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Autore: Always_Potter    24/01/2021    3 recensioni
Quando Ryuk lascia cadere il suo quaderno sulla Terra, l’unica speranza dell'umanità è il primo detective al mondo... e una squadra non troppo scelta di Auror.
°*°*°*°
«No, aspetta, fammi capire. Tu hai passato gli ultimi vent’anni a fingere di non esistere, c’è gente seriamente convinta che tu sia un vampiro, e ho visto Robards sull'orlo delle lacrime perché ti sei rifiutato di apparire davanti al Wizengamot per quattordici volte. Ora lanci minacce in diretta televisiva, prendi il tè delle cinque con sei Auror e vuoi presentarti al primo sospettato? Il prossimo passo qual è? Invitare Kira a prendere parte alle indagini e diventare amici del cuore?!»
«Beh, all’incirca… sì, quello sarebbe il piano a lungo termine. Acuta come sempre».
La strega, allibita, accarezzò l’idea di piantare qualcosa di molto acuto nel cranio del detective. Tipo un coltello da cucina.
O una katana.
Avrebbe fatto un sacco di scena.
°*°*°*°
Un detective dal genio imbattuto.
Una Auror dalle abilità eccezionali.
Una quantità sterminata di bugie.
Il Mondo Magico ha di nuovo bisogno di essere salvato.
Genere: Fantasy, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4

Senza volerlo sapere

24 dicembre 2003

Per il giorno successivo, la strega si era ripromessa di essere migliore, di frenare ogni ansia e pensiero di troppo, di diventare la professionalità fatta persona: niente battute, niente chiacchierate, niente spintarelle scherzose. L le aveva detto di non essere rimasto infastidito ma,  percorrendo le vie ancora addormentate di Tokyo, Sophie si era resa conto di quanto la reazione del detective fosse l’ultimo dei suoi problemi.

Il vero problema, piuttosto, era il sorrisone che si era portata in giro tutta mattina come una babbea, o la notte insonne che aveva trascorso a rimuginare su ogni passo suo o del detective. Tutta quella faccenda la faceva sentire confusa, agitata e a disagio, tre cose che non c’entravano proprio niente con il motivo per cui si trovava in Giappone. Era lì per lavorare, e quell’atteggiamento da adolescente doveva sparire, evaporare, adìos!

Signor sì, avrebbe mantenuto le distanze.

… Anche se lei faceva abbastanza schifo, a mantenere le distanze.

Il mattino della Vigilia di Natale, Sophie scrisse un paio di lettere per Harry e gli altri, trovandosi a compiere uno stretto slalom tra tutti gli argomenti tabù: aggiornamenti sul caso, aggiornamenti sulle sue giornate, informazioni su quali parti della città avesse visto o su cosa stesse facendo, o su cosa loro stessero facendo. Verso la fine, si ritrovò a contemplare la scarna missiva; in quel momento, un tarlo ridondante tornò a farsi sentire.

Non aveva dimenticato lo strano atteggiamento di Robards, quella preoccupazione che aveva prepotentemente riempito il suo sguardo mentre la guardava partire per il Giappone. Il Capo non era mai stato uno da smancerie o esitazioni, era un uomo burbero e determinato che mai mostrava il minimo segno di timore ai suoi Auror, sempre sbrigativo e, in un certo senso, rassicurante.

Certo, quelle erano circostanze particolari, non v’era alcun dubbio, però…

Sophie aggiunse un paio di righe in cui si raccomandava di rassicurare Robards e tenerlo d’occhio, poi sigillò la busta e si diresse in salotto con la civetta di Harry, in cerca di Siler: preferiva che il barbagianni la accompagnasse per parte della strada, come garanzia contro le intercettazioni.

Esitò per un attimo nell’aprire la porta che dava sulla zona comune della suite.

Professionalità, sii professionale si ripeté.

Pochi minuti dopo, però, si trovava curva sopra lo schienale di una poltrona, intenta a sbirciare la pergamena che levitava a pochi centimetri dal naso di L.

«Gli omicidi si stanno concentrando sempre di più nella zona del Kanto?» chiese, già dimentica del suo mantra.

Anzi, trattenne una risata al lievissimo sobbalzo di L, segretamente soddisfatta di riuscire a sfuggire al fine udito del detective: evidentemente, anni di allenamento non erano andati buttati.

La sua attenzione fu però nuovamente catturata dai rapporti, e dall’ennesima dichiarazione di guerra che celavano. Era passata qualche settimana da quando L, con lo stratagemma della diretta tv “nazionale” aveva scoperto dove si trovasse Kira, portandolo a uccidere proprio mentre la trasmissione veniva mandata in onda solo nel Kanto. Ebbene, il messaggio non poteva essere più evidente: se tutti sapevano che Kira si trovava nel Kanto, allora avrebbe ucciso ancora di più entro i suoi confini.

«Ti sfida usando le proprie vittime, di nuovo, da come le manipola a dove le fa morire… bastardo infantile» mormorò, guardando finalmente il detective.

Troppo vicino.

Arrossì un po'.

Beh, si era comunque ripromessa un lavoro graduale.

«Ehm, non dovevo leggere?»

«No» rispose lui, mordicchiandosi un pollice. «Ma hai perfettamente ragione. Kira usa le sue vittime per punzecchiarmi»

«Disgustoso» commentò Sophie, aggrottando la fronte. Poi estrasse la lettera dalla tasca dei jeans, mostrandola al mago.

«Ok, qua dentro non ci sono informazioni inerenti a caso, solo auguri di Natale e lamentele per la totale assenza di Burrobirra in Giappone… devo aggiungere qualcosa? Per Robards?»

«Non è necessario»

«Perfetto» disse la ragazza, sorridendo. Accostò due dita alla bocca per emettere un fischio sottile; Siler comparve dal buio del soffitto, dove si era appisolato su un lampadario spento, e si posò sulla sua spalla.

«Tyto tenebricosa». L stava studiando Siler, incuriosito, attirando di rimando l’attenzione del rapace, e la ragazza passò un rapido sguardo tra i due.

Professionale!

«Sì, esattamente, tenebricosa. Sì.»

Magari senza farfugliare?

«Una scelta insolita.» Siler lanciò uno stridio indignato e il mago specificò: «Non cattiva, insolita… lo trovo un animale molto interessante, a dire la verità. Posso?»

Sophie non fece nulla per nascondere la sorpresa, né l’esitazione: Siler non era uno degli animali più fiduciosi del mondo, e L… beh, non aveva ancora dimenticato il terrore di averlo rotto.

Il detective si avvicinò e si sporse appena in avanti, studiando il gufo che non si era mosso dalla sua spalla.

Distante!

Si disse Sophie, rimanendo immobile e con lo sguardo ostinatamente rivolto su Siler. In effetti, quel manto screziato di grigi, neri e marroni, era uno spettacolo, piume dall’aspetto vellutato che sfumavano fino al capo candido, a forma di cuore, dove spiccavano due grandi, liquidi occhi neri.

Sì, un meraviglioso barbagianni.

Era comprensibile che L fosse curioso.

E che fosse a mezzo metro da lei.

Quindi Sophie non aveva nessuna ragione per essere improvvisamente arrossita, o per non essere del tutto sicura di come respirasse normalmente.

La strega ringraziò silenziosamente la civetta di Harry, che d’improvviso si alzò in volo nella cornice della finestra aperta, sferzandole il volto con ventagli di aria fredda.

«Nidifica in Indonesia e Australia»

«… Eh?»

«Il barbagianni tenebricosa» chiarì L, indicando Siler in una domanda sottintesa.

«Oh, sì, è una storia lunga…»

Gli occhi ambrati della strega cercarono quelli del detective, dubbiosi, ma lui stava chiaramente aspettando che continuasse.

«Ehmm beh… è stato lui a portarmi la lettera per Hogwarts…» la sua voce si fece più dolce, un sorriso disegnato sulle labbra, «era un cosino tutto spaventato, mi ha praticamente lanciato addosso la busta nel bel mezzo della notte ed è fuggito via... Ehi, è vero!» ridacchiò, mentre il gufo apriva le ali indignato e volava sulla cornice della finestra. Sophie rimpianse il peso familiare del rapace sulla sua spalla, improvvisamente conscia di non avere più uno scudo tra lei e L. Si schiarì rumorosamente la voce.

«Quando lo trovai nella Gufiera di Hogwarts, scoprii che quella della mia lettera era stata la sua prima e ultima consegna… almeno fino a quel momento» spiegò soddisfatta, un largo sogghigno sulle labbra, «so essere particolarmente testarda».

Siler rispose con un lamento cupo.

«Come è finito a Hogwarts? Hagrid?»

«Beh, sì, ma…» la strega si bloccò di colpo, elaborando ciò che L aveva appena detto.

Hagrid? Conosce Hagrid? Perché se conosce Hagrid[1]

Sophie guardò la faccia da poker del detective, e ritenne più saggio conservare quell’informazione per un’altra volta. «Ehm, Hagrid l’aveva trovato in un negoziaccio di Nocturn Alley, di quelli che commerciano varia merce di contrabbando» proseguì tranquilla, dissimulando la sorpresa, «… fu Silente a dirmi di tenerlo, dato che sembravo essere l’unica a piacere all’indomabile bestiolina, ma in realtà bastavano un po’ di fiducia e pazienza… e biscotti secchi, un sacco di biscotti secchi».

Rimase in silenzio, guardando il detective per capire se avrebbe chiamato il suo bluff: conoscendolo, non aveva tirato in ballo quel dettaglio per nulla, sapeva che Sophie avrebbe capito. Lei, ormai, trovava una certa familiarità in quei piccoli test.

«Siler, dal latino “silere”» commentò infine il ragazzo, e lei annuì.

«Anche per un barbagianni, è estremamente silenzioso… come vedi, se l’è già filata da un pezzo» disse fiera Sophie, chiudendo la finestra da cui il rapace era scivolato via senza che se ne accorgessero.

Appoggiò la schiena alla vetrata fredda, trovando L ancora troppo vicino. Incrociò le braccia, a disagio sotto quello sguardo penetrante.

Professionalità, distanza… sì quella roba lì pensò, sforzandosi inutilmente di distogliere lo sguardo da quello del detective.

«Ti piacciono le sfide» sentenziò lui, dopo un po’.

«O i casi persi» scherzò, iniziando a battere in ritirata verso la porta d’ingresso. «Beh, io devo andare o farò tardi… a dopo!».

 

L rimase solo davanti alla finestra, perso nei suoi pensieri.

Dopo qualche minuto, chiamò Watari.

«Intercetta la lettera che Winchester ha appena spedito… e procurami della Burrobirra».

 

***

 

Sophie non l’aveva presa bene.

All’inizio si era quasi spaventata, credendo che qualcuno avesse scoperto il nascondiglio di L, poi aveva storto il naso: se fossero stati compromessi, Watari l’avrebbe subito contattata e portata in una nuova base, per ristabilire le misure di sicurezza. Anche il più sciatto dei Quartier Generali avrebbe fatto così, figurarsi uno coordinato da quei due.

Inoltre, a metà mattina, Sophie aveva avvistato Siler. Era seminascosto tra le fronde di un albero per non attirare l’attenzione dei Babbani, ed era la conferma che qualcosa era andato storto… però il gufo sembrava essere sereno.

A quel punto, aveva tratto l’ovvia conclusione, e non l’aveva presa bene.

La cosa peggiore, era stata dover aspettare tutto il giorno, continuando a tallonare i suoi sospettati per ore interminabili. Quando era finalmente calata la notte e tutti erano rientrati alle proprie case, la rabbia di Sophie non era sbollita nemmeno un po’.

No, perché quel pomeriggio dei sospettati avevano fatto un’uscita di gruppo, e Sophie si era ritrovata a incrociare nuovamente la strada di quell’insopportabile di Penber. Penber che, a metà pomeriggio, aveva perso una fotografia lungo la strada.

Fottuto Pollicino.

Esasperata, Sophie si era automaticamente chinata a recuperare la foto, studiandone il contenuto prima di infilarla in una tasca interna del cappotto: a ricambiare il suo sguardo erano il collega e una ragazza giovane, dai lunghi capelli neri. I due erano abbracciati, entrambi in costume da bagno e con un sorriso contagioso ed amorevole sul volto.

Più tardi, aveva teso un agguato al collega, gustandosi lo spavento che si prese.

 

«Non perdere effetti personali in giro» aveva praticamente abbaiato la ragazza, tendendogli la foto.

«Grazie!» sbottò entusiasta, già dimentico del tono abrasivo della strega. «È la mia fidanzata».

«Non te l’ho chiesto» aveva ribattuto stancamente Sophie. In realtà, era meravigliata che un idiota del genere fosse fidanzato. Prima di potersi trattenere, gli aveva chiesto: «Quando vi sposate?»

Il sorrisone di Penber era quasi tenero. «L’estate prossima, tra qualche giorno mi porterà anche a conoscere i suoi» aveva spiegato, l’emozione che trapelava dalla voce.

La strega, suo malgrado, aveva pensato che quel tizio non fosse poi così malaccio.

«Sai, lei era una Auror, e molto in gamba! Figurati, ora vorrebbe sapere tutto sul caso, ma io le ho vietato di indagare, le ho detto di ricordarsi della promessa: non immischiarsi più con gli affari da Auror, dopo le dimissioni. Sai, è successo un bel casino, un po’ di tempo prima che si ritirasse» aveva aggiunto inarcando le sopracciglia con aria buffa e facendo sorridere appena la collega. «Le ho detto che d’ora in poi a lei spettano i figli, la famiglia, la casa: quello è il suo compito, non certo quello di giocare a rincorrere criminali» aveva concluso, incrociando le braccia con aria boriosa.

Il viso di Sophie si era contratto all’istante, la fronte aggrottata e i denti stretti da cui era uscito un ringhio davvero poco consono ai suoi tratti delicati.

«Sei proprio un emerito deficiente, e con questo non ho altro da dirti, razza di misogino!»

 

No, dopo quella giornataccia, Sophie non era per niente calma.

Non era più titubante, non si sentiva più in colpa o in dovere di cambiare il suo atteggiamento, e non si fece problemi a entrare nella suite a passo di marcia, un’espressione minacciosa sul volto acceso dal freddo.

Soprattutto, sapere di avere ragione eliminava ogni traccia di disagio dal suo portamento, e Sophie non aveva alcun dubbio: Siler era perfettamente in ordine, non una piuma torta o un segno di colluttazione, perciò era chiaramente stato intercettato da qualcuno di cui si fidava. Questo restringeva drasticamente il cerchio a…

«L!» ringhiò la strega, fissandolo con uno sguardo omicida. «Si può sapere che bisogno c’era, vuoi spiegarmelo?! Ti avevo già detto che non avevo scritto niente sul caso o su di te! E poi che diavolo di motivo avrei avuto per farlo? Sapevo che potevi intercettare la mia posta e-»

«Se l’avevi previsto, Sophie, non vedo il problema» la interruppe lui, imperturbabile, senza alzare gli occhi dal suo computer. Era seduto sul tappeto in una posizione stranamente normale: la schiena contro il divano, le lunghe gambe piegata l’una sotto l’altra, un pollice premuto sulle labbra e un gomito mollemente poggiato sul ginocchio.

La strega decise di ignorare la novità, troppo concentrata sull’impellente e nefasto bisogno di strangolare il Cacciatore di Maghi Oscuri più brillante di sempre.

«Questo è, è… del tutto irrilevante! Non ti dà il diritto di farlo»

«Al contrario, ho il pieno diritto di controllare che non trapeli alcuna informazione da qui, per la tua sicurezza, oltre che la mia, quella di Watari e di tutta l’operazione».

Sophie boccheggiò per l’indignazione. «Oh, sì, effettivamente ora mi sento molto più sicura!»

«Perfetto allora»

«Sai quello che ho appena detto? Ecco, si chiama sarcasmo»

«Ad ogni modo, non preoccuparti, non ho letto la tua lettera»

«… Ah»

«L’ha letta Watari».

Sophie prese un respiro profondo, trattenendo un ringhio esasperato e molto poco professionale. Tanto non avrebbe concluso niente, litigare col capo delle indagini non risolveva niente. Certo, era anche abbastanza sicura che rovesciargli in testa una caraffa di tè bollente avrebbe perlomeno migliorato la situazione.

«Ryuzaki»

«Che?» sbottò la strega, alterata.

«Ryuzaki, è così che mi deve chiamare».

Lei annuì, ancora più rigida, prima di scattare verso camera sua.

Slacciò il mantello e lo gettò a terra assieme alla sciarpa, per poi iniziare a marciare avanti e indietro. L’abitudine l’aveva presa da Harry che, fin dai tempi di Hogwarts, quando aveva bisogno di riflettere prendeva a camminare avanti e indietro: al Quartier Generale spesso faceva inciampare i colleghi senza neanche rendersene conto.

In verità, Sophie aveva un altro metodo per concentrarsi, ma quella dannata sera non pioveva.

Sbuffò, continuando a camminare sugli stessi metri di moquette fino a lasciarvi un solco. La strega non sopportava situazioni come quelle: quello di L era stato un gesto legittimo, tecnicamente, ma che la metteva in discussione come Auror, come persona di fiducia.

E quindi?

La strega si fermò, mordendosi un labbro fin quasi a tagliarlo. In fondo, era poi così strano che un tipo diffidente come lui, Merlino, che L mettesse le mani avanti? Con lei, poi, una collaboratrice estera con cui non aveva mai lavorato e che conosceva da una settimana, cosa si aspettava?

Sophie strinse le braccia consorte sotto il seno, le spalle talmente rigide da farle quasi incassare la testa. Una parte della sua rabbia sfumò rapidamente, un’altra le ricordò che L avrebbe potuto semplicemente chiederglielo.

Si passò le dita affusolate fra i capelli, strattonando scocciata quando una ciocca s’impigliò in uno dei suoi anelli.

«Ahi!» sibilò, massaggiandosi la cute dolorante mentre andava alla scrivania per recuperare una matita. Fu allora che li vide, sul ripiano di noce: una lucida bottiglia di vetro, assieme ad un calice. Riconobbe subito l’etichetta viola.

Lì accanto, scritto con una grafia stretta e frettolosa, la aspettava un cartoncino dai bordi dorati.

Buon Natale”

Improvvisamente, alla strega sembrò di avere il volto in fiamme. Rimase immobile, fissando la bottiglia e mordendosi nervosamente un’unghia.

Merlino, come non ti capisco.

Alla fine sbuffò, estraendo la bacchetta e puntandola contro il calice: «Gemino». Come in una bizzarra scissione cellulare, quello si divise in due, e la strega svuotò la Burrobirra in entrambi. Stando attenta a non rovesciare niente, tornò in soggiorno.

«Buon Natale anche a te» mormorò, posando uno dei calici sul tavolino e trattenendo una risata al leggero sussulto del detective.

L la studiò con aria circospetta, mentre si accomodava sulla poltrona solitamente occupata da lui. Si sistemò con la schiena contro un bracciolo e le gambe a penzoloni sull’altro, un libro di Trasfigurazione Molto Avanzata in grembo e la Burrobirra stretta al petto.

Dopo pochi secondi, sospirò. «Non l’ho avvelenata, sai? Per stavolta

Lui inarcò un sopracciglio. «Per stavolta?»

«Sì» confermò la rossa, serissima. Poi, con tono più morbido, aggiunse: «Senti, chiedimelo la prossima volta, ok? Non ho problemi con le misure di sicurezza, ma non attuarle alle mie spalle.»

Una vocina paranoica le diceva che stava esagerando, che non solo aveva mandato completamente al diavolo il suo piano di smettere di fare l’amicona con L, ma ora gli dava pure ordini? La vocina fu presto affogata in un altro sorso di Burrobirra.

La Burrobirra che lui le aveva fatto procurare non sapeva bene dove e non sapeva come. Con un biglietto di buon Natale.

Lo spiò con la coda dell’occhio e, divertita, vide che ancora non accennava a bere la sua parte. «Seriamente, non te ne ho ceduta metà solo per fartela fissare».

Lui la guardò ancora per un momento, poi entrambi bevvero, in silenzio.

La mente stanca di Sophie si perse in ricordi lontani, mentre lasciava che quel dolce nauseabondo le inondasse i sensi.

Baffi dorati e bianchi di schiuma sul volto di suo padre, sua madre che lo metteva in guardia su tutta la Burrobirra che beveva.

Non le piaceva nemmeno così tanto, la Burrobirra. Certo, da bambina era stata la sua delizia, quella che era sempre presente a ogni tavolata o che beveva di nascosto con suo nonno, prima che nonna li sgridasse perché l’avevano già bevuta a pranzo. Crescendo, era il sapore familiare dell’infanzia, un piccolo rimando a casa sua quando la ordinava ai Tre Manici di Scopa di Hogsmade[2], dimenticando per un momento lo stress di qualche esame incombente o di una punizione di Piton. Poi…

Baffi dorati e bianchi di schiuma sul volto di suo padre, sua madre che lo metteva in guardia su tutta la Burrobirra che beveva.

Un fascicolo scarno, una foto stropicciata, due corpi freddi e deturpati in un soggiorno devastato.

Poi aveva iniziato a darle la nausea.

«Te ne può procurare dell’altra».

Sophie si riscosse dai suoi pensieri, guardando confusamente il detective.

 

Ancora una volta, L non si era minimamente accorto dell’arrivo della ragazza, e la cosa iniziava a dargli sui nervi. Era una sensazione curiosa, però, perché raramente qualcosa lo toccava tanto da infastidirlo, e il fatto che i passi felpati dell’Auror riuscissero sempre a sfuggire al suo finissimo udito lo infastidiva molto.

Così come l’apparente indifferenza che la strega aveva mostrato nel sedersi nella poltrona, quella che utilizzava sempre lui e dunque aveva eletto a sua. Un vezzo derivante del suo lato più infantile e possessivo, ne era pienamente consapevole e altrettanto noncurante.

Poi lei aveva roteato gli occhi con aria esasperata, un modo di fare che cozzava con i tentativi molto flebili di compostezza che l’aveva vista attuare negli ultimi giorni, e gli aveva sorriso.

Sorrideva spesso, Sophie. Sorrideva sempre.

Anche mentre lo minacciava velatamente e senza alcuna esitazione, le labbra della ragazza erano rimaste piegate in un sorriso sincero, quasi trattenuto. Quel nuovo modo di fare, improvvisamente schietto e sincero, lo intrigava: sembrava che la temporanea rabbia di poc’anzi avesse finalmente rimosso quei filtri traballanti con cui, palesemente, la strega cercava di tamponare il suo carattere esuberante.

L aveva finto di non notare nulla, nei giorni passati, studiando il conflitto interiore della giovane. Fino ad ora.

Ora Sophie pareva aver raccolto abbastanza determinazione da fissarlo con aria di sfida, gli occhi ambrati, quasi dorati nella luce della stanza, stretti fra le ciglia scure in due fessure affilate.

Sì, intrigante, pensò bevendo rapidamente la sua Burrobirra. Gli occhi grigi scivolarono sul libro che la strega teneva in grembo, poi nuovamente al suo volto: lo sguardo di Sophie si era fatto lontano, vuoto, e la sua bocca si era adagiata in una linea inespressiva.

Il detective curvò il capo, incuriosito. c’era qualcosa. Qualcosa che gli poteva servire.

Ricordi? Tracce di quel passato frammentario che né lui, né i numerosi contatti di Watari erano riusciti a completare? Indizi che avrebbero finalmente iniziato a condurlo verso la soluzione?

Attese in silenzio, finché non gli parve che il respiro della giovane si fosse fatto stressato.

La verità era lì, ne era sicuro, era a un passo, forse a un piccolo gioco di prepotenza, una piccola spinta di Legilimanzia di cui non si sarebbe nemmeno accorta…

L aggrottò la fronte, la mascella improvvisamente rigida.

«Te ne può procurare dell’altra».

Sophie si voltò di scatto, e il tempo sembrò rallentare mentre L studiava quegli occhi improvvisamente stanchi, che lo fissavano dal volto che tanto spesso vedeva arrossire, ma che ora pareva pallido dietro tutte le lentiggini.

L alzò il calice vuoto. «Di Burrobirra, Watari te ne può procurare dell’altra. O qualsiasi altra cosa tu non riesca a trovare, devi solo chiedere».

La rossa si affrettò a ricomporre un sorriso fiacco, ringraziandolo e raccomandandosi di ringraziare anche Watari per lei. Il mago era infatti sparito dopo l’intercettazione, impegnato coi suoi affari in Inghilterra, ma lei sembrò non volerne indagare l’assenza, altro dettaglio inconsueto per la curiosa Auror.

Un silenzio tranquillo calò nella stanza, mentre Sophie si faceva assorbire nei meandri sicuri dello studio, ben incastrata contro lo schienale della poltrona e la fronte corrucciata nei passaggi più complessi. Anche quello, pensò L, doveva essere approfondito.

Quello, ma prima ancora il suo passato frammentario: L doveva riunire i pezzi, doveva  capire se ci fosse qualcosa di rilievo, qualcosa che avrebbe potuto connetterla definitivamente a quell’indagine.

Il detective si ritrovò più volte a scrutare il profilo delicato della strega, quella notte. Il suo profilo, o le lentiggini dorate sparse sul suo volto, o il modo in cui teneva le maniche attorcigliate attorno ai polsi sottili e sotto le dita affusolate, o i riflessi ramati dei suoi capelli, legati disordinatamente con la bacchetta. Si ritrovò a voler restare lì a guardarla, guardarla finché non lo avesse beccato e fissato di rimando con un sopracciglio inarcato. Si ritrovò a guardarla senza sapere il perché, e senza volerlo sapere.

 

***

 

25 dicembre 2003

Per Natale, Sophie aveva ricevuto ben tre gufi, coordinati per trasportare un cesto dalle dimensioni imbarazzanti. La strega sperò vivamente che fosse passato inosservato agli ospiti dell’albergo, ai passanti e, soprattutto, a L.

Nonostante la ragazza potesse con tranquillità sdraiarsi nel cesto di paglia, senza nemmeno piegare troppo le ginocchia, Hermione doveva aver nuovamente utilizzato un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile. Divenne evidente quando, tra sbuffi e imprecazioni, Sophie cercò richiudere l’armadio in cui aveva stipato tutti i regali ricevuti: dalla signora Weasley, una serie di libri di ricette accompagnò il suo maglione d’ordinanza; Sophie sospettò che, se avesse potuto, Molly le avrebbe mandato direttamente il suo pasticcio di carne e calderoni di minestra, ma grazie a Merlino esistevano le leggi doganali. Dai Tiri Vispi Weasley, George le mandò una collezione nuova fiammante di Gadget Magici, accuratamente impacchettata in un cofanetto natalizio. Da Hermione, un nuovo set di carta da lettere che la fece squittire di gioia, e un paio di libri appena pubblicati. Da Ginny, la nuova maglietta delle Holyhead Harpies e dei Montrose Magpies, in qualche modo già firmate da tutti i giocatori nonostante la stagione del Campionato dovesse ancora iniziare. Da tutto il Quartier Generale, un set di Detector Oscuri nuovo di zecca che le fece lanciare un gridolino, dato che solitamente usava i pidocchiosi, semi-distrutti detector del Ministero.

Quando uscì dalla stanza, un enorme sorriso a illuminarle il volto, vide disordinati ciuffi di capelli neri sbucare dalla poltrona che le dava le spalle. Si avvicinò di soppiatto, colta dall'irrefrenabile, infantile voglia di coglierlo di sorpresa.

Nell’attimo di scattare davanti al detective numero uno al mondo, però, uno squillante “Buongiorno!” le morì in gola. Strinse le labbra tra i denti, gli angoli della bocca che tradivano un piccolo sorriso.

Così, a quanto pare, anche L dormiva.

Era rannicchiato nella sua solita posizione fetale, ma il capo gli ricadeva contro i lati dello schienale, schiacciando i capelli corvini. Il volto pallido del detective era rilassato, gli occhi perennemente sottolineati da occhiaie pesanti erano finalmente chiusi in un meritato riposo. La bocca sottile, per una volta, non era vittima di qualche tic nervoso, o aperta per fare qualche osservazione tagliente, ma socchiusa. Un respiro leggero e stabile gli muoveva appena il petto, coperto solo dalla solita, sottile maglietta bianca.

Sembrava così… solo, costretto in quella posa difensiva anche mentre dormiva, caduto certamente addormentato mentre stava ancora lavorando, dato che una pergamena giaceva srotolata ai piedi della poltrona.

Sophie si morse un labbro, abbassandosi per arrotolare con cura il documento e riporlo sul mobile più vicino.

Alzò il capo  sul detective e, scrutandolo in un momento tanto vulnerabile, fu come se lo vedesse per la prima volta.

Per la prima volta, non vide il capo delle indagini, l’indiscutibile autorità del mondo della giustizia, l’interessante collega con cui discutere fino a notte fonda divorando biscotti.

Per la prima volta, Sophie vide una semplice persona, un semplice ragazzo. Non era niente più che un ragazzo, quello che si batteva quotidianamente per la giustizia e per la salvezza di tutto il mondo, quello con gli occhi perennemente segnati dal sonno e la pelle esangue di chi non vedeva mai la luce del sole.

Per la prima volta, provò una sottile vena di preoccupazione: oltre a Watari, c’era qualcuno che si preoccupasse per lui? Non per L, no, per quel ragazzo. Qualcuno che lo strigliasse quando non mangiava come si deve, come la signora Weasley; qualcuno che lo trascinasse via dal lavoro per bersi una birra, come Harry e Ron; qualcuno che ogni tanto si presentasse alla sua porta con una pizza per spezzare la solitudine, come Ginny; qualcuno che ribattesse ogni sua parola e si lamentasse se si vestiva troppo leggero, ma che poi portasse sempre il suo tè preferito, come Draco.

La strega non si poteva arrogare il diritto di sapere davvero qualcosa sulla vita del detective, né poteva immaginare chi o cosa lo aspettasse a casa… però aveva l’impressione di sapere la risposta.

Aggrottò la fronte, estraendo la bacchetta per trasfigurare una pergamena vuota in una coperta. La drappeggiò sul corpo rannicchiato di L, imponendosi di mettersi al lavoro e di smettere di fissarlo come una maniaca.

 

Quando uscì dalla suite, non si accorse che Watari aveva assistito a tutta la scena, un sorriso sotto i baffi candidi.

 

***

 

27 dicembre 2003

Quella sera, c’era qualcosa che non andava.

Ancora una volta, un gruppo di studio della scuola di preparazione si era ritrovato per un ripasso generale. Ancora una volta, sia sospettati di Sophie che sospettati di Penber, e probabilmente anche di qualche altro Auror, si trovavano negli stessi dintorni.

Solo che di Penber non c’era traccia.

E di Penber c’era sempre traccia.

Se è per quello, la strega non aveva notato nessun altro individuo che potesse identificare come Auror, ma magari i colleghi di Penber erano semplicemente più bravi nel loro lavoro. La rossa, per quanto formidabile nel notare quel genere di cose, non era infallibile.

Ciononostante, e venendo meno al suo dovere, non seguì i suoi sospettati a casa.

Seguì quelli di Penber. Prima la figlia maggiore del Capitano Kitamura, poi quello del Sovrintendente Yagami.

Non incrociò nemmeno un’anima sulla loro scia.

Ferma vicino a casa Yagami, appostata invisibile dietro un lampione, spiò dalle finestre accese dell’abitazione; dopo aver contato i presenti, si bloccò, congelata dallo sgomento.

Pensava, infatti, che il ritardo del collega fosse dovuto a un’eventuale complicazione con gli indiziati, ma sia i membri della famiglia Kitamura che di quella Yagami erano al loro posto. E dell’Americano ancora nessuna traccia.

Forse sta solo seguendo un’altra pista.

Non ci sarebbe stato nulla di strano.

Però L non gli aveva accennato a nessun cambio di programma.

Sophie strinse le mani a pugno e respirò profondamente, tentando di non perdere la calma. Doveva decidere cosa fare, e molto in fretta: seguire l’istinto era sempre considerato il cliché di ogni buon poliziesco, ma da Auror sapeva perfettamente quanto certe cose non andassero realmente ignorate. E quella non era una coincidenza.

Non perse tempo e, risoluta, cercò un vicolo deserto per Smaterializzarsi, seguendo la voce che la spronava a correre da L.

«Ryuzaki!» ansimò poco più tardi, spalancando la porta della suite dopo aver fatto le scale dell’hotel due a due. «Ryuzaki, c'è qualcosa che non va, l’Americano...»

«Sei viva» la voce bassissima ed esterrefatta del detective colse la strega impreparata.

«Cosa- come?»

«Raye Penber è morto» la informò L, che con gli occhi spalancati sembrava scandagliarla come ad assicurarsi che non fosse un fantasma. «… E così tutti gli altri, Kira li ha uccisi».

Sophie aprì e chiuse un paio di volte la bocca, interdetta.

«Che... Che vuoi dire?»

«Tu sei l’unica sopravvissuta».

 

LUMOS

Beh, visto che ho tardato un sacco con lo scorso capitolo, anticipo un po’ questo ;3

E mi sono anche un po’ rotta di ripassare per la sessione, ma dettagli.

Comunque, spero che sia tutto abbastanza scorrevole (piccolo uragano, santa patrona dei dialoghi, proteggimi tu).

Un abbraccione, e grazie mille a tutti quelli che recensiscono/seguono/ricordano/preferiscono, vi si ama assai.

NOX

 

 



[1] Custode delle Chiavi e dei Luoghi a Hogwarts, grande amante delle creature magiche, soprattutto se illegali o in qualche modo nocive.

[2] Villaggio magico accanto a Hogwarts, dove gli studenti possono recarsi dal terzo anno.

  
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