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Autore: Adamayer    23/01/2021    1 recensioni
Germania, 1933.
Gracie, una pittrice emergente, fa ritorno a Berchtesgaden, suo paese d'origine, dove ha l'occasione di rivedere Rambert, il suo migliore amico d'infanzia e Dominik, fratello maggiore del ragazzo.
Dell'amico che ricordava però, Gracie riconoscerà ben poco...
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Fu un violento scossone a ridestare la giovane pittrice, subito seguito dalle parole mortificate dell'autista. 

"Mi dispiace, signorina Miller. State bene? Purtroppo le strade di campagna non sono lastricate come quelle di città."

"Sì, grazie. Non preoccupatevi ." Si affrettò a dire lei, maledicendo se stessa per essersi abbandonata al sonno, rimettendosi seduta composta. 

Per far sì che la sensazione di stanchezza l'abbandonasse completamente, aprì per metà il finestrino posteriore in modo da lasciarsi sfiorare da un timido raggio di sole che era riuscito a farsi strada tra la coltre di nuvole, dando così spazio alla prima giornata che non sembrasse prettamente invernale. 
Tuttavia la sua folta chioma scura, che aveva acconciato con tanta pazienza, si scompigliò a causa della prepotente folata di vento gelido che si infiltrò meschino nell'auto, segno che l'inverno non era ancora pronto a cedere il passo alla primavera ormai alle porte. 
Ciò la indusse a richiudere in fretta il finestrino, per poi poggiare il capo sul morbido sedile della Mercedes, volgendo infine lo sguardo al di là del vetro.

Bastò un'occhiata per far sì che rammentasse il paesaggio alpino che abbracciava Berchtesgaden, fermo esattamente a dieci anni prima. Il paesaggio si divideva dalle mille tonalità di verde della terra e quelle azzurre del fiume e, grazie a quel singolo sguardo, Gracie aveva avuto la conferma che il panorama che stava ammirando era ancora capace di lasciarla a bocca aperta. 
A quel punto però avvertì una dolorosa stretta allo stomaco. Si stava avvicinando al paese in cui sua madre era venuta a mancare. Un orrendo mostro, comunemente conosciuto con il nome di tubercolosi, l'aveva divorata pian piano, portandola via da lei troppo prematuramente. 
Era stata proprio la scomparsa della moglie a spingere il padre di Gracie a trasferirsi nuovamente nella loro casa a Francoforte, animato dalla speranza di riuscire a cominciare una nuova vita insieme alla figlia. 
Da allora, Gracie non aveva più fatto ritorno a Berchtesgaden, fino a quel momento. 

"Signorina, volete che passi per il paese o preferite che tagli per la strada secondaria? " 

"Passate pure per il paese."

Subito dopo chiuse le palpebre, in modo da farsi cullare dal rilassante scroscio familiare delle acque dell'Ache, il fiume che lambiva il sentiero che li avrebbe condotti al centro della cittadina. 
Li riaprì solo quando ormai il fragore dell'acqua fu lontano, ritrovandosi così nel cuore del borgo che aveva fatto da sfondo alla sua infanzia. 
Immaginò di essere tornata bambina, mentre passeggiava con i suoi genitori per le vie del paese circondate da edifici color pastello dalle facciate affrescate e decorate da vasi di fiori variopinti. 

Tutto era come lo aveva lasciato: dall'imponente castello che ospitava gli ultimi esponenti del casato dei Wittelsbach, fino all'adiacente chiesa, la stessa che frequentava da bambina. Le due torri cuspidate che ne delimitavano la struttura sembravano davvero voler imitare la maestosità delle vette che cingevano il borgo. 
Quella vista le fece tornare alla mente le giornate di festa, in particolare le domeniche, quando suo padre non lavorava e tutta la sua famiglia si preparava per andare alla messa del mattino. Sua madre le faceva indossare il suo vestito preferito, un semplice abitino rosa chiaro che d'inverno portava con un maglioncino e un paio di calze. 
In realtà, a lei non piaceva seguire la funzione religiosa, si annoiava a morte e si univa svogliatamente al coro della chiesa, ma col senno di poi, si rese conto che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di tornare a sedere sulle panchine della parrocchia accanto a sua madre, che la invogliava con uno sguardo amorevole ad ascoltare le parole del prete. 

Quel pensiero fece in modo che la gola le si annodasse, ma proprio in quell'attimo l'autista passò oltre la parrocchia e proseguì verso il MarktPlatz, la piazza principale di Berchtesgaden, dove ogni giorno si teneva il mercato, il medesimo che visitava insieme alla governante dei suoi vicini e a Rambert, il figlio minore del generale Mayer. 
Se si concentrava, riusciva ancora a sentire l'odore del pane fresco e del formaggio che aleggiavano nella piazza, il brusio delle voci dei passanti, le grida dei commercianti che invitavano a comprare la propria mercanzia. 

"Allora, vi è mancato Berchtesgaden?" Le chiese l'autista, mentre si allontanavano dal centro abitato. 

"Non voglio mentirvi: dire che mi è mancato è riduttivo. Inoltre, è impressionante il fatto che sia rimasto tutto esattamente uguale a come era..." 

Quello che aveva appena confessato a Kurt era la pura verità. Innumerevoli erano state le occasioni in cui aveva desiderato fare ritorno al suo paese d'infanzia, ma ogni volta che quel pensiero le sfiorava la mente, veniva subito frenato dalla paura di essere nuovamente sopraffatta dal dolore che aveva provato per la morte di sua madre. Adesso che si trovava lì però, non poteva certo dire di essersi pentita di aver compiuto quel passo. 

I suggestivi edifici del borgo si facevano più distanti, lasciando ancora una volta spazio al verde, che veniva interrotto solo da una piccola stradina sterrata leggermente in salita.

Il sentiero li avrebbe portati alla tenuta dei Mayer e alla villetta accanto decisamente più modesta, sempre di proprietà del generale, il quale vent'anni prima l'aveva data in affitto alla famiglia di Gracie. 

La ragazza non aveva mai dimenticato i suoi vicini.

Colui che le era rimasto meno impresso però era proprio il signor Mayer, che a causa del suo impiego nell'esercito era continuamente lontano da casa. 

La maggior parte del tempo lo passava con Rambert, il secondogenito del generale, nonché suo coetaneo e compagno di giochi. Da piccoli lei e Rambert erano molto legati grazie anche al loro carattere piuttosto simile, tanto da spingere Gracie a considerarlo come il fratello che non aveva mai avuto. Trascorrevano quasi tutti i giorni insieme, e non di rado suo padre la portava con sé alla tenuta, permettendole di ascoltare le lezioni che impartiva al giovane Mayer. 
I pomeriggi in compagnia di Rambert, non erano mai stai noiosi per i due bambini, che una volta finito di studiare si cimentavano nei più disparati giochi: dalla lotta con i cuscini, al nascondino, fino ad arrivare alle battaglie tra i soldatini di Rambert e le bambole di pezza di Gracie; questo quando il clima non permetteva loro di uscire all'aperto. 

Tutto ciò era stato possibile fino al momento in cui la madre di Gracie non aveva iniziato a stare male, cosa che li aveva portati a distaccarsi e a vedersi sempre più sporadicamente. 

Anche i loro padri erano uniti da una profonda amicizia nata durante la Grande Guerra, alla quale entrambi erano stati costretti a prendere parte.
Durante una battaglia, suo padre aveva salvato il signor Mayer da una granata e da morte certa, anche se quell'intervento gli era costato una gamba. 
Almeno era questo ciò che il generale Mayer raccontava ogni volta che ne aveva occasione. 

Poi c'era Dominik, il figlio maggiore dei Mayer, un ragazzino borioso e difficile da gestire, era questo il modo in cui la sua governante lo descriveva. 
Gracie non aveva mai interagito più del dovuto con lui, sia per la differenza di età che intercorreva tra loro, sia per il semplice fatto che il ragazzo, così come il generale, non era mai a casa, poiché era spesso a Berlino con il padre. 

Cosa che invece non faceva Rambert. Lui, oltre ad avere qualche anno in meno, era ancora bisognoso delle cure costanti della governante, e perlopiù non era mai stato benvoluto dal signor Mayer, il quale incolpava il bambino di aver ucciso la moglie, dato che la donna era morta dopo averlo messo al mondo. Proprio per questa ragione, l'uomo aveva da sempre preferito tenerlo a distanza. 

Per ultima, ma non per questo meno importante, c'era la dolce ma all'occorrenza severa Helga, la donna che si occupava della tenuta, la quale le preparava una cioccolata calda "magica", o così soleva etichettarla lei, poiché tale bevanda aveva il potere di risollevare l'umore di Gracie ogni volta che la beveva. 
A frenare l'incessante flusso dei ricordi che la stava assalendo, ci pensò la vista delle sagome delle proprietà dei Mayer che, insieme al cielo plumbeo, si specchiavano nelle acque cristalline del Konigssee, il lago alpino appena sottostante, creando un bellissimo gioco di luci e ombre perfetto per essere riprodotto in uno dei suoi quadri. 

Dopo circa un centinaio di metri, la Mercedes proseguì per un vialetto di ciottoli, delineato da due file di sempreverdi che profumavano di muschio, che terminava all'ingresso della tenuta dei vicini. 

"Signorina Miller, siamo arrivati."  annunciò l'autista, spegnendo il motore dell'auto. 

Fu sufficiente una semplice occhiata per constatare che la villa era rimasta immutata. 
La tenuta, dalla forma rettangolare, si ergeva su due piani, pianoterra escluso. 
La facciata principale, dall'aspetto classicheggiante, era intonacata di un bianco immacolato fatta eccezione per le finestre allungate, i cui bordi erano decorati da fiori dorati direttamente dipinti sul muro, in linea con lo stile del paese. 

Fu il rumore della portiera a riportare alla realtà Gracie, la quale si accinse ad uscire dall'auto grazie all'aiuto di Kurt che le teneva aperto lo sportello. 

Una volta fuori dal veicolo, la ragazza si accorse che l'autista aveva già recuperato i suoi bagagli e aspettava pazientemente un cenno per dirigersi verso l'edificio di fronte a loro. 
Gracie però si perse nell'osservare l'ampio e curato giardino che abbelliva l'ingresso della tenuta, che le fece tornare alla mente i momenti in cui lei e Rambert si sfidavano alla guerra a suon di palle di neve. Battaglia che finì con entrambi costretti a letto per un brutto raffreddore, che gli aveva impedito di vedersi per un po'. 
Rambert però aveva aggirato la cosa tenendole compagnia tutte le sere dopo cena, dove dalla sua camera inscenava una versione tutta sua delle favole classiche attraverso il gioco delle ombre, insegnatogli da Gracie stessa, tecnica che lei aveva appreso a sua volta da sua madre. 

"Avviatevi senza di me, vi raggiungo tra un momento. Grazie ancora per la cortesia." 

Dopo aver ascoltato le sue parole e averla salutata, l'uomo caricò tutti i bagagli in una volta, per poi dirigersi senza esitazione verso il portone dei suoi datori di lavoro. 

A quel punto Gracie volle dare uno sguardo a quella che era stata la sua casa, dunque si voltò verso destra, riuscendo a intravedere l'edificio di dimensioni molto più circoscritte rispetto a quello dei Mayer, distante solo pochi metri dalla sua posizione.
La sua vecchia abitazione aveva le serrande spalancate, segno che ospitava nuovi inquilini. A rafforzare la sua teoria, vi erano dei panni stesi sulla corda e diversi giocattoli sparsi sulla verandina. Dall'altra parte, era ovvio che il signor Mayer l'aveva affittata a un'altra famiglia dopo il loro trasferimento. 
Osservando la veranda, le tornò alla mente uno dei momenti più tristi legati a quella casa, escludendo la morte di sua madre. Il ricordo risaliva ad una giornata sul termine dell'estate di dieci anni prima. 

Lei era seduta di fronte alla finestra della sua cameretta ed era intenta a trasferire sulla carta ciò che vedeva fuori. 
Aveva appena abbozzato la sagoma di villa Mayer, quando suo padre aveva dovuto interromperla, riferendole con la dovuta accortezza che di lì a pochi giorni si sarebbero dovuti trasferire. 
In seguito a quella notizia, Gracie aveva pianto per tutto il resto del giorno, trovando la forza d'informare il suo migliore amico solo la sera seguente. 
Ricordava ancora il velo di tristezza che aveva oscurato gli occhi del bambino, ma nonostante questo, Rambert le promise che si sarebbero tenuti in contatto scrivendosi il più possibile, finché lei non sarebbe tornata. 
Promessa che i primi tempi era stata rispetta da entrambi, ma che col passare degli anni i due ragazzi smisero di onorare senza un motivo ben preciso. 

Senza indugiare oltre, Gracie oltrepassò l'imponente fontana di pietra al cui centro era situata la statua di un cavallo impennato, simbolo della casata dei Mayer, fino ad arrivare al portone d'ingresso in legno massello, anch'esso fregiato da fiori dorati. 

La giovane attese una manciata di secondi prima di bussare, rimanendo poi in attesa di essere ricevuta. 
Non dovette aspettare molto e fu proprio Helga ad aprirle la porta. 

Dopo averle riservato una veloce occhiata, Gracie notò che la governante aveva qualche ruga in più a segnarle il viso e in cuor suo sperava che fosse l'unica cosa che la differenziava dalla donna che conosceva. 

Appena la vide, gli occhi celesti di Helga si illuminarono e, senza aggiungere altro, la cinse in un caldo abbraccio che lei fu ben felice di ricambiare. 

"Gracie, sono così felice di rivederti!" esclamò, mentre la teneva ancora stretta a sé. 

Con quel gesto, Helga le aveva dato la risposta alla domanda che la tormentava. 

"Come è andato il viaggio? Ma guardati! Sei diventata proprio una bella signorina!" Senza darle il tempo di replicare continuò: "Aspetta, ne parleremo meglio davanti ad un bel bicchiere di cioccolata calda." Concluse, facendole segno di entrare. 

Una volta dentro, Gracie ebbe il tempo di constatare che così come l'esterno, anche l'interno era rimasto invariato. 

Ad accoglierla ci furono le sinfonie di Wagner, riprodotte dal grammofono che in casa Mayer era quasi sempre in funzione e un intenso profumo di lavanda, fragranza preferita della governante. 
Le pareti erano di un caldo e confortevole color cioccolato, decorate da un motivo floreale ondulato, che rifletteva la luce del lampadario in cristallo posto al centro dell'ingresso. 
Alla destra di Gracie invece faceva la sua bella figura una cassettiera di un tono più tenue rispetto alle pareti, ma non meno decorata, che sorreggeva diversi vasi di terracotta. 
Sopra di essa, vi era dipinto sul muro un incantevole e fedele scorcio del Monte Watzmann e del lago Konigsee, che da bambina l'aveva più volte ammaliata. 
In fondo, si intravedevano le due statue in marmo dalle fattezze canine che sottostavano alla scalinata dai corrimano finemente lavorati, che conduceva ai piani superiori. 

Quando la governante ebbe appeso la giacca all'attaccapanni in legno, la esortò a seguirla attraverso il sontuoso corridoio che conduceva al salone completamente arredato in stile barocco. 
Una volta arrivate, la governate la invitò a sedersi su uno dei divanetti damascati. 

"Aspetta qualche minuto vado a preparare la cioccolata. Tu mettiti pure comoda. Sarai stanca dopo tutto questo viaggiare." 

La ragazza annuì in risposta, obbedendo alla sua richiesta. 
Quando Helga ebbe lasciato la stanza, Gracie decise di dare un'occhiata più approfondita al salone per ammazzare il tempo. 
Cominciò con l'osservare la parete di fronte a lei, impreziosita da una riproduzione della "Nascita di Venere" e da diversi quadri dalla cornice in oro che ospitavano i ritratti austeri degli antenati dei Mayer. 
All'estrema destra del salone vi era un orologio a pendolo che aveva tutta l'aria di stare lì da secoli, mentre al lato sinistro c'era un'elegante vetrinetta che custodiva diverse bottiglie di alcoolici. 
Appoggiata alla parete alla sua destra, vi era invece una cristalliera con diversi soprammobili, ma ciò che aveva attirato l'attenzione della giovane, era una vecchia ribalta in legno con sopra delle fotografie incorniciate. 
Spinta dalla curiosità, Gracie si mise in piedi avvicinandosi ad essa in modo tale da poter vedere le foto più chiaramente.
Una tra le tante la colpì. 
La foto in questione raffigurava un ragazzo dallo sguardo serio con indosso la divisa militare tedesca. Senza ombra di dubbio doveva trattarsi di Rambert.
Mentre era immersa nei suoi pensieri, Gracie avvertì un colpo di tosse alle sue spalle, cosa che la fece trasalire e la indusse a girarsi di scatto. 

Davanti a sé trovò un ragazzo piacente in uniforme, che era alquanto diverso da quello in foto. 
Era alto, di corporatura media, dai capelli crespi color del fuoco e la fissava intensamente con i suoi occhi ambrati. 

Gracie era rimasta completamente rapita dallo sguardo accattivante di lui, ma soprattutto era stata catturata dal peculiare colore delle sue iridi. 

Il giovane non perse tempo e si affrettò a giustificarsi: "Domando scusa, non era mia intenzione spaventarvi." Poi fece una breve pausa durante la quale prese la mano destra di lei avvicinandola alle sue labbra, tutto questo senza staccarle gli occhi di dosso. 

"Piacere, Dominik." 

Le sue mani erano calde proprio come il suono della sua voce... ma nell'ascoltare il suo nome si ricordò che il ragazzo doveva essere il primo figlio del generale Mayer.

"Dominik!" ripeté lei di getto, abbassando lo sguardo. 

"Dominik, togli subito quei tuoi artigli da rapace dalla signorina, su!" lo ammonì Helga, poggiando il vassoio che aveva tra le mani sul tavolino intarsiato al centro della stanza. 

Il giovane ubbidì lasciando andare la mano di Gracie.

"Posso almeno sapere il vostro nome?" 

"Davvero non ti ricordi di me?" balbettò lei, tentando di evitare il suo sguardo magnetico. 

"Mi duole ammetterlo, ma no." 

"Sono Gracie." 

"Contento? Adesso torna a fare quello che stavi facendo, forza!" insistette Helga, alzando la voce per farsi ascoltare. 

"È stato un piacere, Gracie. Spero di rivedervi presto." detto questo, il giovane si dileguò, non prima di averle fatto l'occhiolino. 

"Stammi a sentire figliola, non dargli retta, gli avevo accennato che saresti tornata. Come hai avuto modo di notare, a Dominik piace burlarsi delle persone. A maggior ragione se si tratta di ragazze di bell'aspetto e, scusa la mia franchezza, semmai dovessi scegliere di cedere alle sue attenzioni, stai pur certa che non sarai né la prima né l'ultima fanciulla che farà soffrire." 

La avvertì Helga, porgendole una delle due tazze di porcellana contenenti la cioccolata calda fumante. 

"Grazie del consiglio, ma ti assicuro che puoi stare tranquilla. Non mi lascio abbindolare così facilmente." La rassicurò Gracie, soffiando sulla bevanda. 

"Brava la mia piccolina. Comunque cosa ti porta a Berchtesgaden? Il signor Mayer mi ha solo avvisata che saresti venuta a trovarci, senza specificare il motivo della tua visita." 

"I miei studi d'arte. Mio padre ha chiesto al signor Mayer di partecipare alle lezioni dei precettori dei suoi figli. Poi ha insistito col fatto che respirare un po' d'aria di montagna mi avrebbe fatto bene..." Rispose Gracie, portandosi la tazza alla bocca in modo tale da assaporare un sorso della cioccolata calda, a dir poco deliziosa.

Per fortuna, anche il sapore della sua bevanda preferita era rimasto invariato.

"Eh sì, concordo con tuo padre. A tutti fa bene ogni tanto cambiare aria." replicò la donna, poggiando la sua mano grinzosa su quella morbida di Gracie. 

"E tu invece? Come stai? Ti trovo in forma." 

"Non adularmi, ragazza. Ormai gli acciacchi dell'età si fanno sentire..." 

"E... e Rambert?" chiese la giovane, tentando di mascherare il suo interesse. 

"Sta bene. È solo un po' troppo sciupato per i miei gusti. Insisto sempre per farlo mangiare, ma sai com'è fatto. Quando si mette in testa una cosa è difficile dissuaderlo. Vedrai, sarà contentissimo di rivederti!" 

Gracie si lasciò sfuggire un sorriso, cosa che Helga non ebbe il tempo di notare a causa del rintocco dell'orologio a pendolo, che segnava le tre e un quarto del pomeriggio. 

"A proposito di Rambert, chissà dove si sarà cacciato quel ragazzo... È uscito stamani in fretta e furia, ma mi aveva assicurato che sarebbe tornato per merenda..." 

La sua voce tradiva un velo di preoccupazione, che si curò di  nascondere cambiando argomento. 

"Bene, vorrà dire che ci intratterremo senza di lui. Raccontami un po' cosa hai fatto in tutto questo tempo."

Quella domanda la lasciò senza parole. Aveva talmente tante di quelle cose da dirle, che non sapeva da dove iniziare. 
Decise di cominciare col narrarle di come fosse monotona la città in cui si era trasferita, dei suoi dipinti, di suo padre, che per colpa del lavoro passava davvero poco tempo con lei; delle sue amiche che in realtà tali non erano, dato che non si erano minimamente interessante alla sua partenza. Parlare con la governante l'aiutò a capire quanto fosse sola... era da tempo che non si confidava così con qualcuno. 
Helga la ascoltava con attenzione, intervenendo in alcuni casi con una battutina saccente e in altri con uno dei suoi tanti suggerimenti. 

Passarono così quasi tre ore, scandite dalle loro confidenze e dal ritmo incessante della pioggia che picchiettava sui vetri delle finestre, ma Gracie ed Helga se ne resero conto solo dopo il rintocco dell'orologio, che stavolta segnava le sei in punto. 

"Se quel ragazzo non è qui per l'ora di cena, giuro che..." sbottò la governante, alzandosi in piedi. 

Tuttavia la donna non fece in tempo a concludere la frase, poiché fu frenata da un'altra voce in lontananza. 

"Helga, sono tornato. Puoi farmi preparare un bagno?" 

"Era ora." borbottò la governante, lanciando uno sguardo sollevato a Gracie. 

"Helga!" continuò il ragazzo spazientito, lasciando però la frase in sospeso non appena ebbe messo piede in salone. 

"Gracie..." Sussurrò poi, con la voce evidentemente incrinata dall'emozione, dopo aver scorto la giovane seduta sul divano. 

In quei secondi di pausa, Gracie si concesse del tempo per osservare quello che era stato il suo migliore amico, che sostava immobile all'ingresso della sala. 

Rambert era diventato molto più alto di lei e aveva i capelli decisamente più scuri di come li ricordava. 
La sua capigliatura era passata dal biondo chiarissimo che aveva da bambino a un biondo cenere, o se bagnati e in disordine come li vedeva lei in quel momento, poteva sembrare addirittura castano scuro.
Il volto era smunto e contornato da un accenno di barba di un tono più chiaro rispetto ai capelli.
Indossava un maglione di qualche taglia in più rispetto a quella che avrebbe dovuto portare, maglione che era interamente zuppo e che una volta doveva essere bianco, ma che ora era grigiastro e ricoperto da macchie di terra. 
I pantaloni di fustagno invece erano dello stesso colore dello sporco sulla maglia, mentre ai piedi aveva un paio di stivali da lavoro anch'essi sudici, ma di fango. 

"Ti abbraccerei, se solo non fossi... in queste condizioni." 

Gracie non poté fare a meno di notare che gli occhi castano-verdi del ragazzo non avevano perso quella dolcezza che li rendeva unici al mondo.
Quindi, spinta da un moto di felicità, gli gettò le braccia al collo, stringendolo forte a sé, stretta che però lui ricambiò a stento.



   
 
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