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Autore: _Tiki_    24/01/2021    1 recensioni
Ma non avrebbe cambiato niente, nello stesso modo in cui il moro non era cambiato affatto negli ultimi due anni: Trafalgar Law restava sempre bellissimo. Il solito e semplice Law di cui forse, un tempo, era pure innamorato.
[...]
Nessuno dei due lo aveva programmato, ciò che sarebbe successo dopo. Doveva essere una sveltina, o al massimo una conoscenza con benefici, nulla di più. A Kid faceva quasi ridere il modo in cui si erano innamorati, come fossero due stupidi ed insignificanti ragazzini di appena dodici anni.

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[ Kid/Law ] [ (ex)Soldier!Kid ]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eustass Kidd, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note: Questa è la prima storia, che pubblico, con toni un po' più seri e spero di essere riuscita a far trasparire la malinconia :)




Quando Kid aveva aperto la porta ed era entrato nel piccolo studio del dottore, lo aveva fatto credendo (e sperando) che la visita di controllo si svolgesse il più velocemente possibile. Dopotutto, non è che gli fosse rimasto molto da fare, arrivato a quel punto. Era stato semplicemente congedato con onore dal servizio militare in Medio Oriente. Ovviamente, se si poteva davvero chiamare “onore” farsi saltare in aria metà del proprio corpo. Kid proprio non lo capiva, probabilmente quella parola serviva solo come una sorta di medaglia di consolazione, prima di darti una pedata in culo e lasciarti in balia di te stesso, con tanto di traumi annessi. “E dai, cosa sarà mai un braccio in meno, in cambio di biglietti del cinema gratis per tutta la vita?” era ciò che c’era scritto in faccia all’ufficiale, mentre gli stata comunicando la “fantastica” novità. Non fece molto quella volta, strinse i pugni (il pugno, in realtà…) e si mantenne calmo a fatica, intanto che la voglia di spaccargli quel faccino immacolato e sorridente cresceva rapidamente. Ascoltò assente, pensando al niente e sperando che presto lo caricassero su un maledetto aereo e lo riportassero in patria. Ormai non serviva a nulla prendersela con un superiore. Il suo braccio sarebbe rimasto mozzato, come sarebbero rimaste le pessime scelte fatte da ragazzino e che lo avevano portato a quel risultato.
 
Ed anche quel giorno si era imposto di ingoiare, senza creare ulteriore danni, l’ultimo ed estenuante legame che lo teneva legato a quella vita di merda, per poi tornare ad una vita altrettanto di merda, soltanto senza la costante paura. La visita medica era più una formalità per capire quanto lo stato dovesse sborsare per le sue pedine, che un interesse vero per queste ultime. Così, Kid, quel giorno abbassò la maniglia distaccato, quasi svogliato, entrando nel piccolo e bianco ambulatorio pensando già a quale locale squallido recarsi la sera.
 
Eppure nei ventitré anni in cui era stato al mondo, doveva aver capito che se mai avesse avuto un angelo custode, era sicuramente una gran testa di cazzo. Non appena entrò nell’angusta stanza si ritrovò davanti qualcosa, o meglio, qualcuno che Kid non aveva assolutamente programmato. La porta non si era ancora richiusa alle sue spalle e il suo corpo non si era voltato del tutto, quando si bloccò.
Trafalgar Law era seduto su una sedia girevole, staccato dallo schienale appoggiava le mani incrociate e i gomiti sul legno liscio e scadente della scrivania, apparentemente rilassato. Indossava l’usuale camice bianco, sotto una felpa nera, gli occhiali squadrati posavano leggeri sul ponte del naso, i capelli neri ricadevano sbarazzini sulla fronte, le occhiaie che lo caratterizzavano sempre presenti. L’espressione puntualmente fredda e apatica aveva lasciato spazio ad un’incredulità ed ad un genuino stupore nel vederlo. Ma non avrebbe cambiato niente, nello stesso modo in cui il moro non era cambiato affatto negli ultimi due anni: Trafalgar Law restava sempre bellissimo. Il solito e semplice Law di cui forse, un tempo, era pure innamorato.
 
Fu come un fulmine a ciel sereno.
 
Rimasero qualche secondo di troppo a guardarsi, immobili, sorpresi, i loro occhi che si incontravano a mezz’aria, tentando invano di controllare la miriadi di sensazioni che erano scoppiate in loro. Talmente tante che nelle loro teste c’era solo confusione, mentre le emozioni tornarono forti a battersi contro un impreparato raziocinio. La stanza si era annullata intorno a loro, non un oggetto li ostacolava, come nessun rumore giunse alle loro orecchie. Precipitarono in una spazio vuoto, distorto, dove l’unica cosa che contava era il ragazzo che avevano davanti, e ciò che comportava, averlo davanti. Le preoccupazioni, i pensieri, le piccole gioie che li avevano tormentati fino ad un attimo prima, scomparirono, mentre altri pensieri, preoccupazioni e piccole gioie si fecero largo a forza, riflettendosi nei loro occhi vitrei. L’inizio di una fine passata.
 
Il medico fu il primo a riprendersi, sbattendo più volte le palpebre, interrompendo così il loro problematico contatto visivo. Si portò una mano stretta a pugno alla bocca, si schiarì la voce e oscillò lievemente a destra e sinistra sulla sedia. Un modo contorto e un po’ inutile per far finta di non essere provato da quell’inaspettato incontro -Non…- balbettò per un attimo, tossendo deciso subito dopo -Non sapevo che saresti stato il prossimo…- disse con voce più o meno ferma e lasciando in sospeso la frase, come fosse indeciso se continuarla o meno. Si guardò di sfuggita le mani, nuovamente intrecciate, che si stavano martoriando a vicenda, prese un profondo, ma silenzioso respiro e: -Non sapevo nemmeno che fossi tornato, in realtà…- rivelò, il velo della malinconia nell’aria.
 
Kid sembrava fosse rimasto per tutto il tempo in uno stato di trans, immerso in un limbo infinito, dove gli sprazzi di due vite opposte si susseguivano frammentarie. Alle urla agghiaccianti del fronte, al sangue e alla disperazione, si frapposero le immagini di quel dottore tenebroso, mentre gli sorrideva arrogante, mentre si accomodava flemmatico sul suo bacino e lo baciava profondamente, mentre gli sussurrava frasine acide e maliziose all’orecchio con una dolcezza distruttiva. E quando le parole di Law risuonarono lontane e vivide nella sua testa, ci impiegò un po’ a comprenderle a pieno. Ma si riscosse anche lui, scacciando quelle immagini dalla propria testa, con violenza, come aveva imparato a fare. Non era il momento, il luogo e con la persona adatti per lasciarsi andare a memorie passate.
 
Così si impose di ritornare in se, afferrò per la spalliera la sedia di plastica dei pazienti, la tirò indietro rumorosamente e ci si posizionò sgraziatamente sopra -Bhe sai… congedato con onore…- sbuffò una risata il rosso, ironico, roteando gli occhi al cielo. Il cuore in subbuglio.
 
Non aggiunse altri dettagli, non c’era molto altro che potesse aggiungere, con futili discorsi, al suo nuovo “look”. Ma un ghigno sardonico increspò le sue labbra non appena notò gli occhi sgranati di Law squadrarlo e studiarlo. Non era un bello spettacolo, ne era consapevole, ma era sicuro che se fosse stato un soldato qualunque, il dottore non avrebbe reagito così platealmente; tuttavia lui non era un soldato qualunque.
 
Il moro osservò come la guerra si era presa una parte di quel ragazzino esuberante ed arrogante dai capelli rossi. Non solo nello spirito, il luccichio beffardo nelle iridi di Kid se ne era andato, ma anche nel fisico. Law, da medico, poteva presuppore che gli fosse esplosa una granata vicino, talmente vicino da strappargli il braccio sinistro. Il moncherino era ancora fasciato, ma si intuiva che le cure erano state veloci, con pochi strumenti a disposizione, mentre il rosso urlava e si dimenava su un lettino freddo, in preda agli spasmi e al dolore più acuto di tutta la sua misera vita. Le bruciature si intravedevano anche attraverso il colletto della t-shirt, segno che si estendevano non solo su tutta la spalla, ma pure su parte del petto ampio. Salivano lungo il collo e arrivavano a deturpare l’occhio e la tempia, creando un singolare quanto macabro contrasto con la pelle bianca e lattea e i capelli rosso fuoco. Cicatrici così vistose, che Law pensò fosse un miracolo che il rosso fosse ancora vivo.
 
Per la prima volta da quando aveva memoria Trafalgar Law abbassò lo sguardo, non reggendo il peso di quella storia che era stata incisa per sempre sul corpo del soldato. Ma durò poco, solo un piccolo attimo di debolezza, prima di risollevare le iridi plumbee e puntarle in quelle particolari dell’altro. Ghignò, riappropriandosi di tutte le emozioni che aveva lasciato fuggire, in modo che lui non le vedesse -Cosa ti aspettavi Eustass-ya? Che saresti tornato camminando su un red carpet?- disse sbeffeggiatore e freddo.
Ma in quelle parole non ci mise niente. Il vuoto più totale, come fossero spente, prive di qualsiasi intonazione o colore, solo un semplice suono che rimbombò lontano in quelle quattro logore pareti.
 
-Non iniziare a fare il cinico con me Trafalgar…- gli rispose a tono Kid, sbattendo il palmo aperto sulla scrivania. Non era arrabbiato, né tantomeno offeso, voleva solo mettere fine a quella conversazione. Non era in vena di sentimentalismi in generale e l’uomo che si trovava davanti avrebbe reso tutta quella faccenda più complicata.
 
Il corvino continuò a fissarlo imperscrutabile, quasi lo volesse eviscerare da tutti i suoi segreti, quasi lo giudicasse. Non durò molto, ma abbastanza per far correre un lungo, caldo e dimenticato brivido lungo la spina dorsale di Kid. Se la ricordava quella sensazione addosso, sulla pelle, quando Law lasciava trasparire miliardi di pensieri soltanto con quelle particolari iridi grigie e lui si ritrovava esposto, nudo come un verme davanti a tutte le sue paure.
 
Il dottore distolse lo sguardo in fretta, facendo finta di niente e rivolgendo la sua attenzione alla pila di fascicoli alla sua destra. Li sfogliò distrattamente uno a uno, fin quando non trovò quello del diretto interessato, relegato in una copertina rosso sporco, proprio come, ironicamente, quello delle sue bruciature. Lo aprì lentamente, mentre si alzava e faceva il giro della scrivania, leggendo apparentemente distaccato la diagnosi del medico che lo aveva curato alla base militare. Non che gli servisse a qualcosa o gli desse più informazioni di quanto non avesse già colto da solo, era semplicemente la prassi e la formalità del suo lavoro, oltre ad essere materiale con cui distrarsi -Hai dolori all’arto?- chiese, infatti, professionale, appoggiandosi al bordo di legno del tavolo e posando i fogli su quest’ultimo, guardandolo neutro, non un’espressione a tradirlo.
 
-Quale arto?- ribatté retorico e sarcastico Kid, sorridendo sfacciatamente al moro, privo di qualsiasi emozione positiva, non riuscendo a trattenere quel commento acido. Trafalgar Law era l’unico medico che aveva mai sopportato o lontanamente apprezzato, tuttavia se quest’ultimo aveva intenzione di portar avanti il loro incontro con il distacco…
 
-Se hai tanta voglia di scherzare Eustass-ya… perché non riprendiamo il discorso di prima?- lo ammonì glaciale il medico, abbassando superiore le pupille sul rosso.
 
-Tsk…- sbuffò questo, facendo per incrociare le braccia (abitudine che Law ricordava fin troppo bene) quando si “accorse” che gliene era rimasto solo uno -Niente che un paio di pillole non possano risolvere- rispose scocciato all’antecedente domanda medica.
 
-Ok… nulla a cui non posso rimediare… mi aspettavo di peggio effettivamente…- lo informò Law, sempre con il tono strettamente dottorale ed ignorando il cipiglio di Kid, probabilmente indeciso se prendere quelle parole come un’offesa o come una diagnosi -Levati la giacca e la maglia che do un’occhiata-
 
Lo disse fermò, completamente con un tono professionale, eppure il rosso sentì una chiara stretta nostalgica invaderlo, mentre si toglieva i vestiti. Tempo prima Law gli avrebbe rivolto quell’ordine con un tono malizioso, magari prima di spingerlo saccente su di un letto e spogliarsi a sua volta. Non era più così… e questo lo sapevano bene entrambi. Ciò che avevano avuto non contava più niente, non aveva più alcun valore se non quello di mero ricordo. Erano passati due anni, cazzo! Erano andati avanti, e dovevano averla superata quella dannata infatuazione. Eppure… quando il moro gli sfiorò con i polpastrelli l’epidermide chiara e sensibile, quando il suo corpo stesso ricordò quella sensazione, quelle dita affusolate quando pericolose, il rosso ebbe l’impulso impellente e sconosciuto di ritirarsi e scappare da tutto quanto. Un brivido lo scosse piano, intanto che si imponeva di non muoversi o fare il codardo, quando le dita sottili del dottore si appoggiarono definitivamente sulla sua spalla.
 
Per un lungo ed estenuante attimo sia Law che Kid si congelarono, il respiro sospeso, mentre venivano travolti da un’ondata di ricordi dolorosi quanto piacevoli. Law conosceva bene quel corpo, non avrebbe neppure saputo contare le volte in cui le proprie unghie lo avevano intaccato, graffiandogli le scapole, le volte in cui gli aveva fatto distratti disegni sul petto con i polpastrelli, per poi posarci stanco una guancia e addormentarsi con il battito del cuore del minore a fargli da ninna nanna. Si era ripromesso che non avrebbe contato nulla, che quel soldato dai capelli rosso fuoco sarebbe stato solo una tappa passeggera nella sua vita. Lo aveva deciso nello stesso momento in cui aveva accettato la sua proposta di uscire per una birra. E se lo era ripetuto migliaia di volte nei mesi successivi, tra le lenzuola sfatte dopo una notte piena di passione, o mentre scherzavano tranquillamente in uno squallido pub.
 
Ormai avrebbe voluto urlargli di andarsene, prima da quella stanza e poi dalla sua testa. In modo definitivo.
 
Era iniziato in un modo così semplice che ancora non riusciva a capire com’è che era arrivato a sentire quelle cose. Eustass Kid aveva varcato la soglia del suo piccolo studio nemmeno due anni prima, spavaldo, sicuro di se, come se nessuno avesse potuto fargli del male. “A quanto pare devo avere la tua approvazione per andare a farmi ammazzare” fu la prima cosa che gli disse, con un sorriso arrogante e spensierato sul volto, sedendosi rumorosamente sulla sedia dei pazienti. Fu anche comico, vedere quel ghigno beffardo tremare non appena si accorse che il medico che lo avrebbe visitato era uscito dal suo più recondito sogno erotico.
 
-Ti prescrivo delle pomate da applicare sulle cicatrici, altrimenti rischi che si infettino…- il corvino parlò piano, tentando di suonare il più impassibile possibile, mentre continuava a studiare e toccare tutte le ferite che il rosso si era procurato, e che lui ancora non aveva visto ed esplorato.
 
-Non ho bisogno di quella roba da femm…- Kid non ce la fece a non interrompersi, perché se era stato deleterio sentire le delicate dita del moro percorrergli il petto, non appena quelle stesse dita gli delinearono distaccato, ma comunque curioso le bruciature sul volto… fu peggio. Gli mancavano.
 
Era stato ovvio per uno come Kid, chiedere un’uscita a quel dannato, sexy dottore che si era ritrovato davanti. Stava per partire e forse non avrebbe mai più messo piede in patria… tanto valeva godersi gli ultimi giorni di “tranquillità”. E quel moretto saccente, misterioso, quanto bello sembrava la nota perfetta in un pentagramma ormai vuoto. Nessuno dei due lo aveva programmato ciò che sarebbe successo dopo. Doveva essere una sveltina, o al massimo una conoscenza con benefici, nulla di più. A Kid faceva quasi ridere il modo in cui si erano innamorati, come fossero due stupidi ed insignificanti ragazzini di appena dodici anni. Non andavano d’accordo praticamente su nulla, avevano gusti e passioni differenti, eppure… eppure si ritrovavano sempre nella casa dell’altro, magari avvolti insieme in un plaid, nudi, a guardarsi stupidi film di fantascienza. “Se solo lo avessi conosciuto prima…” quella frase non abbandonava mai le loro teste. Kid avrebbe comunque dovuto andarsene. E questo lo sapevano, lo sapevano fin troppo bene.
 
Il rosso afferrò con decisione il polso sottile del medico, scostandogli la mano dal volto, quasi fosse stato scottato -Mi prescriva le fottute medicine che devo prendere e firmi tutti gli inutili fogli che deve firmare affinché venga curato, mi sono stancato di stare in questo luogo!- lo disse duro, mettendo tra di loro una distanza ferma, ma gli occhi fissavano insistenti un punto indefinito alle spalle del medico.
 
-Si…- mormorò appena Law, sconfitto, anche se non sapeva da chi o da cosa lo fosse stato…. La presa su di lui fu allentata di conseguenza, e senza fiatare girò intorno alla scrivania e si mise nuovamente a sedere sulla sedia girevole.
 
Non dissero niente in quei minuti che ci vollero al medico per compilare e scribacchiare il necessario. La tenzione tra di loro vibrava ad ogni loro respiro, dal leggero rumore che faceva la penna sulla carta e dallo spostamento di questa. Law non distoglieva l’attenzione dal suo lavoro, teso come una corda di violino, forse per scacciare il peso opprimente che via via gravava sul suo stomaco e su quell’organo che non voleva nemmeno nominare.
Kid fissava l’asettico paesaggio fuori dalla finestra, le sue iridi riflettevano assenti le figure oblique di costruzioni grigie dall’aria triste e priva di spessore.
 
Era stato il corvino a mettere un definitivo stop alle loro “uscite”; mancavano solo due settimane alla spedizione del minore. Avevano ignorato i loro sentimenti per troppo tempo e Law, in una mattina nuvolosa, aveva deciso non solo di ignorarli, ma di porgli fine. Il loro tacito accordo di non affezionarsi era fallito miseramente praticamente da subito, da quando si era scambiati ingenuamente i propri contatti. Law aveva vissuto sempre da solo, facendo a meno di ogni tipo di legame romantico; arrivato a quel punto non poteva dire che emozioni come l’amore fossero solo una cazzata inventata dalla televisione o che fosse roba da deboli. Avrebbe mentito a se stesso. Ma non era nemmeno pronto, né tanto meno voleva, immischiarsi in una relazione logorante come sarebbe stata quella con Eustass Kid. Non avrebbe atteso per mesi, solo, in uno squallido appartamento, con l’angoscia a divorarlo, aspettando seduto vicino al telefono che una chiamata arrivasse per dirgli che era tutto apposto, come per comunicargli la triste morte del compagno. Non avrebbe dormito con la paura che magari, nello stesso momento, il suo ragazzo stava combattendo una guerra che non aveva senso combattere. Lui, non si sarebbe ridotto così. Avrebbe continuato a vivere come sempre aveva fatto, l’unico modo che conosceva, l’unico sicuro.
 
-Ecco, mostra questo foglio al medico che ti seguirà durante la riabilitazione, è per l’assicurazione- disse Law, freddo, l’espressione impassibile accentuata dai fini occhiali da vista e dalle pesanti occhiaie, spostando professionale la certificazione con la sua firma verso la figura del soldato. Controllò per un’ultima volta anche il fascicolo rosso, per poi porgerglielo -Questo invece, è la tua diagnosi- lo informò.
 
Kid si morse la lingua per non fare una battutina offensiva e arrogante delle sue, prendendo mesto ciò che gli veniva dato e alzandosi dalla sedia -Posso andare, giusto?- chiese per sicurezza, guardando il medico quasi con rammarico, forse per imprimersi bene la sua figura e quello che era stato per lui.
 
-Già… sei tornato libero- gli sorrise debolmente e vuoto, Law, appoggiandosi disinvolto allo schienale della sedia e allargando platealmente le braccia verso l’esterno -E… Eustass-ya…- lo chiamò -Per quanto le detesti, ti consiglio ti utilizzare una spugna per lavarti. Aiuta a togliere le croste e non irrita la pelle delle cicatrici- lo salutò a modo suo, in un modo loro, che solo loro potevano capire, regalandogli un ultimo sorrisino saccente, quanto triste.
 
Il rosso ricambiò malinconico, voltandosi verso la porta dello studio e mettendo la mano sulla maniglia fredda.
 
Kid, dopotutto, cosa avrebbe potuto dire? Non avrebbe chiesto a Law di aspettarlo, di assecondare una pessima e stupida scelta di un ragazzino arrogante. Non gli avrebbe chiesto di aspettarlo bravo e mesto come una docile cagnolino, fedele al proprio padrone in eterno, anche quando, magari, non avrebbe più fatto ritorno. Gli voleva troppo bene, lo amava persino, per costringerlo ad una vita come quella. Law aveva i suoi studi, la sua carriera da portare avanti, e non aveva bisogno di una relazione problematica e che presto avrebbe fatto acqua da tutte le parti. Non erano le persone adatte per qualcosa del genere, loro comunicavano con i gesti, con la passione che ci mettevano sotto le coperte, insieme, l’uno di fianco all’altro. Non erano fatti per un amore platonico, avevano bisogno di sentire la propria carne cozzare con quella dell’altro, degli scontri bollenti delle loro lingue, dei morsi che si lasciavano. Di una certezza concreta che potevano toccare quando si sentivano insicuri.
Quando Law mise fine al loro qualcosa, Kid gli rubò solo un bacio.
 
Era iniziato tutto in uno studio simile a quello in cui si trovavano ora, e come allora il soldato indugiò sulla maniglia, stavolta non avendo la forza di abbassarla.
 
-Ti va una birra, stasera?-
   
 
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