Film > Master & Commander
Segui la storia  |       
Autore: Spoocky    24/01/2021    2 recensioni
[Spoiler per il finale del film]
Alcuni giorni dopo aver lasciato l'Acheron sotto il comando di Tom Pullings ed aver scoperto l'inganno dei Francesi, l'equipaggio della Surprise ritrova la nave catturata. Non tutto è andato a buon fine.
Partecipa all'Easter Advent Calendar del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart [https://www.facebook.com/groups/534054389951425/?tn-str=*F]
Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Disclaimer: non è cambiato nulla, in tutto questo tempo, soprattutto i miei bilanci sono sempre in perdita.

Dopo quasi un anno, finalmente anche questa storia ha raggiunto il suo lieto fine.
Un sentito ringraziamento a tutti coloro che mi hanno supportato e, soprattutto, sopportato fino a qui: senza di voi non avrei combinato nulla.
Buona lettura! ^^



“Quand’è che sarebbe successo dunque?”
“Bill Lexon, te l’ho già detto e te lo ripeto: sarebbe che sei proprio una testa di legno, sarebbe!”
“Testa di legno sarai tu, Peter Burke! E sarebbe anche che non hai mica risposto alla domanda!”
“Porco demonio! Devi aver battuto forte la testa da bambino. Perché altrimenti non c’è verso per essere così duro di comprendonio, vacca merda! E passa bene quello straccio: c’è ancora una macchia lì.”
“Tu passami il sapone e vedi come te la faccio sparire! E rispondimi, porca troia sfondata!”
“E va bene, se significa che poi mi lasci in pace. E’ successo ieri sera, poco dopo la seconda guardia del pomeriggio. Bonden e un paio d’altri sono scesi giù per riparare non so cosa, ed è allora che è successo.”
“Sarebbe che le hanno date al mangiarane, no?”
“Così pare. Per vendicare lo Sfregiato, dicono.”
“Beh, è una buona cosa. No?”
Prima che Burke potesse rispondere Hogg si materializzò alle loro spalle sbraitando: “Non vi è permesso battere la fiacca! Meno chiacchiere e più sapone, signori! Meno chiacchiere e più sapone!”
 


“Non posso credere che siano stati in grado di combinare un disastro simile! Proprio non me ne capacito!” Sbottò Jack mentre litigava con un polsino che non voleva saperne di stare dritto.
"Dannazione, Stephen! Una cosa del genere non doveva proprio succedere!"
"Non ti facevo così preoccupato per le sorti di quell'uomo, fratello." Borbottò il medico senza distogliere lo sguardo dal trattato di Linneo che stava studiando.
"Non lo sono per niente!” Lo riprese Jack, raddrizzandosi il panciotto con un colpo secco “Di lui m'importa meno che delle alghe sulla carena. Nulla mi farebbe più felice di vedere quel bastardo… senza offesa per te, fratello, ridotto ad una poltiglia informe su una paratia! Ma prova ad immaginare quanto sarà difficile spiegarlo all'Ammiragliato. Dannatamente difficile, perdio! Almeno l'avessero ammazzato! Mi avrebbero risparmiato un sacco di problemi! Ma no! Neanche quello sono riusciti a fare!"
Con un sospiro rassegnato, Maturin si sfilò gli occhiali ed accantonò il libro: sapeva che, con l’amico di quell’umore, proseguire la lettura sarebbe stato impossibile. Trasse quindi un sorso dalla tazza fumante di fronte a sé e, guardandolo al di sopra di essa, lo apostrofò: “Gioia, non vorrai forse – Dio non voglia – suggerire l’assassinio di un prigioniero?”
Jack gli rivolse uno sguardo allibito: “Giammai! Volevo solo dire che… beh… insomma, se dovesse capitargli un incidente non ne sarei più dispiaciuto del dovuto. Ecco.”
“Certo.” Confermò Stephen, sorseggiando il suo caffè “Certo.”
Aubrey lo guardò male ma, capendo di starsi addentrando su un terreno pericoloso, decise prudentemente di cambiare discorso: “Piuttosto,” riprese mentre s’annodava la cravatta con nonchalance “dimmi di Pullings: come sta?”
Maturin ripose la tazza e si raddrizzò sulla sedia, strofinandosi il ponte del naso come faceva quando era sovrappensiero: “Nel complesso, non sta male. Anzi: si sta riprendendo meglio di quanto avrei sperato. Ma è ancora molto debole e, per quanto sia ansioso di riprendere servizio, ho dovuto raccomandargli di aspettare ancora prima di ritornare ad attendere ai suoi doveri. E’ bene che riposi il più possibile, anche se ora sembra non sia successo nulla di grave, la convalescenza sarà ancora lunga. Non posso nemmeno escludere una ricaduta, se dovesse sforzarsi troppo.”



L’oggetto di tale conversazione in quel momento era seduto al tavolo nella sua cabina, con indosso solo la camicia da notte e la giacca da tenente drappeggiata sulle spalle.
La sua mano era scossa da un tremito quasi impercettibile mentre finiva di redigere il rapporto sugli eventi che avevano portato al suo ferimento. Per dominare quel tremito aveva impiegato quasi il doppio del tempo di norma necessario, ma si riteneva comunque soddisfatto del risultato, dato che si trattava del primo incarico ufficiale che era riuscito a portare a termine dopo la malattia.
Certo, il dottore non sarebbe stato d’accordo ma lui si sentiva abbastanza in forze da svolgere almeno quel piccolo impiego e non si sentiva in colpa per non aver rispettato le sue disposizioni.
Firmò il rapporto e, deposta la penna nel calamaio, vi soffiò sopra per accelerare l’assorbimento dell’inchiostro.
Mentre riordinava le carte prese un sorso dalla tazza di tè che si era fatto preparare per colazione. La bevanda era ancora calda e molto zuccherata, secondo le disposizioni del dottor Maturin che gliene aveva prescritte tre tazze al mattino ed altrettante la sera. Insieme al tè gli era stata servita una coppetta di marmellata di fragole, dono del capitano Aubrey per la sua convalescenza, che costituiva il suo alimento principale in quel periodo.

Dopo tre giorni di quella poltiglia zuccherosa, per quanto buona fosse, alternata a tè e ciotole di minestra, Pullings aveva iniziato a stufarsi e ad anelare cibo vero. Il dottore si era opposto con tutte le sue forze: gli aveva spiegato che doveva assolutamente consumare alimenti leggeri e molto zuccherati per favorire la rigenerazione del suo fegato lesionato, insistendo sul fatto che marmellata e tè fossero per lui la scelta migliore.
Suo malgrado, il comandante si era trovato a dovergli dare ragione quando due soli biscotti al miele – finora l’unico alimento solido che gli fosse concesso – gli avevano fatto salire la nausea.
Quella mattina aveva sgranocchiato solo uno di quei dolcetti infidi e già si sentiva pieno. Un fatto strano per un giovane che, di norma, poteva divorare anche un pollo intero con tanto di contorno e avere ancora spazio per il dolce.
Le riflessioni sul cibo passarono in secondo piano mentre, sorseggiando il suo tè, prese a rileggere con calma il suo rapporto in cerca di eventuali refusi o strafalcioni.

Era arrivato a metà della terza pagina quando bussarono alla porta.
Posò la tazza e si aggiustò la giacca sulle spalle prima di mettersi più dritto sulla sedia, movimento che lo costrinse a soffocare un gemito.
Stringendo i denti contro il dolore, si sforzò di mantenere la voce il più ferma possibile mentre invitava l’ospite ad entrare: “Prego, avanti.”

“Ciao, Tom. Lamb ha finito le riparazioni e sta iniziando a passare la vernice...” Mowett si sfilò il cappello nell’entrare ma, quando lo vide seduto al tavolo, il suo viso perse ogni traccia di cortese formalità e strabuzzò gli occhi: “Per tutti i Santi! Che diavolo ci fai alzato?!”
Pullings ebbe il suo bel da fare a cercare di rassicurare l’amico, ma questi attraversò la cabina a grandi passi fino a posargli una mano sulla spalla e a guardarlo preoccupato: “Non dovresti essere in piedi, amico mio. Il dottore dice che è ancora troppo presto.”
“Non sono in piedi, infatti.” Gli rispose Pullings con un sorriso angelico “Me ne sto qua seduto comodo e tranquillo, come puoi ben vedere.”
La sua ostentata innocenza riaccese l’ira funesta del tenente, che si lasciò andare ad uno scroscio d’imprecazioni irripetibili.
Tom iniziò a ridere, ma presto venne sopraffatto da una fitta lancinante che lo costrinse a piegarsi in due con un grido strozzato.
Subito Mowett lo afferrò per le spalle e, accucciatosi di fronte a lui, lo sorresse impedendo che cadesse: “Capisci, ora? Questa era la mia preoccupazione.”
“Non preoccuparti, Will. Sto… sto bene.” Balbettò Pullings a denti stretti.
“E io sono un olandese! Guardati, Tom: tremi come una foglia.” Posò il palmo sulla fronte pallida dell’amico, madida di sudore freddo “E sei anche tutto sudato. Così non va bene! Devi rimetterti a letto subito.”
Il tenente prese l’amico per i gomiti e fece per sollevarlo dalla sedia, ma subito le ginocchia dell’altro cedettero e cadde tra le sue braccia con un grido. Strofinando la schiena di Pullings per calmarne i singulti, Mowett lo riadagiò con cautela sulla sedia, dove ricadde con il capo ribaltato all’indietro e annaspando.

In quel momento la porta della cabina si spalancò, rivelando un furioso dottor Maturin.
“Gesù, Giuseppe e Maria!” Esordì con un grido mentre avanzava a passo di carica verso i due ufficiali “Lo sapevo che non dovevo lasciarvi da soli! Tipico di voi marinai! Sempre pronti a pontificare su come terrazzolare[1] questa o quella vela e agghindare[2] i pennacchioni[3] ma possano cascarmi entrambi gli occhi se vi vedrò mai usare un po’ di buon senso!”
Strillando ed imprecando era arrivato ai due giovani, i quali avrebbero potuto tranquillamente redarguirlo in virtù del loro grado ma se ne stavano muti e rassegnati, gli occhi bassi e le orecchie arrossate.
Il dottore li squadrò entrambi dall’alto in basso prima di apostrofare il tenente: “E voi, William Mowett! Vergogna e disonore! Cosa vi è saltato in mente di farlo alzare?!”
A quel punto intervenne Pullings, la cui voce roca sovrastò appena gli strilli del medico: “Lui non c’entra, dottore. E’ rimasto sul ponte tutta mattina ed è arrivato solo ora.”
Il suo tentativo di placare l’animo di Stephen ottenne solo di farlo infuriare ancora di più: “Non pensate di darmela a bere, Thomas Pullings! E’ impossibile che vi siate alzato da solo in quelle condizioni!”
“Infatti.” Ansò il comandante, coprendosi il fianco ferito con un palmo “Infatti è stato Rogers ad aiutarmi. Gliel’ho ordinato.”
“Oh Santissima Vergine! Vi ha dato di volta il cervello?!”
“Pensavo che…”
“Voi non dovete pensare, santo cielo!” gridò il dottore “Voi dovete fare quello che vi dico e basta! Perché se io non so nulla di alberi, alberini ed alberetti voi non sapete nulla di medicina. Dico male?”
“No, dottore.”
“No, dottore.”

Notando con soddisfazione di aver riportato i due giovani insubordinati all’obbedienza, Stephen si rabbonì. La sua voce era tornata al consueto tono cordiale quando si chinò sul suo paziente: “Adesso, fatemi dare un’occhiata a quella ferita.”
Pullings sopportò con pazienza che il medico gli sollevasse la camicia da notte e ne trattenne un lembo per coprirsi pudicamente l’inguine. Maturin sciolse le bende e tolse le garze con delicatezza: la ferita si presentava asciutta e pulita: una linea ordinata di suture scure sulla pelle arrossata.
Quando però tentò di palpare la zona circostante per controllare se vi fossero delle secrezioni, il suo paziente sussultò con un sibilo di dolore.
“Vi fa molto male?” Chiese Stephen, improvvisamente preoccupato.
“Solo quando mi muovo. Per il resto, sento tirare i punti e un dolore sordo, in profondità.”
Sfilandosi gli occhiali, Maturin annuì: “E’ normale. Significa che le ferite interne stanno guarendo. Almeno siete riuscito a non strapparvi i punti, è già qualcosa.” Si rialzò con un sospiro “Coraggio, William. Aiutatemi a rimetterlo a letto.”

Insieme, Stephen e Mowett intrecciarono le braccia con quelle di Pullings all’altezza del gomito e gli sorressero la schiena.
“Quando volete, Tom.” Lo avvertì il medico “Fate piano, mi raccomando.”
Il comandante annuì con un cenno incerto del capo e, aggrappandosi a loro, cercò di alzarsi ma i suoi piedi nudi scivolarono sul pavimento di legno, provocando uno stiramento della ferita che gli strappò un gemito.
“Piano.” Lo incoraggiò Maturin, aiutandolo a tenersi in equilibrio “Piano.”
“Appoggiati a me, Tom. Coraggio.” Mowett cinse la vita dell’amico con un braccio e lo strinse a sé, lasciando che gli si pesasse addosso e sostenendolo mentre Stephen lo guidava con calma verso la sua branda.

Lasciandosi sorreggere da Mowett, Pullings percorse con una lentezza esasperante i pochi passi che lo sparavano dalla sua branda. Lì l’amico lo sollevò di peso, strappandogli un lamento nonostante tutta la cautela esercitata, e lo depose nel lettuccio.
Gli sfilò la giacca dalle spalle e lo aiutò a stendersi senza sforzare troppo l’addome mentre Maturin lo avvolgeva con le coperte.
Quando fu disteso sul dorso, Stephen gli prese il polso e gli misurò la temperatura posando un palmo sulla sua fronte pallida: “Vi siete stancato abbastanza, per stamattina. Cercate di riposare, adesso. Tornerò a cambiarvi le medicazioni dopo il giro di visite in infermeria.”
“Grazie, dottore.” Sussurrò Pullings, cercando di non far capire quanto il breve esercizio lo avesse provato.
“Non preoccupatevi, dottore.” Incalzò Mowett, posando una mano sulla spalla del comandante “Resto io con lui. Starò attento che non si sforzi.”
“Mi raccomando.” Li squadrò Stephen con uno tono in cui la minaccia non era nemmeno troppo velata, prima di uscire dalla porta.
 


Stephen si era allontanato da circa mezz’ora e Mowett aveva posato la coppetta di marmellata in grembo a Pullings, che ne stava mangiando pochi cucchiai controvoglia quando bussarono alla porta.
Prima che il tenente potesse dire nulla, Pullings si mise più dritto sui cuscini e si riappropriò della sua giacca: “Prego. Entrate.”
Mowett lo guardò storto ma si limitò a posare la marmellata sul tavolo senza dire una parola, consapevole del ruolo ufficiale che stava rivestendo il suo amico in quel momento.
All’inizio non videro nessuno e pensarono ad un errore, poi uno smarrito Lord Blackney iniziò a farsi strada nella cabina con malcelata esitazione.

Pullings sorrise nel vedere il suo allievo dopo tanto tempo e lo invitò ad accomodarsi: “Da questa parte, signor Blackney. Prego, avvicinatevi.”
“Sì, capitano.” Rispose il ragazzino, con un tono più fermo di quando lo aveva lasciato, avvicinandosi con la feluca sotto braccio “Il capitano Aubrey manda i suoi omaggi, signore.”
“Grazie, signor Blackney.”
“Bene, signore. Il capitano manda anche a dire che ha fissato la punizione ai sei colpi della guardia del pomeriggio, se siete d’accordo.”
Prima di rispondere, Pullings si voltò verso Mowett. Il suo sguardo conteneva la domanda implicita sullo stato della vernice a quell’ora: “Per allora anche la seconda mano dovrebbe essersi asciugata, signore.” Gli rispose William pacato.
“Molto bene. Signor Blackney, i miei omaggi al capitano Aubrey ed i sei colpi della guardia del pomeriggio vanno benissimo. Cercherò di presenziare dal ponte dell’Acheron, naturalmente se il dottore sarà d’accordo.”
“Sì, signore. I vostri omaggi ed i sei colpi vanno bene, signore.”
“Perfetto. Vi sarei grato, inoltre, se voleste portare al capitano il mio rapporto sugli eventi dei giorni scorsi: lo trovate sul tavolo in bella copia con i fogli numerati.”
“Bene, signore.” Rispose il ragazzino. Fece per voltarsi verso il tavolo ma all’ultimo esitò e rimase a fissare negli occhi il suo superiore: “Permesso di parlare, signore?”
“Permesso accordato, signor Blackney.” Sorrise il giovane comandante.
“Signore.” La voce di Blackney, fino ad allora ferma e decisa, si fece improvvisamente incerta “Volevo dirvi che…” fece un respiro profondo e si raddrizzò “Mi dispiace per il vostro ferimento, signore.”
“Vi ringrazio, signor Blackney. La vostra premura è molto apprezzata. Ma non preoccupatevi: mi sento già molto meglio.” Sorrise il comandante “Permettetemi piuttosto di esprimervi il mio cordoglio per la perdita del signor Calamy.”
Il ragazzino parve molto toccato dalle sue parole. Arrossì e chinò il capo: “Grazie, signore.”
Era tanto vicino che Pullings riuscì ad allungarsi a sufficienza da posargli una mano su una spalla e a rivolgerglisi con aria complice: “Vedete quei biscotti sul tavolo, signor Blackney?”
“Sì, signore.”
“Bene. Prima di uscire prendetene quanti volete.”
Il viso del piccolo s’illuminò con un sorriso che andava da un orecchio all’altro: “Dite davvero, signore?”
“Riempitevi pure le tasche, signor Blackney.” Sorrise Pullings, e lo congedò.
Il ragazzino corse al tavolo, prese il rapporto e se lo mise sottobraccio prima di procedere a fare incetta degli odiati dolcetti.

Prima di uscire si voltò a salutare e ringraziare, ma non appena si chiuse la porta alle spalle Mowett fulminò l’amico con un’occhiataccia.
Pullings fece spallucce: “Beh, che c’è? Siete forse dottore in medicina, William Mowett?” brontolò, facendo il verso al dottore.
Il tenente dovette soffocare una risatina: “Vedi di non farti sentire dal dottore.” Mormorò.
Prima che Pullings potesse controbattere, tuttavia, la porta si spalancò di nuovo e un gracidio irritato proruppe nella cabina: “Cos’è che non dovrei sentire io, signor Mowett?”
 


I sei colpi della guardia del pomeriggio si appropinquavano  inesorabili e Jack stava rassettandosi l’uniforme nella sua cabina.
Lo stato delle cose era quanto più lontano possibile da quel che avrebbe desiderato: Stephen era rimasto sull’Acheron e, per non abbandonare il capezzale di Pullings, lo aveva lasciato nelle mani di Killick che gli aveva spazzolato ed intrecciato i capelli nel suo solito modo rude, strappandoglieli a ciocche, il polsino della camicia ancora non voleva saperne di stare dritto e non aveva in mente neppure lo straccio di un discorso da fare all’equipaggio.
Aveva passato tutto il giorno a scervellarsi senza approdare a nulla e l’assenza del suo più fidato amico e consulente lo rendeva ancora più incerto sulle parole da usare.
Senza la sua eccezionale capacità di mediazione e la sua arguzia oratoria come avrebbe potuto persuadere i suoi uomini a credere in qualcosa di cui non era convinto nemmeno lui?
Bussarono alla porta e la sua risposta fu più secca di quanto avrebbe immaginato.

Barrett Bonden entrò comunque, ma sembrava stranamente esitante e timoroso.
“Coscienza sporca, signor Bonden?” lo apostrofò Aubrey.
Il volto del timoniere assunse un’espressione d’ostentata innocenza: “Io, signore? No, per nulla.”
“Mpfh.” Annui il capitano, non del tutto convinto “E cosa ci fate qui, potrei saperlo?”
“Signore, sarebbe che sono venuto ad avvisare che sul ponte è tutto pronto. Ecco”
“E perché non me lo ha detto Mowett?”
“Beh, signore, perché… perché…”
“Va bene. Va bene. Andate al vostro posto. Sto arrivando.”
“Sì, signore.”
 


Nel corso della lettura degli Articoli di Guerra, Jack sollevò a più riprese lo sguardo per intercettare una qualche occhiata o aria colpevole da parte dei suoi uomini.
Non vide nulla, sebbene ci avesse provato diverse volte e ad intervalli imprevedibili: ogni volta incrociò lo sguardo dei suoi marinai, fisso invariabilmente verso l’orizzonte. Gli parve che avessero persino smesso di battere le palpebre.
Certo, isolato nel suo angolino, Goffo Davis stava ridacchiando, ma era impossibile stabilirne il motivo: poteva benissimo trovare esilarante un nodo scorsoio o una sartia, conoscendolo.
Non aveva una visuale chiara del ponte dell’Acheron ma poteva immaginare che la situazione non fosse diversa. Questo lo irritò ancora di più
Terminata la proclamazione del testo sacro della Marina, più venerato a bordo della Bibbia, Jack si trovò a dover proclamare la punizione. Poiché, sebbene avesse sospetti più che fondati sull’identità dei maramaldi, formalmente non esisteva un colpevole e poiché il reato in questione non era contemplato in nessuno degli Articoli di Guerra, si risolse a proclamare un richiamo verbale.

Squadrò per l’ennesima volta i suoi marinai, ciascuno di essi con lo sguardo ostinatamente fisso verso l’orizzonte, e si schiarì la voce.
“Ebbene,” esordì “presumo che il motivo di questa assemblea sia chiaro a tutti. Se tuttavia così non fosse, mi permetto di schiarirvi le idee: sebbene non sia esplicitamente proibito dagli Articoli di Guerra, è una realtà inconfutabile che maltrattare un prigioniero di guerra, arrivando addirittura alle percosse, è un atto oltremodo scorretto. Anche se il suddetto prigioniero è francese.” A quella, si udirono una serie di risatine più o meno soffocate, che cessarono non appena fulminò il suo uditorio con uno sguardo inequivocabile “Trovo questo comportamento indegno di marinai arruolati su una nave di Sua Maestà. Me lo aspetterei da un branco di terrazzani in una bettola ma mai e poi mai in un equipaggio scelto come il nostro. E’ oltremodo indegno, soprattutto, che il lavoro non sia stato eseguito correttamente. Sono profondamente deluso dal vostro comportamento: dei marinai esperti come voi dovrebbero sapere che non si lascia un compito a metà. Quello che si comincia si dovrebbe finire per tempo. Prima che sia troppo tardi e la questione diventi irrimediabile, come in questo caso.”  Fece un’altra pausa, incontrando di nuovo quegli sguardi vacui e fissi “Bene, questo è quanto. Tornate ai vostri posti.”

Si congedò così, moderatamente soddisfatto e convinto dell’efficacia del suo discorso.
Trasse un sospiro di sollievo nel chiudersi alle spalle la porta della cabina: espletata quella formalità, poteva dedicarsi a ciò che davvero gli premeva.
 

Qualche braccio più a tribordo, Tom Pullings si agitava nella sua branda.
Si era ritrovato nudo ed impossibilitato a muoversi per qualche motivo a lui oscuro. Davanti a lui il dottore, chino sul suo ventre scoperto, stava affilando un coltello: “Cercate di stare calmo, signor Pullings. Sarà tutto finito prima che ve ne rendiate conto.”
Con il respiro accelerato dalla paura, il comandante si sporse in avanti per cercare di capire con cosa stesse trafficando Maturin. Poco mancò che perdesse i sensi: la ferita sul suo addome era ridotta ad un ammasso informe di suture accatastate, da cui trapelavano rivoli di sangue e pus maleodorante.
Si sentì mancare, ma subito un paio di braccia forti gli circondarono il torace: “Coraggio, Tom. Presto sarà tutto finito.”
Riconobbe la voce del capitano, ma non ebbe tempo di provare conforto perché subito dopo la lama del bisturi iniziò a farsi strada nella sua carne, scatenando un dolore tanto atroce da costringerlo a gridare con tutto il fiato che aveva in gola.
Per quanto lo spettacolo fosse orribile, non riusciva a distogliere lo sguardo dal dottore, ora sporco di sangue fino ai gomiti, che rovistava nel suo corpo. Il dolore e l’orrore giunsero al parossismo e gridò di nuovo.
Gli parve di avvertire il tocco di uno straccio umido sulle tempie, come se qualcuno glielo avesse premuto addosso, ma non riuscì ad impedirsi di gridare per la terza volta. Avvertì il calore umido delle lacrime sulle guance, ma il dolore che provava era tanto forte da surclassare persino la vergogna.
Avvertì di nuovo il contatto con l’impacco freddo e sussultò, a malapena cosciente di una voce che lo chiamava con insistenza.
Con uno sforzo sovrumano riuscì a concentrarsi su quella voce e, finalmente, riaprì gli occhi.
Sobbalzò sulla branda e trattenne a fatica un urlo quando si vide davanti il viso del dottore.

Subito però Stephen alzò le mani, mostrandogli di non essere una minaccia, e solo quando il suo respiro ansante iniziò a rallentare si permise di posare i palmi sulle sue spalle tremanti.
“Va tutto bene, Tom. Avete avuto un incubo, ma ora è passato. E’ tutto a posto. Tutto a posto.”
Lo aiutò a ridistendersi con cautela e riprese a passargli la pezzuola sulla fronte, asciugando il sudore freddo che la imperlava.
Pullings rimase a fissare il vuoto per qualche minuto prima di sussurrare: “Ho rivisto tutto.”
“Tutto cosa, Thomas?”
“Tutto. Voi che mi aprivate per cercare il proiettile, la voce del capitano e il dolore...” Sussultò come per una fitta “Di nuovo quel dolore terribile.”
Strizzando lo straccio nella bacinella, Stephen annuì: “E’ comprensibile: avete passato dei momenti difficili.”
“La cosa strana, però,” proseguì Pullings con un brivido, lo sguardo sempre perso nel vuoto “è che non ricordo nulla. Solo… frammenti. La vostra voce, le vostre mani, forse, la voce del capitano.” Chiuse gli occhi e scosse il capo con un sospiro che era quasi un gemito “Io ci provo. Mi sforzo di ricordare, ma è tutto così confuso. Non so più cosa è vero e cosa no.”
Sprofondò di nuovo nella branda, coprendosi sconsolato il volto con le mani.
Stephen si chinò su di lui e gli pose una mano sulla spalla: “Non agitatevi, mio caro. E’ del tutto normale: eravate molto debole e avevate la febbre alta. Non fate sforzi inutili. I ricordi torneranno da sé ma non fatevi un cruccio se non dovessero farlo. Non sono eventi di cui sia gradevole o comunque utile serbare memoria.”

Pullings annuì con un cenno tremante del capo e Stephen lo tirò a sedere prima di porgergli un bicchier d’acqua per aiutarlo a calmarsi.
Stephen tenne una mano sulla schiena del giovane mentre beveva, carezzandola con leggerezza per sciogliere le contratture dei muscoli dorsali. Il comandante aveva appena cominciato a rilassarsi quando un bussare deciso alla porta lo fece sobbalzare di nuovo.
Accertatosi che il suo paziente non stesse per svenire di nuovo, Stephen si diresse all’uscio quasi a passo di marcia, pronto ad aggredire chiunque fosse venuto a turbare la quiete di cui il povero Pullings aveva tanto bisogno.

Nemmeno il sorriso gioviale che gli rivolse Aubrey servì a placare il suo umore: “Che diavolo ci fai qui, Jack? Non hai una nave da comandare da qualche parte?”
“Ce l’ho, fratello. Ce l’ho e lo sai bene. Ma, sai, sono venuto qui per questo.”
Se Jack sperava che l’involto oblungo che teneva sotto braccio producesse un qualche effetto benevolo sul dottore, le sue speranze s’infransero come i marosi sulla scogliera di Capo Horn: “Qualunque cosa contenga quell’involto, fosse anche il tanto decantato ‘corno di unicorno’, non è un motivo sufficiente per venire qui a disturbare. Pullings è esausto: ha bisogno di riposare e la tua presenza qui non lo aiuterà di certo.”
“Permettimi di contraddirti, fratello. Credo che gli farà bene vedere quello che gli ho portato. Dopotutto, dici sempre che rasserenare lo spirito aiuta il corpo a guarire prima.”
“Non credo di aver mai proferito una frase simile.” Lo raggelò Stephen ma, conoscendolo, capì che non era intenzionato a cedere e che avrebbe dovuto assecondarlo per levarselo di torno “Dato che sei così insistente e convinto di voler aiutare, ti lascio cinque minuti. Bada bene, però: non un secondo di più. E, per favore, vedi di non affaticarlo. E’ già abbastanza provato.”
“Hai la mia parola: non lo disturberò più del necessario.”
Per sua fortuna, Stephen si fidava a sufficienza da permettergli di entrare e restare solo con Pullings.

Il giovane comandante era seduto nella branda, con la schiena poggiata ai cuscini e le coperte accartocciate in grembo.
Stephen non aveva esagerato: Pullings era molto pallido, in viso appariva tirato e stanco.
Eppure, sebbene la mano che tese verso di lui tremasse ancora, non mancò di riservargli un sorriso aperto e sincero: “Buon pomeriggio, signore. Sono felice di vedervi.”
La mano del giovane comandante scomparve tra quelle del capitano, che la avvolsero in una stretta calorosa: “Anche a me fa piacere vedervi, Tom. Come state?”
“Meglio, signore,” sorrise il giovane “Grazie.”
“Ne sono molto lieto. Posso accomodarmi?” Chiese Aubrey, indicando la sedia accanto alla branda.
“Certo, certo. Prego.”

Il capitano sedette e si pose in grembo l’involto che era venuto a portare.
Per un momento rimasero entrambi in silenzio, uno alla ricerca delle parole giuste da dire, l’altro troppo timido per prendere parola ed impossibilitato dal regolamento ad iniziare una conversazione con un suo superiore.

Aubrey riuscì a fare ordine nei propri pensieri e si mise più dritto sulla sedia, guardando negli occhi il suo secondo: “Innanzitutto permettetemi di porgervi le mie più sentite congratulazioni per la vostra vittoria, comandante Pullings.”
Il sorriso del giovane divenne più ampio, ma i suoi occhi s’inumidirono di lacrime e aveva la voce rotta dalla commozione quando rispose: “Grazie, signore.”
“Non sprecate fiato a ringraziarmi, signor Pullings.” Lo redarguì bonariamente Jack “Non è da tutti affrontare un attacco a sorpresa del genere e uscirne a testa alta: è solo merito vostro se l’Acheron è ancora in nostro possesso.”
“Vi ringrazio, signore.” Sussurrò Pullings, e chinò il capo, per nascondere il rossore che gli stava avvampando le guance.
Jack gli appoggiò una mano sulla spalla e gli diede una stretta: “Il dottore non vorrebbe che vi parlassi di certe cose. Dice che non state ancora abbastanza bene, ma io credo che dobbiate saperlo, dato che riguarda voi.”
“Parlate pure, signore. Vi ascolto.” Dagli occhi del comandante traspariva una fiducia assoluta e commovente.

Aubrey parlò a lungo, senza omettere alcun dettaglio ma avendo la delicatezza di osservare le reazioni del suo interlocutore per accertarsi di non turbarlo più del dovuto.
Pullings mantenne un silenzio assorto per tutto il tempo. Il suo volto pallido era solcato da linee di concentrazione, le mani immobili sulla tazza che teneva in grembo e gli occhi fissi sul viso del suo superiore.

Solo quando Jack ebbe finito distolse lo sguardo da lui e, dopo un breve istante di silenzio, proruppe in un sentito: “Quel fottuto mangiarane leccapalle figlio d’una gran troia!”
Non si accorse di aver pronunciato quegli epiteti ad alta voce finché Aubrey non scoppiò a ridere. Allora avvampò, si coprì la bocca con una mano e chinò il capo: “Vi chiedo perdono, signore. Mi è uscito così…”
“Via. Via.” Lo tranquillizzò Jack “Non avreste potuto trovare espressioni migliori per descriverlo.”
“Se non altro.” Sorrise Pullings “Adesso si spiegano molte cose. Vedete, da che quell’uomo è entrato in infermeria ho capito che c’era qualcosa che non quadrava. Ogni volta che visitavo i feriti, trovavo i suoi pazienti messi quasi peggio di quelli di Higgins, e penso che anche voi vi rendiate conto di quanto sia difficile.” Prese un sorso d’acqua “Ma non era solo questo: quando lo incrociavo, mi guardava in un modo strano. Non la solita ostilità che hanno i prigionieri di guerra, ma qualcosa di peggio, capite?”
Jack annuì.
“Ecco. Quando poi quella mattina si sono sollevati, me ne sono accorto subito perché mi ero alzato verso la fine della seconda comandata, appena sono arrivato sul ponte quel tale ha cercato subito lo scontro diretto. In quel momento non mi sono reso conto del motivo, pensavo che ce l’avesse con me perché ero al comando. Mi sono accorto dopo di chi fosse, quando ho visto come lo guardavano i suoi uomini. Non mi sono sentito tranquillo finché non l’ho inchiodato all’albero. Anche se poi…”

S’interruppe e, portandosi una mano sul fianco leso, si distese sui cuscini.
Lasciandogli riprendere fiato Jack, gli sfilò la tazza ormai vuota dalle mani, posandola sul comodino al capezzale per risparmiargli lo sforzo. Vedendo però che il giovane faticava a calmarsi gli pose una mano sul braccio e gli diede una stretta affettuosa per rassicurarlo.
Quel raro gesto di cameratismo bastò a riscuotere Pullings dai suoi cupi pensieri e a fargli rivolgere un sorriso mesto al superiore.

“C’è un altro motivo per cui sono venuto a trovarvi, questa sera.” lo informò deponendogli in grembo l’involto che si era portato dietro “Quando ci siamo separati, qualche giorno fa, ho dimenticato di porgervi il mio regalo per la vostra promozione.”
La sorpresa lasciò il giovane del tutto senza parole e Jack si commosse nel vedere che gli tremavano le mani mentre scioglieva l’incarto.
“Oh, signore!” Tom aveva gli occhi lucidi e la voce rotta mentre faceva scorrere le dita sul dono inaspettato: la Five Balls d’ordinanza del suo superiore, tutta tirata a lucido e con l’elsa a testa di leone che riluceva nella penombra della cabina.
“L’ho fatta sistemare e riaffilare dal fabbro di bordo.” Spiegò il capitano “Me la diedero quando venni promosso comandante ma, come sapete, non la uso spesso. Ci tenevo che l’aveste voi: l’uniforme non fa il marinaio, o qualcosa del genere, ma la spada sì.”
Per la prima volta da quando si erano allontanati, Jack si sentì davvero con il cuore in pace, quando vide un sorriso illuminare il volto del suo secondo. Lo stesso sorriso di pura gioia che gli aveva visto quando lo aveva chiamato “Capitano Pullings” per la prima volta.
 

Trascorsero alcune settimane prima che la Surprise e l’Acheron raggiungessero finalmente Valparaiso e, sbrigate le formalità del caso, giunse il momento di sbarcare i prigionieri.
Ad attenderli sul molo c’era un intero plotone di giubbe rosse, che li avrebbe tenuti sotto sorveglianza fino al momento del rimpatrio.
Per ultimo, incatenato, non sbarbato e con una serie di lividi e bozzi a deturpargli il viso, conseguenze di altre misteriose cadute nella sentina, venne fatto salire in coperta Palmière.

Dopo aver passato un mese nella stiva, il capitano francese ebbe bisogno di un momento per riabituarsi alla luce del sole. Quando però alzò gli occhi verso il cassero di quella che era stata la sua nave il suo sguardo incrociò quello severo del capitano Aubrey, che lo squadrava minaccioso da dietro la balaustra.
In piedi al suo fianco, altrettanto imponente e grave, stava il comandante Pullings.
Sebbene sembrasse più magro dall’ultima volta che lo aveva visto, quest’ultimo sembrava non presentare alcun segno della ferita che gli aveva inferto, tanto da fargli dubitare che il proiettile lo avesse effettivamente colpito. Al pari del suo comandante, il giovane portava l’uniforme con rigida fierezza, compresa la spada dall’elsa dorata a testa di leone che gli pendeva dal fianco.
Proprio mentre il francese passava loro davanti, senza distogliere gli occhi da lui, Aubrey posò una mano sulla spalla del suo secondo, che gonfiò il petto ed alzò il mento, sostenendo con fierezza lo sguardo del nemico, che non ebbe altra scelta se non chinare il capo e sbarcare, ammettendo ancora una volta l’ennesima sconfitta.
- The End -
 
[1] Terzarolare
[2] Ghindare
[3] Pennoni
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Master & Commander / Vai alla pagina dell'autore: Spoocky