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Autore: Chocolate_senpai    20/01/2021    2 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5


 

- Perché?-

Non era riuscito a formulare altro. Se fosse stata una qualsiasi altra persona gli si sarebbe avventato contro prendendolo a pugni fino a fargli perdere conoscenza, coprendolo di insulti fino al giorno dopo. Ma con lei il meccanismo difensivo era corrotto, non funzionava più; lei era il bastone fra le ruote che muovevano i suoi pugni e la sua rabbia.

- Mi serve –

Solo l’insistenza a mantenere quel distacco sia fisico che psicologico lo indispettì a tal punto da portarlo a reagire. Indurì lo sguardo cercando di ritrovare quella faccia tosta che sfoggiava davanti a tutti quelli che non gli andavano a genio.

- Hai organizzato tutta la messa in scena solo per questo? Potevi mandarmi una mail, un messaggio ... un piccione viaggiatore –

- Boris, voglio Falborg. So che lo porti con te –

- Oooh, non mi dire che ti manca il mio bey? Ricordo che ti piaceva provare a lanciarlo, ma non pensavo ci fossi così affezionata –

- Dammelo –

- Se sei venuta solo per questo puoi anche andartene – Gli costò un’enorme fatica diglielo; non la voleva vedere andare via. Non adesso che lei era a lì a due metri, che aveva intravisto per un attimo la possibilità di riderci di nuovo insieme, di parlarle, magari chiederle come stava. Ma non aveva il diritto di fare tutto questo, e il distacco che la ragazza dimostrava nei suoi confronti era anche opera sua. 

- Voglio solo il tuo bey. Dallo a me prima che lo prendano loro –

Questo cambiò le cose nella testa del ragazzo.

- Loro chi?- 

La domanda era talmente retorica che lei non rispose nemmeno. Lo guardò fisso, la mano sempre tesa nella muta richiesta del bey. Dalle labbra di Boris sfuggì una risata appena soffiata. Inclinò la testa di lato. Nella tasca del cappotto, la mano strinse la presa su Falborg.

- Quindi è vero. Vorkov si è mosso –

- Non ci metteranno molto ad arrivare Boris –

- Gli hai detto tu dove trovarmi? –

- Sì –

La risposta arrivò diretta e spietata, come lui si aspettava che fosse.

- Dammi Falborg e vattene Boris. A loro non servi –

- Era una trappola fin dall’inizio vero? Mi hai portato dove volevano loro –

- Saranno qui fra pochi minuti –

- Perché lo stai facendo?-

Gli sembrò quasi di sentirla reprimere un singulto. Quando riprese a parlare la sua voce tremava impercettibilmente.

- è solo una questione di affari. Lui avrà Falborg e io riavrò la mia vita –

- E a costo di cosa? di vendergli i tuoi amici?-

Lei scosse il capo.

-  Non farmi la morale proprio tu, non te lo permetto - 

Il lieve tremore nelle sue parole poteva anche tradire un moto di rabbia, ma Boris non credette per un solo secondo che fosse così semplice. Lui la conosceva bene. Lei non era così, non lo sarebbe mai stata.

- Cosa c’è sotto? Da cosa cerchi di salvarci?-

Non poteva essere altrimenti; si rifiutava di credere che lei lo avesse cercato, dopo anni di distanza, solo per portarlo tra gli artigli del monaco che tanto odiava. Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello che lei si fosse unita ai piani megalomani di quel pazzo.

La ragazza non cedette. La mano ancora tesa, gli occhi fissi verso di lui illuminati a intermittenza dalla luce delle scale, e le stesse parole sulle labbra.

- Dammi Falborg prima che arrivino. Vattene e torna a dimenticarmi –

Fu con uno scatto inaspettato che le si avvicinò; in pochi passi le fu davanti. Lei sobbalzò, ritraendo la mano ancora tesa, ma Boris la afferrò prima che potesse nasconderla. Solo ora che le era così vicino la riconobbe completamente. 

- Non potrò più farlo ora, ed è colpa tua –

Avvertì subito la presenza di qualcuno muoversi verso di lui. Era un combattente, era sempre pronto per certe cose. Quando la mano di un uomo lo strattonò con prepotenza tentando di bloccargli un braccio dietro la schiena, fu facile per lui reagire. Si divincolò con facilità, assestando all’assalitore un pugno in pieno stomaco che lo piegò in due. Dietro di lui comparvero altre tre persone. Armate.

- Pensate di spaventarmi con una pistola?-

- E cosa mi dici di lei?-

L’adrenalina del combattimento imminente gli aveva fatto dimenticare di non essere solo. Si voltò verso i gradini: lei era ferma allo stesso posto, composta; affianco un uomo le puntava l’arma contro. Boris era sicuro di non aver mai visto il volto viscido di quel sicario, e fu anche sicuro che erano uomini della stessa combriccola che aveva pedinato Ivan: volti nuovi, e poco preparati.

Non fece nulla per aiutare la ragazza. Era sicuro che non l’avrebbero uccisa lì, dopo tutto quel teatrino che avevano imbastito. Lei non mosse un muscolo.

Quando Boris sentì un’arma puntata alla sua testa, reagì senza pensare. Afferrò la mano dell’uomo, disarmandolo in un secondo tanto la sua presa sulla pistola era blanda. Gli assestò un calcio al ginocchio facendolo cadere con un lamento e, prima che il terzo collega potesse reagire, Boris gli regalò una pallottola nel braccio. Sparare gli venne così naturale che quasi pensò a quanto quel gesto gli fosse mancato. Quando udì un secondo sparo, nel pieno dell’adrenalina, si girò su se stesso e puntò inconsciamente l’arma contro il nemico. Ma davanti a lui la ragazza si teneva un braccio, una macchia di sangue si allargava sul cappotto, e la pistola dell’uomo accanto a lei emetteva un leggerissimo sbuffo di fumo.

- Perché non fai il bravo?- 

Lui aveva un accento russo pesantissimo, e questo completò il quadro della situazione confermando quello che sapeva già: erano uomini di Vorkov.

- Vattene –

- Io lascerei l’arma se fossi in te –

- Ti do un secondo per allontanarti –

L’uomo scosse il capo inarcando le sopracciglia. Un sorriso cattivo si allargò sulle sue labbra.

- Vedo che non ci siamo capiti –

Ora lui non le puntava più l’arma contro. Lei avrebbe potuto farlo fuori, spostarsi, chiedere aiuto, diamine, le aveva sparato al braccio in fondo. Invece rimase ferma, gli occhi su Boris, la mano premuta sulla ferita.

Bastò quel secondo di distrazione, quello stimolo di preoccupazione per lei che gli fece abbassare la guardia. Sentì la presa ferrea di una mano sulla sua bocca, poi una forte scossa; il suo corpo si bloccò di colpo, come fosse stato paralizzato.

Taser

Sentì il colpo della caduta a terra rimbombare in tutto il corpo. Gli furono addosso in tre, e quando si accorse di poter di nuovo muovere le articolazioni era completamente inchiodato a terra. 

Lo assalì una rabbia cieca alla consapevolezza di essere caduto come uno stupido in una trappola così banale. Avrebbe voluto alzarsi e mettere le mani al collo a quegli uomini , uno dopo l’altro, ascoltando il suono dei loro respiri farsi strozzato e flebile fino a sparire, sentire le loro membra farsi rigide e fredde sotto la sua presa. 

E lei, proprio lei, era lì a guardarlo con i suoi piccoli, dolci e severi occhi di cielo. I suoi amici lo avrebbero pestato a sangue per il casino in cui si era messo, se di lui ne fosse rimasto qualcosa. Lei lo aveva venduto al diavolo con estrema noncuranza, e ora forse se ne sarebbe andata, silenziosa e discreta come era comparsa.

Ma cazzo se l’avrebbe amata comunque.

 

...........................

 

- Non è venuto?-

Era al telefono da venti minuti con il preside della maledetta scuola dove tenevano lezioni, a sentire le sue preoccupazioni su come recuperare le ore di quella mattina che erano saltate, perché Boris non si era presentato.

Yuriy si passò una mano sugli occhi. Non era la prima volta che l’amico non tornava per la notte, e quando la mattina non lo avevano trovato a letto nessuno si era preoccupato. Ma ora erano quasi ventiquattro ore che di lui nessuno aveva notizie, e venivano a dirgli che non era stato al lavoro.

- Lo sai come è fatto, gli piace fare quello che vuole –

- Sì Ivan, certo, ma non è proprio una buona occasione per farsi i cazzi propri questa –

Il più piccolo non commentò. Con mano ferma e incredibile perizia sistemò l’ultimo piccolo pezzo di computer che restava sul tavolo della cucina, finalmente libero da tutta la tecnologia che era rimasta lì sopra a vegetare dal suo arrivo in quella casa.

- Sarà andato a ubriacarsi da qualche parte e si è dimenticato del lavoro –

- Non è così scemo ... almeno spero –

Yuriy non se la poteva prendere. L’ennesima giornata di pioggia stava peggiorando il suo umore, l’umidità perenne non aiutava e, come se non bastasse, ora quell’idiota spariva dove gli pareva. Aspettava solo di averlo tra le mani, e di lui sarebbe rimasto solo un sopracciglio.

- Vedrai che ... non è ... niente ... – Trattenendo il fiato, Ivan posizionò al suo posto l’ultimo piccolo cavetto rimasto sul tavolo. 

- Fatto!- 

Mollò la presa sulle pinzette usate per portare a termine il lavoro, gettandosi a peso morto sullo schienale della sedia. Si tolse gli occhiali, massaggiandosi la radice del naso.

- Questo lavoro mi farà diventare cieco ... –

Si accorse che Yuriy non era più nella stanza solo dopo due minuti di totale silenzio.

- Yuriy?-

- Esco – la voce arrivò dal corridoio, e subito dopo seguì il cigolio dell’uscio che si richiudeva. Ivan afferrò stizzito un biscotto dalla confezione lasciata perennemente aperta sul piano della cucina. Non gli piaceva essere ignorato. Addentò il biscotto, e per un attimo il suo umore venne ristorato.  Poi il telefono squillò, lui lesse il nome sullo schermo e capì che quel giorno la pace domestica non era prevista.

- Kai – Non si scomodò a dire cose come pronto, o a salutare; con lui non c’era bisogno.

- Siete in quattro, Cristo, è mai possibile che nessuno risponda mai al maledetto telefono?-

Ivan ruotò gli occhi al cielo – Ti sto rispondendo io vecchia bisbetica. Che c’è? Ti manchiamo già?-

- Devo parlare con Boris, è per quello che gli ha detto Igor –

- Boris non c’è –

Dall’altra parte dell’apparecchio arrivò un silenzio intriso di bestemmie trattenute.

- Beh, quando torna digli che ... –

- No Kai, lui non c’è, nel senso che non abbiamo idea di dove sia –

Il silenzio si fece più fitto.

- Come prego?- Se Ivan non avesse conosciuto bene l’amico, avrebbe quasi pensato che si stesse preoccupando.

- Ieri sera è uscito tardi, stamattina non era al lavoro e al telefono non risponde –

- Che palle ... –

- Ma non è la prima volta che sparisce a caso, quindi ... boh –

- Sì, sì ... mi ricordo come è fatto ... idiota –

- Perché? Che gli devi dire?-

- Ho parlato con mio nonno della storia della bambina. Mi ha detto qualcosa a proposito di un vecchio progetto di Vorkov, mai realizzato –

- Ah –

- Ma se quell’imbecille non c’è ... –

- Kai, di cosa si tratta? Se è roba vecchia possiamo anche non preoccuparcene, abbiamo sistemato tutto l’ultima volta, no?-

- Io non ne sono più convinto –

Ivan afferrò un altro biscotto, sgranocchiandolo piano. Con un balzo si sedette sul bancone della cucina; pigiò il simbolo del vivavoce per stare più comodo. La faccenda si faceva interessante.

- Ti ascolto, dimmi tutto -

- Yuriy è lì con te?-

- No, sono solo. Dovrai accontentarti di me per ora –

- Me ne farò una ragione –

 

...................

 

Prima di cena le strade erano costellate di persone e ombrelli; più ombrelli che persone. Le luci dei lampioni creavano un’atmosfera romantica che solo l’Inghilterra, con la sua commistione di moderno e tradizionale, l’asfalto grigio, l’atmosfera misteriosa e la fretta dei suoi abitanti, sapeva restituire. Quella sera però non pioveva, e gli ombrelli, tutti chiusi, sbatacchiavano per terra ad ogni singolo passo, rischiando di intralciare il cammino altrui.

A Yuriy piaceva la sera, quel momento in cui il sole è calato, ma ancora il cielo è sfumato di arancio nell’orizzonte. La confusione gli permetteva di nascondersi tra gli altri, di non sentirsi osservato; si mimetizzava perfettamente tra tutti quegli uomini in procinto di tornare a casa dal lavoro, quelle donne con la busta della spesa e la cena da preparare in testa. O anche il contrario. Quelle rare volte che aveva sentito parlare Olivier di donne, era per lo più per lamentarsi di quante poche ce ne fossero capaci di cucinare. 

Svoltò nella solita stradina, scontrandosi con le luci al neon del Violet Bar. Erano quasi le sette di sera; un po’ presto per bere, ma per quella sera poco importava. Entrò, salutò con un cenno il piccolo cinese dietro al bancone che, senza chiedere, afferrò un bicchiere preparandogli il solito drink. Yuriy si sedette, questa volta su uno dei divanetti in lucido tessuto rosso, un po’ slavato, per evitare la coppietta molto indiscreta che si stava sbaciucchiando davanti al bar. Inalò l’odore di fumo come fosse una medicina, maledicendo il momento in cui aveva promesso a Boris di smettere.

C’è più fumo nella nostra cucina che nella zona fumatori in metropolitana.

Non aveva tutti i torti.

- Non avrei mai pensato di trovarti qui –

Yuriy alzò gli occhi. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte per essere sicuro dell’identità del ragazzo che si stava sedendo nel divanetto accanto a lui. Il nuovo arrivato lo scrutò nella penombra con un sorriso enigmatico, spostando i lunghi capelli argentati dietro la schiena. Indossava un completo bianco che rendeva impossibile non notarlo, persino nel buio del locale.

- Garland –

Il sorriso sul suo volto si allargò.

- Ora sono proprio curioso di sapere cosa ci fai in Inghilterra. Non credevo che uno sputo di bar del genere fosse nel tuo stile –

Anche Yuriy si permise di sorridere – Potrei dire lo stesso di te. Sono qui per lavoro, nulla di eccezionale. Tu invece mi sembri uscito da un film di spionaggio –

Garland si aggiustò il colletto della camicia con un movimento meccanico, quasi fosse abituato a farlo. Una ragazza in un kimono troppo scollato portò loro i drink, lanciando occhiate che non vennero colte da nessuno dei due. Yuriy prese in mano il bicchiere, bevendolo tutto d’un fiato - Che ci fai a Londra? Sei anche tu in giro per affari?-

- Anche? Chi altri ha affari da concludere qui? Non mi dirai che hai abbandonato il beyblade per l’alta finanza –

- Io no, ma Kai era qui pochi giorni fa, e di soldi ne capisce più di noi –

Garland accavallò elegantemente le gambe; dischiuse appena le labbra, ma rimase con il bicchiere a mezz’aria – Sai che quel figlio di buona donna mi ha quasi fatto espellere dal club di scacchi a Tokyo?-

Yuriy fece un mezzo sorriso. Aveva sentito del piccolo incidente sorto in Giappone l’anno prima, molto esilarante.

 - Ho letto qualcosa ... mi sembrava che avessi cominciato tu la discussione – Fece un cenno al barista, che prese subito in mano un altro bicchiere; quella serata sarebbe finita in due soli modi possibili: sbronzi marci, o a letto con una prostituta. 

Garland non apprezzò il commento. Bevve un poderoso sorso di qualunque cosa fosse quello che aveva nel bicchiere, facendo anch’egli cenno al barista di prepararne già un altro.

- Non aveva fatto altro che provocarmi ... –

- ... E gli hai tirato addosso la scacchiera –

Esisteva un solo uomo capace di irritare un campione di calma interiore come Garland, e costui era sicuramente Kai Hiwatari. Lui, i suoi sguardi storti, le sue battute taglienti e i suoi modi di fare da campione del mondo di tutte le attività possibili e immaginabili.

A Yuriy non sarebbe dispiaciuto assistere alla partita di scacchi.

- Non mi hai detto come sei finito in questo bar. Non dirmi che non hai trovato di meglio –

- Non ci crederai, ma il tassista ha forato a dieci metri da qui. L’incidente potrebbe costringermi ad annullare un appuntamento; sembra che in questa dannata città i taxi si siano dati alla macchia. Parlando d’altro – Garland poggiò il bicchiere ormai vuoto sulla copia di scarsa qualità di tavolino in stile orientale – Ho letto che i McGregor hanno avuto uno spiacevole incontro con i ladri questa settimana –

- Sì. Sono stati anche alla villa di Kai, non hai letto i giornali?–

Il moto di sorpresa del ragazzo fu talmente sincero che rimase per un attimo a bocca aperta. Un sorrisetto cattivo e divertito si fece largo sul suo volto.

- Ahi ahi, qui qualcuno non chiude bene la porta prima di andare a letto –

Yuriy alzò le spalle.

- Comunque nessuno ha rubato nulla –

- Nemmeno da McGregor, per quel che so. Strano no? –

- Che c’è di strano?-

- Andiamo Yuriy, non ti si sarà rammollito il cervello in questi anni. Ti pare che qualcuno entri in due ville di quel calibro senza portarsi dietro nessun ricordino? Hai idea di quello che certa gente tiene in casa?-

- Non mi interesso particolarmente di antiquariato –

- Io invece sì, e quando ho visto sul giornale la foto del salotto deturpato di Andrew, ti assicuro che avrei saputo benissimo cosa rubare –

- Forse i ladri non erano esperti. In ogni modo ... – Yuriy si sporse verso l’interlocutore, guardandolo con un’ironia talmente malcelata che per poco non scoppiava a ridergli in faccia – Io mi sarò rammollito, ma  tu sei diventato una pettegola, Garland –

Lui non si fece sfiorare minimamente dall’insulto. Si sistemò meglio sul divanetto, affondò una mano tra i capelli argentati e tornò a guardare Yuriy, con il suo solito savoir faire elegante e distaccato. Abbastanza affascinante per far svenire stuoli di donne ai suoi piedi; ma non per impressionare un soggetto come Ivanov.

- Non mi hai detto cosa sei venuto a fare qui –

Garland sospirò profondamente, guardando l’altro ragazzo di sottecchi.

- Yuriy, Yuriy ... poi sarei io la pettegola? –

- Staresti bene con un fazzoletto a fiori in testa. Che appuntamento ti sei perso? –

- Farò finta di non aver sentito. Ma se ti interessa tanto, ti metterò a parte dei miei impegni –

- Beh, diciamo che la tua esistenza non fa parte delle mie priorità. Ma visto che siamo qui ... sputa il rospo –

- Lo scorso weekend – Cominciò Garland, ignorando il commento del russo - Ho ricevuto una mail da un mittente inglese –

- La regina d’Inghilterra ti si è proposta come moglie?-

- No, ma effettivamente era un invito. Per me. E, sicchè dovevo presentarmi a Londra per assistere al campionato sportivo di una mia cugina ... ho pensato di approfittarne per accettare –

- Aha ... – Yuriy afferrò l’ennesimo bicchiere, facendone sparire in un attimo il contenuto.

- Tutto qui?-

- La sede inglese del comitato sportivo di beyblade vuole realizzare un servizio ... e ha pensato a me, erede di una famiglia di campioni in diverse discipline – Concluse, senza nessuna traccia di falsa modestia – Non ci sono mai stato, ho preferito prendere il taxi piuttosto che noleggiare una macchina –

- Ma come, non hai un autista che ti porta ovunque ti dice il cuore?-

Garland fece finta di non percepire l’ironia.

La storia stava diventando talmente noiosa e autocelebrativa, che Yuriy quasi non si mise a sbadigliare. La mano raggiunse di nuovo il bicchiere, pieno per l’ennesima volta, avvicinandolo alle labbra in un unico, fluido movimento.

- Mi aspettavano a Enfield, vicino a Brimsdown. Un’ora di macchina dal centro di Londra, ti rendi conto? Ma un centro sportivo non dovrebbe essere sistemato meglio? A guardare il navigatore sembra che vogliano farmi finire dritto dentro al Lee Navigation -

Il sake da quattro soldi scese di traverso nella gola del russo. Yuriy boccheggiò per un attimo, pensando che il cuore gli si sarebbe fermato. 

Non è vero

Garland riprese il discorso, ma lui si era estraniato dal mondo. Guardava fisso il bicchiere vuoto sul tavolo, ripensando mentalmente al discorso che due notti prima aveva fatto con Boris.

Igor, i furti, Ivan.

E poi pensò a tutti gli anni spesi a tagliare gli artigli del monaco sparsi per il mondo. E gli fu tutto piuttosto chiaro; gli fu chiaro persino quello cui Garland stava andando incontro, ne capì il motivo, talmente banale da spiazzarlo, e realizzò quanto fosse stato fortunato ad incontrarlo. Di nuovo, il caso si insinuava nella sua vita spezzandone la razionalità.

- Starai scherzando -

Garland alzò un sopracciglio. Il russo era sempre stato un essere enigmatico, ma almeno da più giovane aveva la buona creanza di ascoltare quando qualcuno parlava.

- Come prego?-

- A Brimsdown? Vicino al Lee Navigation?-

- Ci sei andato a puttane e ti sei trovato male?-

- Non dire cazzate Garland. Dov’è il posto?-

- Te l’ho detto, verso Brimsdown, e ... –

- Di preciso, maledizione –

Il ragazzo lo guardò come si guarda chi, in un convegno di scienze politiche, chiede la ricetta della torta margherita. Estrasse il cellulare, mostrando al russo la via esatta nel navigatore ancora acceso.

- Ecco. Hai raggiunto l’illuminazione ora?-

- Garland, qui non può esserci niente. Ne sono certo –

Lui sorrise, nascondendo dietro le labbra il pensiero che i matti andavano assecondati.

- E perchè mai?-

- Perché l’ultima cosa che c’era l’abbiamo fatta saltare in aria io e Ivan, sette anni fa –

Garland smise di ridere. Aggrottò la fronte; le mani raggiunsero automaticamente i polsini, sistemandoli in un gesto meccanico che tradiva un brivido di preoccupazione. Prima che potesse parlare, Yuriy lo incalzò.

- Cosa sai di una bambina?-

- Di chi?-

- Una bambina Garland, dannazione, qualcuno con cui Vorkov aveva a che fare!-

Dalle labbra di Garland esplose una breve risata.

– Vorkov? Mi prendi per un idiota Ivanov? Sai che conosco quell’uomo, non voglio più averci nulla a che fare. Cosa c’entra lui ora? Lo sai che non è ... –

- Cosa, libero? –

I toni si stavano decisamente scaldando, e Garland non era più sicuro di riuscire a tenere Yuriy a freno. Quello che per lui era partito come una sciocchezza, nella testa del russo aveva assunto le terribili sembianze di quell’uomo che li accomunava nello stesso odio.

Stava per ribattere con fermezza per ristabilire la calma, ormai perduta, del loro angolo di bar, prima che il piccolo cinese che li osservava da qualche minuto chiamasse la sicurezza. Poi nel suo cervello scattò qualcosa.

- Una ... bambina. Non ne sono sicuro, ma ... nel suo studio ... aveva delle foto, in un fascicolo. Foto di una ragazzina, molto giovane  –

Ed ecco che i conti cominciavano a quadrare.

- Com’era?-

- Non so dirtelo. Le vidi di sfuggita sulla sua scrivania, ma quel monaco le nascose subito –

- Quando è successo? –

- Quando ancora credevo nel progetto di quello schizzato. Saranno ormai più di dieci anni, ma io ... non avevo più sentito parlare di lui, mi era stato detto che i suoi progetti erano completamente crollati –

- E indovina chi è stato a farli crollare?-

Garland lo guardò in silenzio, per uno, forse due secondi. Non ci mise molto ad arrivare alla risposta; sgranò gli occhi, ma si ricompose subito. Anni prima aveva avuto il sospetto che nel crollo definitivo del monaco ci fosse lo zampino di qualcuno.

- Come avete ... credevo avesse solo perso gli appoggi politici –

Yuriy scosse il capo lentamente.

- Sbagliato. Abbiamo sgominato noi le sue basi, una dopo l’altra, facendo sparire ogni traccia delle sue ricerche su quei maledettissimi bit power –

Perché era su questo che il piccolo impero di Vorkov si fondava: bit power modificati. Ci aveva provato ai tempi del primo campionato mondiale, e aveva continuato la ricerca. 

Garland fece due più due.

- Tutti quegli incendi, le irruzioni nelle chiese sconsacrate a Mosca, le esplosioni in vecchie fabbriche ... ce ne sono stati un’infinità cinque, forse sei anni fa. Eravate voi?-

- Erano tutti suoi laboratori. Senza quelli niente più ricerche, e senza ricerche niente più affari, e quindi se ne andavano anche i suoi accordi con chi gli stava parando il culo –

- Tutti uomini politici o di un certo peso, o sbaglio? Erano loro che lo proteggevano, ecco perché era sempre riuscito a evitare la prigione –

Yuriy annuì. Non aveva staccato per un momento i suoi occhi freddi dal volto esterrefatto di Garland. Persino nella penombra di quel luogo, persino tra i riflessi rossastri delle luci soffuse quegli occhi risplendevano come due pezzi di ghiaccio.

Era affascinante e pericoloso al tempo stesso. Più che il tono tagliente delle parole del russo, più che le rivelazioni di cui gli stava parlando, cose che lo avevano appena sfiorato, ma mai avrebbe pensato fossero reali; più di tutto a farlo temere erano quegli occhi. Loro gli indicarono il pericolo al quale stava andando incontro.

Garland indurì lo sguardo, abbassando il tono della voce.

- Volevano eliminarmi? Quelle foto ... ho visto qualcosa che non dovevo vedere? –

- Lui se n’era accorto? –

- è probabile ... ma parliamo di quasi dieci anni fa –

- Igor ha detto che ha in atto qualcosa, qualcosa che è cominciato da molto tempo ... –

- Chi è Igor?-

Yuriy scosse il capo – Non ha importanza –

Con la coda dell’occhio squadrò il barista, che li stava palesemente ascoltando. Anche perché non avevano esattamente moderato il tono di voce. Si alzò con calma, il respiro regolare come sempre, come se nulla fosse successo. Infilò la mano in tasca e mise distrattamente un paio di banconote sul bancone, lasciando una mancia più che rispettabile. Con un cenno del capo invitò Garland a seguirlo.

- Oggi offro io – Gli sussurrò, spingendolo leggermente verso l’uscita.

 

 

- Sai se altri della vecchia squadra hanno avuto lo stesso invito?-

- No, ma lo scoprirò subito –

Garland afferrò il cellulare appena salito in macchina. Yuriy mise in moto, uscendo dal parcheggio con una retromarcia un po’ frettolosa. Aveva in testa solo una persona.

Boris.

Lanciò il suo telefono all’altro che era ancora in chiamata, dall’apparecchio si sentiva la voce assonnata di Brooklyn.

- Metti il navigatore –

 

Tre quarti d’ora dopo, tempo record, erano arrivati. 

Yuriy si aspettava di trovarsi in mezzo al nulla più totale, invece era una zona abbastanza trafficata; la maggior parte del tempo l’avevano persa nel trovare parcheggio, dietro insistenza di Garland, che di multe sulla coscienza non ne voleva. Si fermarono a pochi metri dall’edificio, abbandonato all’incuria del tempo. Yuriy ne squadrò gli angoli, le crepe, le pareti annerite dal fumo. Ne riconosceva ogni mattone; lui e Ivan avevano studiato dove piazzare le cariche esplosive per settimane.

Era talmente strano pensare ad un agguato in un luogo del genere, che Yuriy venne sfiorato dall’idea di essersi sbagliato.

No

Doveva essere così.

- Entriamo? Tanto vale andare fino in fondo, no?-

Garland era uscito dalla macchina senza giacca. Si tirò su le maniche della camicia, arrotolandole con perizia. 

- Ti tieni in allenamento –

Garland sorrise, il primo sorriso vagamente sadico che sfoggiava da tutta la sera. 

- Non sia mai che mi tiri indietro di fronte al nemico –

 

....................

 

 L’orologio scoccò le due di notte quando Sergej si accorse che qualcuno stava girando una chiave nella serratura. Il vantaggio di avere un appartamento piccolo era che da una stanza si poteva sentire cosa succedeva in tutta la casa.

Nella sua abitazione a Croydon, nulla di più che un monolocale ben curato al secondo piano di una palazzina, a due passi dalla metropolitana, se solo si fermava e stava in silenzio poteva sentire tutto. I vicini che discutevano su chi dovesse pulire il vomito del gatto; il fornaio che andava al lavoro alle tre del mattino, facendo scattare l’apertura del cancello d’ingresso; i passetti rapidi del volpino della signora Williams al piano di sopra.

Si alzò dal letto senza fare rumore. Nel buio scorse la figura di Ivan spiaggiata a pancia sotto, con le coperte ribaltate sul pavimento e i capelli appiccicati al volto. Decise di non svegliarlo; per qualunque tipo di ladro sarebbe bastato tranquillamente lui.

Aprì piano l’uscio, sporgendo la testa sul il corridoio. Si accorse subito che una luce illuminava il salotto e, a giudicare dall’aria fresca, la porta d’ingresso era rimasta aperta. Senza pensarci due volte raggiunse la stanza, a passo così silenzioso che stupì se stesso di non far cigolare le assi del pavimento con la sua stazza. Stava quasi pensando di afferrare un oggetto contundente qualsiasi, giusto per sicurezza; la lampada appoggiata sul mobiletto dove Yuriy teneva i libretti della metro sarebbe andata benissimo. Ma dal salotto provenivano voci fin troppo familiari.

Bastò un’imprecazione prodotta da quello che riconobbe come uno dei padroni di casa a farlo rilassare. Entrò in salotto, pronto a sfoderare il suo sguardo severo più penetrante e ad aspettarsi scuse su dove cavolo quell’uomo dai capelli rossi fosse sparito per tutta la notte. Si preparò ad ascoltare qualunque tipo di spiegazione, ma non alla scena che si trovò davanti.

- Ma che cazzo ... – La parola con la c gli sfuggì di bocca. Seduto sul divano, con una mano vistosamente macchiata di sangue, così come quella che doveva essere una camicia piuttosto costosa, Garland lo salutò con un cenno del capo, come se ripulirsi le mani sporche di globuli rossi, si sperava altrui, fosse una cosa normale.

- Ah, Sergej. Ivan è sveglio?-

Il ragazzo avrebbe voluto rispondere, ma rimase di nuovo attonito nel vedere il suo capitano che, anche lui come se nulla fosse, si tamponava un taglio slabbrato e abbastanza rossastro sulla spalla.

Sergej lì guardò esasperato. Alzò una mano, come per dire qualcosa, ma non sapeva nemmeno lui da dove cominciare. Yuriy prese la parola al suo posto.

- Vai a chiamarlo e digli di avvertire Kai che stiamo andando da lui. Non siamo più sicuri qui –

Sergej lo fissò con due palle d’occhi, a lui e a quell’altro che sembrava uscito da una nottata al Fight club. Avrebbe voluto prima mandarli a quel paese, poi sapere cosa cavolo era successo e dove, per l’amor del cielo, erano stati. Riuscì solo a formulare vagamente un Cosa? a cui Yuriy si premurò di rispondere rendendo la faccenda ancora più caotica.

- Se non ci sbrighiamo ci verranno a trovare gli amichetti del monaco. Credo che non gli sia piaciuto il trattamento di stasera –

Sergej scosse la testa, sperando di aver capito male - Quale trattamento? Che diavolo avete ... –

Yuriy si rivolse a Garland senza fornire altre spiegazioni – Ci servono quattro biglietti aerei per il Giappone. Il primo volo che trovi. Puoi procurarmeli?-

Lui alzò le spalle.

- Mi sdebiterò per il drink di stasera –

Sergej si fidava del suo capitano. Non aveva mai fatto nulla a caso, e non li aveva mai messi in pericolo. Sapeva che quel suo modo di fare significava che la situazione era grave, e che non c’era tempo per le spiegazioni, e sapeva che poteva affidarsi totalmente alla sua organizzazione. 

Ma sapeva anche che usciva da una giornata di lavoro infernale, dove aveva saltato il pranzo perché uno dei bambini era stato male e aveva dovuto chiamare l’ambulanza; e che il suddetto bambino gli aveva vomitato sulla camicia appena ritirata dalla lavanderia; camicia con la quale doveva presentarsi al matrimonio di una sua collega; matrimonio che, a quanto pare, sarebbe stato irrimediabilmente eiettato dai suoi piani settimanali.

Si passò entrambe le mani sul capo, portandosi dietro la testa la chioma bionda. Alzò gli occhi al cielo, indeciso se far finta di svenire o rintracciare il suo ben noto sangue freddo e dare retta al suo capitano.

Optò per una via di mezzo.

Afferrò Yuriy per un braccio, fermandolo nel suo tentativo di fasciarsi lo squarcio sulla spalla con una mano sola. Lo guardò due secondi contati negli occhi, per fargli capire che aveva intuito la gravità della situazione, poi formulò l’unica domanda che non aveva trovato risposta nelle istruzioni del capitano.

- Dov’è Boris? –

La sentenza fu lapidaria, come Sergej si aspettava, e, per qualche motivo, non lo meravigliò nemmeno più di tanto.

- Vorkov –

Bastava questo. Con un cenno del capo Sergej imboccò la porta e si apprestò a buttare giù dal letto Ivan, richiudere tutti i suoi effetti dentro le valigie nel modo più ordinato possibile, e andare in bagno a sciacquarsi la faccia per essere sicuro di non stare sognando. Non necessariamente in quest’ordine.




  
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