Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ZereJoke94    23/01/2021    2 recensioni
Levi/Reiner | Prison AU
Si rifiutò di mangiare, per qualche giorno.
Botte. Isolamento. Crampi.
Non mangiò nemmeno i primi due giorni che lo tennero rinchiuso in quella stanzetta imbottita, al buio. Due volte al giorno una mano faceva capolino dall'unica, piccola fessura ai piedi della porta, e lasciava a Levi una scodella piena di quella poltiglia schifosa.
La ignorò, appunto, per due giorni. Il terzo giorno (il sesto che non mangiava), allungò debolmente la mano verso la scodella.
Non lasciò nemmeno un briciolo di quello schifo.
Genere: Generale, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman, Reiner Braun
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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L'UOMO CHE VOLEVA DIMENTICARE

1- STATO D'INERZIA
 
A Levi non era mai piaciuto chiedere il permesso. Era qualcosa che non gli apparteneva, anzi, gli faceva venire uno strano prurito alla base del collo. Insopportabile.
Viene da se, che Levi odiasse chiedere il permesso per pisciare, nonostante riuscisse a mantenere un'espressione assolutamente neutra, mentre quel prurito che poteva calmare solo a suon di pugni, lo consumava.
Odiava chiedere il fottuto permesso in generale, figuriamoci per andare a pisciare. Fu per questo preciso motivo che, quel giorno, decise di non farlo.
Si afferrò l'elastico dei pantaloni della divisa, preso da chissà quale senso di stupida ribellione, e fece per tirarseli giù.
"Che diavolo stai facendo?!" Jean gli afferrò i polsi, fissandolo con aria accigliata. Da dove diavolo era sbucato?
"Jean, dannato imbecille. Lasciami fare" Ringhiò Levi.
"CHE. COSA. DIAMINE. STAI. FACENDO?" Scandì nuovamente Jean, aumentando la stretta intorno alla sua pelle. Lo sovrastava di quasi venti centimetri. Ciò nonostante, a Levi sfuggì una risatina di scherno.
-Non è ovvio?-
-Si, è ovvio che vuoi farti sbattere di nuovo in isolamento-
Con la coda dell'occhio, Levi notò una guardia che si era voltata nella loro direzione, posando lo sguardo sulle mani di Jean. Si liberò con uno strattone.
Jean era qualcosa di simile ad un suo amico. Lo era sempre stato, da quando era arrivato al "Rose State Penitentiary", tre anni prima. Levi era dentro già da un anno quando lo aveva conosciuto, eppure quest'ultimo sembrava essersi ambientato molto meglio di lui.
Chiedeva il permesso di pisciare quando gli scappava. Senza il minimo problema. Non si faceva sbattere in isolamento ogni mese. 
"Sembra fottutamente facile per te startene a novanta gradi ogni cazzo di giorno" Sputò fuori Levi, mettendosi a camminare, le mani serrate dentro le tasche. Jean roteò gli occhi e lo seguì.
C'era un bel sole, pensò. Considerò che quell'ora d'aria che era loro concessa ogni giorno sembrasse un pò una crudeltà, con un tempo simile. Preferiva le giornate in cui il cielo sembrava una lastra grigia. Così tutto si mescolava meglio. Si confondeva, almeno cromaticamente.
"Cerco solo di cavarmela" La voce dell'amico lo riscosse da quei pensieri, e Levi raddrizzò la testa.
"Alcuni di noi sono più bravi di altri con questo genere di cose"
"C'è un limite a quello che la mente di una persona può sopportare. Prima o poi ti stancherai anche tu, e allora scoprirai di essere bravo almeno quanto me"
Levi liquidò la faccenda con un gesto della mano. Jean era troppo opportunista e interessato ad aver salva la buccia per capire i suoi momenti. Intendiamoci, Levi rispettava Jean e viceversa, ma erano molto diversi. Semplicemente Levi certe volte non riusciva a sopportare la sua attuale condizione.
Non che non se la meritasse.
"Cazzo, odio questo tempo".

Diverse ore dopo, Levi appoggiò la testa a due delle sbarre della sua cella. Le giornate erano lunghe al "Rose State Penitentiary", eppure sembravano così corte a volte...e così inutili.
Al mattino, li buttavano giù dalla branda non più tardi delle cinque (o almeno così ipotizzava Levi; non gli era concesso avere un'orologio), lasciavano loro qualche minuto per espletare le loro eventuali esigenze fisiologiche e per lavarsi (se darsi una sciacquata a mani e viso potesse in qualche modo definire quel concetto. Levi avrebbe avuto diverse cose da ridire sul frangente "pulizia") e poi venivano condotti ai loro posti di lavoro.
Levi non aveva un'occupazione fissa, come la maggior parte dei detenuti. Certi giorni veniva assegnato alla lavanderia, altri a zappare la terra, altri ancora a fare piccoli lavori di manutenzione in giro per il carcere. Non che fosse particolarmente bravo in quell'ultimo compito; preferiva di gran lunga stare in lavanderia. Vedere le condizioni in cui arrivavano le divise dei detenuti e confrontarle con quelle in cui uscivano dalla lavanderia dopo essere passate per le sue grinfie gli dava una soddisfazione considerevole.
Comunque, dopo aver passato non meno di nove o dieci ore a lavoro, concedevano loro qualcosa come un pasto. In realtà, la prima volta che aveva fissato quello che aveva nel piatto, dubitò che quella poltiglia marroncina potesse essere commestibile. Si rifiutò di mangiare, per qualche giorno. 
Botte. Isolamento. Crampi.
Non mangiò nemmenoi primi due giorni che lo tennero rinchiuso in quella stanzetta imbottita, al buio. Due volte al giorno una mano faceva capolino dall'unica, piccola fessura ai piedi della porta, e lasciava a Levi una scodella piena di quella poltiglia schifosa.
La ignorò, appunto, per due giorni. Il terzo giorno (il sesto che non mangiava), allungò debolmente la mano verso la scodella.
Non lasciò nemmeno un briciolo di quello schifo.
Dopo il pranzo, un'ora d'aria.
Circa duecento uomini provenienti dai tre stabili di cui si componeva il "Rose" lasciati a bighellonare per sessanta minuti in uno spiazzo di cemento circondato da una cinta muraria con quattro torrette di controllo agli angoli. Praticamente ti lasciavano fumare una sigaretta e fare quattro chiacchiere con un fucile di precisione puntato alla testa. Non che potesse biasimarli.
Il resto della giornata si trascinava all'interno dell'area comune. Nello stabile dove si trovava Levi, il numero 1, erano una sessantina.
Quella era forse la parte delle sue giornate che più odiava. Essere costretto a starsene seduto in una sala gremita di uomini. Chi giocava a carte, chi si faceva due risate, chi si azzuffava e veniva poi pestato a sangue dalle guardie...che noia infinita. 
Alla fine, la sera,  dopo che le luci erano state spente, si ritrovava sempre con la testa appoggiata alle sbarre della sua cella, a pensare alla sua vita li dentro, e a contare gli anni che gli mancavano prima di poter uscire...
-Levi?- La voce di Eren, dalla cella accanto, interruppe il flusso dei suoi pensieri depressi.
-Mmm-
Eren Jaeger. Il suo vicino di cella fin dal primo giorno in cui aveva dormito al "Rose". Era dentro per omicidio. In uno scatto d'ira aveva messo fine all'esistenza di un'intera famiglia. Ogni tanto Levi captava quella follia omicida, in uno scintillio in fondo ai suoi occhi verdi...ma per la maggior parte del tempo, lo sguardo di Eren era velato, quasi vuoto.
-Niente- Eren fece una pausa che durò diversi secondi -...E' che, certe volte, tutto questo è così opprimente-
-Già...-
Sia Levi che Eren non erano due chiacchieroni, quindi la coversazione rimase sospesa. Lo sarebbe stata fino alla sera seguente, probabilmente. Se non si fossero incontrati prima.
-Domani arrivano le nuove reclute- Mormorò invece Eren. 
Levi si staccò dalle sbarrre e diresse lentamente verso la sua branda.
"Cazzo" Pensò, allungandosi su quella sottospecie di materasso e cercando di scacciare con un certo orrore la crescente convinzione che le lenzuola fossero le stesse da quattro anni "E' passato solo un mese dall'ultima volta?".


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Angolino dell'autrice:
Ciao a tutti! E' la mia prima ff su quest'universo, e come avrete notato ho voluto ambientarla in un AU in cui Levi e altri personaggi de "L'attacco dei giganti" si trovano in prigione.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo primo capitolo lasciandomi una recensione! A presto spero!

 
   
 
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