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Autore: dirkfelpy89    22/01/2021    5 recensioni
Storia partecipante al Contest "Let’s cliché!" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP.
Vera Claythorne è rimasta l'unica in vita, su quella dannata isola. É rimasta l'unica e l'ultima statuetta, fragile ma ancora in piedi, o per lo meno fino a quando non torna in camera sua e capisce che la filastrocca deve avere una fine.
"Com'era la strofa?
"Ad un pino s'impiccò e nessuno ne restò" sussurro. Lombard ghigna, il giudice sorride e Hugo, Hugo annuisce un'ultima volta.
Poi, decisa, do un calcio alla sedia.
"
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Philip Lombard, Vera Claythorne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ultima Statuetta

 

 

Il colpo di pistola riecheggia per la spiaggia, nel silenzio che opprime e ci circonda. Rimbomba fin dentro alle ossa, fino alla mia anima.
Philip mi osserva per un secondo, solo un misero secondo, poi crolla per terra. La camicia si macchia ben presto di rosso, un rosso scuro, scuro come quell'uomo che adesso giace, morto, ai miei piedi.
É così facile togliere una vita…

La prima cosa che faccio è ridere, ridere perché tutto è finito, perché ho vinto e perché sono sopravvissuta. Era ovvio, era Lombard. Non poteva non essere lui, lo sapevo fin dall’inizio, eppure per poco non cadevo nel suo tranello.


Fin dall'infanzia mamma ha sempre cercato di mettermi in guardia contro il mondo, contro gli uomini. Il suo è sempre stato un matrimonio infelice, i miei genitori non si sono mai amati, lei ha sposato papà solo per scappare di casa, per avere una vita lontana dai genitori e non dover sopportare le reprimende di sua madre.
Ironico che si sia trasformata ben presto in una copia di mia nonna, ironico che abbia cercato di inculcare, dentro la mia testa, quelle stesse reprimende che lei tanto odiava. Papà osservava, in silenzio, scuotendo leggermente la testa. Questo è il ricordo che ho di loro: mamma intenta a sgridarmi, papà intento a leggere ed a scuotere la testa.
Ben poca cosa.
Sono stati diciotto anni d’inferno, diciotto anni di tedio, di piccole vendette e trasgressioni per fuggire alla noia.

No, non è il momento. Non è il momento di lasciarsi andare ai ricordi. Ho una missione da compiere, io!
Ma sono così stanca, sono così… distrutta.

Lentamente mi trascino lungo la spiaggia, diretta verso la villa.
Non vorrei tornare dentro quell’inferno, ma devo riposare e devo sistemare le ultime statuine.
Poverette, ne rimarrà integra solamente una sola.

--------

Lentamente riesco ad arrivare fino all’ingresso della villa. É così bella e così… vuota.

E in fondo è così che considero la mia vita, dopo essere andata via di casa. Ho fatto la governante, ho vissuto in alcune delle dimore più belle dell’intera Gran Bretagna, ho incontrato persone famose o comunque importanti… eppure tutto era così vuoto, privo di significato.
La mia vita trascorreva tra il lavoro e qualche festa. Tra la gioia di potermi occupare dei figli di persone importanti e la consapevolezza che non sarei mai riuscita a trovare una persona alla mia altezza, una persona che riuscisse a prendermi il cuore e la mente.
Certo, qualche relazione l’avevo avuta, ma niente di davvero serio, niente di davvero mio.
Questo almeno, fino a Hugo.
Hugo…

Mio Dio, stupida ragazza, non capisci che non è il momento di pensare a lui? Lo capisci che non devi pensare a lui?
Non posso permettermi di indugiare nei miei ricordi, perché adesso mi trovo in cucina e sul tavolino sono rimaste solo tre statuette. Come sono belle, belle ma fragili, un po' come me.

Lascio cadere la pistola per terra, non ne ho più bisogno, non ora che sono sola e al sicuro.
Ho bisogno solo di porre un punto fermo a tutto, ho bisogno solo di fare una bella, profonda e lunga dormita e andare con la mente lontano, via da qui.
Afferro due statette e una dopo l'altra le getto per terra.

CRASH
Blore che giace per terra con il cranio sfondato.
CRASH
Lombard sdraiato per terra, una grossa macchia rosso scuro sul petto.

Era così facile togliere la vita ad un'altro essere umano. Appariamo così invincibili, da fuori, ma in realtà non siamo più forti o più resistenti di queste statuette di porcellana.
Affero l'ultima rimasta ancora integra e la osservo: sono io, quella statuetta sono io! Fragile, eppure unica sopravvissuta.
Improvvisamente mi assale un'altra ondata di sonnolenza, di estrema stanchezza. Devo dormire un po'...
Sempre con in mano quella piccola e preziosa porcellana, inizio a salire le scale.


--------

Mi affezionai subito a Cyril: era piccolo, fragile, desideroso di attenzioni. Finalmente, dopo aver passato gli anni precedenti a cercare una occupazione dignitosa, ce l'avevo fatta; ero in una casa rispettabile, con un bambino da badare tranquillo ed educato. Avrei potuto crescere Cyril, chissà, forse sarei potuta rimanere al suo fianco, sempre che arrivasse vivo alla maggiore età.

Ma poi a complicare tutto arrivò Hugo. Lo odio, eppure lo amo con tutta me stessa.
Arrivò e cambiò completamente la mia vita, perché per la prima volta sentii l'amore nascere nel mio petto, un sentimento così profondo che non pensavo fossi capace di provare.
Era simpatico e mi piaceva terribilmente perché non mi faceva sentire una governante, non mi faceva sentire una borghesuccia, no, Hugo mi faceva sentire una regina. Mi faceva sentire desiderata, mi faceva sentire amata e non c'è cosa più bella e profonda.
Sembrava tutto davvero strano, come una favola che questa volta capita a te, una favola che niente e nessuno può spezzare!
Ci amavamo con tanta passione e con tanto ardore che, a un certo punto, pensai che Hugo potesse essere l'uomo della mia vita, quello giusto da sposare. C'era solo un piccolo problema: Hugo non aveva il becco di un quattrino, tutti gli averi di famiglia sarebbero finiti a quel piccolo ragazzino, Cyril.

Vedete quanto è ingiusta la vita? Potete percepire la gravità di questa ingiustizia?
Un pensiero terribile mi balenò nella mente, subito represso. Però poi guardai gli occhi tristi di Hugo e mi resi conto di quanto fosse davvero gracile Cyril, di quanto avrebbero sofferto i suoi genitori ma anche di quanto sarei potuto essere di conforto per Hugo, di come avrebbe potuto dimenticare Cyril con un suo bambino, un nostro bambino, tra le braccia.
Ed allora presi una decisione, la più terribile di tutte.
Una decisione che mi ha portato a finire per lavorare in una scuola di second'ordine, che mi ha portato su questa maledetta isola.
É facile dire che sono pentita, che ripensandoci è stata tutta una follia, ma la verità è che lo rifarei, rifarei tutto per Hugo.

--------

Senza neanche rendermene conto, sono arrivata di fronte alla mia camera. Apro la porta, e subito mi accorgo che qualcosa non va: i mobili sono tutti ammassati addosso ad una parete, in mezzo alla stanza c'è solo una sedia e un cappio che pende da un gancio al soffitto.
Dunque è così che deve finire. Lascio cadere la statuetta e improvvisamente tutto mi è chiaro.

CRASH
Io che pendo da quel cappio.

Avevo già avuto una visione di me con il cappio al collo, poco prima del processo, ma ero rimasta ferma, decisa, ed ero riuscita a farla fanca. Però Hugo aveva capito, glielo leggevo in faccia, e da quel momento non lo vidi mai più, iniziò a evitarmi. Chissà, se avessi saputo che Hugo mi avrebbe voltato le spalle, forse avrei ammesso tutto al processo; forse mi sarei risparmiata quel continuo logorio che mi strazia da quel giorno. Oppure no, avrei rifatto tutto per amore.

Quindi è così che deve finire, del resto la filastrocca deve essere rispettata. E io sono così stanca di sfuggire alla forca!
Questa volta niente potrà salvarmi, perché so che quando la polizia arriverà su quest'isola e si troverà nove cadaveri ed una sola ragazza in vita, non crederanno alla mia versione dei fatti.
E dopotutto sono stata io a uccidere Lombard, certo difendendo la mia vita, ma dubito che la giuria questa volta mi perdonerà. E forse me lo merito, e forse è la mia giusta punizione

E allora che sia così, che la filastrocca sia rispettata in tutte le sue dieci strofe, che tutti i dieci piccoli indiani vadano incontro al loro destino!

Quasi in trance salgo sulla sedia e mi metto il cappio intorno al collo. Respiro, stringendo il nodo.
Vedo davanti a me Hugo, Hugo che mi osserva, che sorride e che annuisce: e la cosa giusta da fare, amore mio? Vedo Lombard che mi fissa, con la camicia tutta insanguinata, vedo Blore con il capo fracassato e vedo il giudice, di fronte a me, che mi osserva con il suo sguardo indagatore. Sembra proprio che si godrà un ultima impiccagione, signore!

Com'era la strofa?
"Ad un pino s'impiccò e nessuno ne restò" sussurro. Lombard ghigna, il giudice sorride e Hugo, Hugo annuisce un'ultima volta.
Poi, decisa, do un calcio alla sedia.

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Salve a tutti!
Dieci piccoli indiani è in assoluto uno dei miei libri preferiti, sicuramente rientra nella mia top 5. Ho già scritto diverse Fanfiction basate su Dieci piccoli indiani, in un altro fandom, ma questa è la prima volta che scrivo espressamente sul libro e in questa sezione.
Ora, questa Fanfiction fa parte del contest "Let’s cliché!" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP.
Come forse avete capito questa Fanfiction si basa sul cliché letterario “Tutta la vita davanti agli occhi” e quando ho letto di questo Cliché, subito ho voluto scrivere su questo argomento.
Perché sappiamo che Vera, dopo aver ucciso Philip Lombard, si è suicidata ma non sappiamo bene che cosa le può essere passata per la testa. Questo mio modesto tentativo cerca di capire quali possono essere stati i pensieri della ragazza, prima di diventare la 'decima piccola indiana'.

Spero che questo Fic vi sia piaciuta, sentitevi pure liberi di lasciarmi una recensione, se volete :)

  
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