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Autore: Moriko_    21/01/2021    1 recensioni
[Cells at Work! BLACK] [J-1178 centric]
"Ora sarò io ad andare avanti... e a vivere anche per te. Continuerò a combattere, per poi fermarmi, alzare gli occhi verso l'alto e pensare a te, mentre stringo nella mano quel poco che rimane del tuo guanto."
I pensieri di una piccola guerriera, di fronte a quel mondo colmo di speranza che sembra non avere mai fine.
[Spoiler! capitoli 47-48 del manga di Cells at Work! BLACK] [Missing moment]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'A tale of a warrior'
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Fanfiction

Sommario. 

“Ora sarò io ad andare avanti... e a vivere anche per te. Continuerò a combattere, per poi fermarmi, alzare gli occhi verso l'alto e pensare a te, mentre stringo nella mano quel poco che rimane del tuo guanto.”

I pensieri di una piccola guerriera, di fronte a quel mondo colmo di speranza che sembra non avere mai fine.

[Spoiler! capitoli 47-48 del manga di Cells at Work! BLACK] [Missing moment]

 

 

V4mBO1R

In your memory - I'll always be waiting for you.

 

 

 

 

“Il mondo sembra sempre più luminoso quando hai realizzato qualcosa che prima non esisteva.”

(Neil Gaiman)

 

 

«Grazie...»

Ho sentito il bisogno di dirlo. Era da tempo che volevo ringraziare i nostri compagni per tutto ciò che hanno fatto: ci hanno aiutato molto, credendo in noi e spronandoci ad andare avanti, nonostante tutti gli ostacoli che abbiamo affrontato.

Più volte noi ci siamo arresi e altrettante ci siamo rialzati, però per tutta la nostra vita non siamo mai stati convinti del profondo valore delle nostre azioni. Loro due invece sì, e ce l’hanno insegnato nel modo più semplice: senza troppi giri di parole, semplicemente essendo se stessi.

Sai, li ammiro molto per questo. Da estranei avrebbero potuto arrendersi subito, svolgere il loro lavoro senza determinazione e speranza; invece ce l’hanno sempre messa tutta, credendo che anche la più piccola delle loro azioni avrebbe portato beneficio alla situazione drammatica che abbiamo vissuto - proprio come se fossero nati in questo corpo.

Al contrario proprio noi, da nativi, abbiamo finito per perdere il senso del nostro lavoro. È vero: questo ambiente di lavoro ci è sempre stato ostile, infischiandosene delle nostre sorti; tuttavia, ad un certo punto, qualcosa è cambiato... ed è successo proprio grazie a loro.

Anche tu li rispettavi molto, non è così? Posso immaginarlo, dalle parole di quell’eritrocita sembra proprio di sì. Forse lo sai già: anche lui ti rispettava molto, ed è stato davvero dispiaciuto per la tua improvvisa scomparsa. Avrebbe voluto trascorrere altro tempo con te, per lavorare al tuo fianco... e anch’io avrei voluto fare lo stesso.

Sono davvero felice per la sorellona: alla fine, per un grande miracolo, è riuscita a ricongiungersi con il suo caro amico.

Mentre io...

 

Perdonami.

Mi ero ripromessa di non versare lacrime, e lo sto facendo. Immagino che non posso farci niente: il dolore è ancora troppo grande, e non riesco ancora a metabolizzarlo del tutto.

Forse, non ci riuscirò mai.

Ogni volta che guardo loro due, mi chiedo cosa sarebbe stato di noi: se quel giorno maledetto le cose fossero andate diversamente, se avessi avuto la possibilità di arrivare solo cinque minuti prima in quel punto e così salvarti... oppure se non fosse mai accaduto tutto ciò che è accaduto, se avessimo continuato a svolgere i nostri lavori con un sincero sorriso - proprio come stiamo facendo ora, ma senza il timore che quella complicata situazione possa ripresentarsi ai nostri occhi.

Forse, noi due avremmo potuto avere il loro stesso rapporto fatto di complicità e stima reciproca. O, forse, avremmo finito solo per battibeccare di continuo, chi lo sa...

L’unica cosa certa è che, per quante supposizioni io possa avere, nessuna di esse si realizzerà. Questa è la realtà dei fatti: adoro un sacco lavorare al fianco della mia sorellona, stare con lei e condividere tutto ciò che facciamo... ma, allo stesso tempo, sento che mi manca qualcosa, e che tale assenza emerge di più quando osservo lo sguardo della mia sorellona che con un sorriso cerca quello del suo amico. Nel mio cuore sento una profonda mancanza, che non so in che modo potrò colmare, oppure se mai riuscirò a farlo.

Probabilmente no.

Credo che non riuscirò mai a trovare un senso alla tua scomparsa, e credo che continuerò ancora a provare quel grande dolore che mi avvolge ogni volta che ci penso.

Tuttavia, lo sento: non sono sola. Non lo sono mai stata, anzi: non lo siamo mai stati, e so che in qualsiasi momento posso contare sull’aiuto e sul sostegno di quei due globuli che ci hanno insegnato davvero tanto, con il loro coraggio e la loro immensa forza.

E anche quando fisicamente sarò da sola... sono certa che sentirò sempre la presenza di qualcuno accanto a me. Percorrerò i tuoi passi, attraverserò tutte le strade che anche tu avresti fatto e vedrò con i miei occhi quel mondo colmo di speranza per il futuro che anche tu avresti voluto tanto vedere.

Non preoccuparti: non ti dimenticheremo... non dimenticheremo tutti coloro che hanno sempre sperato di vivere un futuro migliore del maledetto presente nel quale erano capitati. In qualche modo spero che, attraverso il mio sguardo, anche tu riuscirai a vedere il magnifico mondo che ogni giorno si presenta davanti a noi: è davvero un meraviglioso spettacolo, di fronte al quale non posso fare altro che piangere per la forte commozione.

Ogni giorno sono grata per essere ancora viva, per riuscire a dare il mio contributo a questo organismo con un sincero sorriso. Se tu fossi stato ancora tra noi, immagino che tu saresti stato orgoglioso di questo corpo: si sta impegnando molto per cercare di darci una vita migliore, e ora non posso che essere grata per questo; ci ha messo un bel po’, ma alla fine è riuscito a capire i suoi errori, creando a poco a poco un mondo sempre più sopportabile per noi cellule.

 

Ora sarò io ad andare avanti... e a vivere anche per te. Continuerò a combattere, per poi fermarmi, alzare gli occhi verso l’alto e pensare a te, mentre stringo nella mano quel poco che rimane del tuo guanto.

Camminerò nel tuo ricordo e sorriderò, cercando di trattenere le lacrime per il dolore che sto ancora provando. So che tu non avresti voluto vedermi con uno sguardo triste, per cui mi impegnerò per mostrarmi sempre felice di fronte agli altri.

Sai... ogni volta che chiudo gli occhi, mi viene da sorridere.

Sorridere, già.

Con gli occhi chiusi, mi viene facile da immaginare che sei ancora accanto a me, che mi sorridi e mi sussurri quelle dolci parole di supporto delle quali sento di avere ancora un grande bisogno. Nella mia immaginazione posso ancora incontrarti di nuovo, quasi fino a sfiorarti, e confidarti tutto ciò che non sono riuscita a dirti.

Tuttavia, anche senza immaginarlo, c'è una cosa della quale ho l’assoluta certezza. Lo sento, soprattutto tutte le volte che stringo il tuo guanto ormai rovinato: è come se proprio tu me lo stessi sussurrando nell’orecchio, ogni volta che ripongo la mia spada nel fodero dopo una battaglia, sempre tenendo fisse nella mente le parole che mi hai detto il giorno in cui ci siamo incontrati.

Sono certa che sarai fiero di me.

 

 

 

Anche oggi sono di pattuglia.

Sono giunta all’ingresso del midollo osseo rosso, e sono felice nel vedere il luogo dove siamo cresciuti senza più una crepa, dalle limpide mura che rispecchiano il mondo nel quale lavoriamo ogni giorno: quel radioso mondo che abbiamo sempre sognato, dove i più piccoli si stanno impegnando per diventare grandi senza più timore di un oscuro futuro che li attende, e dove noi adulti possiamo camminare con la sicurezza di poter svolgere al meglio i nostri doveri.

Qui, nell’ampio cortile, vedo tante piccole cellule che si rincorrono felici. Nel vedere i mielociti che giocano ad acchiapparella, fingendo di essere robusti leucociti che inseguono i batteri, mi viene da sorridere, ricordando di quando a me - a noi - non ci è stato dato molto tempo per godere la nostra infanzia, affrontando fin da subito quella terribile verità che avvolgeva il nostro mondo fin nel profondo.

Beati loro, mi ripeto, e intanto mi rilasso con la schiena contro uno dei muretti che cingono l’area di gioco. Le risate dei piccolini mi rassicurano sempre più, e quasi mi incanto nel vederli così felici, uno ad uno: sono così adorabili... e mi auguro che, un giorno non molto lontano, possano diventare delle splendide cellule, orgogliose del lavoro che svolgeranno.

Chiudo gli occhi, senza smettere di sorridere.

Ne sono certa, anche oggi sarà una bella giornata...

 

Ad un tratto qualcosa colpisce con delicatezza le punte dei miei stivali. Apro gli occhi e, con lo sguardo chino verso l’erba, noto la presenza di un pallone accanto ai miei piedi.

Mi abbasso e lo prendo, mentre alle mie orecchie giunge una voce sottile che sta cercando di richiamare la mia attenzione. Anche senza alzare gli occhi immagino cosa è appena accaduto: quel pallone deve essere sfuggito a uno di quei piccoli, probabilmente uno degli eritroblasti dato che è il loro gioco preferito.

«Le chiedo scusa, non volevo disturbarla!»

Stringo il pallone tra le mani e, ancora una volta, ripenso al motivo per il quale sto combattendo ogni giorno. Lo sto facendo non solo per assicurarmi che i miei colleghi continuino a svolgere il loro lavoro senza rischiare la vita, ma anche per proteggere le cellule più piccole, coloro che saranno la nuova generazione che porterà avanti ciò che noi abbiamo faticosamente costruito.

«Ecco a te, piccolino!» esclamo con dolcezza, e porgo il pallone al suo piccolo proprietario.

Nel farlo, alzo finalmente lo sguardo e...

 

«No...»

 

D’improvviso il pallone mi sfugge dalle mani.

Il sorriso svanisce dalle mie labbra che, in un sussulto, si separano tra loro, mentre i miei occhi iniziano a riempirsi di lacrime.

 

«Non ci credo... deve essere un miracolo...»

 

In quel momento mi ricordo di una delle storie che la mia maestra mi aveva raccontato quando ero ancora nel midollo osseo rosso. Forse, non è stato un caso che quella storia sia tornata alla memoria solo ora: l’avevo completamente rimossa, così presa dal duro lavoro nel quale sono stata coinvolta fino a poco tempo fa.

La storia della vita delle cellule.

È la storia della loro rinascita, di come, in un certo senso, la loro vita continua dopo la loro morte.

«Noi viviamo e moriamo... per poi rinascere di nuovo, ricominciando la nostra vita dall’inizio» mi ripeteva sempre, mentre lei mi accarezzava la testa affettuosamente. Quando ho iniziato a lavorare, spesso mi chiedevo che senso avesse avuto un finale del genere: non riuscivo ad accettare che noi, che eravamo immersi in atroci sofferenze, avessimo la possibilità di morire solo per rivivere quei terribili eventi. Avevo pensato che quella storia fosse stata solo un’ennesima occasione per celare ciò che ci stava aspettando una volta cresciuti, per non scoprire la verità e, invece, edulcorarla con le bugie di quel mondo perfetto che non è mai esistito.

Solo adesso inizio a capire che mi stavo sbagliando. Quella storia non era affatto una bugia: è la nostra realtà... e tu ne sei la prova, una prova tangibile che, mai e poi mai, avrei pensato di trovare in questo luogo.

Quegli occhi così piccoli e sottili, che mi stanno guardando con altrettanto stupore... sono i tuoi occhi. Quel taglio e colore dei capelli, la forma del viso... sono proprio i tuoi.

Ne sono certa. Quell’eritroblasto che si trova di fronte a me sei proprio tu: un piccolo te che è ritornato in questo luogo, pronto ad affrontare quella vita felice che tanto hai desiderato di vedere.

Così, dopo un attimo di smarrimento, lo stupore lascia spazio alla gioia e d’istinto compio un gesto che mai avrei pensato di fare nella mia vita: abbraccio quella piccola cellula senza dire una parola, lasciando scorrere le lacrime lungo le mie guance rosse per l’emozione.

Non mi importa se quel piccolino... se tu non comprenderai il perché di questo mio improvviso comportamento. Forse non ricorderai ancora nulla e forse non lo farai mai - però io mi auguro che ciò non accada - e forse ti starai chiedendo perché una guerriera come me, una protettrice nata con lo scopo di uccidere, ti stia stringendo con delicatezza in un caldo abbraccio: non ci sono batteri nei paraggi, perciò forse per te questo gesto non potrebbe avere un senso...

Tuttavia, tra le lacrime che continuano a scendere dagli occhi lucidi, non ti stai lamentando né cercando di staccarmi da te. Sei rimasto immobile, e a quel punto in quella che potrebbe essere a tutti gli effetti una flebile speranza immagino che, forse, hai già capito tutto.

Però riconosco che è ancora troppo presto per sperare: è vero che sei sempre stato molto sveglio, ma è improbabile che tu possa ricordare anche solo un frammento del tuo passato, perché in questo momento sei ancora una piccola cellula.

Già. Una piccola cellula che devo proteggere, insieme a tutte le altre... in modo tale da assicurarmi che possa maturare e, un giorno non molto lontano, ritrovarla nell’apparato circolatorio.

Ti guardo negli occhi, asciugandomi il volto grondo di lacrime, e con una dolce carezza sul tuo volto sussurro una frase che possiamo sentire solo io e te.

 

«Diventa un grande eritrocita... ok? Quando sarai grande vieni da me: ti aspetterò per sempre.»

 

 


 

[Angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]

In realtà questa storia potrebbe non avere un senso nel finale (nella realtà di tutti i giorni i leucociti non vivono più a lungo degli eritrociti, sigh!) però questa volta non è colpa mia. Non posso farci niente se gli autori della serie hanno messo in mezzo la storia della reincarnazione e allo stesso tempo far vedere i protagonisti ancora vivi e vegeti - in effetti, calcolando un po’ i tempi trascorsi dall’inizio del manga... possiamo dire che loro sono immortali, LOL!

Scherzi a parte: ieri si è concluso il manga del BLACK, con un finale davvero grandioso, degno dell’intera storia che è stata narrata. Una storia ricca di tragedie, ma che alla fine si è conclusa per il meglio, con quella speranza che se all’inizio era flebile, nel corso della storia è diventata sempre più crescente, per poi rendersi esplicita proprio nella parte finale. Da una parte, meglio così: questa storia ci ha insegnato che il prendersi cura del proprio corpo può portare a conseguenze davvero positive. (E, finalmente, un po’ di pace per questi sfortunati poveretti! Immagino che non ne potevano più XD)

Riguardo la mia fanfiction, in realtà l’ho iniziata e conclusa una settimana fa, in occasione dell’uscita del capitolo 47 del manga. Infatti la prima parte del testo fa riferimento alla pagina dove J-1178 ringrazia i protagonisti per l’aiuto che hanno dato a lei e a tutti gli altri nativi di quel corpo; inizialmente si doveva chiamare solo “Nel tuo ricordo”, perché ruotava intorno al concetto del ricordo - appunto - di una persona scomparsa, e la promessa di continuare a vivere anche per quella persona amata.

Ho deciso così di attendere il finale del BLACK, proprio perché non si sapeva se ci sarebbe stata una conclusione felice o triste (quindi, come conseguenza, lasciare solo il riferimento “capitolo 47” o estenderlo anche al capitolo 48 per la mia storia)...

... sennonché, proprio nel capitolo finale, gli autori ci hanno regalato una “chicca” verso la fine. Quando inquadrano gli eritroblasti nel midollo osseo rosso, si vedono tre piccoletti che assomigliano incredibilmente ai compagni del protagonista che ad un certo punto avevano salvato lui e i suoi amici, e con i quali egli era diventato un grande amico - e che, poi, sono morti tutti e tre in un modo terribile, ma questa è un’altra storia.

Coincidenza? Credo proprio di no: in quella pagina si parla di nascita e morte delle cellule, nonché di ri-nascita... dunque, cosa ho pensato di fare? Molto semplice: scrivere di getto una seconda parte, parlando di un incontro del tutto particolare, e così concludere il testo in modo ancora più positivo di prima. (Finalmente sono riuscita a dare un finale felice per la nostra J-1178! Anche lei se lo meritava!)

Così, la storia ha acquisito un secondo titolo: “I’ll always be waiting for you” che, in realtà, non solo racchiude il significato della seconda parte, ma allo stesso tempo è anche un velato omaggio a un’altra opera dello sceneggiatore del BLACK (Shigemitsu Harada), Re:Marina, dove nel capitolo 48 la protagonista dice proprio questa frase - in fondo, anche lì si parla di “incontri del destino”... :3

Nel frattempo, nemmeno a farlo apposta, è stata pubblicata questa fanart di Dusa: sono felice che tutti, ma proprio tutti, abbiamo lo stesso, identico pensiero sul finale tra questi due personaggi. Tutti vogliamo vederli felici, e grazie al finale noi siamo finalmente risollevati nel sapere che d’ora in poi, comunque andranno le cose, vivranno la vita che tanto desideravano. :')

È stato un bel viaggio, per noi lettori. Gli autori del BLACK hanno fatto uno splendido lavoro: questa è stata una delle serie che ho seguito con molto piacere, con un pizzico di ansia ma che ci ha regalato un sacco di emozioni e svariati colpi di scena, dall’inizio fino alla fine. ;)

E con questa storia che avete letto, credo che posso chiudere un cerchio che ho iniziato nel 2019, quando ho pubblicato Idiots never survive”. In quel momento (ed è stato così fino allo scorso anno) mai avrei immaginato che quella fanfiction, la prima che ho scritto per il fandom di Cells at Work, sarebbe poi diventata la prima di una mini-raccolta di quattro storie su uno dei personaggi del BLACK che ho amato alla follia. Se il 2020, da una parte, ha portato abbastanza sfortuna a ciascuno di noi, dall’altro tra le (poche) cose belle a me ha regalato la possibilità di incontrare virtualmente autori che adorano questo personaggio come io lo amo. Senza di loro - e delle loro fanart, soprattutto - forse non sarei mai riuscita a scrivere altre storie su di lei: forse Il peso di una vita non sarebbe mai nata, né avrei immaginato di scrivere qualcosa partendo da una singola immagine, come è accaduto per “Totsuzen.

E, adesso, è arrivata anche questa storia, che ancora una volta vuole essere un mio piccolo dono nei confronti di chi mi segue su Twitter (perché è lì che ho incontrato queste persone). Ringrazio ciascuno di loro, che hanno regalato e continuano a regalare al fandom meravigliosi contenuti. :)

Infine, a ancora una volta ringrazio la solita stellaskia - che anche se non è più presente su EFP continua a sopportarmi e supportarmi in privato. È “colpa mia” se anche lei adora J-1178, ed è sempre “colpa mia” se adesso la adora in coppia con un certo personaggio un po' serio e apparentemente distaccato, ma capace di grande affetto e che - entrambe ne siamo certe - prima o poi incontrerà nuovamente la nostra piccola leucocita. :') E no, non ci sarà un sequel a questa fanfiction, per cui questa storia sarà davvero l’ultima della raccolta “A tale of a warrior”, “Il racconto di una guerriera” che è riuscita a fare parecchia strada, crescendo e acquisendo sempre più consapevolezza in se stessa. Vi dirò: sono commossa per il suo percorso, come se lei fosse una di famiglia, sigh!

Grazie a tutti coloro che hanno dato un’occhiata a questa storia, e ricordate: uno stile di vita sano rende più felici le cellule del nostro corpo. ;)

Alla prossima!

--- Moriko

 

 

   
 
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