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Autore: bimbarossa    24/01/2021    8 recensioni
C'è un fenomeno che imperversa in città, una campagna pubblicitaria di intimo che sta spopolando, le cui protagoniste assolute sono ragazze bellissime, modelle irraggiungibili e dall'identità misteriosa.
Difficile non cadere vittima del loro fascino, e ancora più difficile scoprire che sono molto più vicine a noi di quanto potremmo mai credere.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ayame, Jakotsu, Kagome, Rin, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: anche se Sesshōmaru fa tanto il sussiegoso uno sguardo ammiccante ce lo butta volentieri sul fondoschiena di SPOILER- Rin

 

 

La pubblicità è leale. Di rado.

 


Rin, prima di uscire dalla toilette, si assicurò che i suoi capelli fossero ben stretti e che le ciocche di un nero profondo fossero ben raccolte affinché risultasse il più professionale possibile, dato che il suo capo queste cose le notava alla prima occhiata.

D'altronde, cosa poteva sfuggire a Sesshōmaru-sama?

Tutte le mattine, prima di entrare in ufficio, svolgeva un rituale meticolosissimo, controllare che il tailleur fosse più anonimo e grigio possibile, il trucco leggero ma curato, l'espressione ferma ma gentile.

Queste erano le regole, se volevi lavorare con lui. E Rin lo voleva con tutte le sue forze.

Non solo perché aveva disperatamente bisogno di un lavoro, ma anche che questo lavoro fosse ben pagato.

Pensare a tutti i debiti che doveva ancora saldare fece crollare per un attimo la neutralità del volto, neutralità che aveva imparato ad assumere e a costruire a comando in parecchi mesi.

I suoi genitori e i suoi fratelli erano morti molti anni prima, quando lei aveva solo sette anni, uccisi da un branco di lupi ribelli che avevano rigettato le leggi che governavano la convivenza con gli umani, e la loro morte aveva cambiato la vita di Rin per sempre.

Infatti se era vero che erano stati dei demoni a portarle via la sua famiglia, erano stati gli esseri umani che, sbattendola in diverse case famiglia, l'avevano snobbata, maltrattata, battuta, trattata come immondizia senza valore.

Se le ricordava tutte quelle famiglie che avevano promesso di avere cura di lei, riempirla di insulti, schiaffi e anche di peggio se per caso prendeva una merendina o una polpetta di riso ripiena dal frigorifero.

Quindi si, per quanto alcuni demoni fossero spaventosi e terribili, gli esseri umani potevano esserlo ancora di più.

Con una calma traballante cercò di mettersi al lavoro prima che Sesshōmaru arrivasse in ufficio. Voleva fargli trovare tutti i rapporti pronti sulla sua scrivania, perciò di di buona lena si mise all'opera.

Aveva ottenuto quel lavoro grazie all'amicizia con InuYasha, questo era vero, tuttavia avrebbe dimostrato a tutti, e soprattutto a Sesshōmaru, che il posto se lo stava guadagnando, giorno dopo giorno.

“Sarà meglio che quelle carte siano pronte. Sesshōmaru è in ascensore e sarà qui tra poco.”

La voce fredda della donna la fece quasi tremare dentro, come un minuscolo pezzo di ghiaccio nello stomaco.

Perché Kagura era di nuovo lì?

Da giorni ormai la famosa avvocatessa frequentava l'ufficio del suo capo, e Rin sapeva benissimo che quando c'era di mezzo lei allora c'erano guai in arrivo.

“Certo che sono pronte, come sempre.”

“Ma guarda guarda, che dipendente leale. Una vera perla rara.”

Se voleva intimidirla non ci sarebbe riuscita tanto che Rin stava per aggiungere altro, quando Sesshōmaru entrò in ufficio.

Ogni volta Rin non poteva proprio farne a meno, ammirarne la bellezza lunare e altera, notarne la camminata sicura e silenziosa, bearsi della calma piena di orgoglio di chi sa di essere in una posizione apicale rispetto al resto dell'umanità, tutto di lui risvegliava nel suo piccolo cuore emozioni inseguite per l'intera sua sbandata esistenza, e anche se era venuta presto a sapere delle voci che circolavano su quanto fosse inflessibile e spietato, era impossibile per lei non vederne altresì la disponibilità, la premura, la sollecitudine con cui era stato pronto ad aiutare una sconosciuta su richiesta di un fratello con cui a stento andava d'accordo, tratti che lo elevavano ai suoi occhi più di quanto potessero mai abbassarlo i suoi difetti, se mai le suddette voci fossero state vere.

Rin ne era sicura, Sesshōmaru era la persona più gentile e buona che lei avesse conosciuto, una persona che meritava la sua fedeltà incondizionata.

Una persona, che se solo lo avesse voluto – e questo Rin non si poteva permettere di sperarlo- avrebbe potuto avere il suo cuore senza nemmeno doverlo chiedere.

 

“Signorina, posso sapere cosa fa qua dentro?”

Ayame era talmente concentrata sul racconto che stava leggendo che non aveva minimamente notato la presenza dell'uomo sulla porta.

Subito le si attivarono l'olfatto e la vista. Quello non solo era un demone cane, ma assomigliava tantissimo al suo amico InuYasha, quindi poteva essere solo una persona.

“Generale.” Quasi lo soffiò quell'onorifico. “Mi dispiace, non volevo essere invadente, ma suo figlio mi ha dato il permesso. Spero di non averla offesa.”

Era alto. Altissimo anzi, molto più di Sesshōmaru, e aveva uno sguardo che non si poteva dire di certo accomodante, anche se il fastidio di averla trovata lì, nella sua biblioteca privata lo nascondeva benissimo dietro una parvenza di secca cortesia.

Ayame però era stata istruita molto bene da suo nonno nell'arte di scorgere con una certa dimestichezza quello che un buon politico poteva celare sotto la maschera della fredda educazione, quindi dopo un momento di spaesamento decise di mettere in pratica le lezioni impartitele.

“Niente di grave, non si preoccupi signorina,” la rassicurò pacato.

“Ero alla festa con gli altri di sotto nella piscina coperta, ma poi ho ceduto alla curiosità di leggere questa fantastica edizione dell'Heichū Monogatari in suo possesso. Deve assolutamente dirmi in che posto l'ha presa.”

I complimenti e una leggera innocua forma di piaggeria potevano salvarti nell'arena di un concilio.

“Questa, dice?” Le si avvicinò piano, in volto un'espressione tra il bonario e il guardingo che lo rendeva meno rigido e impassibile ma anche terribilmente sexy, tanto che lo stomaco di Ayame fece una capriola. “Questa l'ho comprata poco dopo che fosse scritta da Taira no Sadafuni stesso, circa dieci secoli fa.”

“Ma allora lei è un demone vecchissimo!”

Le parole non le erano nemmeno uscite dalle labbra che si avvide della colossale figura barbina fatta, già sentiva il rossore e il pallore che si contendevano la sua faccia.

“I-io non vo-volevo dire che lei è vecchio, anzi.” Lo squadrò dalle scarpe in pelle fatte su misura alla camicia bianchissima che gli metteva in evidenza i pettorali, fino al completo di quel dannato colore, tra l'antracite e il celeste, fatto apposta sicuramente per creare quel divino accostamento con i capelli candidi, facendoli luccicare. Ayame avrebbe potuto giurare che nelle notti più chiare, sulle montagne del nord, c'erano stelle che brillavano meno. “Magari invecchiassimo tutti come lei. Io sono nata quasi cento anni fa e mi sento già decrepita a volte.”

Si sprimacciò i codini con fare tra il saputo e il melodrammatico.

“Grazie, adesso mi sento meno offeso.”

Per un attimo le regalò l'ombra di un sorriso, e questa volta fu il cuore che si dette alla ginnastica ritmica.

“Mamma mia, si è fatto veramente tardi, gli altri si staranno domandando dove sono finita. Prima però volevo chiederle il permesso di poter leggere questi. In fondo ho sempre saputo di avere un'anima sentimentale.”

Afferrò un cofanetto con dentro tre piccoli volumetti di poesie romantiche, molto meno spessi del libro di geopolitica del Giappone settentrionale che suo nonno le aveva regalato quando ancora non aveva avuto il suo primo ciclo.

“Queste no.” Gliele prese con compassata furia, e con pochi veloci gesti tolse un quadro dalla parete, aprì la cassaforte che nascondeva e vi ripose l'oggetto incriminato dentro, il tutto in un silenzio quasi punitivo. “Appartenevano alla madre di InuYasha.”

Ayame non fu tanto sciocca da non percepire che gesto simbolico fosse quello in realtà, compiuto ad uso e consumo di lei soltanto.

Non c'era luogo più sicuro della casa di un demone come Inu no Taishō, quella cassaforte era più inutile di un bikini al polo nord, e lei aveva fatto senza volere il passo più lungo della gamba.

Il ghiaccio dorato che erano ridiventati gli occhi del padrone di casa era più inquietante dell'espressione più crudele nel repertorio di suo figlio Sesshōmaru.

“Non importa.” Fu il suo momento, questa volta, di regalargli il sorrisetto affettato che si usava in quelle occasioni, ovvero per far capire chiaramente di aver subito un'offesa ma che questa non meritasse neppure un briciolo di importanza.

Uscì dalla villa tutta impettita, senza darsi nemmeno la pena di tornare alla piscina coperta e avvisare che se ne andava; ciononostante, appena svoltato l'angolo, dovette appoggiarsi al muro di mattoni che accostava la strada, il cuore in gola e la mente che lottava con una strana nebbia, per poi correre e correre, come se fosse inseguita da quegli uccellacci spauracchio della sua infanzia, le dannate Paradisee, temendo che uno nuovo, di spauracchio, fosse appena arrivato dalla lontana America solo per il suo tormento.

 

“Cerca di perdonarmi, padre, se puoi.”

Con un soffio, Sango spense le candele sul piccolo altare ed immediatamente un odore di incenso si sparse nella stanza alla stregua di un'anima volata via.

Con movimenti silenziosi e misurati chiuse il butsudan, sperando che suo fratello Kohaku non rientrasse tanto presto dagli allenamenti.

Mantenne tuttavia un atteggiamento circospetto anche una volta che, seduta al kotatsu e trovato sollievo nel suo calore, tolse da una scatola da scarpe la pila di bollette da pagare, alcune con le scritte scarlatte dell'avviso di sollecito sulla busta.

Tutte le preghiere, o gli scrupoli che suo padre e suo nonno prima di lui le avevano inculcato durante il duro addestramento da sterminatrice, non sarebbero serviti a niente contro quei fogli più minacciosi di un demone centipede, perciò era inutile fare tutte quelle infantili manfrine.

Aveva inghiottito le lacrime mentre si spogliava ed indossava quella ridicola mutandina Osuwari, ma mai quante ne aveva invece versate dopo aver saputo che suo padre era morto in una sperduta località interna vicino Gunma contro un demone ragno che lo aveva praticamente decapitato.

Una morte che si sarebbe potuta facilmente evitare, se solo quei maledetti speculatori edilizi capitanati dal losco Naraku non avessero rilevato la loro piccolo attività gettandoli sul lastrico, e costringendo il genitore ad accettare un'offerta di lavoro ben pagata ma che era stato da scellerati affrontare da solo.

Ora lei e Kohaku erano soli al mondo, con pochi soldi, l'affitto da pagare e con il fiato sul collo dei creditori.

So che non avresti mai approvato che facessi una cosa simile, ma sto usando il mio corpo per guadagnare, esattamente come fa uno sterminatore.

Beh, non proprio nello stesso modo, ma si poteva fare a meno di certe sottigliezze pur di potersi guardare allo specchio ogni giorno e tirare avanti.

Un trillo dello smartphone la riscosse dall'oscurità densa che minacciava di inghiottirla.

“Hōshi-sama, che piacere sentirti.”

 

Kagome sfogliò preoccupata il libro di ricette, concentrata più sui problemi che si stavano avvicinando minacciosi piuttosto che sul dolce che avrebbe dovuto fare.

Tra poco era San Valentino, e voleva fare una sorpresa ad InuYasha, tuttavia ammise tra sé e sé che c'era ben poco da festeggiare.

“Ehi Kagome, stai lavorando al dolce di San Valentino per tu sai chi?”

Sua madre era entrata in cucina portando una cesta di panni da lavare.

“Magari posso aiutarti.” Le fece l'occhiolino divertita, finché si accorse del volto mesto della figlia. “Ti manca qualche ingrediente? Se vuoi posso uscire a comprartelo. Dimmi solo qual è il problema.”

Per un attimo Kagome pensò di fare spallucce o ricadere nel classico sorriso smagliante e finto che si usava quando avevi problemi sentimentali da adolescente, eppure ingannare la mamma non si sarebbe rivelato tanto facile. E poi aveva bisogno di confidarsi, parlare da adulta con un altro adulto, quindi perché non tentare?

“Credo che InuYasha mi stia nascondendo qualcosa, un segreto, una preoccupazione, chi lo sa. Ne sono sicurissima.”

Con sollievo non si sentì dare della pazza visionaria affetta da insicurezza cronica, ne tanto meno sua madre per confortarla attribuì questa convinzione a fantasie e suggestioni varie. La fece solo sedere al tavolo della cucina mettendole una mano sul braccio magro e affusolato.

“Vedi Kagome, anche se fosse, non devi fartene un cruccio. Le persone hanno dei segreti, cose che non vogliono o possono rivelare, ed è giusto che sia così. Non possiamo sempre dire tutto di noi, abbiamo bisogno di avere dentro posti e pensieri esclusivamente privati. Questo non vuol dire che InuYasha tenga di meno a te, o che non ti voglia più bene.” La strinse in un abbraccio a metà, in una sorta di gesto consolatorio verso un figlio non ancora cresciuto ma non più bambino. “Non pensare che io voglia sminuire la tua preoccupazione, perciò non fare quella faccia Kagome, però promettimi che penserai alle mie parole, ok? E fammi un sorriso, che andrà tutto bene.”

Non poteva minimamente sospettare tuttavia, che sua figlia in quel momento avesse messo da parte InuYasha e le sue stranezze per rivolgere la mente a tutt'altro tipo di fatti celati.

Oh mamma, se tu sapessi quanti segreti devo mantenere io!

Ancora le tremavano le ginocchia se riandava a quel giorno allo studio fotografico, quando le avevano detto di sciogliersi i capelli, togliersi i pantaloni e cercare di essere il più naturale possibile mentre un tizio con una macchina digitale dall'obbiettivo enorme si fiondava sul suo sedere riprendendolo da tutte le angolazioni.

Persino Rin e la disinibita Ayame si erano guardate in faccia ansiose, e Sango era uscita per ben due volte dallo studio sostenendo di aver cambiato idea per poi tornare convinta da Jakotsu e dal bisogno economico.

L'idea di scappare era stata una tentazione anche per lei, poi però i conti dell'ospedale per il nonno, la retta del costoso liceo privato di Sōta e la prima rata per restituire il prestito a quella dannata Kagura avevano galleggiato dentro di lei come orribile spazzatura marcia in un oceano pulito di belle speranze, e aveva lasciato che il click del fotografo la inondasse, allontanando il panico e la pudicizia.

No, si disse, non ho fatto nulla per cui mi debba vergognare. Sto aiutando la mia famiglia in un momento difficile come farebbe una brava figlia.

“Si, mammina, andrà tutto bene. Sicuramente è la mia immaginazione. Oppure il motivo è il regalo che pensa di dovermi fare, è il nostro primo San Valentino, e sai com'è InuYasha, queste cose lo innervosiscono.”

Ricambiò la stretta di sua madre. Adesso aveva addosso la responsabilità della famiglia e del tempio Higurashi, qualunque prezzo avesse dovuto pagare.

 

 

 

Grazie a tutti, veramente! Sono commossa per come è stata accolta questa storia, per la gentilezza delle persone che l'hanno recensita o messa tra le preferite e le seguite, senza contare quei lettori silenziosi altrettanto importanti, tutti voi siete stati fondamentali affinché la continuassi con lo stesso entusiasmo e allegria, perché sì, a dispetto del capitolo, che spero vi piaccia, è una storia divertente, più o menoXD.

A presto

 

 

bimbarossa

 

  
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