Shinjuku,
appartamento di Maiko Watanabe- scena del crimine.
Dopo che il giorno precedente Saeko gli
aveva mostrato quelle immagini e quel fascicolo, a Jane era mancata la
volontà
di andare avanti. Sapeva che quel viso non apparteneva alla sua Teresa,
eppure,
era come se non facesse altro che tornare indietro con la mente a quel
giorno,
di tanti anni prima, quando la trovò in casa, segnata
dall’orribile killer, e
temette di averla persa per sempre.
Aveva insistito per poter vedere dove
fosse accaduto, e Saeko, dopo aver telefonato al proprietario
dell’appartamento, aveva acconsentito: l’immobile,
nonostante fosse passato
quasi un anno dalla tragedia, era ancora sfitto, sembrava quasi che gli
abitanti del quartiere volessero starne alla larga temendo che fosse
maledetto.
Peggio per loro, e meglio per le
indagini.
C’erano perfino ancora i sigilli, segno
che nemmeno il padrone di casa non aveva più osato
avventurarsi oltre quella
soglia; la poliziotta sfilò dalla giarrettiera uno dei suoi
amati coltelli,
senza modestia né farsi alcun problema a mostrare un
po’ di pelle all’americano,
e li tagliò in un battibaleno, prima di aprire con una copia
della chiave ed
oltrepassare la porta d’ingresso.
La stanza, nonostante fosse pieno
giorno, era immersa nell’oscurità, le persiane
abbassate, e puzzava di vecchio,
stantio, polvere e muffa e ferro- un odore che fece venire il
voltastomaco a
Jane, che riconobbe quell’aroma purtroppo per lui
inconfondibile come sangue
secco.
Nessuno aveva fatto più pulizia in
quella stanza, nessuno aveva provato a dare dignità a quel
luogo- perché quelle
persone, nelle loro menti, non
ne davano
alcuna a chi, in quel luogo, aveva trovato la morte: Maiko era una
prostituta,
quindi di facili costumi, magari pure tossica, e allora che problema
c’era?
Forse era per questo che solo a Saeko era parso importasse qualcosa di
quella
povera creatura, perché per i suoi colleghi era un rifiuto
in meno che girava
in circolazione.
Mentre la poliziotta cercava
l’interruttore, Jane accennò un sorriso: gli
piaceva, quella donna. Sì, era una
sensuale sirena tentatrice, e probabilmente non era restia ad usare il
suo
fascino per ottenere quello che voleva e manipolare le persone ad agire
secondo
i suoi desideri senza che nemmeno se ne accorgessero- un po’
come lui aveva
sempre fatto- ma soprattutto, nonostante cercasse di apparire ligia
alle
regole, nascondeva un grande cuore, senso di giustizia, e
lealtà verso i suoi
amici. Sì, Saeko Nogami era decisamente una persona che
incontrava le sue
simpatie, soprattutto perché gli ricordava tanto la sua
Teresa.
“Dannazione, devono aver tagliato la
corrente!” La donna sibilò in giapponese, prima di
mettersi a cercare qualcosa
nella tasca del suo giacchino- un accendino.
Illuminò fievolmente l’ambiente
circostante, e Jane, cercando di evitare
i cartellini delle prove, la sagoma disegnata col gesso bianco sul
pavimento,
le macchie di sangue che ancora si potevano scorgere, andò
ad alzare gli scuri,
sperando che la luce naturale fosse abbastanza da permettergli di
vedere, ed
analizzare, per bene quel logo.
“Esattamente, cosa crede di trovare
dopo tutti questi mesi?” Saeko gli domandò,
sbuffando leggermente, le mani sui
fianchi. Era sfiduciata: non credeva possibile che potessero trovare
qualcosa
dopo così tanto tempo.
“In Giappone le sette hanno spesso una
forte influenza politica, vero? Quindi,
non c’è ragione di credere che Visualize non abbia
già cercato di centrare il
bersaglio e arraffarsi
qualche pupillo
benpensante del vostro bel paese. Come nella Polizia- le vecchie
abitudini sono
dure a morire, e a Stiles è sempre piaciuto vantarsi che le
forze dell’ordine
credessero così tanto in lui da unirsi a frotte nella sua
organizzazione.”
“Come i membri della Blake
Society.”
Saeko soppesò le parole, incerta di come
quell’uomo imprevedibile potesse
reagire alle sue deduzioni. “Perché crede che
abbiano amici nelle forze
dell’ordine?”
“Perché,” Jane
rispose, senza guardarla
in viso, senza smettere di controllare ogni singolo particolare, far
passare i
cuscini, i tappeti, tutto. “Qualcuno ha rotto i sigilli di
ceralacca e li ha
sostituiti, se osserva bene vedrà che i vecchi sigilli hanno
lasciato una
traccia, come un alone, ed il nostro killer, o chi per lui, non li ha
allineati
in modo perfetto, segno che forse ha dei problemi con il senso di
profondità.”
“Ah!” Saeko, con espressione
fiduciosa,
si batté il pugno sul palmo della mano, soddisfatta,
sentendo che finalmente
avevano una pista che fosse stata decente. “Forse
potremmo…”
“Chiedere i nastri delle telecamere di
sorveglianza? Lo escludo.” Jane sospirò, spegnendo
ogni speranza sul nascere;
lo fece con una nonchalance tale che sembrava non gli importasse di
spezzarle
il cuore. “Quelle all’ingresso del palazzo sono
finte, e a giudicare dai
palazzi qui intorno, anche ce ne fossero, immagino che siano tutti
sistemi a
registrazione giornaliera, dubito abbiano tenuto i nastri di oltre un
anno fa-
ha visto come erano fragili i sigilli? Si sono subito sbriciolati
appena li ha
toccati. Quindi è passato parecchio da quando il killer
è stato qui.”
Il cellullare di Saeko suonò, e lei si
mise in disparte, parlottando al telefono con il suo interlocutore
alzando gli
occhi al cielo, e digrignando i denti. Jane la spiava con la coda
dell’occhio,
e tese l’orecchio per vedere se riuscisse a cogliere qualche
parola, ma era
difficile- sì, aveva imparato le basi del Giapponese, ma non
era la sua lingua,
ed un conto era chiedere che per favore rallentassero o ripetessero, ma
origliare una conversazione era tutt’altra cosa…
peccato che fosse la sua
attività ludica preferita!
Non percepì chissà che cosa-
le parole
che era certo di aver afferrato erano “Hōō” e
un qualcosa che gli sembrava significasse non
volere… quindi… quindi era
il papà di Saeko al telefono! Con un sorrisetto malandrino e
mordendosi le
labbra per non ridere, si fermò ad osservarla, curiosa. La
bella e composta
poliziotta si stava a dir poco infervorando con il suo interlocutore, e
qualsiasi cosa lui le avesse detto, lei non aveva alcuna voglia di fare
come si
presupponeva che lei agisse.
“Dannazione, brutto balordo
rompiscatole, ma quando imparerà a farsi i fatti
suoi!?” Sibilò mentre quasi
stritolò il suo telefono in mano. Si schiarì la
gola, si ricompose, e, col viso
leggermente arrossato, si
avvicinò a
Jane, che fingeva di essere interessato a qualcosa che poteva vedere
fuori
dalla finestra. “Ehm, signor Jane, purtroppo ho un
contrattempo, e non possiamo
restare oltre…”
Jane non disse nulla, ma si limitò a
guardarla, con un'espressione da so tutto io, uno sguardo che sembrava
andarle
sotto alla pelle, vederle dentro, e che, francamente, la faceva
rabbrividire.
“Due, due ore e mezzo al massimo.” Disse,
battendosi con l’indice destro sul
labbro.
“Scusi?” Gli
domandò, sbattendo gli
occhioni, incerta.
“Il tempo che le servirà a
sbarazzarsi
di suo padre e dell’ennesimo pretendente. Tempo che
impiegherà
principalmente in
macchina, perché suo
padre deve essere un alto dirigente della Polizia, per questo
l’ha chiamata sul
telefono del lavoro, quindi
immagino che
gli piacciano gli intrallazzi e le cose belle. Non si farebbe vedere a
mangiare
con sua figlia qui a Shinjuku nemmeno morto.” Fece una pausa,
poi le si
avvicinò e le sussurrò nell’orecchio.
“Suo padre vuole farla sposare, perché
è
molto tradizionalista, e fino a che lei non sarà sposata,
non potranno farlo
nemmeno le sue sorelle minori, e poi, lui vorrebbe davvero tanto
diventare nonno!”
“Ma come ha fatto
a…”
“Si è sfregata
l’anulare sinistro come
se si stesse rigirando una fede.”
le
rispose, facendole l’occhiolino, e dandole una pacca sulla
spalla. “Vada pure
da suo padre, un paio d’ore da solo, chiuso in una stanza da
solo…. posso
cavarmela benissimo! L’aspetto qui.”
Facendogli un leggero inchino, Saeko
fece cenno di acconsentire col capo, ed uscì a passo veloce
dal decrepito
stabile.
Shinjuku, sede di Visualize
“Salve Ryosuke, sono Maya, fratello
Stiles la sta aspettando…” Appena ebbe varcato la
soglia dell’imponente
palazzone, Ryo venne subito intercettato da una stupenda donna, a cui
riservò
un sorriso smagliante, seduttivo; lei, lo guardò,
civettuola, camminando,
muovendo sinuosa le anche con falsa naturalezza.
Ed ecco un’altra cosa che i leader
delle sette sembravano apprezzare: bellissime donne, con corpo da
modelle.
Peccato che Maya non facesse più per lui: troppo finta,
costruita, una pin-up
da copertina che andava bene sulla carta stampata, ma
null’altro, perché se toglieva
le extension, le ciglia finte, le unghie artificiali, le tette rifatte,
la
rinoplastica… e cos’altro? Labbra a canotto?
Probabilmente anche lenti a
contatto colorate… beh, tolto tutto, cosa restava di lei?
Nulla. Non come Kaori, che era bella
nella sua semplicità, nella sua freschezza, nel suo essere
acqua e sapone.
“Ryosuke, sono felice di
rivederti,”
Stiles lo salutò, stringendogli la mano- presa forte,
maschia, da elemento
alfa, non male per un vecchietto. “Sono felice che tu sia
qui.”
“Anch’io,” Ryo gli sorrise, con un mezzo
ghigno sul volto,
senza lasciare andare la presa. “Apprezzo molto il tempo che
mi sta dedicando.”
“Amo dedicarmi a tutti i miei nuovi
studenti, Ryosuke, e devo dire…” Stiles
lasciò la presa, e scrollò le spalle,
mentre si mise a guardare la vista dalla finestra del palazzo, dando la
schiena
a Ryo, dimostrandogli a fatti che non lo temeva. Osservò la
frenetica città,
persa nelle sue contraddizioni, e sospirò, sentendosi come
in cima al mondo,
come se, con quel palazzo, avesse costruito non solo muri, ma anche
potere,
fama e controllo. “Devo dire che ho pensato molto a quello di
cui abbiamo
parlato ieri, sulle nostre capacità di scelta, e io credo di
poterti aiutare…”
“Davvero?” Stravaccato su una
delle
poltrone, Ryo a malapena si trattenne dal mandarlo a quel paese.
Quell’emerito
truffatore non era meglio di falsi sensitivi e di quei pseudo-dottori
che nel
selvaggio West vendevano olio di serpente per curare la
Tubercolosi…
“Sì, ragazzo mio. Posso
trasmetterti la
mia conoscenza, le tecniche che ti permetteranno di accedere ad aree
del tuo
subconscio che governano la capacità decisionale ed i
desideri… ad esempio, c’è
l'ipnosi, oppure…” gli si sedette accanto, e lo
afferrò per una spalla,
stringendola con forza, ma cercando di trasmettere un messaggio
rassicurante.
“C’è una cosa che potremmo provare, che
credo troverai davvero molto
interessante. Se hai un po’ di tempo da dedicarmi, ho una
sorpresa per te,
ragazzo mio…”
Negozio
di moda di Eriko Kitahara
“Beh, ma si può sapere cosa
diavolo ti
prende? Ormai è quasi una settimana che sei sempre
così mogia….” Eriko,
appoggiata contro uno stand di abiti, guardò la sua migliore
amica, ripiegare
con cura una camicetta prima di riporla dentro un armadietto. Kaori si
limitò a
sospirare, gli occhi tristi, quasi vuoti. Negli ultimi mesi, Eriko lo
aveva
notato, il comportamento della sua migliore amica era drasticamente
cambiato:
passava sempre meno tempo con Ryo ed il resto della loro allegra
brigata,
sempre più tempo con lei, ma soprattutto, si era fatta una
volta più silenziosa
e triste. I suoi occhi avevano perso quella scintilla di
luminosità, e la
stilista, in tutta onestà, non ricordava nemmeno
più quando l’avesse sentita
ridere l’ultima volta.
“Non è nulla,”
Kaori rispose, cercando
di sorridere e dissimulare le sue vere emozioni, celate dietro una
maschera.
“Sono solo di cattivo umore. Forse deve venirmi il
ciclo.”
“Kaori…” Eriko le
si avvicinò; si
guardò attorno con fare circospetto, per essere sicura che
non ci fosse nessuno
in negozio oltre a loro, e la afferrò per la spalla,
costringendola a guardarla
negli occhi. “Kaori, non dirmi idiozie. Lo so quando stai
davvero male.
Sentiamo, cosa ha fatto Ryo stavolta?”
“Ha solo messo in chiaro come stanno le
cose tra noi,” la rossa ammise, con gli occhi lucidi con
lacrime che non aveva
alcuna intenzione di versare, non davanti ad un'altra persona.
“Ho trovato una
ragazza nuda nel suo letto, tutto qui. Avrei dovuto capire che non era
interessato a me, però…”
Kaori si asciugò le lacrime; in
realtà,
quella non era l’unica cosa a preoccuparla; sì,
lui le aveva spezzato il cuore,
ma a darle da pensare era quell’uomo che aveva incontrato
quando era “fuggita”
da casa, quella fatale mattina… gli occhi, il sorrisetto,
come non sembrava
volerla lasciare andare… era stato inquietante, e poi, da
allora, aveva spesso
avuto la sensazione di essere seguita, che qualcuno la osservasse, ma
ogni
volta che si era voltata, non aveva mai trovato nessuno, e si era
convinta che
fosse solo auto-suggestione.
La campanella sopra la porta trillò, e
Kaori, ricomponendosi e mettendosi a posto la divisa,
cinguettò il suo
benvenuto al nuovo avventore; lo raggiunse, ed ebbe un attimo di
esitazione
davanti all’occidentale, perché aveva la netta
sensazione di averlo già visto
da qualche parte, ma non sapeva dire dove, esattamente. Tuttavia, si
dette
della stupida da sola: Tokyo era piena di uomini d’affari
occidentali, dopo
tutto, e poi, quell’uomo aveva una vistosa cicatrice sul lato
destro del viso,
che tuttavia non lo rendeva spaventoso o rivoltante, ma anzi, gli dava
un’aria
misteriosa, seducente…come qualcosa di prezioso e antico.
“Salve, sono Kaori, e la
assisterò con
le sue spese. In cosa posso esserle utile?” Gli
domandò, sforzandosi di
sorridere ed apparire naturale.
L’uomo prese a guardarsi intorno, con
vivo interesse, e le trasmise quasi una sensazione di pace e
tranquillità:
decise che doveva essersi sbagliata, e anche di grosso…
aveva quasi un’aura…
rassicurante.
“Sa, sono l’assistente
personale di un
vecchio e arcigno miliardario, e quel vecchio balordo mi ha trascinato
qui a
Tokyo dall’oggi al domani senza nemmeno darmi tempo di
preparare qualcosa…. e
per di più, mi sono perso un importante anniversario con la
mia fidanzata.” Le
disse, con sguardo sognante, mentre sfiorava la soffice seta di un
delicato
capo spalla. “Per farmi perdonare, avevo pensato di comprarle
qualcosa di
abbigliamento, che fosse di alta classe, sartoria ed esclusivo, che
nessuna
delle sue amiche abbia mai posseduto… crede di potermi
aiutare, Kaori?”
“Sono certa di
sì…. mi dica, aveva in
mente qualcosa di particolare? Un accessorio, un abito….
magari una camicetta…”
“Teresa,” iniziò
lui, guardando le
persone che camminavano nelle vie affollate di Shinjuku, quasi
sovrappensiero,
le mani in tasca. “Si chiama Teresa, ha lunghi capelli
castani mossi, anche se
lei si ostina a lisciarli, dei meravigliosi occhi verdi, grandi, un
po’ come i
suoi, ed è piccolina, solo un metro e sessanta…
ma io la amo dal primo giorno
che l’ho vista.”
Kaori si rabbuiò, e, con le mani
incrociate sul ventre, abbassò lo sguardo, mentre una
lacrima traditrice le
lasciava gli occhi. Doveva essere bello, pensò, un amore del
genere, avere un
uomo che provava così tanto affetto e dedizione…
lei, lo avrebbe mai trovato?
Sarebbe mai stata in grado di allontanarsi da Ryo?
“Lei, invece, soffre per amore, vero?
Il suo cuore è spezzato, sente il bisogno di fare una scelta
per uscire da
questo tunnel, da una relazione infelice che non è altro che
un circolo
vizioso…”
Kaori sussultò, il fiato le
mancò in
gola quando quello
sconosciuto prese a
guardarla come se le stesse leggendo dentro, ed in quel momento, seppe
di aver
avuto ragione. “Oh, a proposito… lei non mi ha
detto come si chiama, vero?”
Domandò, nel disperato tentativo di guadagnare tempo, o
cambiare anche solo
argomento.
“No, infatti, non mi sono ancora
presentato…” Le afferrò la mano, e la
trascinò vicino a sé, strattonandola. La
fissò negli occhi, lo sguardo gelido, sicuro, e prese a
disegnare col pollice
dei ghirigori regolari sulla pelle. Kaori socchiuse le labbra, e fu
incapace di
smettere di fissare ciò che l’uomo stava facendo.
“Brava bambina, Kaori, adesso
ascoltami bene…”
Sede
di Visualize
Ryo fischiò in segno di apprezzamento
quando un estremamente eccitato Stiles lo condusse in una stanza buia,
illuminata
solo da una luce blu ad infrarossi,
insonorizzata con eleganti pannelli di sughero riccamente
lavorati.
All’interno, non c’era nulla, tranne una specie di
astronave a forma d’uovo
con, stampato sopra, il logo dell'organizzazione.
Cristo,
ci mancava solo il santone che vuole mandarci tutti a vivere su un
altro
pianeta dopo la morte…
“Carina. Sarebbe?” Chiese
scettico, a
malapena resistendo all’istinto di prendere a calci
quell’affare.
“Quest’affare, come lo chiami
tu, è una
capsula del galleggiamento.” Sorrise, stringendo la spalla a
Ryo con fare
amichevole, mentre apriva la macchina schiacciando un pulsante su di un
telecomando. Ryo osò uno sguardo all’arnese: era
quasi interamente piena di un
liquido che appariva a prima vista come acqua. “Aiuta a
visualizzare, a
concentrarsi, e credo che possa aiutarti a capire perché
stai lottando così
tanto per trovare la tua strada, perché non vuoi abbracciare
il tuo destino.”
Ryo sussultò, voltando gli sfuggevoli
occhi neri verso l’arcigno vecchietto, la voce tremante.
Forse, forse, poteva
prendere due piccioni con una fava, fermare Stiles e finalmente avere
le idee
chiare su cosa fosse accaduto, e se lo avesse scoperto, ne avrebbe
potuto
parlare con Kaori, le avrebbe spiegato, e poi, e poi… poi,
finalmente finita
quella storia e consegnato alla giustizia- sua o di Saeko, non aveva
ancora
deciso- l’assassino di Shinjuku, le avrebbe confessato cosa
provava per lei,
sarebbe stato onesto e avrebbe dato ad entrambi la
possibilità di vivere il
loro sentimento.
“Crede…”
ingioiò, pugni chiusi e occhi
che andavano all’acqua che, quieta, si muoveva sensualmente
all’interno del
marchingegno. “Crede che potrebbe aiutarmi a concentrarmi
su… su un ricordo che
credo di aver perso?”
“Sì, figliolo, ti
accompagnerò io in
questo percorso, sarò in contatto con te da questo pannello.
Ti ho già fatto
preparare un costume da bagno, non vogliamo rovinare quei bei vestiti,
vero?”
Stiles scoppiò a ridere, e diede una
sonora pacca sulla schiena a Ryo, indicandogli un separé in
bambù e carta di
riso, dall’aria estremamente antica e ricercata- lo aveva
già detto che al vecchio
piacevano le cose belle?
Ryo si cambiò, con calma e
tranquillità, e nascose sotto alla seduta della sedia il
coltello che si era
portato dietro, ed indossò quel costume che, se doveva
essere sincero, a lui
sembrava più un paio di boxer neri. Seguendo Stiles ed
assecondandolo, entrò
cautamente all’interno di quel “veicolo”,
e vi si coricò, come se stesse
facendo il morto in mare. Chiuse gli occhi, prese un profondo respiro,
e si
preparò ad avvertire il coperchio che si chiudeva su di lui.
“Allora Ryosuke, come ti
senti?” Stiles
gli chiese, con la voce che gli giungeva ovattata
dall’altoparlante.
“Diciamo che è strano, ma
sono stato in
posti peggiori, che tu mi creda o no.” Ed era stranamente
piacevole: la voce
del gota era l’unica cosa che gli giungesse
dall’esterno, salvo quello, era
cullato da quella acque tiepide in cui galleggiava, e distrattamente si
chiese
se fosse quello che aveva provato nel grembo di sua madre, prima di
nascere.
“Apri la tua mente,
Ryo, permettile di svelarti le sue verità ed i
suoi segreti…”
Ryo si lasciò andare, ed
inspirò a
fondo, mentre ciocche di capelli neri galleggiavano nel liquido,
tornò alla
mente al quel giorno, cercò di vincere le ritrosie e le
barriere del suo
subconscio, dovute ai fumi dell’alcol, ed a spezzoni, come in
frammentari
flash-back, rivide cos’era successo…
Mick
che lo trascinava per locali, ma non aveva voglia, tuttavia,
c’era troppa
tensione a casa e non se la sentiva di restare solo con
Kaori…
Il
suo migliore amico che prima lo canzonava, poi lo aspramente criticava,
e poi
quella frase, fredda, cinica, spietata, offensiva- soprattutto verso
Kaori. “Ho
rinunciato a lei perché credevo la amassi, ma forse mi sono
sbagliato. Forse
farei meglio a mollare Kazue una volta per tutte e dedicarmi alle
grazie della
cara Kaori. Scommetto che è così stufa di
aspettare un principe azzurro che
tanto non arriverà mai che mi supplicherà di
scoparla.”
La
scazzottata.
Vedere
una ragazza, una brunetta niente male,
che fuggiva da due bruti che la volevano derubare, e
firmare una quiete
temporanea per salvarla.
Lei
che gli offriva da bere per farsi perdonare. Bere per locali, poi
continuare a
casa perché in giro non c’era più
nessuno che li volesse servire, e
addormentarsi completamente sbronzi a letto, lui che si spogliava
perché aveva
caldo, tanto caldo...
Svegliarsi
la mattina quando Kaori era entrata in stanza, che profumava di
zucchero e
vaniglia, col desiderio di abbracciarla e baciarla.
E
poi, lui, che le spezzava il cuore, inconsapevolmente.
Ryo spalancò gli occhi, la bocca
graziata da un leggero sorriso, e sospirò di sollievo: non
era successo nulla,
non si era dato a quella ragazzina e non aveva tradito Kaori-
perché, anche se
lei ancora non lo aveva capito appieno, loro si appartenevano
reciprocamente, e
adesso lui l’avrebbe informata, per bene, e sarebbe stato
onesto, una volta per
tutte, nessun passo indietro, niente ripensamenti: voleva solo
proiettarsi al
futuro.
La temperatura all’interno della
“cosa”
si abbassò improvvisamente, e la tranquilla luce azzurrina
si trasformò in un
bollente rosso fuoco che gli martellava gli occhi e la testa, dandogli
un senso
di oppressione e soffocamento, quasi fosse stato prigioniero di un
incendio. E
fu allora che si rese conto di una cosa: Stiles lo aveva chiamato col
suo vero
nome. Ryo.
Non poteva essere un caso: Stiles
sapeva.
Digrignando i denti, prese a colpire
alla cieca con i pugni chiusi quella mostruosità in cui si
trovava prigioniero,
ma invece che leggero, gli appariva che il suo corpo fosse pesante, e
sprofondasse verso il basso. Era in trappola, e la cosa peggiore era
che ci
fosse cascato in toto. Si era fatto abbindolare, perché
aveva ritenuto il
vecchietto troppo deboluccio e codardo per fare del male a qualcuno, ma
evidentemente, si sbagliava.
“Bene, e adesso, Ryo, perché
non mi
dici la verità? Perché sei qui, e soprattutto,
chi ti manda? L’FBI? La polizia
di Tokyo, quella… come si chiama? Nogami, vero? Una tua
amichetta, se non
sbaglio.” Fece una lunga pausa, e Ryo credette di avvertirlo
che camminava
intorno a quella capsula; se lo poteva quasi immaginare, soddisfatto,
tronfio,
le mani giunte dietro alla schiena. “Sappiamo chi sei, City
Hunter… quello che
non so è cosa pensavi di trovare qui…”
L’acqua si scaldò, e Ryo
credette di
vedere delle bolle formarsi sulla superficie, e temette che Stiles
volesse
farlo cuocere; il livello si alzò allo stesso tempo, e lui,
galleggiando, stava
ormai sfiorando il soffitto di quella capsula. Sapendo quanto fosse
limitato
l’ossigeno in quello spazio angusto, Ryo fece del suo meglio
per restare calmo,
stringendo i denti , tuttavia quella cosa era sigillata ermeticamente
dall’esterno, e solo una forza erculea- o la pistola che non
aveva con sé-
avrebbero potuto aiutarlo a fuggire.
L’acqua gli sfiorò i lobi
delle
orecchie, e Ryo prese un grosso respiro, sapendo cosa da lì
a poco sarebbe
accaduto, certo tuttavia che sarebbe stato inutile: sarebbe morto, o
soffocato,
o annegato, e avrebbe lasciato Kaori col cuore spezzato, ed il tutto
perché era
sempre stato un codardo: poteva sfidare un intero plotone da solo, ma
quando
era il suo cuore ad essere in gioco, tutto andava a puttane.
Il liquido riempì interamente la
capsula, e Ryo andò a fondo, per la prima volta guardava in
faccia la morte e
sapeva di non essere pronto ad affrontarla, per la prima volta
desiderava
vivere.
Per lei. Per vivere al fianco della
donna che amava. Di Kaori.
Le luci si spensero, e Ryo fu avvolto
dalle tenebre, un attimo prima che il coperchio si aprisse. Si erse,
eretto,
grondante acqua, in quello spazio ristretto, i polmoni che gli
bruciavano, i
muscoli indolenziti, e guardò con odio Stiles, desiderando
piantargli il
coltello nel cuore, bramando vendetta, conscio che si era sbagliato:
era
pericoloso, come e più di un killer armato di coltello,
perché non accettava
che il suo potere assoluto fosse messo in discussione, che qualcuno
potesse
anche solo lontanamente pensare di portargli via ciò che
riteneva suo di
diritto.
“Vattene, Saeba, e non tornare mai
più
qui.” Contornato da guardie armate, il vecchio gli
lanciò disgustato i suoi
vestiti, come fossero stati vecchi stracci lisi. In condizioni normali,
avrebbe
potuto stenderli facilmente, ma lo shock per il suo corpo era stato
troppo
forte, era quasi annegato, e doveva riprendersi; con gli occhi ardenti,
voltò
le spalle all’uomo, e mentre camminava verso
l’uscita della sede della setta,
si rivestì; la pelle ed i capelli bagnati impregnavano il
tessuto, rendendolo
pesante, come avesse un macigno che lo accompagnava, passo a passo.
Una volta fuori, si voltò verso il
palazzone, e guardò in direzione dell’ultimo
piano, dell’ufficio di Stiles, e
fu quasi del tutto certo che i loro sguardi, in
quell’istante, si stessero
incrociando in un’espressione di sfida.
Palpando le tasche della giacca, cercò
il cellulare usa e getta che Saeko gli aveva consegnato per la durata
del caso,
ma non lo trovò: grazie al cielo dentro non
c’erano informazioni, ed aveva
abilmente cancellato tanto le chiamate ricevute quanto quelle
effettuate, ma
era comunque una seccatura: adesso, gli sarebbe stato utile per
avvertire Mick
e gli altri.
Perché se Stiles sapeva,
allora….
allora, erano tutti in pericolo. Dal primo all’ultimo.
Appartamento
di Maiko Watanabe
Jane era rimasto seduto
nell’appartamento per ore, cercando di capire cosa fosse
successo in quel
luogo, cercando di entrare nella mente del killer, ma senza successo-
evidentemente, aveva ancora un briciolo di decenza dentro di
sé, e non era un
completo sociopatico, come gli aveva sempre detto il padre per
spronarlo a
spennare tanti più polli possibili.
Sbuffò, rammaricandosi che purtroppo
Saeko avesse avuto ragione, e che ormai fosse tardi: il tempo, il
decadimento
naturale della materia avevano cancellato ogni possibile indizio che
fosse
potuto sfuggire alla scientifica.
Il rumore di un treno- la stazione era
proprio lì accanto- con la sua sirena, lo stridio dei
binari, rapirono la sua
attenzione per un attimo, e lui, nonostante ciò che era
accaduto in quel luogo,
sorrise, ripensando a quando aveva portato Charlotte, la sua amata
figlia
scomparsa, a vedere i treni che passavano quando aveva solo un anno o
giù di
lì, le sue risate… e pianse, lacrime calde che
gli scorrevano sulle guance, al
pensiero di lei, per il desiderio di poter fare lo stesso con il suo
bambino.
Era così preso dai ricordi e dalle speranze che non
avvertì la presenza alle
sue spalle fino a che non ricevette il colpo in testa- un vaso che
andò in
frantumi- e dopo, non poté fare altro che strisciare a
terra, la testa che gli
girava. Si voltò, proteggendosi il capo con le mani,
sperando anche di dare un
nome, o perlomeno un volto, al suo assalitore, ma vedeva solo una
silhouette
nera contornata dalla luce del sole basso che entrava dalla finestra.
E aveva una pistola in mano- forse solo
una precauzione nel caso lui avesse opposto resistenza, come stava
effettivamente accadendo. Più o meno.
Jane vide il movimento del dito sul
grilletto, pronto a sparare, quando l’uomo misterioso
gridò di dolore,
accasciandosi a terra, tenendosi il braccio dolente al petto, prima di
fuggire,
gettandosi dalla finestra, ed il mentalista, con un sospiro di
sollievo, si
permise di perdere i sensi, una volta che nel suo campo visivo
entrò la ben
riconoscibile sagoma di Saeko Nogami, che, telefono alla mano, si
sporse dalla
finestra per guardare cosa fosse accaduto all’uomo
misterioso, sperando quasi
che si fosse rotto l’osso del collo.
Purtroppo, non era così, dovette
constatare a denti stretti: il balordo si era gettato proprio dentro un
cassonetto, riempito all’inverosimile di sacchi che avevano
attutito la sua caduta,
permettendogli la fuga. La scia di sangue, causata dalla ferita del suo
coltello, era però ben visibile, e avrebbe fatto loro comodo
sapere come e dove
era ferito per rintracciarlo, ma soprattutto identificarlo
all’interno della
maledetta setta.
“Come sta?” Chiese una voce
femminile
in inglese, avvicinandosi alla finestra e voltandosi verso Jane, che
tentò di
alzare leggermente il capo, strizzando gli occhi, in direzione delle
due donne;
Saeko si limitò ad un’alzata
di spalle.
“Posso spiegarti
tutto…” Jane biascicò,
in direzione della nuova venuta.
“Se avessi un dollaro per tutte le
volte che me lo hai detto, a quest’ora sarei
milionaria…”
La donna sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“Allora, non hanno ancora risposto?” Non
aveva ancora finito la frase che gli occhi di Saeko brillarono quando
finalmente la linea smise di suonare dall’altra parte, e la
persona che stava
cercando rispose.
“Mick, sono Saeko, abbiamo Jane, ma lo
hanno conciato per le feste, dovremo portarlo dal Professore. Notizie
di Ryo?
Non risponde all’usa e getta che gli avevo dato...”
disse, freddamente, poi,
quando lui le dette la notizia successiva, il telefono le cadde di
mano,
sfracellandosi a terra, il delicato vetro ridotto ad una ragnatela di
schegge
mentre lei, col cuore a mille ed il corpo freddo, guardava nel vuoto,
con gli
occhi spalancati…
Kaori era sparita: di lei, non c’era
più traccia.