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Autore: Ghostclimber    24/01/2021    2 recensioni
Song fic tratta dall'omonima canzone degli Hardcore Superstar; Hibari riflette su se stesso e sul rapporto che ha con Dino Cavallone.
D18
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Kyoya Hibari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dino ha il respiro corto.

Lo guardo di sottecchi, è qui con me sul terrazzo della scuola media di Namimori e abbiamo appena finito una sessione di combattimento che è durata più di due ore.

Percepisco la sua frustrazione, l'ho sentita addosso in ogni colpo di frusta, in ogni pugno che è riuscito a mollarmi, in ogni movimento.

I suoi muscoli erano tesi, più duri del solito. So che ha qualcosa che gli frulla per la testa, ma non so cosa, e non sono mai stato il tipo che fa domande di questo genere: di solito, con lui non ne ho bisogno, è sempre lui ad aprirsi nei miei confronti.

Io, con lui, invece non lo faccio mai.

-Kyoya, questa potrebbe essere l'ultima volta che ci vediamo.- mi dice, e io mi volto a guardarlo. È così bello, non credo che se ne renda conto, altrimenti non sarebbe qui a perdere tempo con uno come me. Una lievissima brezza gli scompiglia i capelli, che con il passare degli anni porta sempre più lunghi: ora gli carezzano i trapezi, e quando sono bagnati sfiorano addirittura le clavicole.

Lo guardo spesso, le volte che ci capita di sfruttare gli spogliatoi di qualche club per farci la doccia prima di andare ognuno per conto proprio, ma lui non se n'è accorto. Mi sento disonesto a spiarlo di nascosto, ma quando mi vede sembra sempre obbligarsi a mettere su quella stupida faccia da frescone, e io lo detesto. È una maschera, si vede lontano chilometri, e io non ho voglia di cercare di scavare dietro ad essa per capire chi è veramente.

È quando è serio, quando dalle sue labbra sfugge quel sospiro stanco che accoglie il primo getto di acqua calda, che capisco veramente chi è.

E che la consapevolezza mi uccide.

Sono quasi cinque anni da quando mi ha detto una strana frase, su cui ho rimuginato per tanto, troppo tempo: “Kyoya, credo di essere innamorato di te. Non devi rispondermi nulla adesso, pensaci su e quando saprai cosa provi me lo dirai.” non mi ha detto di non farmi problemi se la mia risposta fosse stata negativa. Sa che non sono un erbivoro che piuttosto che ferire se ne sta in silenzio, e sa benissimo che se un giorno mi fossi ritrovato a capire che non mi importa di lui al di fuori del nostro strano rapporto, fatto di botte da orbi e docce negli spogliatoi e ogni tanto qualche serata a cenare insieme se siamo entrambi troppo coperti di ferite per spingerci oltre il mio ufficio, glielo avrei detto senza battere ciglio.

Ma in realtà non gli ho mai più detto nulla, in un senso o nell'altro.

L'ho guardato tenere duro, stringere i denti, ho visto la speranza scintillare nei suoi occhi ogni volta che aprivo bocca, e l'ho vista spegnersi, poco a poco, mentre sul suo viso cominciavano a farsi strada delle piccole rughe di espressione che ricalcavano il suo dolore.

Ora, di fronte a me, si volta e fa un mezzo sorriso amaro: -Avrei dovuto immaginarlo.

-Perché?- chiedo, vedendo che si sta alzando. Se questa dev'essere l'ultima volta che lo vedo, non voglio che se ne vada subito. Voglio trattenerlo qui ancora un po', e non m'importa se per farlo devo spaccargli qualche osso a suon di tonfa, voglio che lui resti. Cielo, tutti credevano che fossi crudele quando pattugliavo i corridoi alle medie, se mi vedessero ora non riuscirebbero nemmeno a concepirmi. E Dino mi ha reso così malvagio.

Dino.

-Perché cosa?- mi chiede, -Perché è l'ultima volta o perché avrei dovuto immaginarlo?

-Perché è l'ultima volta.- Dino si siede di nuovo sul pavimento, le ginocchia sollevate. Ci appoggia sopra i gomiti e si stropiccia il volto tra le mani. Mi fa un male cane vederlo così, anche se non lo ammetterei mai con nessuno.

-Ci sono dei problemi, in Italia. Problemi grossi.- dice infine. Mi metto seduto anch'io, per dimostrargli che lo sto ascoltando. Lo ascolto sempre, ma lui non sembra mai accorgersene. Chissà quanti discorsi ha dovuto lasciare a metà perché lo stavo ascoltando ad occhi chiusi e non ho voluto dargli la soddisfazione di chiedergli di continuare, per non ammettere che mi stavo abbeverando al suono della sua voce.

-Che tipo di problemi?- chiedo.

-Una grossa Famiglia mi vuole morto.

-È per questo che vieni qui così spesso? Per approfittare della protezione dei Vongola?

-Così si può dire.- risponde lui, guardando il pavimento in mezzo ai suoi piedi. Avrei voluto che mi rispondesse di no, che mi dicesse che viene in Giappone per me, ma è da tanto tempo che non sento una delle sue sdolcinatezze.

Gli avevo dato l'assist perfetto e lui non si è degnato di coglierlo; ora ne ho la certezza. Dino Cavallone non mi ama più.

-Comunque, siamo in stallo da un paio d'anni.- prosegue Dino, e per un folle istante fraintendo e penso che si stia riferendo a noi due. A quel “noi due” che ho lasciato morire come un incosciente.

Sospira, poi va avanti: -Non posso andare avanti in eterno a pagare spie e investigatori per scoprire quand'è il prossimo tentativo di farmi fuori, prendere il primo volo per il Giappone senza il minimo preavviso e aspettare che si calmino le acque. Prima o poi qualcuno mi tradirà, oppure prima o poi qualcuno deciderà di sfidare i Vongola e cercherà di farvi fuori...

-Dovranno passare sul mio cadavere.- lo interrompo, e un sorriso minuscolo fa capolino sul suo viso. Allunga una mano e mi sfiora un braccio, una carezza che non sentivo da tanto, troppo tempo.

-Lo so, ma preferirei che la questione non si ponesse.- non so cosa rispondergli, dunque taccio.

Sono qui di fianco a lui, siamo solo noi due su questo terrazzo e data l'ora posso supporre che lo siamo anche in tutta la scuola, esclusi Kusakabe e Romario che probabilmente si stanno sfidando a qualche gioco di carte come al solito; dovrei percepire un gradevole senso di intimità, ma mi giro a guardarlo e i suoi occhi sono persi all'orizzonte, verso il sole che tramonta.

Sono solo.

Vorrei guardare nella sua stessa direzione e sentire il caldo del suo corpo contro il braccio, sempre a distanza ma mai lontano, come tanto tempo fa succedeva, ma lui non si siede più così vicino a me e io non ho mai ricercato la sua vicinanza.

Vorrei guardare lui, ma è troppo luminoso, anche più del sole, è così bello che fa male al cuore, quel cuore che non pensavo di avere, quel cuore che ho cercato di annientare perché provare sentimenti verso le persone non porta ad altro che all'ansia nei loro confronti. Ho coscientemente deciso di spegnere in me quel relè che, se attivato, mi porterebbe a patire ancora di più la sua lontananza quando è in Italia, il fuso orario, il non sapere che cosa stia facendo, a cosa stia pensando, cosa sogni quando i suoi occhi si chiudono e il mondo intorno a lui rallenta per concedergli di riposare.

-Comunque.- la sua voce mi distoglie dalle mie elucubrazioni, e mi volto verso di lui. Ha la testa appoggiata sulle ginocchia, e sta sorridendo, ma è solo un incurvarsi di labbra che non si estende ai suoi occhi. Non ricordo quando sia stata l'ultima volta che l'ho visto sorridere per davvero, e mi chiedo per quale motivo. -La questione è abbastanza pericolosa. Io e i miei uomini procederemo con un attacco frontale e diretto. Abbiamo chiesto il supporto dei Varia, ma hanno calcolato la probabilità di successo ed è troppo bassa per loro, quindi saremo soli.

-Chiedi a Sawada.

-No.- Dino distoglie lo sguardo, -Non ho intenzione di mettere in pericolo le vite dei miei amici.

-Verrò io.

-No.- la voce di Dino è così definitiva che sussulto. È suonata come un rimprovero e di colpo mi sembra di avere cinque anni e di aver rubato la marmellata. Vorrei solo nascondermi, e odio come una sola sillaba pronunciata da quest'uomo sia in grado di avere un effetto così violento su di me.

In mancanza di un letto sotto al quale infilarmi come un bambino che ha paura del temporale, incasso la testa tra le spalle e mi nascondo il viso tra le braccia.

Non lo sento arrivare, sento solo le sue mani fredde che si posano sui miei avambracci. Li stringe appena, in una muta richiesta di guardarlo, e io ricerco il mio miglior sguardo di ghiaccio.

Sollevo la testa e mi perdo nei suoi occhi lucidi.

-Kyoya, le probabilità di successo sono del diciannove percento. Non posso rischiare la tua vita.

-E la tua, invece?- Dino storce la bocca. Vorrei poter dire che è un mezzo sorriso amaro, ma anche se gli angoli della sua bocca si sono sollevati è solo una smorfia, tanto sarebbe valso incurvarla all'ingiù. -Tu sicuramente puoi vivere bene senza di me. Io, senza di te, neanche respiro.- si morde un labbro e distoglie lo sguardo.

Sto cercando qualcosa da ribattere, un modo neutro per chiedergli se sta ancora aspettando la mia risposta, se sta ancora aspettando me, sempre senza scoprirsi in caso la risposta fosse negativa.

E sì, lo so che quel che ha detto è abbastanza inequivocabile, eppure quell'insicurezza che maschero da aggressività riemerge come uno tsunami quando sono con lui.

È l'unica persona al mondo in grado di sorprendermi e al tempo stesso di farmi sentire al sicuro. Quando combatto con lui mi sembra di vivere la vita che ho sempre sognato, una vita normale in cui non tutto è prevedibile ma non per questo diventa un pericolo da evitare ad ogni costo.

Quando sono con lui sono vivo.

-Scusami, Kyoya, mi ero ripromesso di non insistere, ma...- la sua mano destra lascia il mio avambraccio e va a coprirgli gli occhi. La manica del suo giaccone gli nasconde il resto del viso, e improvvisamente detesto questa barriera che mi divide da lui.

Lo prendo per il polso e sposto quella dannata mano, e ciò che vedo sul suo viso per poco non mi fa urlare: è paura.

Dino Cavallone è terrorizzato.

Lui, l'uomo che sembra sempre avere un sorriso nascosto da qualche parte, che è sempre pronto a incoraggiare chiunque anche quando la situazione è senza speranza, è terrorizzato.

Lo guardo, e mi sconvolge il ricordo di un sogno che avevo scacciato via con rabbia: avevo sognato che Dino mi sorrideva, guardandomi.

Non il suo solito sorriso da compagnone, no, un sorriso dolce e caldo, un muto “sono a casa”, e io ero stato fiero di me per essere riuscito a tirarglielo fuori, e al contempo era come se fossi consapevole che quello era il sorriso di Dino che spettava a me, perché nel sogno io ero la sua casa e lui era la mia.

Anche a mezzo globo di distanza, io ero la sua casa e lui la mia.

Mi ero svegliato nel cuore della notte e mi ero buttato giù mezza bottiglia di saké: nei film funzionava, di solito, ma su di me aveva avuto un effetto deleterio. Mi aveva reso estremamente lucido. Mi aveva fatto realizzare che io non sono la casa di Dino e Dino non è la mia casa, io sono solo un abusivo che si nasconde nel ripostiglio del suo cuore e spera di non essere scoperto, e di colpo ho capito che mi ero giocato per sempre la possibilità di avere due chiavi identiche, io e lui, poco importa se reali o metaforiche.

Ho pianto fino ad addormentarmi, quella notte.

Il mattino dopo speravo che Kusakabe mi chiedesse qualcosa, mi sentivo solo e una volta tanto la mia solitudine non mi era gradita: ero solo, lo sono sempre stato, ho gettato via la possibilità di essere amato e Kusakabe non ha chiesto nulla.

E io ho continuato ad essere solo.

-Non... voglio chiederti nulla che...- balbetta Dino. Odio vederlo spaventato. Vedo la paura nei suoi occhi e voglio mordere a morte chiunque ne sia la causa.

-Diciannove percento, hai detto?- lo interrompo.

-Kyoya, ti prego, non...

-Secondo me è molto di più. Sei terrorizzato.- Dino arrossisce e piomba seduto; ridacchia imbarazzato, e non lo biasimo. Fino a poco tempo fa vedevo la paura come un difetto mortale, ma di recente è successo qualcosa di inaspettato che mi ha fatto cambiare idea.

Quel marmocchio, Lambo, un paio di settimane fa è stato raggiunto dai suoi parenti che volevano riportarlo a casa, visto che non stava portando a termine la sua missione di uccidere l'altro bambino, Reborn. Ora, non so cosa si aspettasse di trovare a casa, ma è andato completamente nel panico... e ha ucciso tre uomini adulti armati fino ai denti.

-Sì, lo ammetto, mi sto cagando sotto, il che non è...

-Il che è un vantaggio.- lo interrompo di nuovo.

-Cosa?

-Quando hai paura, il sangue scorre più in fretta negli arti. Ti fa diventare più forte. Colpisci e passa oltre, colpisci e passa oltre, elimina il pericolo, questo ti dice il tuo corpo quando hai paura. Sei concentrato su quello e niente altro.

-Wow, Kyoya, da te non me l'aspettavo...- bisbiglia. Vorrei trovare il coraggio di dirgli anche quell'altra cosa, ma la paura, la stessa paura che ho appena esaltato per dargli coraggio, mi blocca la voce in gola. Le sue dita sfiorano le mie, come se volesse intrecciarle assieme, ma non lo fa.

E io, finalmente, capisco.

La paura mi dice di agire, e io agisco.

Lo ghermisco, intrappolo le sue dita e lo tiro verso di me.

È vicino, ha perso l'equilibrio e il suo peso è tutto su di me, il petto contro il mio, i capelli che mi solleticano il naso, e le sue labbra... le sue labbra sono a pochi centimetri dalle mie, sento il caldo del suo respiro e un vago profumo di menta piperita. Ha di nuovo mangiato caramelle.

Mi approprio delle sue labbra.

Le schiudo con la lingua, totalmente ignorante in materia, ma ora è il mio corpo che va in automatico, mi fiderò di esso come mi sono sempre fidato, e lascio che le mie braccia si aggrappino intorno alla schiena di Dino, che a sua volta mi passa una mano dietro la testa e mi spinge ad adagiarmi. Continuo a baciarlo, e lui risponde al mio bacio, e le sue mani sono dappertutto, e il suo corpo è saldo e pesante sopra di me, mi dà sicurezza.

Lo spingo via: -Fammi venire con te.

-Kyoya.

-Tu ed io. Li facciamo fuori e poi continuiamo questo discorso.

-Kyo...

-Boss.- ci interrompe la voce di Romario. Ci ha raggiunti sul terrazzo senza che ce ne accorgessimo. Si spinge gli occhiali sul naso e dice: -Io glielo lascerei fare, Boss.

-Romario, ti prego.- protesta Dino; tenta senza molto sforzo di liberarsi dalla mia stretta, ma io lo trattengo e dopo poco lui si arrende.

-Fai almeno calcolare le probabilità di riuscita con Hibari san al nostro fianco.- Dino sbuffa.

-Oh, e va bene. Ma se sono meno dell'ottanta percento non se ne fa niente.- poi, Dino si rivolge a me: -E ci conto sul proseguire il discorso, siamo intesi?- sorride.

 

Ne manca solo uno.

È grosso e rozzo e impugna una dannata ascia bipenne che pesa almeno una decina di chili più di me.

E mi sta puntando.

Rotolo sul fianco, ma il fendente che mi aspettavo di sentire al lato della mia testa non arriva.

Apro gli occhi al clangore di qualcosa di pesante che cade a terra, e vedo che Dino sta trattenendo a fatica l'ultimo dei suoi nemici con la sua frusta.

Mi alzo, impugno i tonfa e assesto una serie di colpi in punti letali, e l'uomo cade a terra.

Per sicurezza, gli fracasso il cranio.

-Ce l'abbiamo fatta?- chiede Dino, quasi incredulo.

-Sì. E adesso muoviti, Haneuma, abbiamo un discorso da portare a termine.- gli volto le spalle e lo trascino via, verso Romario, verso i suoi uomini che aspettano vicino alle automobili che ci hanno portati fin qui, verso una doccia calda e un letto caldo.

Fingerò di non aver visto quel suo stupido sorrisetto gongolante.

 

O forse no, forse ne conserverò l'immagine fino al mio ultimo respiro.







La canzone degli Hardcore Superstar potete trovarla ->qui<-
La cosa che dice Hibari sulla paura è liberamente tratta da Doctor Who, puntata 08x04 della serie moderna, dal titolo "Listen". Oh, Twelve, my Twelve, il mio Dottore.
Allego la citazione precisa perché mi piace troppo per non farlo:
"Let me tell you about scared. Your heart is beating so hard I can feel it through your hands. There’s so much blood and oxygen pumping through your brain it’s like rocket fuel. Right now you could run faster and you could fight harder, you could jump higher than ever in your life. And you are so alert it’s like you can slow down time. What’s wrong with scared? Scared is a superpower. It’s your superpower. There is danger in this room and guess what? It’s you."
Come sempre, battete un colpo se gradite!
XOXO
   
 
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