Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: MoonBlack    22/01/2021    0 recensioni
La vita di Nilde non potrebbe essere più normale e prevedibile: è una comune studentessa, iscritta all'università di Pavia, con genitori troppo soffocanti che la spingono a ottenere voti sempre più alti, senza concederle il lusso di avere una vita sociale.
Ma tutto cambia, quando scopre di essere incinta del suo professore di lettere.
Disclaimer: tutti i personaggi presenti in questa one-shot sono frutto della fantasia dell'autrice, così come gli avvenimenti narrati. Qualunque caso di omonimia con persone realmente esistenti è da considerarsi come puramente casuale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Skyscraper

Only silence
As it’s ending
Like we never had a chance.
Do you have to make me feel like there’s nothing left of me?

 
 
Era una giornata fredda e uggiosa, nella tranquilla cittadina di Pavia. Fin dalle prime ore del pomeriggio, uno spesso strato di nebbia aveva iniziato a farsi strada dalla campagna circostante, fino ad avvolgere in un lattiginoso manto ogni strada e abitazione, rendendo ogni suono inconsistente e ovattato.
I Pavesi erano talmente abituati alla presenza di quella coltre impenetrabile, che ormai non ci prestavano nemmeno più attenzione e camminavano per le vie centrali come se nulla fosse, troppo impegnati a portare a termine le loro faccende quotidiane per preoccuparsi riguardo al clima.
Non distolsero l’attenzione nemmeno quando un’insolita figura si fece strada da un vicolo laterale, caracollando verso il centro città con passo incerto.
Si trattava di una ragazza di ventuno anni, piuttosto bassa e dalla corporatura formosa, i capelli castano rossiccio raccolti in una crocchia disordinata.
Il suo nome era Nilde.
Camminava assorta nei propri pensieri, senza curarsi degli individui che le passavano accanto, le mani affondate nelle tasche della felpa e lo sguardo basso, gli occhi color ematite spenti e arrossati, come quelli di una persona disperata, ma, al contempo, troppo stanca per piangere.
Nella tasca dei suoi jeans, lo smartphone continuava a vibrare insistentemente, prontamente ignorato dalla sua proprietaria, che per tutta risposta accelerò il passo, come a volersi lasciare alle spalle le preoccupazioni. Queste ultime, tuttavia, facendosi prontamente beffa di lei, continuavano a inseguirla, artigliandola in una morsa inestricabile.
Non voleva rispondere al telefono. Non voleva guardare in faccia la realtà.
Nel migliore dei casi, avrebbe letto sullo schermo il nome di qualche suo collega universitario, che la chiamava, probabilmente, perché preoccupato del fatto che avesse smesso di frequentare le lezioni da più di due settimane, nel peggiore, invece, sarebbe stato il nome di uno dei suoi genitori ad apparire sullo schermo.
Anche con loro non parlava da più di due settimane, precisamente da quando aveva scoperto di essere incinta.
Inizialmente, il risultato del test di gravidanza le era parso talmente assurdo che non aveva neppure preso in considerazione l’idea che potesse essere accurato. E non perché amasse raccontarsi delle bugie, ma semplicemente perché era assolutamente certa del fatto che l’ultima volta in cui aveva avuto rapporti con qualcuno avesse usato il preservativo. Aveva comprato altri tre test e quando tutti le avevano riportato lo stesso, sconfortante, risultato, aveva deciso di tagliare la testa al toro e di recarsi da un ginecologo.
Purtroppo, la visita medica non aveva fatto altro che confermare i suoi peggiori timori: era davvero incinta, e da circa un mese, per di più.
Le era crollato il mondo addosso, anche e, soprattutto, perché, inizialmente, aveva avuto non poche difficoltà a ricordare il famigerato individuo con cui doveva presumibilmente aver consumato quella famigerata notte di passione.
La sua mente si soffermò nuovamente sulle emozioni caotiche e sconclusionate che aveva provato quella sera: ricordava di aver trascorso ore e ore rannicchiata sul divano, ripercorrendo con la mente il mese appena trascorso, tentando di capire con chi e in che circostanze avesse concepito.
Finché non erano sopraggiunti dei vaghi ricordi e, insieme a essi, un’amara consapevolezza: non solo aveva avuto rapporti con qualcuno, un mese prima, ma quel qualcuno non era altri che il suo professore di Linguistica Italiana, Vittorio Nobile.
Doveva ammettere che aveva sempre avuto un debole per lui, fin dalla prima lezione a cui aveva assistito. Non perché fosse particolarmente avvenente, anzi, la sua corporatura magra e minuta, i suoi vestiti dimessi e il viso sciupato non lo rendevano di certo un adone. E anche il resto del suo aspetto, a partire dai comunissimi capelli marrone cenere, fino ad arrivare agli occhi color ambra, non era nulla di straordinario. No, quello che veramente l’aveva attratta come una calamita fin dall’inizio era stato il suo modo di parlare, la passione fervente che trasudava prepotente quando trattava gli argomenti delle sue lezioni. Mentre spiegava, il suo modo di comportarsi mutava totalmente: se al di fuori delle aule poteva passare per un ometto taciturno e insignificante, quando si ritrovava a parlare degli argomenti di cui era appassionato il suo sguardo si accendeva di una luce quasi febbrile, e le parole che fuoriuscivano dalle sue labbra diventavano ferventi e tonanti, come quelle di un vero e proprio predicatore.
Era praticamente impossibile non rimanere incantati ad ascoltarlo: quando si perdeva in lunghi monologhi, gran parte degli studenti pendeva dalle sue labbra, senza nemmeno osare emettere un respiro. Questa sensazione era stata ancora più forte per Nilde, che si era sentita subito calamitata da lui, come una falena verso il fuoco.
Ovviamente, la notevole differenza di età e il fatto che egli fosse sposato, con ben tre figli a carico, l’avevano sempre frenata dal fare alcunché. I loro ventiquattro anni di differenza pesavano come macigni, e la giovane non era tanto sconsiderata e disperata da tentare un approccio verso un uomo sposato. Si era dunque limitata a osservarlo adorante da lontano, accontentandosi di poter rispondere alle domande che rivolgeva agli studenti durante le lezioni, tutt’al più spingendosi a chiedergli qualche delucidazione sugli argomenti che aveva esposto a lezione, ma sempre con il dovuto rispetto e la giusta cautela.
Almeno fino a quella notte.
La ragazza sospirò, piegandosi sulle ginocchia, mentre un’ondata di nausea la travolgeva con violenza, inducendola a portarsi una mano alla bocca. Solo in quel momento si rese conto di aver raggiunto il Ponte Coperto, fortunatamente sgombro da turisti e studenti, a quell’ora. Sollevata, si precipitò verso la panchina più vicina, abbandonandosi su di essa senza più forze, un velo di sudore freddo a imperlarle la fronte.
Respirò a grandi boccate l’aria fresca che spirava da nord, finché, fortunatamente, la sensazione di malessere iniziò lentamente a scemare. Purtroppo per lei, invece, i vaghi ricordi della notte trascorsa con il professor Nobile non ne volevano sapere di abbandonarla, ripresentandosi con prepotenza all’interno della sua mente.
Com’era potuto succedere?! Era sempre stata la prima a rimproverare aspramente le amiche che decidevano di avere rapporti sessuali senza usare contraccettivi! Era assurdo che ora fosse proprio lei a trovarsi nella peggior situazione possibile. Forse era il karma, che aveva deciso di punirla per l’immotivato senso di superiorità che aveva provato in quelle occasioni, facendole sperimentare sulla pelle quanto fosse facile distrarsi un attimo e commettere un errore.
Con il senno di poi, si sarebbe guardata bene dal partecipare a quello stupido party della facoltà di lettere, quella fatidica notte, rimanendo felicemente rinchiusa nella sua stanza.
La se stessa di un mese prima, invece, aveva accolto di buon grado la notizia di un party tanto importante e organizzato proprio nel suo collegio, a cui avrebbero partecipato non solo gli studenti più grandi, ma perfino qualche professore.
Le era sembrata un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire, soprattutto perché sapeva quanto fosse importante, per una studentessa squattrinata come lei, riuscire a costruire una rete sociale ricca di persone influenti, che un giorno l’avrebbero, probabilmente, aiutata ad accaparrarsi un lavoro decente.
Era stato quel cinico pensiero, più della sua voglia di socializzare, a indurla a uscire dalla sua stanza quella sera, agghindata come da tempo non si concedeva il lusso di fare.
Tuttavia, le cose non erano andate come aveva previsto: lo stretto tubino che aveva deciso di indossare aveva ben presto iniziato a farla sentire a disagio e le era parso di avere gli occhi di tutti puntati addosso.
Inoltre, non era abituata a portare i tacchi e questo aveva comportato, dopo appena un’ora di festeggiamenti, un dolore allucinante ai piedi che le aveva impedito di aggirarsi per il salone con disinvoltura, costringendola a sedersi al bancone delle bevande alcoliche, che i collegiali avevano fatto allestire appositamente per l’occasione.
Mentre se ne stava lì, seduta, a osservare gli altri ballare e conversare amabilmente, un profondo senso di disagio si era nuovamente impossessato di lei, inducendola a ordinare da bere.
Era già al secondo bicchiere di spriz, quando il professor Nobile l’aveva raggiunta, ordinando a sua volta qualcosa di alcolico. Pareva sentirsi fuori posto quasi quanto lei, e questo aveva contribuito ad accentuare l’ammirazione e il vago senso di affetto che Nilde provava nei suoi confronti.
In men che non si dica, complice il tasso alcolico che scorreva nelle loro vene, si erano ritrovati a parlare del più e del meno, del tutto dimentichi delle barriere sociali e d’età che si frapponevano tra loro, e che avrebbero dovuto indurli a una maggiore cautela. Lui le aveva raccontato quanto fosse stancante viaggiare ogni fine settimana per raggiungere la famiglia in Puglia e del periodo di crisi con sua moglie, Roberta; lei si era aperta a sua volta, confessandogli quanto si sentisse sola e schiacciata dalle aspettative dei suoi genitori, Tiziano e Renata, che, essendo dei semplici operai, vedevano nel percorso di studi della figlia una possibilità di riscatto, e per questo erano particolarmente esigenti per quanto riguardava i risultati accademici di Nilde, al punto da impedirle di avere una vita sociale soddisfacente.
Dopo il terzo bicchiere di spriz, le percezioni della ragazza avevano iniziato a farsi confuse, tanto che aveva avuto solo la vaga consapevolezza di essersi avvicinata a lui e di aver posato languidamente la testa sulla sua spalla, mentre il mondo iniziava a vorticarle attorno. Vittorio non si era scostato, ma, dopo qualche minuto, vedendo che Nilde riusciva a malapena a reggersi seduta sullo sgabello, si era offerto di aiutarla a raggiungere la propria camera, per riposare.
Da quel momento in poi, vuoto totale: ricordava solo di essersi svegliata il mattino dopo, vestita con un semplice completo intimo, con un mal di testa insopportabile a ricordarle quanto avesse bevuto. Assieme a lei non c’era nessuno, quindi aveva dato per scontato che il professor Nobile se ne fosse andato dopo averla accompagnata nella sua stanza e che, tutt’al più, si fosse assicurato che riuscisse a raggiungere il letto senza sfracellarsi al suolo.
Proprio non riusciva a ricordare che cosa avesse fatto dal momento in cui aveva varcato, assieme a lui, la porta della sua camera, ma dubitava di essere stata così ubriaca da dimenticarsi di avere avuto rapporti con qualcuno.
Invece, a quanto pare, lo aveva dimenticato, eccome.
Vaghi sprazzi di memoria avevano incominciato ad affiorare alla sua coscienza solamente quando aveva tentato di richiamarli a forza, il giorno in cui aveva scoperto con certezza di essere incinta. E, anche in quel caso, si era trattato solo di brevi attimi in cui aveva rivissuto la sensazione di labbra morbide sul suo collo e di un corpo caldo premuto contro il proprio.
Ma erano bastati per farle intuire che avessero consumato una notte di passione assieme: non poteva essere andata in altro modo, a meno che non fosse irrotto qualcun altro dalla finestra mentre dormiva, il che era poco probabile, dato che la mattina dopo non aveva trovato segni di effrazione.
Quella consapevolezza, tuttavia, non aveva certo contribuito a placare la sua angoscia, anzi, se possibile, aveva avuto il potere di sconvolgerla ancora di più. Che cosa avrebbe fatto, adesso?
Ovviamente, se avesse deciso di tenere il bambino, avrebbe dovuto mettere al corrente sia Nobile che i propri genitori, ma quel pensiero la riempiva di paura. Forse, la decisione più saggia sarebbe stata quella di abortire e tenere tutti all’oscuro riguardo quell’incidente, continuando come se niente fosse la sua carriera universitaria. In quel modo, avrebbe salvaguardato anche Vittorio e l’integrità della sua famiglia: era davvero giusto distruggere anni e anni di matrimonio per uno stupido errore?
D’altro canto, Nilde non riusciva neppure ad accettare serenamente l’idea di abortire, perché aveva la sensazione che, agendo in quel modo, a pagare sarebbe stata una creatura innocente.
Si trattava della decisione più difficile della sua vita, perché comunque avesse deciso di agire, avrebbe rovinato o, ancor peggio, stroncato per sempre la vita di qualcuno. Con questi pensieri angoscianti in testa, era rimasta chiusa nella sua stanza per due settimane, senza contatti con nessuno, uscendo solo per raggiungere il mini market vicino al suo collegio e comprare quanto le era necessario per sopravvivere. Non che le andasse di mangiare, dato che la nausea aveva iniziato ad aggredirla quasi subito, impedendole di nutrirsi come avrebbe voluto.
Nonostante tutte le ore di solitudine trascorse in cerca di una soluzione, i dubbi avevano continuato ad angosciarla, fino a quel giorno, quando aveva deciso di prendere il coraggio a due mani e parlare con Vittorio.
Forse parlarne con lui l’avrebbe aiutata a prendere una decisione.
Ma, come si suol dire, tra il dire e i fare c’è di mezzo il mare, e Nilde si era ben presto ritrovata a girovagare per le strade di Pavia, senza riuscire a trovare il coraggio di presentarsi davanti a lui.
La sua intenzione era stata quella di aspettare che uscisse dall’aula dove era solito fare lezione, ma, alla fine, non aveva avuto il coraggio di esporsi così tanto e, non appena lo aveva visto fare capolino dalla porta, era scappata a gambe levate.
«Che codarda che sono» mormorò tra sé e sé, nascondendo tristemente il viso tra le mani, come sperando che queste ultime potessero schermarla dalla dura realtà che le era stata imposta.
In quel momento, una voce stupita, alle sue spalle, la riportò alla realtà, facendola sobbalzare. «Nilde, sei proprio tu? Dove diavolo eri finita?!» Si rilassò quando riconobbe, nella figura slanciata e filiforme che si era parata di fronte a lei, le fattezze di Erica, la sua migliore amica.
Quest’ultima si sedette accanto a lei, sulla panchina, squadrandola con aria preoccupata. «Ti ho mandato decine di messaggi e non mi hai mai risposto! Si può sapere cosa ti è successo?»
Anche se credeva di avere ormai versato tutte le lacrime a sua disposizione, Nilde avvertì gli occhi inumidirsi nuovamente, non appena acquisì consapevolezza del suo comportamento infantile. Era la prima volta che parlava con qualcuno da quando aveva ricevuto la notizia che le aveva sconvolto la vita, e solo in quel momento si rese conto di quanto disperatamente avesse desiderato sfogarsi. Senza più riuscire a trattenersi, si ritrovò a gettare le braccia al collo dell’amica, affondando il viso nei suoi capelli biondi, mentre violenti singhiozzi la scuotevano da capo a piedi, lasciandola senza fiato.
Erica, spiazzata dal suo improvviso tracollo emotivo, non poté far altro che stringerla a sé, regalandole gentili pacche sulla schiena. «Ehi, dai. Stai tranquilla, non sono arrabbiata! Ero soltanto preoccupata per te» le mormorò, in un goffo tentativo di consolarla.
«S-scusa…» replicò Nilde, a stento, tra un singhiozzo e l’altro. «ho combinato un casino. Un vero casino!»
«Come, “un casino”? Cos’è successo?» L’altra tentò di indagare, ma la diretta interessata si limitò a scuotere la testa, asciugandosi le lacrime con la manica della felpa.
«È una storia troppo complicata e non voglio trascinarti nei miei casini.»
Erica scosse la testa, esasperata. «Ma è proprio a questo che servono le amiche: per parlare dei casini irrisolvibili!» le fece notare, trapassandola con i suoi occhi color acquamarina, come a voler carpire i più oscuri segreti della sua mente. «Hai bisogno di parlarne. Dai, vieni a casa mia. Non accetto proteste!»
Prima che Nilde potesse avere il tempo di realizzare quello che stava succedendo, l’amica l’aveva già afferrata per un braccio, trascinandola, senza troppi complimenti, in direzione della sua abitazione.
«Asp-aspetta!» boccheggiò, cercando inutilmente di opporre resistenza, ma finendo comunque con il trotterellarle dietro come un cagnolino.
«Non ti sento!» la prese in giro quella, ignorando completamente i suoi vaghi borbottii. «Cerchi sempre di fare tutto da sola e non dici mai a nessuno che cosa ti angoscia. Ma non è sbagliato affidarsi a qualcun altro, ogni tanto.»
A quel punto Nilde tacque, talmente soverchiata dalla verità contenuta nelle parole della sua interlocutrice da non riuscire a trovare nessuna argomentazione con cui protestare.
In effetti, Erica aveva ragione: durante quelle due, lunghissime, settimane si era isolata dal mondo, cercando disperatamente una soluzione al suo problema. Tuttavia, non le era neanche passato per l’anticamera del cervello di cercare il supporto delle persone a cui voleva bene. Lei era fatta così, si vergognava ad affidarsi agli altri, aveva paura di essere giudicata e di essere considerata stupida.
Perciò, anche quando si trovava in difficoltà, la sua prima reazione era sempre quella di cercare di insabbiare la cosa, fingendo che andasse tutto bene.
I suoi genitori l’avevano abituata a farsi carico di responsabilità sempre più gravose senza mai chiedere aiuto, quindi si era abituata a contare solamente su se stessa. Era dunque prevedibile che, anche per quanto riguardava la gravidanza, avesse reagito nel solito modo, tentando di isolarsi dal mondo finché non avesse trovato una soluzione da sola.
In quel momento, però, per la prima volta, le parve evidente di aver commesso un madornale errore: come aveva potuto sperare di risolvere un così enorme problema con le sue sole forze e, per di più, senza che nessuno si accorgesse di nulla?!
«Hai sentito Sabrina?» le domandò Erica, mentre insieme attraversavano il centro di Pavia, dirette verso il suo appartamento a Città Giardino. «Anche lei era preoccupata a morte per te. Non sai quante volte mi ha chiamata, chiedendomi se sapessi dov’eri finita, se avessi novità…»
«Mi dispiace… no, non l’ho sentita.» ammise Nilde, puntando lo sguardo a terra, in un moto di vergogna.
L’altra le scoccò l’ennesima occhiataccia di rimprovero, stemperata, tuttavia, dal tono di voce bonario che utilizzò subito dopo «Sei proprio incorreggibile, lo sai? Scommetto che le verrà un colpo quando ti vedrà entrare!»
Quella si limitò ad annuire, troppo sovrastata dal senso di colpa per riuscire a formulare una frase di senso compiuto. Lei, Erica e Sabrina erano state inseparabili, durante il primo anno di università. Frequentavano lo stesso collegio e si erano ritrovate a fare fronte comune contro la terribile “Matricola”: una tradizione universitaria di Pavia, che consisteva nel sottoporre i nuovi iscritti del collegio a innumerevoli prove, allo scopo di aumentare il senso di comunità e cameratismo tra gli studenti. Almeno, questa era la versione che gli anziani raccontavano i primi giorni, per invogliare a partecipare. A onor del vero, in alcuni casi, i giochi e i test architettati potevano rivelarsi divertenti, in altri, tuttavia, sfioravano il limite del bullismo, finendo con il traumatizzare i poveri mal capitati a vita.
Nilde l’aveva fin da subito trovata una pratica antidiluviana, per non dire sadica, e aveva cercato di inventare scuse su scuse per non partecipare. Tuttavia, aveva ben presto scoperto che evitare di prendervi parte significava l’esclusione sociale a vita e, alla fine, la paura di rimanere sola e isolata, in una città che non conosceva, aveva finito con l’avere la meglio sulla sua reticenza.
Per fortuna, partecipare a quegli incontri di tortura di gruppo le aveva permesso di conoscere le sue due migliori amiche, che l’avevano fin da subito aiutata a sopportare a testa alta le angherie subite dagli studenti più anziani.
Erano ben presto diventate inseparabili, sebbene fossero diverse come il giorno e la notte, sia caratterialmente che fisicamente. Nilde era bassina e dalla corporatura formosa, con un temperamento remissivo e schivo verso il prossimo; Erica era alta e snella, la classica ragazza bionda che non avrebbe avuto difficoltà ad accalappiare qualche ragazzo, non fosse stato per il suo caratteraccio; Sabrina, invece, atletica e muscolosa, con i capelli corvini rasati ai lati come quelli di un militare, incuteva timore a tutti quelli che la incontravano per la prima volta, sebbene fosse sufficiente parlare con lei per qualche minuto per rendersi conto della sua infinita gentilezza e dolcezza verso il prossimo.
Purtroppo, nonostante il loro legame strettissimo, nessuna delle tre era rimasta particolarmente entusiasmata dall’ambiente collegiale, e questo aveva portato Erica e Sabrina a trasferirsi insieme in un nuovo appartamento, appena un anno dopo.
Inutile dire che Nilde sarebbe stata altrettanto entusiasta all’idea di andare a vivere con loro, ma suo padre era stato irremovibile: l’appartamento costava troppo, non potevano permettersi le spese e, inoltre, vivere a stretto contatto con le amiche l’avrebbe distratta dallo studio, rischiando di farla finire fuori corso. A nulla erano valse le proteste della figlia, che aveva dovuto rassegnarsi all’idea di trascorrere in quel luogo infernale altri quattro anni. Questo l’aveva indubbiamente motivata a studiare di più per passare gli esami, ma l’aveva anche indotta a sviluppare una vera e propria ossessione per i voti, portandola, in breve tempo, a isolarsi dal resto del mondo.
Le uscite con Erica e Sabrina si erano fatte sempre più sporadiche, anche perché, quelle poche volte in cui riuscivano a vedersi, Nilde avvertiva il peso delle aspettative dei genitori incombere su di lei, con il risultato che spesso trascorreva quelle giornate attanagliata dal senso di colpa, senza nemmeno riuscire a divertirsi.
Era talmente immersa in questi desolanti pensieri che quasi non si rese conto di aver raggiunto la sua destinazione e si stupì quando l’amica si bloccò di colpo, iniziando ad armeggiare con le chiavi di casa.
«Forse avremmo dovuto avvertirla prima…» borbottò quest’ultima, riferendosi a Sabrina «Spero che non le venga un colpo!»
Per tutta risposta, Nilde deglutì «Già, me lo auguro anche io!»
La loro speranza si rivelò del tutto vana, dato che, non appena Sabrina aprì la porta e si ritrovò davanti il volto pallido di Nilde, si portò le mani alla bocca con aria trasecolata, per poi stringerla in un abbraccio così soffocante da rischiare di spezzarle le ossa.
«Ahi! Piano, Sabrina! Così mi uccidi!»
«Piano, un corno!» la zittì quella, con un ringhio «Brutta disgraziata! Ti rendi conto di quanto ci hai fatto preoccupare?! Dovrei metterti in punizione!»
A quelle parole Nilde avvertì, suo malgrado, una timida risata affiorarle alle labbra. «Non puoi mettermi in punizione, non sei mica mia madre!»
«Lo vedremo…»
Erica, alle loro spalle, si schiarì la voce, con impazienza «Se avete finito di dare spettacolo in corridoio, direi che è il caso di entrare» fece notare loro, sospingendole rapidamente oltre lo stipite della porta d’ingresso. «sapete quanto sono pettegoli i vicini.»
Una volta che si furono accomodate tutte e tre in salotto, Sabrina domandò «Allora, cos’è successo? Come mai sei sparita così all’improvviso?»
Nilde s’irrigidì, mentre la parvenza di calma che era riuscita ad accumulare durante il tragitto svaporava come neve al sole. Boccheggiò per alcuni istanti, con il cuore che le batteva all’impazzata nel petto, e nessuna idea riguardo come introdurre lo spinoso discorso.
Nonostante la paura, una voce dentro di sé le suggerì di vuotare il sacco: non poteva più tenersi tutto dentro, aveva sperimentato sulla sua pelle quanto le due settimane di totale isolamento fossero state controproducenti.
Così, prese il coraggio a due mani e confessò quanto successo un mese prima, compresa la sua scoperta di essere incinta e la sua totale incapacità di decidere che cosa fare al riguardo.
Le due amiche, che per tutta la durata del racconto erano rimaste in silenzio a fissarla con gli occhi sempre più sgranati, non appena terminò di parlare, si lasciarono sfuggire delle esclamazioni esterrefatte «Non ci posso credere! È pazzesco!»
«Ora capisco perché sei sparita!»
«E pensare che Nobile sembrava un tipo così per bene!»
«Sssh! Abbassate la voce!» le redarguì Nilde, imbarazzatissima, dato che le due avevano iniziato a gridare come delle aquile «Volete che ci senta tutto il palazzo?»
«Okay scusa…» Sabrina si adattò al suo tono sommesso «Ma non credi sarebbe meglio dirlo a Nobile? O, per lo meno, ai tuoi genitori?»
L’altra sospirò, torcendosi le mani. «Ai miei genitori lo dirò quando avrò deciso che cosa fare. Per quanto riguarda Nobile… ho provato ad aspettarlo fuori dall’aula, ma, alla fine, non ho avuto il coraggio di parlargli, e sono scappata.»
Erica emise uno sbuffo scocciato col naso, lasciandosi andare a un gesto di stizza. «Sarebbe il minimo costringerlo a prendersi le sue responsabilità, visto che si è praticamente approfittato del fatto che eri ubriaca fradicia, per farsi una sc-»
«Erica!» gemette Sabrina, scandalizzata, rifilandogli una sonora gomitata al fianco «Usa un minimo di tatto, per l’amor del cielo!»
«Che c’è?! È solo la verità!»
Nilde, anziché sentirsi offesa per la piega che aveva preso il discorso, si accorse che le era mancata la leggerezza con cui le amiche erano solite affrontare qualunque problema, perfino il più spinoso.
Non riuscì più a trattenersi e, nonostante l’assurda situazione, scoppiò a ridere a crepapelle, contagiando, in men che non si dica, anche le due litiganti.
Continuarono a ridere per un minuto buono, fin quasi a perdere il fiato e, per un attimo, a tutte e tre parve di essere ritornate indietro a quel primo anno di università, quando la loro vita era più semplice e serena.
Sabrina fu la prima a riprendersi dall’attacco di ilarità, cercando di riportare la conversazione su toni più seri. «Scherzi a parte, effettivamente, la decisione che devi prendere è difficilissima. Non so se riusciremo ad aiutarti a trovare una soluzione. Ma posso prometterti che, qualunque strada sceglierai, avrai il mio totale supporto.»
«Lo stesso vale per me! Non ti lasceremo sola, promesso!» le fece eco Erica, in tono solenne.
A quelle parole, l’allegria che Nilde aveva provato fino a quel momento venne rimpiazzata da una violenta ondata di commozione. «Ragazze… io…» deglutì, per ricacciare indietro le lacrime, e domandò «davvero non penserete male di me, in nessun caso? Anche se mi sono fatta mettere incinta come un’idiota?»
«Oh, Nilde! Ma certo che no! E poi, cose del genere potevano tranquillamente succedere anche a noi. Chi di noi non ha mai bevuto fino a non ricordare più cosa stava facendo?» La rassicurò Sabrina, accarezzandole teneramente una guancia.
«A me è capitato ben  più di una volta. Se il professor Nobile fosse passato di lì, probabilmente, sarei rimasta incinta sei volte, a quest’ora!»
«Sei proprio una cretina, Erica!» Nilde dovette mordersi le labbra a sangue per evitare di scoppiare  nuovamente a ridere come una bambina. «Però, grazie. Grazie a tutte e due. Non so davvero cosa fare per ringraziarvi.»
«Prima di tutto, sta’ zitta e abbracciaci!» la interruppe quest’ultima, allargando le braccia in un silenzioso invito, che l’amica fu ben lieta di accogliere.
Fu in quel momento, mentre era circondata dall’affetto delle persone a cui voleva bene, che Nilde, finalmente, capì cosa l’aveva spaventata tanto, al punto da impedirle di prendere una decisione: aveva avuto paura di rimanere sola. Era stata terrorizzata all’idea che la sua scelta potesse allontanarla dalle persone a cui teneva di più.
Tuttavia, ora aveva capito che, qualunque cosa fosse successa, Erica e Sabrina non l’avrebbero giudicata. Come solo le vere amiche sapevano fare, sarebbero rimaste al suo fianco, nei momenti belli e in quelli brutti, supportandola anche nei periodi di disperazione più nera.
Era la sensazione più bella che avesse mai provato: quella di essere accettata incondizionatamente per quello che era, con tutti i suoi pregi, le imperfezioni e gli errori. Non occorreva che fosse perfetta e che non sbagliasse mai, non era necessario che tutti l’apprezzassero. Finché avesse avuto qualcuno che la capiva veramente ed era pronto a essere lì per lei, nonostante tutto e tutti, sentiva di essere in grado di fare qualunque cosa.
Si sarebbe rialzata da quel periodo buio e lo avrebbe fatto con le sue forze, ma anche appoggiandosi alle persone che le volevano bene incondizionatamente.
Era pronta a prendere la sua decisione. E, stavolta, non aveva più paura.

 
Go on and try to tear me down
I will be rising from the ground
Like a Skyscraper
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: MoonBlack