotono del lungo fiume.

 

Nella città antica, come altre che partivano con una campagna rada, era altrettanto facile perdersi tra le strade strette del centro, che si arrovellavano verso le ampie piazze medievali. Chiese e porticati, non troppo diverse da quelle di altre zone ed altri villaggi della Loira, di solito coronate da radure piatte e verdeggianti di cespugli ed alberi. Ruderi divenuti, col tempo, dossi d’erba selvatica.

 

Non era però il centro della città, la piazza del duomo, il cuore da dove fiorivano i gigli, dimora della santa eroina di Francia, quello che i tre avventurieri stavano cercando, ma un’area più vasta, dove poter atterrare e nascondere l’arnese, strumento di ingegno e di guerra, più facilmente. Un vasto campo e una stalla sembrarono, per questo, il luogo migliore.

 

Gli avventurieri scorsero, nelle vicinanze, una verde radura vicino la quale si ergeva un edificio abbastanza grande, che prendeva sia il ruolo di taverna, che quello di stalla.

 

Alla maniera nordica, la taverna alloggiava bassi soffitti e lunghe tavole imbandite. Quasi attaccata, si trovava una stalla, costruita secondo le stesse regole particolari di solito in uso tra le montagne e alloggiava animali, sia quelli da pascolo della fattoria, che quelli dei visitatori. Questi ultimi avrebbero potuto addirittura arrampicarsi tra il fienile della stalla e le camere da letto della locanda, senza mai passare tra le tavolate, le cucine e le cantine dei piani inferiori, tramite una serie di scale a pioli. 

Il sistema era utile soprattutto per la notte o le fredde giornate d'inverno e serviva più che altro ad accedere alla cura e la salute dei loro animali senza che questi dovessero lasciare la stalla e la taverna. I padroni della fattoria avevano controllo dei grossi portoni ai piani inferiori e non c’era ragione di temere che i clienti avessero lasciato la locanda senza essere visti e senza pagare.

 

La fattoria aveva le stesse caratteristiche assi di legno, travi esposte, e i bassi soffitti. Ai piani inferiori, tra l’ombra del soffitto dalle grosse travi e le fondamenta di pietra si potevano distinguere occhi, nasi e i respiri intensi di alcuni animali, per lo più i cavalli degli ospiti ai locali vicini. 

 

Ronzinante riconobbe il suo padrone quasi immediatamente, i suoi occhi sembrarono cambiare d’espressione mentre il naso si arricciò in un nitrito simile ad uno sbuffo.

 

A quella vista, D’Artagnan esitò. Lui stesso, in persona, aveva fatto del suo meglio per mettere un edificio simile in funzione sulla tenuta di famiglia: aveva letto alcune stampe e prospetti, mostrato alcune incisioni ai suoi uomini e i suoi fratelli poiché trovava quei sistemi interessanti e a volte pratici.

 

Ciò che più differiva dalle altre locande, fattorie ed edifici, era il modo in cui avesse una rampa per trasportare i carri ed utensili fin sopra il solaio, in un fienile coperto, fatto come un silo, che poteva essere riempito dall’alto del tetto. 

 

Il fieno e gli altri raccolti, ricadevano senza sforzi verso i piani inferiori tramite una balconata dove, al di sotto di essa, alloggiavano le mangiatoie degli animali. 

Il ragazzo aveva anche discusso con André sul come utilizzare un edificio del genere in inverno, quando i pascoli non crescevano abbastanza erba per nutrire gli animali o le piogge non lasciavano asciugare completamente il fieno, non permettendo così la sua conservazione fino alla successiva primavera. 

 

Per quanto inusuale, un sistema del genere richiedeva poco sforzo umano per trasportare anche i carichi più abbondanti. Le rampe che accedevano ai piani superiori, fatte di terra e travi, gli ricordavano una versione più umile di quelle delle ville e dei palazzi, dove i signori potevano accedere con i loro carri e i loro cavalli fin nelle loro stanze.

 

Una fattoria come quella, sarebbe stata facilmente controllata da pochi uomini e non avrebbe necessitato altra servitù... 

Era tutto questo che aveva bisogno di spazio in pianura. Difatti, così costruita, nel mezzo di quella valle, aveva bisogno di una rampa artificiale, cosa che i fratelli di D’Artagnan avevano ampiamente evitato addossando il loro edificio sulle pendici delle colline della tenuta.

 

Così, dopo tante proteste e ripensamenti, anche i suoi fratelli ne avevano riconosciuto l’utilità della fattoria, costruendone una simile sulla tenuta in Guascogna e prendendo per loro tutti i meriti. Il giovane strinse i pugni e deglutì, quando la sua mente ripensò all’ennesimo torto subìto, al fatto che nonostante le sue spiegazioni nessuno gli avesse dato retta. 

 

Eppure la sua tenuta aveva una fattoria così simile a quella che gli si prestava di fronte, che ne avrebbe potuto abilmente riconoscere il suo interno senza neppure averla vista. 

Sopraffatto dalla delusione, il ragazzo emise un lungo sospiro e soltanto in un secondo momento riconobbe Ronzinante e chiese agli altri due di fermarsi e atterrare.

 

“Qualche cosa non va?”- chiese Porthos.

 

“No, soltanto... Soltanto, questa... La fattoria di cui stavo parlando era...”- D’Artagnan faticò a continuare il suo discorso e a riorganizzare le idee.

 

“La fattoria che i miei fratelli hanno costruito era proprio come questa. Si sono presi tutti i meriti!”

 

Più interessato ai comandi della macchina, Aramis non prestò attenzione, mentre Porthos si voltò, quasi spazientito.

 

“Siete per caso un fattore?”

 

“No”- D’Artagnan si distrasse dall’atterraggio, lasciando che i due continuassero a discendere verso terra e a manovrare la macchina verso le porte della costruzione, divenuta in pochi attimi il simbolo di tutti i suoi risentimenti.

 

“Percorrete quella rampa e fermatevi qui”- continuò il ragazzo, scendendo dallo strumento ed aprendo i portoni.

 

Porthos lo raggiunse, mentre Aramis regoló i comandi verso l'entrata. I due tirarono l’arnese in avanti, in un'area che avrebbe contenuto il fieno dopo il raccolto, ma che in quel momento era vuota. Si apprestarono di nuovo ai portoni e li richiusero sommariamente, pronti per essere riaperti alla nuova partenza.

 

“Cosa avete da temere? Il fatto di non avere ricevuto meriti per qualche cosa che non avete inventato, non avete costruito e non vi sarà utile per alcuna ragione?”- chiese Porthos.

 

“Ma se non fosse stato per lui, non ci sarebbe mai stata una fattoria come questa nella sua tenuta. Non avrebbe diritto ad essere almeno ricordato dalla sua famiglia?”- domandò Aramis.

 

Porthos prese una pausa, guardò i due e scosse la testa:

 

“A bordo di questa macchina non avremo nulla da temere! Basta solo un breve brindisi, chiarire le ultime cose con Athos e rimettersi in viaggio per Parigi. Arriveremo in meno di due ore e tutto sarà risolto! Voi i vostri onori, ed io le mie alleanze!”

 

L’uomo si impettì di rinnovata gioia, il suo entusiasmo illuminò gli altri due, che lo presero per le braccia e si apprestarono alla taverna.

 

“Avranno pure preso l’onore della fattoria, sui vostri avi, ma voi porterete gli onori del re!”- aggiunse Aramis.

 

Nei pressi della taverna, D’Artagnan si guardò attorno, quasi in cerca di Constance, ma anche in quel caso, nessuna giovane donna sostava nei pressi della taverna.

Soltanto momenti dopo, portò la sua attenzione verso i suoi compagni.

 

“Ho ancora qualcosa da imparare da voi... Le vostre tristi lacrime!”- disse Aramis rivolto a Porthos, sembrò colto da una strana idea. 

 

“Fate ancora quel trucco!”- disse il giovane al ricordo delle grosse lacrime versate qualche giorno prima al funerale del loro amico.

 

L’uomo tirò fuori dalla tasca una cipolla, la spezzò di fronte ai suoi occhi e i due cominciarono a piangere grosse lacrime, seguite da risate altrettanto sguaiate. Porthos pianse con apparente disperazione, rivolto verso Athos che li stava aspettando.

 

L’uomo non sembrò provare per lui alcuna tristezza. Raccolse l’ultima lacrima dagli occhi irritati e dall’odore sgradevole.

 

“Smettetela e venite qui!”- disse poi, attorniato da boccali pieni di birra e fece loro cenno di farsi avanti. In effetti, il combattente aveva ragione, soltanto nominando il nome della sua famiglia, in quel ducato era possibile alloggiare comodamente ed essere ripagati di favori. 

 

I quattro continuarono a piangere e a ridere, tra un brindisi e l’altro. Però un rumore di passi inaspettato interruppe quei festeggiamenti.

 

Loro sorrisero ed alzarono i loro calici per un brindisi celebratorio, dovevano ancora trovare Constance, ma per lo meno Athos aveva ripreso le sue forze ed avevano ritrovato la strada verso Parigi. In breve tempo avrebbero rivisto le porte della città.

 

Proprio mentre D’Artagnan si aspettava di udire il tintinnio del boccale, quello degli speroni prese il suo posto.

 

“I tre moschettieri di Treville? Siete proprio voi?”- chiese una voce scomodamente familiare.

 

Tutti gli occhi furono subito puntati sul Comandante in alta uniforme: i loro calici non tintinnarono di soddisfazione, ma ricaddero fastidiosamente, ancora pieni, sul tavolo.

 

“Comandante Rochefort?”- chiese D’Artagnan.

 

“No, non siamo moschettieri. Ci state scambiando per qualcun altro, Comandante”- disse Athos, di spalle, il volto coperto e senza voltarsi.

 

“Athos? Conte?”- chiese Rochefort nell’incredulità delle sue orecchie. Agli angoli del suo sguardo crebbe il terrore del morto vivente, l’ascensione del Lazzaro resuscitato dal suo sepolcro, ancora come aura e cattivo auspicio, la puzza di morte e marcio.

 

Il moschettiere nascose il volto sotto la tesa del cappello e D’Artagnan realizzò per un attimo che quella scusa avrebbe potuto ancora funzionare.

 

“Athos è morto per mano vostra”- disse in ragazzo, facendosi avanti tra i due.

 

“È il vostro sguardo a farsi beffe di voi stesso. Il nostro compare non è nient’altro che un incubo della vostra mente, un fantasma della colpa che occupa la vostra coscienza... Il Conte de la Fère è stato sepolto qualche giorno fa a Beaugency. Quest’uomo non ha nulla a che fare con...”- Rochefort non lo lasciò finire di parlare, lo spinse e passò oltre, si avvicinò all’uomo seduto di spalle, lo fece voltare e lo costrinse a togliersi il cappello.

 

“Conte de la Fère? Non eravate morto?”- chiese di nuovo il Comandante. Athos alzò le spalle.

 

“Non abbastanza, apparentemente”- rispose tendendo le labbra in un’espressione evasiva.

 

“Divina Provvidenza!”- disse Aramis facendo finta di benedire gli Dèi e facendo il segno della croce.

 

“Un miracolo!”- esclamò Porthos alzando gli occhi e i palmi verso il soffitto allo stesso modo.

 

Rochefort guardò i quattro avventurieri per un lungo istante. Conosceva quasi tutti, sapeva delle loro debolezze come delle loro abilità. Con destrezza, agguantò il manico della sua striscia violentemente, pronto ad attaccare, un braccio dietro la schiena, pronto a segnalare ai suoi uomini di fare lo stesso.

Tuttavia colse tutti di sorpresa quando non sfoderò la lama della sua spada, non puntó verso di lui. Si fermò, quasi immediatamente bloccato dai suoi stessi intenti. 

 

“Per quanto possa rimediare personalmente alla legge di Richelieu, non posso ancora fare nulla contro di voi! Da queste parti avete la protezione del Duca!”- esclamò realizzando la triste realtà, che ben ricordava.

 

Athos annuì soddisfatto a quella esclamazione e con grazia, mostrò la porta della taverna al Comandante, invitandolo ad uscire e a lasciarli in pace. 

 

Il gesto non fece che irritare il militare ancora di più e chiamò su di se i suoi uomini, si guardò indietro ed alzò parte della lama contro D’Artagnan, mostrando le sue armi verso il ragazzo: un duello sulla parola. Il suo primo duello sulla parola: doveva mostrare le armi per il suo duello, doveva scegliere un secondo, doveva uscire all’aperto al posto di Athos, al di fuori dei commensali sorpresi e incuriositi, sfidato non di meno che dal Comandante della guardia Cardinale!

 

Per qualcun altro, un gesto del genere sarebbe sembrato ingiusto o antiquato. Tuttavia agli occhi e le orecchie di D’Artagnan, era arrivato il suo momento. Avrebbe finalmente dimostrato agli altri e se stesso di cosa era capace. Non temeva la morte in duello: se errore era stato commesso, andava punito. Ma se il coraggio e l’onore, l’esperienza di quel lungo viaggio gli aveva insegnato qualche cosa, forse era divenuto questo il momento per provarlo.

 

I tre combattenti emisero una serie di lamenti, fischi e insulti di protesta contro la scelta di Rochefort. 

 

Anche i gli uomini del comandante trovarono quella scelta inadeguata: un uomo esperto contro un ragazzino. Nessuno si offrì da secondo, ma ciò non preoccupò Rochefort o la sua reputazione, l’uomo non ritrasse la sua proposta e continuò a fissare D’Artagnan, quasi per ripicca verso gli altri tre intoccabili. 

 

Tuttavia D’Artagnan non si perse d’animo: mostrò la lama del suo spiedo con fierezza. Athos gli porse il suo nuovo rapière, Aramis i suoi pugnali e Porthos un’altra cipolla, nel caso rapière e pugnali non fossero stati d’effetto.

Il ragazzo prese un profondo sospiro, a piena aria nei polmoni, si impettì dell’orgoglio di essere stato finalmente chiamato a duello, mani sui fianchi e fece tintinnare gli speroni sui suoi tacchi, uscendo dalla locanda e sprezzante del pericolo.

 

“Gridate se avete bisogno d’aiuto”- gli disse Aramis sottovoce, ma lui scosse la testa, quasi felice di essere stato preso in considerazione e andò avanti senza voltarsi.

 

“Come? Da solo? La vostra inesperienza vi porterà ad una umiliante sconfitta!”- disse Rochefort, con noncuranza.

 

“Quindi per voi sarei inesperto? Come fate a dirlo?”- chiese D’Artagnan.

 

“Non avete detto molto a riguardo, ma avete fatto tanto...”- ribattè il Comandante con un sorriso di sfida.

 

Alle sue parole, D’Artagnan non rispose e si preparò ad aprire le armi, intento a risparmiare il fiato per un prossimo attacco.

 

Ma a dispetto della prodezza o l’onore nelle sue gesta, la prima mossa di rapière fu subito difensiva. Anche quando la miglior difesa possa essere l’attacco, se si è subito attaccati senza alcuna possibilità di osservare gesta e prevedere movimenti, neppure pensare, il corpo ed i muscoli hanno sempre la meglio nel decidere come rimanere in vita.

 

Per un breve momento, D’Artagnan, sperò di essere quell’attaccante. 

In realtà indietreggiò, sorpreso da un’altra sferzata. Non era facile apparire in pieno controllo delle proprie azioni ed il comandante aveva capito che, se il ragazzo avesse avuto tempo, si sarebbe accorto delle sue segrete debolezze. L’ intenzione era quella di stancarlo prima e giustiziarlo poi. Dalla sua parte si trovava di nuovo l’inesperienza del suo avversario, arma di cui farne ampiamente uso. 

 

Nessun colpo andò a tiro, ma l’esperto Comandante era già pronto alla prossima mossa.

Il ragazzo guardò stranamente alle spalle, come se si aspettasse che qualcosa o qualcuno lo stesse ancora osservando. Dietro di lui si trovava soltanto la stalla dalle basse finestre e presto il suo indietreggiare non avrebbe fatto altro che dare un freno al suo lento passo di talloni, costretto verso le porte della stalla.

 

“Dimenticavo!”- Rochefort si fermò un solo momento e alzò la voce.

Alle sue parole, D’Artagnan abbassò il rapière per notare il suo volto apparentemente affannato.

 

“Quella bella dama di corte a cui usate inchinarvi così amorevolmente, mademoiselle Bonacieux. È passata da queste parti”- il Comandante affondò un altro colpo, D’Artagnan indietreggiò, quasi senza notare dove stesse arrivando o il fatto che ci fosse un ostacolo alla fine del percorso.

 

“Che buffe e tristi le sue alleanze! Lasciarla così, da sola, camminare al lato della strada, preda di briganti e malintenzionati, senza nessuna scorta! La sua scorta doveva essere sicuramente fatta di persone a lei poco fidate o addirittura maligne, per non lasciarsi aiutare da loro, invece di farsi accompagnare chi sa dove, dai suoi parenti?”- Rochefort sorrise, la sua presunzione aveva colto nel segno, più di qualunque altro colpo di striscia.

 

Distratto da quelle parole, D’Artagnan si soffermò al pensiero di Constance camminare da sola, la sua rabbia salire nella negligenza della sua cavalleria. Indietreggiò, mentre sentì il terreno sotto di lui rialzarsi sulla rampa del portone e l’ombra della maledetta fattoria avanzare alle sue spalle.

 

Finalmente alle porte, inchiodato da se stesso e senza la possibilità di sfuggire, Rochefort diede un ultimo calcio verso la sua direzione. Il Comandante aveva la certezza di inchiodarlo alle porte con la sua striscia affilata... Giustiziarlo in fretta e con un movimento secco. 

D’Artagnan riuscì facilmente ad evitare l’attacco, mentre le porte quasi aperte si spalancarono sotto la sua spinta quando un balcone aperto, accolse Rochefort verso un silo vuoto.

L’uomo perse l’equilibrio e, come il fieno dei raccolti, ricadde nelle mangiatoie degli animali dei piani inferiori.

 

La presunta avanzata e vittoria del comandante della guardia cardinalizia, fu accolta dalla caduta e miserabile sconfitta. D’Artagnan si avvicinò all’orlo con più cautela, si piegò leggermente per riconoscere la figura dell’uomo ancora sdraiata, muoversi lentamente.

 

“E avete pure insultato il mio cavallo!”- urlò verso di lui, dall’alto della balconata.

 

Gli uomini di Rochefort accorsero verso la scena, guardarono il loro Comandante rialzarsi lentamente e riprendere conoscenza. 

 

Pochi attimi, prima che riaprisse gli occhi e puntasse nuovamente il rapière verso il ragazzo, incitando i suoi uomini ad attaccare. Tuttavia a quel punto, D’Artagnan era voltato di spalle, di ritorno vittorioso verso i suoi tre compagni. 

 

Quei giovani uomini sotto la guida del Comandante, quelle guardie dai capelli castani, tutti alti uguale e della stessa età, avevano trovato in egual misura disonorevole il modo in cui erano stati chiamati a fare da secondo ad un duello che appariva immediatamente vile e sproporzionato. Non solo simili di aspetto, i suoi uomini dimostravano pure una simile mentalità, in quel momento del tutto unanime. 

Ancora più vile trovarono la maniera in cui il militare aveva dato loro il comando di attaccare lo stesso ragazzino alle spalle. Visto il suo aspetto, il suo casato e la sua età, lo sconosciuto sfidante sarebbe potuto essere proprio uno dei loro compari. 

Cosa che li imbarazzò e li fece dubitare più che mai dell’autorità del loro Comandante.

Presi dal disdegno di dover essere guidati di nuovo a Parigi da un militare del genere e, trovandolo finalmente in una posizione di svantaggio, i giovani soldati si ammutinarono contro di lui e lo attaccarono, strappandogli tutte le autorità.

 

***

 

Non ci fu tempo per soffermarsi ancora di più su quello che sarebbe successo in seguito. Il viaggio proseguì velocemente verso Parigi ad un tramonto imminente.

 

Nella città, la dimora dei moschettieri era vuota e abbandonata. Planchet, scomparso misteriosamente, non aveva curato nulla della loro abitazione. Era forse questo il prezzo della libertà? 

 

I quattro si guardarono attorno, appoggiarono i pochi averi rimasti sul tavolo, accesero il focolare per scaldare l’acqua o preparare la cena. Per alcuni minuti tutto ricordò a D’Artagnan la mattina di pioggia di qualche tempo prima e la triste tazza di brodo. Nulla sembrava essere cambiato per gli altri tre avventurieri. 

 

Indifferenti a tutto quello che era appena capitato, senza dire alcuna parola, cercarono soltanto di capire come concludere la lunga giornata. Porthos si appoggiò allo scrittoio, senza leggere o scrivere nulla, Aramis aspettò paziente la fiamma divampare sul paiolo dell’acqua, mentre Athos cominciò a sfogliare alcune carte, lettere, stampatelli ed incartamenti lasciati in disordine sul tavolo.

 

Tuttavia, questa volta, quando riprese la sua tazza tra le mani, non c’era neanche più brodo: in quel catino annerito era rimasta proprio e soltanto fredda acqua, vecchia e puzzolente.

 

“D’Artagnan?”- la voce di Athos, distratto dalle sue letture riecheggiava secca dal fondo della umile tavolata.

 

“La nostra vendetta è stata compiuta. Dovete andare”- il ragazzo piegò la testa sulle lettere che l’uomo stava leggendo. Nulla di apparentemente importante, alcune soltanto stampe con semplici figure e numeri, di sicuro nessun invito a Corte.

 

Aramis lanciò ai due un’occhiata incredula, come se avesse capito quanto quegli sforzi sarebbero stati adesso inutili, ma voltò presto loro le spalle e si accomodò sulla sedia, un libro sulle ginocchia e punta d’argento per prendere note, a dimostrare il suo silenzio e concentrazione.

 

“Voi invece chiedevate di glorie ed onori, e dovreste portare a noi gli stessi onori! Dovete ritrovare Constance a Palazzo Reale e consegnare con lei la collana, adesso!”- incalzò Porthos, prendendolo per le spalle e trascinandolo verso la porta.

 

D’Artagnan si congedò con un veloce sguardo, rivolto verso i tre, che risposero contemporaneamente con un breve cenno della mano, come dettati da una sincronia fatta di gesti umili, ancora intenti e distratti com’erano, dai loro doveri arretrati.


 

  
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