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Autore: crazy lion    22/01/2021    2 recensioni
Manca poco a Natale. Eleonora non riesce a non pensare a Stella, il dolore si fa ancora sentire. Quella che prima era una gatta di casa, una migliore amica, una figlia, ora non è più con loro ma solo sopra di loro, come parte del cielo e del firmamento. Ancora piccolo e sensibile, Red non sopporta di vederla star male e, con l'aiuto del fratello Furia, farà di tutto per aiutarla a vivere una serata tranquilla.
Red e Furia sono i miei gatti e la scomparsa di Stella purtroppo è vera. Ha sconvolto loro due, ma anche me e tutta la mia famiglia.
I nomi degli umani sono inventati. Abbiamo umanizzato un po' i gatti, facendoli parlare e dando loro forti emozioni, ma senza snaturarli.
Ho scritto questa storia da sola, ma ho stilato altri racconti di questa serie assieme a Emmastory.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Due gatti e una famiglia'
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UNA SERATA TRANQUILLA

 
Eleonora rimaneva seduta al tavolo della cucina a sorseggiare una tazza di caffelatte. Lo beveva sempre, la sera, tanto il caffè era decaffeinato. Si trattava di una coccola che si concedeva e che la rilassava.
"Giochiamo a carte?" le chiese la mamma.
La ragazza era non vedente. Esistevano le carte in braille, ma le aveva perse durante uno dei traslochi fatti in quegli anni. Utilizzava perciò quelle normali e la madre la aiutava. Si passò una mano fra i capelli castani, per sciogliere qualche nodo. Uno degli effetti della depressione di cui soffriva era prendersi meno cura del suo aspetto.
"Perché no?"
Iniziarono così una partita a Cava Camisa, un gioco delle loro parti, il Veneto, e per un po' si concentrarono solo su quello.
"Sai mamma, la sera, quando sono a letto e il pavimento in legno scricchiola…"
"Pensi a Stella" terminò l'altra per lei.
"Esatto. Immagino sempre che, da un momento all'altro, rientri e salti sul materasso, dicendomi mentre miagola che è stato tutto uno scherzo, di pessimo gusto, certo, ma pur sempre uno scherzo e che ora resterà con me per tantissimi anni."
Isabella sospirò.
"Anch'io vorrei che fosse qui, tesoro" riprese in tono grave. "Ma purtroppo non possiamo cambiare il passato."
"Lo so, ma non riesco a superarlo."
"Devi sforzarti." La sua voce non era dura, ma quelle due parole alla ragazza fecero male. "Devi cercare di andare avanti, anche senza di lei. Lo so che è difficile."
Eleonora trasse un lunghissimo respiro, portandosi una mano al petto per sopprimere il dolore che lo attraversava. Era come se qualcuno le stesse piantando, con lentezza esasperante, un'ascia proprio al centro del cuore. Razionalmente sapeva che era giusto andare avanti, ma dentro di lei era consapevole che non riusciva a lasciar andare la sua gatta. Stella era morta il 16 settembre, dopo essere stata investita quattro giorni prima. I danni, soprattutto a livello neurologico, erano stati troppo gravi e la ragazza e la famiglia avevano optato, con grandissimo dolore, per l'eutanasia. E così, la loro adorata micia se n'era andata a soli cinque anni.
"Secondo te, perché Gesù ha voluto Stella in cielo così presto?" chiese Eleonora alla mamma, con un filo di voce.
Un altro sospiro, più lungo stavolta, seguito da una breve pausa di silenzio. Eleonora si domandò se anche la madre stava ancora soffrendo quanto lei. Era stata più legata a Stella rispetto agli altri, eppure si era rivelata quella che aveva reagito meglio dopo la sua scomparsa.
"In effetti viene da farsi queste domande, ma purtroppo non c'è una risposta, non lo sapremo mai."
"Già."
Non devo piangere.
La ragazza si asciugò una lacrima e si aggrappò a quel pensiero con tutte le sue forze, per non scoppiare in pianto in cucina davanti a sua mamma, che l'aveva vista singhiozzare abbastanza nei mesi precedenti.
"Ti è arrivato un messaggio, Isa" disse il padre di Eleonora dal salotto.
"Arrivo."
La donna non era una grande amante del cellulare, lo usava poco, ma la sera le arrivavano sempre messaggi da Maria, sua sorella, che le inviava frasi trovate su internet.
"Questa te la leggo" disse la madre.
Eleonora avrebbe voluto farle notare che nella sua frase c'era una ripetizione, ma lasciò perdere.
"D'accordo."
“Potrebbe farti piacere, come no, ma penso che sia importante che tu la ascolti.
Avresti mai pensato di superare quel dolore? Eppure siamo fatti così. Di anima e forza. E dopo aver pianto così tanto da affogare in noi stessi, tocchiamo un punto, laggiù nel fondo, che è sempre quello che ci spinge a risalire."
All'inizio Eleonora non disse niente, poi commentò:
"Bella ma difficile da mettere in pratica, almeno per me per quanto riguarda Stella. Tu sei risalita?"
"Sì, certo, e dovresti farlo anche tu. Pian piano, ma dovresti."
La ragazza sospirò.
“Lo so, ma per ora non ci riesco. Mi sento ancora sul fondo, o forse sto risalendo pian piano. Tu ne sei uscita?”
“A cosa ti riferisci?”
“Al dolore per Stella, mamma” disse, con il tono di chi intendeva che era ovvio.
“Sì, certo! Devi cercare di ricordarti anche le cose belle di Stella, le cavolate che faceva per esempio, e non concentrarti solo sul dolore.”
Devi, devi, devi. Sempre quel verbo. A Eleonora dava fastidio, ma capiva che per molte persone dire così era normale.
“Lo faccio, ma poi arriva sempre il dolore che di solito è più forte dei bei ricordi.”
“Vedrai che un giorno sarà il contrario. Spero presto.”
La ragazza non disse niente, prese i farmaci che doveva e andò di sopra. Non era arrabbiata con la mamma, solo che non aveva mai idea di cosa rispondere ad affermazioni del genere, corrette, ma alle quali lei non credeva fino in fondo. Non sarebbe mai riuscita a lasciar andare Stella, ne era convinta.
Si scambiò qualche messaggio con la sua amica Emma, nel quale parlarono della storia che avevano scritto insieme, un crossover fra una fanfiction di Eleonora e una saga originale dell'altra ragazza, entrambe ancora in corso. il crossover era terminato e da mesi stavano lavorando sulla revisione, facendolo leggere anche a una loro amica per ulteriori consigli. Dopo aver deciso come sistemare un passaggio, Eleonora salutò Emma e si mise a letto. Erano solo le dieci, ma il Daparox, l'antidepressivo aggiunto dal medico di base da qualche giorno alla sua cura, le faceva venire sonno. Sbadigliò e chiuse gli occhi.
Poco dopo, mentre stava per addormentarsi, le parve di sentire qualcuno che saltava sul letto.
"Stella?" chiese, nel dormiveglia.
Si mise piano a sedere e toccò davanti a sé, ma non c'era nessuno. Ancora una volta, si era trattato di una stramaledetta allucinazione, o di una strana sensazione, non sapeva bene in che modo definirla, come quella di cui aveva parlato con la mamma poco tempo prima.
“Cazzo!"
Lanciò via le coperte e tirò un pugno al cuscino, poi si coprì di nuovo e sprofondò nel guanciale, scoppiando a piangere. La notte era il momento più difficile, quello in cui avrebbe dovuto sentire la sua gattina grattare sul mobile accanto al bagno, o miagolare forte e con insistenza, e invece la casa era immersa in un silenzio quasi assoluto, interrotto soltanto dalla televisione tenuta a volume basso dai genitori. Si girò e rigirò, senza mai trovare una posizione comoda e facendo un disastro con le coperte, tanto che a un certo punto dovette alzarsi e rimetterle a posto. Chissà se quella notte sarebbe riuscita a dormire, dopo il ricordo di quanto appena accaduto. Aveva ancora sonno, ma non era più in grado di chiudere gli occhi. Versò solo qualche lacrima, che le scorse calda lungo le guance, talmente tanto che credette che le bruciasse la pelle. Aveva pianto così a lungo per Stella nei mesi precedenti che ora le veniva difficile perfino fare quello. Iniziò a respirare con affanno, non riuscendo a smettere di ansimare, come se avesse appena corso una maratona. La testa le vorticava a velocità impressionante e anche quando si mise le mani sulle tempie ebbe la sensazione che tutto girasse.
Non voglio avere un attacco di panico.
Non poteva, o addio sonno. E poi il Daparox serviva anche per diminuire l’ansia, così come il Trilafon, uno degli altri farmaci che assumeva. Ma forse il primo non faceva ancora effetto, dato che lo prendeva da pochissimi giorni.
"Maledizione!" disse fra i denti.
 
 
 
Furia e Red camminavano per il giardino. La notte era fredda, ma non avevano ancora voglia di tornare a casa.
"Furia, facciamo un gioco?" chiese il gattino rosso.
L'altro, di colore grigio e più grande di lui – aveva cinque anni – sorrise.
Ha solo otto mesi, è ancora un cucciolo.
Era normale che avesse voglia di giocare, essendo così piccolo, anche a quell'ora della sera. Furia era stanco, presto avrebbe voluto rientrare e mettersi a letto con Eleonora, ma non se la sentì di dire di no al fratello adottivo.
"D'accordo. Che gioco vuoi fare?"
"Prendiamo le falene, facciamo a gara a chi ne acchiappa di più" propose.
"Va bene, ma senza ucciderle, le tocchiamo con le zampe e basta, d'accordo? Non tirare fuori gli artigli."
"Uffa, ma perché?"
"Perché sono belle e non voglio fare loro male. Eleonora si arrabbia, se lo facciamo. Per stavolta no, d'accordo?"
Red sbuffò.
"Va bene, ma sarà meno divertente."
"Non ne sarei così sicuro. Proviamo e vediamo."
Saltarono sempre più in alto, mentre le poche falene che volavano scappavano e li costringevano a correre loro dietro. Le sfioravano appena e poi le lasciavano andare.
"Non pensavo sarebbe stato così difficile!" esclamò Red. "Insomma, sono solo farfalle."
"Si chiamano falene."
"Qual è la differenza?" Red smise di correre e spalancò gli occhi. "Non ho mai sentito questa parola."
"Sono le farfalle che volano di notte, si chiamano così e sono meno colorate delle altre, o almeno questo è quello che ho capito su di loro."
"Allora a me piacciono di più le farfalle normali."
Furia rise per quell'aggettivo.
"Fermatevi!" ordinava in continuazione il più piccolo. "Vogliamo solo giocare con voi."
"Pensano che vogliamo mangiarle, Red.
"Ma non è vero! Perché non lo capiscono?"
"Non parlano la nostra lingua."
"Oh." Il gattino saltò e arrivò vicino a una falena, ma senza toccarla, poi questa volò via. "Hai visto? Sono stato bravo?"
"Bravissimo! Rientriamo? È tardi."
"Sì, o le mamme si preoccupano."
Entrambi sorrisero; consideravano Isabella ed Eleonora come le loro mamme adottive, anche se erano più legati alla seconda.
Passarono per la porticina basculante e, una volta dentro, fecero un veloce spuntino a base di croccantini e acqua, dopodiché corsero dritti in camera di Eleonora. Spalancarono la porta e la ragazza, immersa nelle coperte, non si alzò a socchiuderla.
 
 
 
"Ciao" mormorò, quando sentì Furia saltare sul letto, ma non si mosse.
"Perché non tiri fuori la mano?" le chiese il gatto, che ora si trovava vicino alla sua testa.
La ragazza interpretò così il miagolio e, seppur stanca, sospirò e lo accarezzò. Non negava ai suoi gatti le coccole nemmeno di notte, neanche se era molto tardi. Ricordava ancora tutte le volte nelle quali aveva accarezzato Stella, che piangeva senza motivo in mezzo al corridoio.
Red saltò sul letto e si accoccolò sul petto di Eleonora.
"Ciao!" esclamò, strusciando il muso contro la sua guancia, poi le leccò il mento.
"Ciao, Red. Che bel miagolio hai! Sì, sì, anch’io ti voglio bene."
"E il mio miagolio non ti piace?" chiese Furia, offeso.
I gatti non capivano bene quello che diceva la padrona, ma cercavano di interpretare dal suo tono di voce.
"Sì, Furia, anche il tuo è dolcissimo. E amo anche te."
Eleonora non capiva come mai a suo fratello Giovanni non piacesse vedere il resto della famiglia parlare con i gatti.
"È inutile, non vi capiscono" diceva.
"Ma è umano farlo, e poi ci piace" cercava di fargli capire il padre.
Beh, poco importava quello che pensava lui.
“Dopodomani è Natale” mormorò. “Come faremo a viverlo senza Stella?”
Quasi che avessero capito, i due gatti miagolarono e le loro fusa aumentarono.
“Sì, lo so che mi siete vicini, grazie piccoli miei.”
Eleonora accarezzò con una mano Red e con l'altra Furia, sentendosi sempre più tranquilla. La testa non le girava più, respirava meglio e, anche se non aveva Stella e se immaginava che la sua gattina avrebbe potuto tranquillamente stare lì con loro nel letto, almeno aveva Furia e Red accanto. Grattò il più grande dietro le orecchie e il più piccolo sotto il mento. Cullata dalle loro fusa e dalle linguette dei mici che le leccavano le mani, la ragazza si addormentò senza alcun pensiero a turbarla e, poco dopo, anche i due gatti caddero in un sonno profondo.
 
 
 
CREDITS:
la frase è di Paola Felice
 
 
 
NOTE:
1. la conversazione fra Eleonora e la mamma è avvenuta davvero fra la mia e me.
2. Mia zia manda davvero quei messaggi a mia mamma e la frase è reale. Ho trovato il nome dell’autrice su internet.
3. Prendo davvero farmaci per la depressione e l’ansia.
4. Non nego mai le coccole ai miei gatti, anzi, quelle notturne sono bellissime.
5. Mio fratello pensa davvero che sia inutile parlare con i gatti.
   
 
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